TAR Campania (NA), Sez. II n. 6350 del 29 ottobre 2018
Urbanistica.Condono edilizio e silenzio assenso
Ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma solo in virtù dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale e dell’adempimento degli oneri documentali ed economici necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre, altresì, la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità del condono, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo per il condono del 2003, il fatto che l’immobile ad uso residenziale risulti ultimato, ossia completato al rustico, entro il 31 marzo 2003. Ne deriva che il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, inclusa la tempestiva ultimazione dell’opera abusiva, impedendo in radice la mancanza di talune di queste che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di sanatoria
Pubblicato il 29/10/2018
N. 06350/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03204/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3204 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’Avv. Rita Scopa, con la quale sono elettivamente domiciliati in Napoli alla Piazza Matteotti n. 7 presso lo studio dell’Avv. Lorenzo Mazzeo;
contro
COMUNE DI PALMA CAMPANIA, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonella Curto, con la quale è elettivamente domiciliato in Napoli alla Piazza G. Bovio n. 8;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
a) del verbale della Polizia Municipale del 16 marzo 2010, recante l’esecuzione del provvedimento di dissequestro penale in relazione al fabbricato abusivo sito in Palma Campania alla Via Pianillo;
b) del verbale della Polizia Municipale del 20 aprile 2005, recante l’accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 109 del 10 novembre 2004;
c) di ogni altro atto connesso, conseguente e successivo;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
d) degli atti impugnati con il ricorso introduttivo;
e) della disposizione dirigenziale del Comune di Palma Campania prot. n. 18887 del 28 ottobre 2010, recante il rigetto delle istanze di condono finalizzate alla sanatoria del suddetto fabbricato, nonché della relativa comunicazione di preavviso di rigetto del 6 ottobre 2010 e del verbale della commissione tecnico-consultiva del 16 settembre 2010;
f) di ogni altro atto connesso, conseguente e successivo.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Dato avviso ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2018 il dott. Carlo Dell'Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il gravame introduttivo e con quello per motivi aggiunti, parte ricorrente impugna gli atti meglio individuati in epigrafe, tutti inerenti ad un fabbricato abusivo sito in Palma Campania alla Via Pianillo, già colpito dall’ordinanza di demolizione n. 109 del 10 novembre 2004; è opportuno rammentare che le relative istanze di condono, presentate dopo l’emissione dell’ordine demolitorio, sono state respinte dall’amministrazione comunale sulla scorta del rilievo che il fabbricato, come comprovato dal verbale di sequestro della Polizia Municipale del 25 ottobre 2004, non risultava ultimato alla data del 31 marzo 2003 – limite massimo temporale per poter fruire della sanatoria ai sensi della normativa sul condono del 2003 (art. 32 del decreto legge n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003) – essendo privo delle tamponature esterne.
L’intimata amministrazione comunale conclude nei suoi scritti difensivi per la reiezione del ricorso.
L’istanza cautelare acclusa al ricorso introduttivo è stata accolta con ordinanza n. 1588 del 22 luglio 2010 “sino alla adozione degli ulteriori provvedimenti della P.A. all’esito del tempestivo e doveroso esame della istanza di condono presentata dalla parte ricorrente”.
Parte ricorrente ha depositato memoria conclusiva a sostegno delle sue ragioni.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 9 ottobre 2018.
2. In via preliminare, va ravvisata l’inammissibilità del ricorso introduttivo, tutto incentrato sulla contestazione di alcuni verbali della Polizia Municipale.
