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RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA E TOTALE DEMOLIZIONE
dott.. Mirko Margiocco e dott. Pasquale Mazzei
- Sostituti Procuratori della Repubblica presso la Pretura di Modena -

Corte di Cassazione

 

. 1 - E’ noto a tutti gli operatori di settore il problema della compatibilità del concetto di ristrutturazione edilizia con condotte consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un preesistente manufatto.

E’ orientamento della Procura della Repubblica presso la Pretura di Modena che in ciò si configuri la consumazione di un abuso edilizio in quanto l’attività realizzata è assolutamente debordante rispetto ai limiti propri di un intervento di tipo modificativo quale è la ristrutturazione.

La ristrutturazione implica, ex art.31 lett. d) l. n. 457/1978, trasformazioni anche profonde ed altamente significative dell’immobile esistente al punto da legittimare la creazione di un complesso immobiliare non più riferibile in tutto o in gran parte a quello preesistente oppure il rifacimento del manufatto mediante innovazioni sostanziali concretanti la modifica di elementi preesistenti o l’inserimento di elementi nuovi (cfr. Cass. pen. sez. III 26/5/1994 Greco).

L’ultimo comma dell’art. 31 l. n. 457/1978 (recepito quasi alla lettera dalla l. Reg. Emilia Romagna n.47/78) statuisce, altresì, la prevalenza della definizione di ristrutturazione posta dalla legge su quella di strumenti urbanistici e norme regolamentari con previsione che va adeguatamente considerata in presenza di fonti normative secondarie o addirittura di deliberazioni amministrative che contengono previsioni assolutamente incompatibili con le definizioni di legge. Valga come esempio emblematico e clamoroso di divergenza rispetto alle norme di legge statale e regionale l’art.6 del titolo II dello schema tipo di Regolamento edilizio tipo approvato con delibera della Giunta regionale n.593 del 28.2.1995 che definisce il concetto di ristrutturazione dilatandolo impropriamente fino a comprendere demolizione e ricostruzione dell’immobile.

Ciò posto, la corretta interpretazione dell’art.31 lett. d) l. n. 457/78 va operata con il conforto della copiosa e consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità formatasi sul punto e che negli anni ha notevolmente ampliato la fisiologica estrinsecazione della tipologia di intervento " ristrutturazione edilizia" di immobile esistente.

Al fine di tracciare i confini esterni di tale fisiologica espansione va segnalato, perché pacificamente accolto dalla Suprema Corte e ribadito in numerose pronunce in tema di esegesi della nozione di ristrutturazione, il principio, elaborato anche dalla migliore dottrina urbanistica, in relazione agli interventi realizzati oltre la soglia del mero restauro o risanamento conservativo, della riconoscibilità dell’opera, disattendendo il quale si verserebbe nell’ipotesi d creazione di un nuovo ed autonomo organismo edilizio, quindi nell’ipotesi della totale difformità o meglio in quella dell’assenza di concessione.

Le argomentazioni proposte trovano il sicuro conforto di una copiosa giurisprudenza centrata sulla definizione in senso tecnico giuridico della nozione de qua e dei relativi limiti:

1) opere con le quali si pervenga alla trasformazione di un preesistente immobile attraverso la modifica, la eliminazione e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti (Cass. pen. 4/7/1984 Brusco e 20/4/1983 Chini);

2) intervento che comporta modifica dell’ordine con cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione (Cass. pen. 11/7/1984 Pellerito);

3) opere che implicano un mutamento della cosa, nella forma o nella sostanza, con aggiunta di elementi non preesistenti e la trasformazione di quelli preesistenti Cass. pen. 18/12/1984 Tinaro);

4) esecuzione di lavori per l’adeguamento delle opere esistenti alle mutate esigenze economico-sociali (Cass. pen. sez. III del 29/1/1991 Nicosia, Cass. pen. sez. III del 22/5/1989 Peluso). Nel medesimo senso Cass. pen. sez. III ord. del 13.9.1993 n.1758 : nell’ipotesi che lo stabile venga totalmente demolito, qualora esso venga ricostruito anche con le stesse forme di quello pregresso, l’opera deve essere considerata nuova costruzione che deve rispettare tutte le regole all’uopo stabilite dalla legislazione vigente. Le nozioni di manutenzione e ristrutturazione si riferiscono ad immobili che vengano mantenuti in essere nelle loro fondamentali strutture essendo concettualmente diversa la ricostruzione integrale. Conformi Cass. pen. sez III n.6647 di 8.5.1990, sez. III n. 7675 del 19.7.1991, sez .III n.1439 del 17.8.1993.

