Acquisizione al patrimonio comunale dei fabbricati abusivi secondo l’art. 31 del T.U. edilizia n. 380 /2001

di Antonio VERDEROSA

Il testo unico in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) - nel recepire la legislazione precedente – ha prescritto l'acquisizione al patrimonio comunale di ogni costruzione realizzata senza permesso, ove sia inutilmente trascorso il termine di 90 giorni dalla notifica al trasgressore dell'ingiunzione comunale a demolire la costruzione medesima o a ripristinare lo stato dei luoghi. Decorso tale termine si procede con l’accertamento dell’inottemperanza, consacrato in un verbale redatto dai funzionari comunali, che va notificato all’interessato. Con la redazione e la notifica del verbale di accertamento dell’inottemperanza si verifica direttamente e automaticamente la perdita di proprietà del manufatto abusivo da parte del proprietario dell’immobile e l’acquisizione di diritto al patrimonio del Comune, in quanto il verbale di accertamento dell’inottemperanza, ai sensi dell’art. 31, comma 4 del D.P.R. 380/2001, costituisce titolo per l’immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari.

È opinione generalmente affermata, che le costruzioni abusive, oggetto del provvedimento di acquisizione, ai sensi dell'art. 31, commi 3 e 4, del testo unico dell'edilizia n. 380/2001, rientrano nel patrimonio disponibile del Comune (v. per la giurisprudenza penale, fra le tante, Cass., Sez. III pen., 23 gennaio 2007 n. 1904; id., 11 maggio 2005 n. 37120; ecc.; in dottrina, v. D'Angelo Nicola, Abusi e reati edilizi, III ed., Maggioli ed., 2011, pag. 622; Fiale, Diritto urbanistico, XIII ed., Simone, pag. 925; Monaco, Urbanistica, Ambiente e territorio, ed. Simone, 2003, pag. 1119; ecc.).

L’acquisizione è atto che sanziona l’inottemperanza alla demolizione, mentre la scelta di mantenere l’immobile abusivo per l’esistenza di prevalenti interessi pubblici è atto successivo rientrante nella competenza del Consiglio comunale (art. 7, comma 5, L. n. 47-1985).

L’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva, infatti, si configura quale atto dovuto, privo di discrezionalità, subordinato al solo accertamento dell’inottemperanza di ingiunzione di demolizione ed al decorso del termine di legge (che ne costituiscono i presupposti), così che la censura di carenza di motivazione in ordine alla valutazione dell’interesse pubblico è destituita di qualsiasi fondamento giuridico, non essendovi alcuna valutazione discrezionale da compiere (e di conseguenza da giustificare) (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 1° ottobre 2001, n. 5179, e 27 aprile 2012, n. 2450).

Una volta avvenuta la detta acquisizione (previa notifica del verbale di inottemperanza ai proprietari) del fabbricato abusivo al patrimonio del Comune (se sussistenti prevalenti interessi pubblici) viene meno anche l'attuazione della condanna del trasgressore alla demolizione dell'opera disposta dal giudice penale e si aprono, per l'Ente comunale, due possibilità: o l'esecuzione della demolizione con ordinanza del dirigente del competente Ufficio comunale oppure la conservazione del fabbricato nel patrimonio del Comune.

Ma, già con riferimento alla legge 10/1977, il Consiglio di Stato (sez. V, 21 dicembre 1992 n. 1537) dichiarò l'illegittimità della demolizione dell'opera abusiva, ove non sia stata previamente verificata l'incompatibilità dell'opera con rilevanti interessi urbanistici o ambientali e la sua utilizzabilità o meno per fini pubblici.

Peraltro, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato, che nel caso di ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna passata in giudicato, l'esecuzione dell'ordine è impedita non dalla semplice acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, bensì dalla delibera del Consiglio comunale che abbia stabilito l'esistenza di un prevalente interesse pubblico alla conservazione dell'opera (Cass., Sez. III pen., 23 gennaio 2007 n. 1904; id., 11 maggio 2005, n. 37120; id., 9 giugno 2005 n. 26149; ecc.; nonché, da ult., id., ordin. 23 settembre 2011 n. 34614).