Invero, le impugnative di tali verbali si palesano inammissibili per le seguenti decisive ragioni: i) verbale del 16 marzo 2010, recante l’esecuzione del provvedimento di dissequestro penale: difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario penale, trattandosi di atto facente parte della sequenza propria del procedimento penale; ii) verbale del 20 aprile 2005, recante l’accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 109/2004: carenza di interesse all’impugnativa, vertendosi in tema di atto non dotato di lesività. Infatti, il verbale di accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione ha valore di atto endoprocedimentale, strumentale alle successive determinazioni dell’ente comunale, ed ha efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva, all’uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa faccia proprio l’esito delle predette operazioni attraverso un formale atto di accertamento (nella specie non ancora emesso); ne discende che, in quanto tale, detto verbale non assume quella portata lesiva che sia in grado di attualizzare l’interesse alla tutela giurisdizionale, portata lesiva invece ravvisabile soltanto nell’atto formale di accertamento ex art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, con cui l’autorità amministrativa recepisce gli esiti dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale e forma il titolo ricognitivo idoneo all’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 17 giugno 2014 n. 3097; TAR Sicilia Catania, Sez. I, 23 aprile 2015 n. 1118; TAR Campania Napoli, Sez. VII, 4 giugno 2014 n. 3067). Peraltro, è appena il caso di osservare che un eventuale provvedimento di acquisizione gratuita sarebbe comunque destinato a perdere immediatamente efficacia, con ciò accentuandosi il profilo della carenza di interesse, atteso che la presupposta ordinanza di demolizione n. 109/2004 ha comunque esaurito la sua efficacia a seguito della presentazione delle istanze di condono (cfr. sentenza della Sezione n. 1669/2005, intervenuta inter partes). Infatti, è orientamento consolidato, condiviso dal Collegio, che il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive è strettamente connesso e consequenziale all’ordine di demolizione delle opere e di ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che è soggetto a caducazione automatica nel caso di annullamento/inefficacia della presupposta ordinanza di demolizione (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2017 n. 4862 e 7 luglio 2014 n. 3415; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 24 maggio 2010 n. 8345).
3. Appurata l’inammissibilità del ricorso introduttivo, può passarsi al vaglio del ricorso per motivi aggiunti.
In relazione a tale mezzo, sempre in via preliminare, va rilevato che l’unico provvedimento passibile di cognizione è la disposizione dirigenziale prot. n. 18887 del 28 ottobre 2010, recante il rigetto delle istanze di condono finalizzate alla sanatoria del fabbricato abusivo, dal momento che sui rimanenti atti gravati non può intervenire alcuna pronuncia di merito, essendo le relative impugnative inammissibili per i motivi che si andranno di seguito sinteticamente ad esporre con riferimento alle singole determinazioni: 1) atti impugnati con il ricorso introduttivo: si richiama quanto esposto al paragrafo precedente; 2) comunicazione di preavviso di rigetto del 6 ottobre 2010 e verbale della commissione tecnico-consultiva del 16 settembre 2010: carenza di interesse all’impugnativa, perché nella specie si tratta di meri atti endoprocedimentali destinati ad essere recepiti nel finale provvedimento di diniego di condono e, quindi, di atti privi di autonoma lesività.
4. Perimetrato l’ambito di indagine al succitato diniego di condono, si può dare corso allo scrutinio delle censure complessivamente articolate avverso tale atto, le quali sono così riassumibili:
a) il fabbricato, non avendo destinazione residenziale ma di semplice locale deposito, non abbisognava di essere munito delle tamponature perimetrali ma doveva piuttosto, alla data del 31 marzo 2003, presentarsi come immobile funzionalmente completato, qualità, questa, integralmente posseduta dal manufatto in questione, con conseguente violazione, da parte dell’amministrazione comunale, non solo della normativa condonistica del 2003 ma anche dei canoni di una corretta istruttoria procedimentale;
b) il fabbricato era comunque condonabile in forza dell’art. 43, ultimo comma, della legge n. 47/1985, ai sensi del quale è possibile ottenere la sanatoria “delle opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità”;
c) il diniego è impropriamente intervenuto, in violazione delle regole che disciplinano il potere di autotutela, quando ormai si era consolidato il silenzio assenso sulle richieste di condono e si era consumato il potere di provvedere, essendo decorsi i 24 mesi previsti dalla relativa normativa di semplificazione (art. 35 della legge n. 47/1985, richiamato dall’art. 32 del decreto legge n. 269/2003) per emettere una pronuncia espressa;
d) il diniego di condono è affetto da difetto di motivazione in ordine alle ragioni di effettivo contrasto tra l’opera realizzata e la vigente normativa urbanistico-edilizia;
e) il provvedimento di diniego è stato emesso ben oltre il termine procedimentale previsto dalla normativa condonistica, in violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990;
f) la gravata disposizione dirigenziale non prende in adeguata considerazione le osservazioni formulate dalla parte interessata a seguito dell’invio del preavviso di rigetto, con ciò incorrendo in carenza motivazionale;
g) l’amministrazione non ha invitato la parte interessata a completare la documentazione allegata alle istanze di condono, con conseguente violazione del principio del giusto procedimento.