.2 - La stessa giurisprudenza amministrativa, notoriamente lassista sul punto, si è consolidata recentemente in un orientamento volto a privilegiare una ricostruzione rigorosa della nozione in esame che ricomprenda soltanto la modifica o la sostituzione di tutti o di alcuni degli elementi costitutivi che crei un organismo in tutto o in parte diverso , nel rispetto di forma, volume ed altezza (Cons. Stato 21/2/1994 n.112).Conformemente, in altre pronunce si segnala la necessità della conservazione del fabbricato nelle sue caratteristiche preesistenti, dimensionali architettoniche e stilistiche con la precisazione che l’intervento di ristrutturazione è legato necessariamente ad una modifica e ad una salvezza del manufatto quantomeno nelle sue caratteristiche fondamentali (Cons. Stato sez. V 1/12/1992 n. 1408 e 20/11/1990 n.786 Cons. Stato sez. 5 n.464 del 26.2 1992 e TAR Lombardia sez. II n. 666 del19.11.1992).

Valga ad esempio la pronuncia del Consiglio di Stato dell’1.12.1992 sez. V che appunto tradisce l’orientamento generale, evidentemente non monolitico come da certe parti si mostra di credere: " posto che la ristrutturazione edilizia mira alla conservazione del fabbricato nelle sue caratteristiche preesistenti, dimensionali, architettoniche e stilistiche, legittimamente il Sindaco ordina la sospensione dei lavori eseguiti in base a concessione di ristrutturazione ma concretamente diretti ad attuare la radicale trasformazione del fabbricato mediante la demolizione e la ricostruzione di tre murature perimetrali su quattro" (Cons. Stato sez. V 1.12.1992 n. 1408 in Foro It. 1993, III, 437).

Tutte le decisioni citate muovono da una fondamentale adesione al citato principio della riconoscibilità dell’opera nel raffronto tra il prima e il dopo l’intervento.

Pertanto la concessione di ristrutturazione pur riconoscendo al privato opportunità di intervento edilizio molto significative, trova un limite invalicabile nell’obiettivo finale dell’adeguamento dell’immobile e delle opere esistenti alle mutate esigenze economico-sociali, non potendo, pertanto, mai implicare la facoltà di demolire e ricostruire in toto un edificio nuovo che sostituisca quello preesistente, postulando la ristrutturazione sempre e comunque la conservazione dell’organismo edilizio e non rientrando la completa demolizione e ricostruzione nella definizione dell’art.31 lett. d) L.n.457/78 (tra le tante, Cass. pen. sez. III 1/1/1989, 11/7/1991, 26/2/1991, 19/4/1991, 10/8/1993).

Infatti nel caso di totale demolizione e successiva ricostruzione del manufatto, pur con le stesse forme, l’opera realizzata va considerata una nuova costruzione che deve rispettare tutte le regole stabilite dalla legge in relazione al diverso concetto di ricostruzione integrale - secondo un orientamento della Cassazione consolidato sul punto - ed in particolare non può prescindere dal rispetto degli strumenti urbanistici vigenti al momento del rilascio). La demolizione e la ricostruzione di un edificio non possono essere qualificate come intervento di ristrutturazione, dovendo quest’ultima, in quanto diretta al recupero del patrimonio edilizio preesistente, comprendere la conservazione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, laddove la demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio e' caratterizzata da elementi costruttivi e da un risultato finale che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata.

. 3 - A supporto dell’orientamento rigoroso della Cassazione sul punto va segnalata una pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza interpretativa di rigetto, in tema di presunta illegittimità dell’art.9 lett. d) L.n.10/77 ha sostenuto che "non rientra nel concetto di ristrutturazione la demolizione e la ricostruzione di un edificio sullo stesso o su un diverso suolo" (Corte Cost.n.296 26.6.1991).

Dunque nel caso di totale demolizione e successiva ricostruzione del manufatto, pur con le stesse forme, l’opera realizzata va considerata una nuova costruzione che deve rispettare tutte le regole stabilite dalla legge in relazione al diverso concetto di ricostruzione integrale, secondo un orientamento della S.C. consolidato sul punto.

. 4 - Ove poi si assumesse da parte dei responsabili la necessità di procedere all’integrale demolizione per l’avvenuto crollo di parti dell’edificio ovvero per ovviare alla statica precaria del medesimo, nulla muterebbe rispetto a quanto già detto, essendo necessario da parte dei responsabili munirsi di nuovo titolo abilitativo, cioè la concessione "ad aedificandum"; oltre alla giurisprudenza penale (Cass. sez. III n. 56 del 6.1.1983), a tale conclusione è pervenuta anche quella amministrativa la suo massima livello e grado: "quando vi è rovina integrale di un edificio per il quale è stata rilasciata una concessione di ristrutturazione, viene meno la possibilità di ristrutturare l’edificio e viene meno l’operatività della concessione, non importando se la rovina sia avvenuta o meno per volontà del titolare della concessione. Ogni opera edilizia realizzata sulla base di una tale concessione, "decaduta" per mancanza dell’oggetto, deve quindi ritenersi abusiva" (Cons. Stato, sez. V 3.7.96 n. 819 e Cons. Stato sez. V 26.3.96 n. 302).

