Note minime sulla nuova disciplina del mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente “irrilevante” contenuta nel d.l. 12.09.2014, n. 133 (“sblocca Italia”). -

di Tommaso MILLEFIORI

 

Com’è noto, con l’art. 17, comma 1, lett. n), del D.L. 12 settembre 2014 n. 133 - “sblocca Italia” – è stato modificato il D.P.R. n. 380/2001 con l’inserimento, dopo l’art. 23-bis, dell’art. 23-ter (rubricato “Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”) del seguente tenore letterale: <<1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale e turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

3. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito>>.

La suddetta norma dispone, quindi, in primo luogo, il riaccorpamento delle cc.dd. “categorie funzionali” (con implicito riferimento a quelle previste e disciplinate dal D.M. n. 1444/68), qualificando espressamente come “urbanisticamente rilevante” solo il mutamento di destinazione d’uso degli edifici o delle singole unità immobiliari “etero-categoriale” e liberalizzando invece quello “infra-categoriale”.

In vero, il suddetto D.M. (emanato in attuazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150) contempla all’art. 2 sei “zone territoriali omogenee” con corrispondenti funzionalizzazioni; in particolare, tre destinate ad “insediamenti residenziali” (zone A-B-C)1, una destinata agli “insediamenti produttivi” (zona D), una destinata ad “usi agricoli” (zona E) ed una destinata ad “attrezzature ed impianti di interesse generale” (zona F).

I successivi articoli 3-5 disciplinano rispettivamente (con valore di “principi fondamentali”)2:

- i “rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o parcheggi”;

- i “rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o parcheggi”.

Trattasi dei cc.dd. standards urbanistici (o dotazione minima di spazi) inderogabili che presiedono alla zonizzazione del territorio comunale in sede di pianificazione generale; a loro volta differentemente disciplinati per gli insediamenti residenziali dagli artt. 3-4 del D.M. cit. e per gli insediamenti produttivi dal successivo art. 5.

Quest’ultima norma prevede poi ancora che:

<<1) nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell’intera superficie destinata a tali insediamenti”;

2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all’art. 18 della legge n. 765/1967); tale quantità, per le zone A) e B) è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative>>.

Il D.M. n. 1444/1968 non contiene poi un’espressa contemplazione della specifica destinazione “turistico-ricettiva” (alberghiera), la quale, peraltro, dopo alcune iniziali incertezze, è stata da tempo interpretativamente ricondotta, ai fini che ne occupano, nella categoria “commerciale-direzionale” quale attività volta anche allo scambio di servizi (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14/10/1992, n. 1005; Cons. Stato, Sez. IV, 04/08/2000, n. 4302; id., n. 4661/2008; id., 03/04/2014, n. 1592; TAR Campania Salerno, Sez. II, 04/02/2014, n. 320; TAR Puglia Bari, Sez. II, n. 109/2003).

In un siffatto sistema è stato quindi (costantemente e pacificamente) considerato “mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante” solo quello intercorrente tra le suddette categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico ed invece urbanisticamente irrilevante quello interno alla stessa categoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 06/08/2014, n. 4196; id. 26/03/2013, n. 1712) stanti - in tale ultimo caso - le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13/02/1993, n. 245; id., n. 180/1995; id., n. 1650/2010; id., n. 6411/2001; Cass. pen., Sez. III, ud. 03/07/2014 - dep. 17/07/2014, n. 31465).

Tanto premesso, il nuovo art. 23-ter del T.U. Edilizia (come già detto, senza richiamare) modifica il suddetto quadro normativo di riferimento introducendo un riaccorpamento delle macrocategorie funzionali in questione.

Per l’effetto, le originarie categorie generali di destinazione d’uso (omogenee ed autonome sotto il profilo dei corrispondenti standards urbanistici):

1. residenziale;

2. industriale-artigianale;

3. commerciale-direzionale e turistico-ricettiva;

4. agricola;

sono state riconfigurate e riaggregate come segue:

<<a) residenziale e turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale>>.

Tanto con l’espressa previsione che <<3. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito>>.

Orbene, così come formulata, tale ultima disposizione è però (almeno) nell’immediato … “inutiliter data”.

Ed infatti, in relazione alle categorie funzionali semplicemente confermate nella loro rispettiva autonomia, quali innanzi richiamate sub c) e d) (“commerciale” e “rurale”), la norma in questione si limita a positivizzare il principio, già peraltro presente nel vigente ordinamento di settore, della irrilevanza urbanistica (con conseguente piena e diretta assentibilità ed attuabilità) del mutamento di destinazione d’uso nell’ambito della medesima categoria interessata.

