L’apposita preventiva autorizzazione statica

di Massimo GRISANTI

Ogni autorizzazione amministrativa presidia un preciso e distinto interesse pubblico.
In ordine alla licenza edilizia e all’obbligo di munirsene prima della Legge Urbanistica 1150/1942 e della Legge 765/1967 “Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150”, noto che nella giurisprudenza amministrativa continua a consumarsi un «fallo di confusione».
Il «fallo di confusione» ha la sua scaturigine nella dimenticanza dell’insegnamento reso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50/1958: “… L’urbanistica è quel complesso di norme che regola “l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere” (legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 1), e che, snodandosi attraverso i piani territoriali di coordinamento (art. 5 e segg.), i piani regolatori generali (art. 7 e segg.), i piani regolatori particolareggiati (art. 13 e segg.) giunge, come a punto terminale, a disciplinare l’attività edilizia vera e propria (art. 31 e segg.), dettando anche le direttive alle quali si deve ispirare, nel campo della edilizia, la potestà regolamentare dei comuni (art. 33). Sicché l’edilizia, nel suo significato tradizionale di disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici, al fine di tutelare l'incolumità, l’igiene e la sanità pubblica, la viabilità e il decoro cittadino (cfr. soprattutto R. D. 22 novembre 1937, n. 2105, convertito con modifiche in legge 25 aprile 1938, n. 710, e modificato dalla legge 25 agosto 1940, n. 1393), s’inserisce in massima parte nella materia dell’urbanistica e con questa, comunque, è strettamente legata …”.
Tradotto in parole semplici, la licenza edilizia prescritta dall’art. 31 L. 1150/1942 non attiene alla disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici, avendo esclusivamente una funzione di controllo a valle del rispetto dell’incremento edilizio degli abitati, con tutto quanto ne consegue in termini di vivibilità. E non è un caso che il legislatore ebbe a diversificarla, nominandola «apposita licenza», rispetto alla «apposita autorizzazione» prescritta dal r.d.l. 2105/1937 e prima ancora dal r.d.l. 640/1935. L’aggettivo «apposito» è funzionale a restringere l’ambito applicativo del provvedimento amministrativo alla ratio legis.
Seppur sia invalso un modo di legiferare caotico, sgrammaticato e spesso non comprensibile, l’interprete deve comunque prestare la necessaria attenzione nell’esame dei testi normativi nella consapevolezza che i testi passati erano caratterizzati da una quasi maniacale attenzione del legislatore nella loro redazione.
L’interesse alla tutela della pubblica incolumità del neo Regno d’Italia nacque gioco forza all’indomani del terremoto del 28 luglio 1883 che colpì l’Isola d’Ischia, quando venne emanato il r.d. 29 agosto 1884, n. 2600 col quale furono coniate le norme tecnico-costruttive che valessero per i comuni danneggiati.
Successivamente, a seguito del terremoto del 28 dicembre 1908 che colpì Messina e Reggio Calabria, vennero emanate le specifiche norme tecniche del r.d. 18 aprile 1909, n. 193 per le riparazioni, ricostruzioni e costruzione di nuovi edifici pubblici e privati.
Via via, le norme tecniche furono aggiornate, ma sempre per dettare prescrizioni per i territorio colpiti dai terremoti, ossia da spinte dinamiche, come se la tutela della pubblica incolumità non dovesse riguardare i profili statici delle costruzioni.
È solo con il regio decreto-legge 25 marzo 1935, n. 640 che lo Stato prese in considerazione i profili statici e con le disposizioni dell’art. 3 dettò le «norme tecniche di buona costruzione» applicabili in tutti i Comuni del Regno, le quali dovevano essere recepite dai Comuni nella formazione dei propri regolamenti edilizi. Ciò non di meno, con le disposizioni dell’art. 4 “Sanzioni” fu istituita la «apposita autorizzazione» –quindi ai fini della tutela della sicurezza delle costruzioni e della pubblica incolumità; estraneo ogni fine urbanistico– che “Coloro che intendano fare nuove costruzioni, ovvero modificare od ampliare quelle esistenti, debbono chiedere al Podestà”, pena la prescritta demolizione.
Pertanto, da subito, senza poter attendere che i Comuni recepissero le norme tecniche di buona costruzione, SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE era prescritto di munirsi della «apposita autorizzazione» che doveva essere rilasciata dal Podestà (oggi Sindaco) sulla scorta di un progetto strutturale da allegare alla domanda e da redigersi almeno secondo le consigliate norme tecniche di cui all’art. 3. Un’autorizzazione chiaramente preventiva rispetto all’inizio dei lavori perché si pone tra l’intento del soggetto agente e la materiale esecuzione dei lavori, tanto che è categoricamente prevista la demolizione da ordinarsi con definitiva ordinanza del Podestà (a differenza dei casi in cui l’opera autorizzata fosse stata eseguita in difformità dalle norme tecniche; in quel caso ad essere definitivo era il provvedimento del Prefetto).