Pertanto - anche in base al richiamato testo unico dell'edilizia (art. 31, c. 5) - il Consiglio comunale deve necessariamente eseguire la suindicata verifica (puntuale, rigorosa, motivata e specifica) e, quindi, potrebbe anche escludere la demolizione, dichiarando l'esistenza di validi e prevalenti interessi pubblici alla conservazione dell'opera.

A tal fine il Consiglio comunale non può pronunciarsi in via generale, con riferimento ad un complesso di opere abusive, bensì deve valutare, caso per caso, se sussistono le condizioni prescritte per evitare la demolizione (anche sulla base di specifiche relazioni tecniche fornite dagli Uffici circa le caratteristiche e le condizioni della singola opera abusiva in relazione ai vincoli sismici, urbanistici, ambientali etc.) .

Pertanto, con riferimento alla singola costruzione abusiva il Consiglio comunale deve verificare l'esistenza o meno di un contrasto della medesima con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, tenendo conto dell'attuale assetto del territorio e della destinazione dell'area interessata. Ad esempio, potrebbe essere considerato rilevante l'interesse urbanistico alla demolizione di un'opera abusivamente costruita su un'area destinata alla costruzione di una strada o, in genere, di un'opera pubblica, mentre all'opposta conclusione si potrebbe pervenire nel caso di costruzioni realizzate in zone già parzialmente edificate (come le zone B o C della classificazione operata dall’ art. 2 1 del D.M. 1444/1968) o, comunque, non di particolare pregio. A questa seconda conclusione si potrebbe pervenire, qualora il Consiglio comunale abbia verificato l'inesistenza anche di un contrasto dell'opera abusiva conrilevanti interessi ambientali (aree di particolare interesse paesistico; pregiudizio per altri immobili d'interesse storico, artistico o archeologico; pericoli per la circolazione o di danni per eventuali acque pubbliche, ecc.) .

Conseguentemente - ove abbia verificato l'inesistenza dei detti contrasti dell'opera abusiva con rilevanti interessi urbanistici o ambientali - il Consiglio comunale deve dichiarare specificatamente l'esistenza o meno di un prevalente interesse pubblico alla conservazione e non alla demolizione dell'opera abusiva.

Naturalmente siffatte valutazioni possono essere diverse in casi differenti ed anche in relazione alle caratteristiche ed alle disposizioni urbanistiche vigenti nei singoli Comuni.

L'art. 31, comma 9 D.P.R. 380/01 stabilisce, con riferimento agli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44, ordini la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita. La norma completa la disciplina delle sanzioni amministrative con una disposizione in base alla quale, sempre con riferimento agli interventi abusivi, prevede l’attività di supplenza del giudice penale che, con la sentenza di condanna per i reati di cui al menzionato art. 44 ordina la demolizione delle opere abusivamente realizzate, se non sia stata ancora tempestivamente eseguita in sede amministrativa.

Analoga previsione è contenuta nel comma 9-bis, successivamente introdotto, per le opere soggette alla denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire di cui tratta l'art. 22, comma 3.

La disposizione ricalca esattamente quella già contenuta nell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che nel citato art. 31 è stata infatti trasfusa, mantenendo con esso un rapporto di continuità normativa come già osservato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. lII n. 32211, 31 luglio 2003).

Il legislatore ha dunque ritenuto preminente l'esigenzadi un ripristino dell'originario assetto del territorio mediante la demolizione degli interventi abusivi, evitabile soltanto come detto quando, con deliberazione consiliare, non sia dichiarata l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.