In relazione alle nuove macrocategorie funzionali, invece, quali innanzi richiamate sub a) e b) (“residenziale e turistico-ricettiva” nonché “produttiva e direzionale”), la medesima disposizione è priva di effetti innovativi diretti.

Ciò per la semplice ragione della persistente immanenza al vigente ordinamento di settore del “principio di conformità” che continua (e continuerà) a condizionare sia lo ius aedificandi che lo ius utendi e che impedisce di ipotizzare un sistema delle destinazioni d’uso degli edifici indipendente dalla corrispondente disciplina urbanistica delle relative aree di sedime quale contenuta negli atti di pianificazione comunale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23/01/2006, n. 204).

Per l’effetto, in tanto il passaggio dalla destinazione “turistico-ricettiva” a “residenziale” (e viceversa) sarà possibile in quanto tale promiscuità di funzioni (innovativamente consentita dalla disposizione in esame) sia stata previamente recepita nella concreta zonizzazione dello strumento urbanistico di riferimento (con adeguata dotazione di aree a standards secondo le corrispondenti discipline sostanziali rimaste non intaccate dalla norma in questione); del pari, in tanto il passaggio dalla destinazione “produttiva” a “direzionale” (e viceversa) sarà possibile in quanto anche una siffatta promiscuità di funzioni (anch’essa innovativamente consentita dalla disposizione in esame) sia stata, a sua volta, previamente recepita nella concreta zonizzazione dello strumento urbanistico di riferimento (con adeguata dotazione di aree a standards secondo le corrispondenti discipline sostanziali rimaste non intaccate dalla medesima disposizione).

Trattasi, quindi, di neo-raggruppamenti di classi di destinazioni d’uso di natura etero-operativa; vale a dire, della stessa natura delle omologhe disposizioni contenute nel D.M. n. 1444/1968 oggetto di (implicita) modifica.

La contraria opinione condurrebbe a ritenere assentibili utilizzazioni degli edifici anche in difformità formale e sostanziale rispetto alle funzioni concretamente previste dai vigenti strumenti urbanistici comunali e conformemente “calibrate” nelle corrispondenti dotazioni di standards.

Il che non è evidentemente consentito dal vigente ordinamento urbanistico (rimasto per il resto, e tanto più nei relativi principi fondamentali, totalmente non intaccato dalle innovazioni in questione), il quale, oltre ad essere tuttora presidiato dal suddetto “principio di conformità”, continua a sanzionare autonomamente i mutamenti di destinazione d’uso (comunque realizzati, anche senza opere edilizie) implicanti variazioni degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

In relazione al primo dei cennati profili (“principio di conformità”), resta infatti pienamente vigente il disposto dell’art. 12, co. 1, del D.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale “Il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici…”, nonché del successivo art. 22, co. 1, ai sensi del quale “sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio di attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici…”, onde restano evidentemente inassentibili ed inattuabili interventi di qualsiasi natura, anche mediante semplici modifiche delle destinazioni degli edifici esistenti, ove il nuovo uso (con o senza opere) non rientri nel novero delle funzioni concretamente previste ed ammesse per la zona urbanistica interessata.

Specularmente (sul versante del potere di vigilanza e controllo):

--l’art. 32 del medesimo D.P.R. 380/2001 continua a ricomprendere tra le “variazioni essenziali”, sanzionate ai sensi del precedente art. 31 e del successivo art. 44, il “mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968”, al cui riguardo la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che “tutte le volte che il cambio di categoria edilizia determina il venire in essere di un carico urbanistico, unitamente alla dotazione di standards, specie di parcheggi, detta circostanza rende irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l’effettuazione di opere edilizie” (cfr. per tutti TAR Veneto, Sez. II, 21/08/2013, n. 1078, con gli ulteriori numerosi richiami ivi contenuti);

--ancor prima, il precedente art. 30 (come conformemente interpretato dalla giurisprudenza amministrativa e penale) continua a supportare la configurabilità della fattispecie della “lottizzazione abusiva” anche attraverso il mutamento della destinazione d’uso di complessi immobiliari già esistenti assentiti come strutture turistico-alberghiere e poi trasformati in civili abitazioni con alterazione dei carichi urbanistici già programmati negli appositi strumenti di pianificazione riservati alla competenza comunale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 07/06/2012, n. 3381; Cass. pen., Sez. III, 06/06/2012, n. 27289).

Tanto basta a confermare il carattere etero-operativo in parte qua della disposizione in esame.

 

Avv. Tommaso MILLEFIORI

1 Nelle quali sono ordinariamente consentite anche le “destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.)” ex art. 3, ultimo comma, dello stesso D.M. n. 1444/1968.

2 Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 06/08/2014, n. 4196.