La fattoria di Orwell in salsa fiorentina
di Massimo GRISANTI
La sentenza n. 6873 del 14/2/2017 della III^ Sez. della Cassazione penale sarebbe passata sotto traccia se non avesse riguardato Palazzo Tornabuoni ovverosia il salotto fiorentino alias governativo.
I fiorentini tutti – amministratori, tecnici, operatori edili, avvocati ecc. – sembra che solo ora abbiano capito che il Granducato di Toscana non esiste più, essendo stati chiamati a rispettare le leggi dello Stato italiano.
La Cassazione non ha fatto altro che riaffermare principi di diritto urbanistico già contenuti in numerose sentenze di legittimità penale e del Giudice amministrativo: il mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante è sempre, quantomeno, intervento di ristrutturazione edilizia (cfr. ex plurimis: Cass. penale, n. 1156/2008; n. 31135/2008; n. 43807/2008; n. 2877/2009; n. 42913/2009; n. 34769/2011; n. 31465/2014; ; n. 30863/2015; n. 39374/2015 – Cons. Stato, n. 4258/2012; n. 2295/2017) ed in Zona A ex DM 1444/1968 occorre il permesso di costruire anche per quello compatibile con l’organismo edilizio (come nel caso del restauro e risanamento conservativo – cfr. Cass. penale, n. 35640/2007; n. 42915/2009).
Una volta pizzicati dal Giudice, ecco che subito fioriscono articoli di stampa (Il Sole 24 ore, Repubblica Firenze, Corriere Fiorentino ecc.) e proposte di legge al fine di far rientrare i mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti nella categoria d’intervento del restauro.
Ancora una volta non viene compreso che ai sensi dell’art. 4 della legge 1150/1942 le norme sull’attività edilizia sono funzionali per l’attuazione della disciplina urbanistica contenuta – o da obbligatoriamente contenersi (v. DM 1444/1968) – nei piani regolatori, in guisa che a specifici insediamenti (residenziali, commerciali, artigianali-industriali, direzionali) corrisponda una quantità minima prefissata di spazi pubblici, tra loro diversi e non fungibili, da destinare ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria (le quali, ovviamente, devono essere realizzate).
Pertanto, anche ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. e) DPR 380/2001, non si ha nuova costruzione solamente quando viene realizzato, per la prima volta, un edificio, ma anche quando le modifiche apportate a quello esistente siano tali da farlo transitare tra categorie urbanistiche ex DM 1444/1968.
In sostanza, si ha nuova costruzione allorquando viene variato almeno uno dei termini dell’endiadi “destinazione d’uso dell’edificio – standard urbanistici ex artt. 3 e 5 DM 1444/1968”.
Del resto, il mutamento di destinazione d’uso di un edificio direzionale in residenziale in niente differisce dalla costruzione ex novo di un edificio residenziale riguardo all’entità e qualità di servizi che il Comune è costretto ad assicurare (sempreché voglia, o gli sia imposto di, rispettare la legge dello Stato chiamata art. 41-quinquies L. 1150/1942 e DM 1444/1968).
E siccome la destinazione d’uso è un elemento essenziale e qualificante una costruzione, ecco che anche ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. e) TUE sono interventi di nuova costruzione «… quelli di trasformazione edilizia E URBANISTICA del territorio NON RIENTRANTI nelle categorie definite alle lettere precedenti».
Concludendo, il mutamento di destinazione d’uso di una costruzione è sempre NUOVA COSTRUZIONE qualora avviene tra categorie diverse ex DM 1444/1968 e gli standards urbanistici non sono reperiti e realizzati nel concreto.
E la dimostrazione che gli standard esistano non solo nella carta, ma anche in realtà deve essere fornita tanto dall’interessato all’intervento, quanto dai tecnici comunali. Diversamente si chiama abuso d’ufficio.
Saremo chiamati a leggere sulla Gazzetta Ufficiale la Fattoria degli Animali in salsa fiorentina?