Tutte le prefate censure non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate.
5. E’ smentito in fatto che il fabbricato avesse destinazione non residenziale: infatti, nelle istanze di condono edilizio era chiaramente indicato, mediante la barratura dei relativi campi, che la destinazione d’uso dell’immobile fosse residenziale, per cui la tesi della realizzazione di un semplice locale deposito non trova alcun valido appiglio giuridico proprio nella documentazione esibita dagli stessi soggetti richiedenti il condono.
Si evidenzia, al riguardo, che l’art. 31, comma 2, della legge n. 47/1985, richiamato dalla normativa condonistica del 2003 (cfr. art. 32, comma 25, del decreto legge n. 269/2003), così recita: “Ai fini delle disposizioni del comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.
Sulla base della suddetta disposizione, ai fini dell’ammissibilità del condono edilizio, si è ormai consolidato il principio che l’ultimazione dell’opera abusiva ad uso residenziale può ritenersi avvenuta se l’immobile è stato almeno eseguito al rustico, ossia completato in tutte le sue strutture essenziali, comprese le tamponature, cioè le murature perimetrali, le quali sono necessarie per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. V, 3 giugno 2013 n. 3034; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 16 gennaio 2014 n. 310).
Pertanto, essendo pacifico e comprovato dalle emergenze processuali (cfr. in particolare verbale di sequestro del 25 ottobre 2004 con allegata documentazione fotografica) che il fabbricato fosse privo, alla data del 31 marzo 2003, delle tamponature perimetrali, correttamente l’amministrazione comunale ha ritenuto l’immobile residenziale non condonabile, facendo così buon governo dei propri poteri istruttori ed applicando in maniera appropriata la normativa di settore.
5.1 Peraltro, anche nella denegata ipotesi che il fabbricato avesse destinazione non residenziale, va esclusa la condonabilità dello stesso non potendosi nello specifico estendere i benefici di cui all’art. 32, comma 25, del decreto legge n. 269/2003.
Invero, con sentenza n. 806 del 13 febbraio 2009 questa Sezione si è già espressa, con argomentazioni da cui non vi è ragione di discostarsi, nel senso della non applicazione della richiamata disciplina sul condono edilizio alle nuove costruzioni non residenziali.
In quella pronuncia il Collegio ha rilevato che la norma in esame non compie distinzioni tra opere residenziali e non residenziali solo con riguardo agli ampliamenti, mentre per le nuove costruzioni ogni riferimento concerne solo quelle residenziali. Tali erano state sia l’interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione Penale sia quella desumibile dai lavori preparatori della legge n. 326/2003 di conversione del decreto legge n. 269/2003.
Tale orientamento, definitivamente consolidatosi nella giurisprudenza penale di legittimità (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 27 aprile 2011 n. 19330 e 19 gennaio 2007 n. 8067), è stato prima condiviso in linea di principio dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4/2009, che ha ritenuto la tassatività delle categorie tipologiche che possono beneficiare del condono, e poi da tutta la più recente giurisprudenza amministrativa, secondo cui, ai sensi dell’art. 32, comma 25, cit., le disposizioni sul condono edilizio del 2003 si applicano limitatamente alle nuove costruzioni aventi destinazione residenziale, non essendo ammissibile, in presenza di una tale normativa eccezionale e perciò di stretta interpretazione, postulare un’estensione a nuove costruzioni aventi, come ipotizzato nella specie, destinazione non residenziale (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 aprile 2015 n. 1917; TAR Campania Napoli, Sez. II, 9 settembre 2011 n. 4366).