Va conseguentemente affermato che la situazione particolare che viene a determinarsi in conseguenza della deliberazione comunale, sottraendo l'opera abusiva al suo normale destino, che è la demolizione, presuppone che la valutazione effettuata dall'amministrazione comunale sia estremamente rigorosa e, oltre a rispettare le condizioni indicate dalla giurisprudenza appena richiamata, deve essere puntualmente riferita al singolo manufatto, il quale va precisamente individuato, dando atto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta, dovendosi escludere che possano assumere rilievo determinazioni di carattere generale riguardanti, ad esempio, più edifici o fondate su valutazioni di carattere generale.

Dal sistema dinanzi delineato si evince la sussistenza di un criterio generale di preminenza dell'interesse al ripristino dell'assetto territoriale violato, derogabile soltanto in presenza di fondate ragioni, con riferimento alle quali la deliberazione consiliare di mantenimento dell'opera abusiva deve essere motivata. Mentre, infatti, l'art. 15 della legge n. 10/1977 prevedeva il ricorso alla demolizione solo qualora l'opera non fosse idonea ad essere utilizzata per fini pubblici, già con l'art. 7 della legge n. 47/1985 è stato previsto che sia disposta sempre la demolizione "… salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici …" .

La analisi e la specificazione dei prevalenti interessi pubblici manca in molte delibere consiliari adottate senza effettuare alcuna verifica prodromica indispensabile della reale destinazione di zona.

Si tratta, infatti, di iniziative assunta in dispregio dell'art. 31, commi 4 e 5, D.P.R. 380/01 non essendo stata specificata la reale destinazione della zona oggetto della acquisizione postuma al patrimonio comunale per evitarne la demolizione e quindi la compatibilità del nuovo utilizzo del manufatto secondo l’art. 1 comma 65 della L.R. Campania n° 5/2013.

Indubbiamente, esclusa la demolizione, l'opera abusiva facendo parte del patrimonio disponibile del Comune se trascritto il verbale di inottemperanza alla demolizione, può essere utilizzata alla stregua di tutti gli altri beni disponibili (cfr., ad es., D'Angelo Nicola, op. cit., pag. 644 sg.) sempre che la sua utilizzazione sia compatibile con le destinazioni di zona dello strumento urbanistico. Ad esempio un opera abusiva realizzata in fascia di rispetto idraulica, ferroviaria o stradale non è utilizzabile a seguito della acquisizione così come un’area ricadente in zona agricola dove ad avviso di scrivente è precluso l’utilizzo per finalità sociali.

Qualora il Consiglio comunale abbia valutato l'inesistenza di un contrasto della costruzione abusiva con rilevanti interessi urbanistici o ambientali, si pone il problema dell'individuazione degli interessi pubblici, che possono determinare il Consiglio comunale a disporre la conservazione della detta costruzione, impedendone la demolizione da parte dell'ufficio comunale. Frequentemente il detto interesse pubblico è ravvisabile nella necessità di soddisfare il fabbisogno abitativo e, talvolta, di non privare una famiglia dell'unica casa disponibile. Del resto, per siffatta esigenza l'art. 1, comma 65, della recente legge della Regione Campania 6 maggio 2013 n. 5 dispone che <<gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica o di edilizia residenziale sociale>> .

Tuttavia, tale possibilità deve intendersi esclusa nelle parti del territorio sottoposte alla conservazione che limita l’incremento del carico urbanistico come la zona agricola ove è vietato (perché non urbanizzate e quindi non atte a soddisfare l’aumento di carico urbanistico) qualsiasi provvedimento che autorizzi insediamenti a scopo residenziale, sia nel caso di nuove costruzioni, sia per ogni mutamento di destinazione d'uso. Anzi, la norma dello strumento urbanistico vigente tende a limitare al minimo la densità degli insediamenti residenziali nelle zone agricole se non in determinate caratteristiche connesse alla qualifica del proprietario del fondo.