Non può del pari essere argomento per negare l’evidenza quello della permanenza per una sporgenza dal terreno di pochi cm dei resti delle vecchie murature perimetrali, anche perché ciò non sposta l’esatta interpretazione del fatto, tanto che lo stesso Cons. Stato ha affermato che "la ricostruzione su ruderi equivale a nuova costruzione" (Cons. Stato, sez. V, 4.11.94 n. 1261).

. 5 - In siffatte circostanze, emerge con palmare evidenza che l’attività edilizia realizzata che abbia comportato la demolizione prodromica a ricostruzione dell’edificio e conseguente modificazione del realizzato rispetto al previsto, urbanisticamente rilevante ex art.8 L.n.47/1985; la fattispecie dovrà allora essere rubricata come violazione dell’art. 20 lett. b) l. n. 47 del 1985, ovvero intervento che equivale alla realizzazione di una costruzione senza concessione (e non con variazione essenziale rispetto al provvedimento concessorio) in quanto non può ritenersi che lo stabile realizzato abbia riferimento con quello di cui alla concessione rilasciata dal Comune (cfr.Cass.10/12/1993,Catani; Cass. sez. III, 7/4/1987 n.4225).

. 6 - Il complesso degli elementi evidenziati, porta a considerare fondata - in questi casi - la richiesta di adozione di una misura preventiva, idonea ad evitare che la libera disponibilità da parte degli indagati del complesso immobiliare de quo porti ad ulteriori conseguenze il reato di cui all’art.20 lett. b) l.n.47/85 a nulla rilevando in sede penale l’adozione da parte della p.a. competente di ordinanza di sospensione dei lavori (v. Cass. n.1340 del 20.3.1996).

. 7 - Residua in effetti un caso in cui la demolizione e la successiva ricostruzione di un manufatto potrebbe essere definita nell’ambito della ristrutturazione edilizia, ossia quello in cui venga impiegata la tecnica del c.d. "cuci e scuci", dal momento che in essa è ravvisabile una (se pur minima) natura conservativa delle opere già in essere. Purché gli strumenti urbanistici consentano nella zona interessata dai lavori l’edificazione "ex novo" di un’opera del tipo di quella finale, la condotta potrebbe non integrare estremi di reato.

. 8 - Quanto all’elemento soggettivo del reato, l'errore inevitabile su legge penale, fondato sul contrasto giurisprudenziale esistente sull'argomento tra il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione, può difficilmente essere invocato fondatamente dai responsabili dell’attività edilizia. Soccorre sul tema specifico, la lucida motivazione della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 10.6.94, n. 08154 la quale enuncia che "per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complesso pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto" nonché in termini assolutamente aderenti alla fattispecie de qua (demolizione e ricostruzione) la Cass. pen. sez. III, 9.6.94, in Giust. Pen. 1994 II, 552.

A parte l’eventualità che la condotta sia stata in qualche modo deviata dal comportamento degli organi e degli uffici preposti al governo dell’attività edilizia, dove in effetti pare probabile la sussistenza di un’autentica "ignoranza inevitabile", al limite, la situazione psicologica degli imputati, proprio perché potrebbe scaturire da decisioni rese in due diverse sfere giurisdizionali (tra cui peraltro alcune della giurisprudenza amministrativa conformi alla "tradizionale" lettura dei giudici penali), dove sono in giuoco interessi completamente differenti, può originare solamente un’ipotesi di dubbio (situazione assolutamente diversa sotto il profilo psicologico dall’errore, la quale impone al soggetto l’astensione dalla condotta); inoltre per gli indagati, in funzione del frequente svolgimento professionale di attività nel campo dell’edilizia occorre adempiere un qualificato e differenziato obbligo di diligenza ai fini della conoscenza della legge penale (Cass. pen. sez. III, 9 giugno 1994 in Giust. pen. 1994, II, 552 - s.m. nonché Corte Cost. n. 346 del 1988 e Cass. pen. sez. III 23.5.94 n. 5872 sul dubbio).

L’eventuale anche soggettiva invincibilità del dubbio deve portare ad astenersi dall’azione e "il dubbio oggettivamente irrisolvibile, che esclude la rimproverabilità sia dell’azione che dell’astensione è soltanto quello in cui, agendo o non agendo, s’incorre egualmente nella sanzione è penale" (così il testo letterale della esemplare motivazione della sent. Corte Cost. n. 364 del 1988).