Ma il legislatore prese vieppiù coscienza della necessità di un controllo assiduo con le disposizioni dell’art. 5 del regio decreto-legge 2105/1937, richiamato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50/1958, con le quali stabilì direttamente per legge l’obbligatorietà dell’osservanza delle «norme tecniche di buona costruzione», così ponendo rimedio all’inattività dei Comuni per il recepimento di tali norme nei loro regolamenti edilizi. Rimase fermo, all’art. 6 “Sanzioni”, l’obbligo di chiedere al Podestà la «apposita autorizzazione» e di astenersi dall’intraprendere i lavori fino a quando non l’avessero ottenuta.
L’obbligo di munirsi della «apposita autorizzazione» sindacale per la valutazione dell’idoneità dell’edificio a costruirsi a sopportare i carichi statici, previa indagine geologica del sottosuolo, è rimasto presente nell’ordinamento fino all’entrata in vigore del Testo unico dell’edilizia. Infatti:
    • non è revocabile in dubbio –giusto, lo ribadisco, l’insegnamento reso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50/1958– che la «apposita licenza» prescritta dall’art. 31 della Legge Urbanistica non attiene ai profili della sicurezza statica delle costruzioni. Né può dubitarsi dell’impossibilità di un effetto abrogativo implicito, atteso che con le disposizioni dell’art. 45 L. 1150/142 il legislatore stabilì che “Sono abrogate tutte le altre disposizioni contrarie a quelle contenute nella presente legge o con essa incompatibili” e certo non sussiste contrarietà o incompatibilità tra le speciali disposizioni dell’art. 6 r.d.l. 2105/1937 e quelle dell’art. 31 LUN;
    • le leggi 1684/1962 e 64/1974 hanno modificato le sole norme tecniche costruttive, ma non recano disposizioni modificative delle speciali disposizioni ex art. 4 r.d.l. 640/1935, nonché ex art. 6 r.d.l. 2105/1937, istituenti la «apposita (preventiva) autorizzazione» statica;
    • bisogna arrivare all’emanazione del Testo unico dell’edilizia con il d.P.R. 380/2001 affinché l’apposita autorizzazione sindacale potesse dirsi implicitamente abrogata per essere sussunta nel permesso di costruire quale unica sede delle valutazioni spettanti al Comune. Giusto quanto osservato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, nella sentenza n. 3505/2011, gli artt. 2 e 4 TUE riaffermano espressamente le competenze comunali in materia di sicurezza delle costruzioni per quanto non continui ad essere demandato al Genio civile: “… Occorre invece sottolineare che le attribuzioni del Comune in tema di autorizzazione degli interventi edilizi comprendono espressamente gli obblighi di valutare i profili di sicurezza delle costruzioni, come si evince dalla lettura degli art. 2 comma 4 e 4 del testo unico sull’edilizia. Tali obblighi istruttori, appartenendo alle attribuzioni istituzionali dell’ente pubblico, non sono condizionati dalle valutazioni delle parti coinvolte, ma devono essere esperiti in ogni caso e, si noti, anche qualora vi fosse stato accordo delle parti private coinvolte. Infatti, gli interessi tutelati dalla normativa, coinvolgendo profili di sicurezza privata e pubblica, non sono disponibili dalle parti ed ineriscono ai compiti tipici dell’amministrazione. È quindi compito proprio del Comune, e come tale non soggetto ad alcun impulso di parte, procedere autonomamente alla valutazione del progetto edilizio presentato dal punto di vista del rispetto dei regolamenti edilizi, non vertendosi in questo caso in nessuna situazione soggetta a disponibilità della parte privata …”.
È da ipocriti non riconoscere che sono eccezionali i casi in cui il privato, all’indomani dell’entrata in vigore del r.d.l. 640/1935, abbia richiesto la «apposita autorizzazione» statica al Sindaco prima di costruire (in qualsiasi parte del territorio comunale). Cosicché tutte le costruzioni realizzate in assenza di essa sono abusive e irrimediabilmente (per esperienza) insanabili a cagione dell’impossibilità della conformità alle attuali norme tecniche costruttive.
Egualmente, è ipocrito il comportamento di coloro i quali, detenendo il potere legislativo, continuano a tenere i cittadini in uno stato inconsapevole di accettazione dei rischi connessi alla sconosciuta sicurezza delle costruzioni.
I bonus edilizi dovevano servire a rendere gli edifici sicuri, non a rifare pavimenti, rivestimenti e infissi; chissà quanti, tra i fabbricati oggetto del superbonus e del bonus ristrutturazioni, sono muniti della «apposita (preventiva) autorizzazione» statica.
È indifferibile un nuovo condono edilizio condizionato alla messa in sicurezza e in igiene delle costruzioni.