E' evidente, quindi, che per la norma di cui alla legge della Regione Campania 5/2013, i Consigli Comunali non possono ragionevolmente ritenere prevalente l'interesse pubblico per consentire un incremento nel proprio territorio delle costruzioni ad uso residenziale nelle zone agricole seppur destinate all’housing sociale (sono tali gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22 ottobre 1971, n. 865) .

Secondo i commi 5 e 6 dell'art. 31 T.U. edilizia, la decisione del Consiglio comunale di evitare la demolizione dell'opera abusiva acquisita è subordinata all'esclusione nel singolo caso di un contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali e sul rilievo che l'opera medesima non è stata eseguita su un'area sottoposta a vincolo di inedificabilità. Fra i vincoli d'inedificabilità assoluta sono considerati, ad es., il vincolo idraulico (art. 97 r.d. 503/1904), ferroviario(D. P.R. 12 luglio 1980 n. 753), elettrico (legge 830/1973), aereo (codice della navigazione), ecc.

Si tratta (se deliberate dai Consigli Comunali) , di iniziative assunta in dispregio dell'art. 31, commi 4 e 5, D.P.R. 380/01 non essendo stata specificata la reale destinazione della zona oggetto della acquisizione postuma al patrimonio comunale per evitarne la demolizione e quindi la compatibilità del nuovo utilizzo del manufatto secondo l’art. 1 comma 65 della L.R. 5/2013 con la destinazione di zona agricola.

In tale zona è vietata ogni costruzione ad eccezione di quelle necessarie per la conduzione del fondo agricolo nel rispetto di quanto previsto dalla L.R. 14/1982. Dal disposto normativo emerge, chiaramente che nell’area agricola non è possibile insediare manufatti residenziali o per finalità sociali di cui al comma 65 dell’art. 12 della L.R. 5/2013 come novellato in Delibera.

Ad avviso di chi scrive, tra i vincoli che limitano drasticamente l’edificabilità può essere compresa la disposizione del vigente Piano Regolatore Generale che vieta l'incremento dei volumi residenziali nella zona agricola.

A tal proposito gli strumenti urbanistici generali introducono la nota suddivisione del territorio agricolo in sottozone (E1, E2, E3), per ciascuna delle quali individua rigorosamente gli interventi considerati compatibili con le caratteristiche delle stesse. Accanto alla definizione di zona agricola che si ricava dalle citate norme, la giurisprudenza amministrativa è arrivata a metterne a fuoco un’altra, ricavata a partire dalla funzione svolta da tale istituto nell’ambito del processo di pianificazione.

Rispetto al legislatore, per il quale la zona agricola viene in rilievo, attraverso la zonizzazione, in ragione dell’uso produttivo che del territorio agricolo viene fatto, il supremo consesso amministrativo evidenzia la valenza ambientale che tale porzione del territorio comunale può assumere nell’attività di pianificazione tesa al contenimento dell’espansione. Una valenza, cioè, di decongestionamento e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano, orientando gli insediamenti urbani e produttivi in una determinata direzione, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell’assetto territoriale.

Sul punto è opportuno richiamare gli orientamenti della Suprema Corte conSent. Sez. III n. 9369 del 9 marzo 2012 (Cc. 23 feb. 2012) ha ritenuto che tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in zona agricola restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che è riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza che una struttura eminentemente residenziale o turistico-alberghiera (o altro) non potrebbe in ogni caso realizzarsi in Zona “E” (fattispecie relativa a «punti di ristoro» nella regione Sardegna).