6. Nemmeno appare prospettabile l’applicazione alla fattispecie della disciplina di favore di cui all’art. 43, ultimo comma, della legge n. 47/1985, giacché alla data del 31 marzo 2003 non era ancora intervenuto alcun provvedimento amministrativo o giurisdizionale inibitorio del completamento dei lavori: difatti, il primo arresto dell’attività edilizia abusiva è da imputare al verbale di sequestro preventivo del 25 ottobre 2004, redatto oltre un anno dopo la scadenza del citato termine di legge.
7. La tesi dell’intervenuta sanatoria edilizia per silentium non trova conforto nel dato normativo.
Infatti, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma solo in virtù dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale e dell’adempimento degli oneri documentali ed economici necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre, altresì, la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità del condono, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo per il condono del 2003, il fatto che l’immobile ad uso residenziale risulti ultimato, ossia completato al rustico, entro il 31 marzo 2003. Ne deriva che il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, inclusa la tempestiva ultimazione dell’opera abusiva, impedendo in radice la mancanza di talune di queste che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di sanatoria (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015 n. 3661; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 25 febbraio 2016 n. 1032.
Alla luce di quanto esposto, è incontrovertibile che il condono edilizio richiesto nello specifico non possa essersi perfezionato attraverso un provvedimento silenzioso di accoglimento, trovando questo ostacolo nella non avvenuta ultimazione del fabbricato (ad uso residenziale) entro il 31 marzo 2003, come già sopra chiarito al paragrafo 5.
8. Il denunciato difetto di motivazione trova smentita nelle evidenze processuali, se solo si pone mente al corredo motivazionale del provvedimento di diniego, sufficientemente esaustivo in merito all’assoluta non condonabilità dell’opera abusiva per mancata ultimazione dei lavori nel termine di legge.
9. Il mancato rispetto del termini previsti dall’art. 2 della legge n. 241/1990 per la conclusione del procedimento amministrativo (anche di condono), non è idoneo a determinare l’illegittimità del provvedimento finale, trattandosi di termini acceleratori per la definizione del procedimento ed atteso che la legge non contiene alcuna prescrizione sulla decadenza della potestà amministrativa né qualifica come illegittimo il provvedimento adottato tardivamente (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 1° dicembre 2010 n. 8371).
10. Inoltre, nemmeno convince la dedotta carenza motivazionale in relazione al preavviso di rigetto.
Invero, l’obbligo, ex artt. 10 e 10-bis della legge n. 241/1990, di esame delle memorie e dei documenti difensivi presentati dagli interessati nel corso dell’iter procedimentale, non impone all’amministrazione una formale ed analitica confutazione di ogni argomento utilizzato dagli stessi, essendo sufficiente, alla luce dell’art. 3 della legge medesima, un’esternazione motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle deduzioni partecipative dei privati, come puntualmente avvenuto nella fattispecie (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 maggio 2012 n. 3210; Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2010 n. 7472; TAR Campania Napoli, Sez. III, 8 giugno 2016 n. 2885; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 15 settembre 2011 n. 4402).
11. Infine, non è predicabile alcuna violazione del principio del giusto procedimento, dal momento che, a fronte della palese non sanabilità dell’immobile per mancata ultimazione dei lavori, sarebbe stata superflua ogni ulteriore integrazione documentale.
12. Pertanto, resistendo il gravato diniego di condono e gli altri atti impugnati a tutte le censure prospettate, il ricorso per motivi aggiunti merita di essere rigettato per infondatezza.
13. In conclusione, ribadite le suesposte considerazioni, il ricorso introduttivo va dichiarato inammissibile, mentre quello per motivi aggiunti va respinto.
Le spese di giudizio devono essere addebitate alla soccombente parte ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così statuisce:
- dichiara inammissibile il ricorso introduttivo;
- respinge il ricorso per motivi aggiunti.
Condanna i ricorrenti in solido a rifondere in favore del Comune di Palma Campania le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Pennetti, Presidente
Carlo Dell'Olio, Consigliere, Estensore
Antonella Lariccia, Primo Referendario