Vincoli conformativi - vincoli espropriativi la terza via: vincoli espropriativi ad effetto sospeso nel tempo

di Giuseppe COCCHI

 

In dottrina i vincoli urbanistici si distinguono in vincoli conformativi e vincoli espropriativi.

Sono vincoli conformativi quei limiti “normali e connaturali” alla proprietà che, imposti dagli strumenti urbanistici e di pianificazione ovvero da specifiche leggi, non ne prevedono l’espropriazione, limitandosi a regolare i modi di godimento del bene in generale ovvero i modi di godimento di intere categorie di beni.

Sono vincoli espropriativi quei limiti al godimento della proprietà che prevedono l’ablazione del bene stesso per un superiore interesse pubblico ovvero impongono uno svuotamento “incisivo” della proprietà per un periodo illimitato, attraverso l’imposizione su beni determinati di limiti di inedificabilità assoluta.

I vincoli conformativi non danno diritto ad alcun “ristoro” per il privato proprietario del bene.

I vincoli espropriativi danno diritto ad un “indennizzo” da porre a carico della collettività come compenso per il sacrificio imposto al privato per “la compressione significativa o la sottrazione” del diritto di proprietà.

In tal senso l’art.42 della Costituzione precisa:

“La proprietà è pubblica o privata. …… . La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.”

La mancata approvazione della riforma sul regime dei suoli da parte del Legislatore italiano, già proposta nel 1962 dall’irpino Fiorentino Sullo, ha prodotto notevoli scompensi nel sistema di relazioni pubblico-privato, con numerosi interventi da parte della giurisprudenza civile ed amministrativa, spesso contraddittori ed incongruenti.

Più volte è stato chiamato in causa anche il Giudice Costituzionale per stabilire i principi della corretta applicazione dell’art. 42 della Costituzione.

L’ultimo intervento dalla Corte Costituzionale, in materia di vincoli urbanistici, riguarda la sentenza del 20 maggio 1999 n°179. In tale pronuncia il Giudice delle Leggi ha affrontato in maniera analitica le questioni della indennizzabilità, della durata e della reiterazione dei vincoli urbanistici.

In particolare il Giudice Costituzionale ha chiarito che l’indennizzo, posto come alternativa ad un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo, è dovuto quando si tratta di vincoli:

  • preordinanati all’espropriazione;

  • che superino la “ragionevole” durata come imposta dal Legislatore (stabilita in cinque anni), ove non intervenga l’espropriazione;

  • che superino, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale.

La pronuncia chiarisce anche che non è dovuto alcun indennizzo “se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni od interessi pubblici preminenti” (il riferimento è ai cosiddetti vincoli conformativi).

Nel prosieguo della stesura della sentenza il Giudice Costituzionale introduce altresì una nuova e differente categoria di vincoli, sconosciuta alla dottrina urbanistica tradizionale e non sufficientemente argomentata dalla giurisprudenza di merito.

Nella specie il Giudice delle Leggi chiarisce: ”Inoltre è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”.

Quindi, i vincoli che comportano l’individuazione di una “destinazione di interesse generale” attuabile anche per iniziativa privata o pubblico-privata (pure se accompagnati da strumenti di convenzionamento) non producono l’effetto immediato della decadenza quinquennale del vincolo, con l’eventuale obbligo di indennizzo per la reiterazione del vincolo stesso.

Numerosi strumenti di pianificazione comunali contemplano vincoli urbanistici che riproducono le caratteristiche appena richiamate.

Tuttavia alcune domande sorgono spontanee a quanti si cimentano per comprendere le regole dell’urbanistica contemporanea.

Tale ultima specie di vincoli hanno natura conformativa o espropriativa? Possono avere effetti “sine die”?

L’Amministrazione pubblica può decidere di realizzare l’opera di interesse pubblico anche trascorso il periodo di “franchigia” quinquennale stabilito dalla Legge?

Cosa accade se il privato presenta un progetto di implementazione dell’opera di interesse pubblico e l’Amministrazione non lo ritiene conveniente?

In linea con le argomentazioni dedotte dal Giudice Costituzionale con la richiamata sentenza, appare evidente che gli effetti del vincolo non decadono con il trascorrere del periodo di cinque anni già previsto dal Legislatore nei casi di apposizione di un “semplice” vincolo espropriativo. Di fatto la sola possibilità che il privato si attivi per l’implementazione dell’opera di interesse generale esclude i limiti di durata all’imposizione del vincolo. Pur tuttavia non è compressa la possibilità che l’Amministrazione si attivi per l’espropriazione del bene per finalità pubbliche, anche successivamente al trascorrere del termine quinquennale fissato dal legislatore per la decadenza del vincolo.

Per tutto quanto argomentato, si deve escludere che si tratti di un vincolo di natura conformativa, in quanto la procedura ablatoria è sempre attivabile da parte dell’Amministrazione procedente (almeno fino a quando il privato proprietario non presenti una proposta di implementazione dell’opera), con il relativo obbligo di indennizzare il privato per il “sacrificio” imposto per la realizzazione dell’opera pubblica o di interesse pubblico.

Ne consegue che il vincolo assume natura sostanzialmente espropriativa.

Tuttavia la legge fissa il termine di decadenza quinquennale entro cui l’Amministrazione deve attivarsi per l’avvio della procedura ablatoria. Tale termine, nel caso in cui sussista la possibilità che l’intervento venga realizzato su iniziativa del privato, si pospone nel tempo e, secondo lo scrivente, inizia a decorrere dalla data in cui l’Amministrazione, esaminata la proposta di realizzazione dell’opera da parte del privato, la respinga, magari ritenendola “non conveniente” per le finalità dell’Ente.

Si tratta, in altri termini, di traslare il “dies a quo” da cui far decorrere il termine quinquennale di decadenza del vincolo alla data di presentazione del progetto di realizzazione dell’opera di interesse generale da parte del privato proprietario.

Sulla scorta di quanto argomentato si può definire la speciale tipologia di vincolo introdotto dalla Sentenza della Corte Costituzionale n°179/99, come “vincolo espropriativo ad effetti sospesi nel tempo”.

Considerata, dunque, la natura espropriativa del vincolo, fatti salvi gli effetti sospensivi, la Pubblica Amministrazione conserva sempre il suo potere autoritativo di espropriare anche i soli diritti minori (servitù, uso, usufrutto, etc.) insistenti sul diritto di proprietà del privato cittadino, che si è visto approvare la propria proposta di realizzazione dell’opera finalizzata al raggiungimento di “obiettivi di interesse generale” , valutati previamente dalla P.A.

 

Arch. Giuseppe Cocchi