Infatti per definizione la zona agricola è quella parte del territorio adibita all’agricoltura, alla pastorizia, alla zootecnia, all’itticoltura, alle attività di conservazione e di trasformazione dei prodotti aziendali, all’agriturismo e alla silvicoltura risulta, chiaramente, del tutto incompatibile con la possibilità di consentire la realizzazione in tali aree di strutture residenziali, sociali o turistico-ricettive che snaturano la destinazione del suolo. Nei territori destinati all’agricoltura può essere ammessa l’esclusiva realizzazione di attività ed interventi che sono funzionali ad un’attività tipicamente agricola o ad altre attività strettamente connesse alla stessa. Di conseguenza, è possibile la costruzione solo di semplici infrastrutture di supporto all’attività agricola o, comunque, compatibili con le attività di turismo rurale caratterizzate dall’offerta di servizi essenziali ad un’occasionale clientela. Si deduce che la disciplina urbanistica delle terre agricole è tipicamente ed incisivamente vincolistica, in quanto ne vengono limitate in modo rilevante (e talvolta anche drastico) le possibilità edificatorie sotto il profilo sia quantitativo sia funzionale. Infatti, in via di principio le zone agricole sono escluse dal novero delle aree suscettibili di trasformazione urbanistica, e destinate esclusivamente agli usi agricoli definiti dall’art. 2135 c.c., con divieto, quindi, delle utilizzazioni economiche non coincidenti con lo sfruttamento agrario (realizzazione di abitazioni civili, di parcheggi per autovetture, di impianti industriali o commerciali, e così via).

Dunque, nelle aree zonizzate come agricole dal P.R.G., l’unica possibilità di edificazione riguarda la realizzazione di fabbricati a servizio della coltivazione del fondo (e dunque, ad esempio, mulini, granai, stalle, depositi, magazzini, serre, e simili strutture), oltreché la costruzione della residenza del coltivatore. Il legislatore nazionale e regionale, quindi, vuole che in zona agricola non siano realizzati insediamenti residenziali contrastanti con la vocazione del territorio, e quindi prevede che, in tale zona, le case di abitazione possano essere costruite solo a condizione che siano funzionali alle esigenze abitative dell'imprenditore agricolo e della sua famiglia, che esse, cioè, debbano essere destinate ad essere occupate dall'imprenditore agricolo che operi in loco presso la sua azienda agricola.

Le finalità di tutela degli interessi dell’area a vocazione agricola diventano, quindi, uno degli interessi che può trovare tutela mediante il sistema della zonizzazione con destinazione agricola, ben potendo essere salvaguardate esigenze connesse con la disciplina urbanistica del territorio, quali la necessità di impedire in determinate zone un’ulteriore edificazione, per evitare eccessivi addensamenti edilizi e mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi, anche ai fini di tutela ambientale. Approfondimenti che nella Delibera Consiliare devono essere necessariamente compiuti. Naturalmente, la determinazione del Consiglio comunale dovrà essere più specificamente motivata nell'esclusione di un contrasto della singola costruzione abusiva con rilevanti interessi ambientali considerata la marginalità del sito rispetto al territorio antropizzato.

Antonio Verderosa

1 art. 2. Zone territoriali omogenee

Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell' art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 :

A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B);
D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;
E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);
F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.

2 LEGGE REGIONALE N. 5 DEL 6 MAGGIO 2013 “DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE 2013 E PLURIENNALE 2013 – 2015 DELLA REGIONE CAMPANIA (LEGGE FINANZIARIA REGIONALE 2013)” BURC n° 24 del 07.05.2013

Art. 1

….65. Per favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 7 della legge regionale 28 dicembre 2009, n. 19 ( Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa), gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’ edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata) , nonché dei programmi di valorizzazione immobiliare anche con l’ assegnazione in locazione degli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, o a programmi di dismissione immobiliare. In tal caso il prezzo di vendita di detti immobili, stimato in euro per metro quadrato, non può essere inferiore al doppio del prezzo fissato per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. I comuni stabiliscono, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e nel rispetto delle norme vigenti in materia di housing sociale di edilizia pubblica riguardanti i criteri di assegnazione degli alloggi, i criteri di assegnazione degli immobili in questione, riconoscendo precedenza a coloro che, al tempo dell’ acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non dispongono di altra idonea soluzione abitativa, nonché procedure di un piano di dismissione degli stessi……