TAR Lombardia (BS) Sez. II n. 158 del 25 febbraio 2020
Urbanistica.Sanatoria e varianti urbanistiche

Pur non essendo un immobile suscettibile di sanatoria, a causa della mancanza del requisito della doppia conformità, lo stesso non potrebbe essere destinatario di un ordine di demolizione insufficientemente motivato e contraddittoriamente adottato dal Comune nel mentre è in corso il procedimento per l’approvazione di una variante urbanistica alla luce della quale è venuto meno l’interesse pubblico alla demolizione. L’abbattimento trova ostacolo nella possibilità della riedizione del potere in conformità alla disciplina urbanistica sopravvenuta, la cui legittimità potrebbe, se del caso, formare oggetto di un autonomo giudizio.


Pubblicato il 25/02/2020

N. 00158/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00512/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 512 del 2019, proposto da
One Italy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Innocenzo Gorlani e Tarcisio Grechi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Innocenzo Gorlani in Brescia, via Romanino n. 16;

contro

Comune di Paratico, non costituito in giudizio;

nei confronti

Edelweiss Renewables S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Vasta e Antonio Ditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Legambiente Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Emanuela Beacco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- dell’ordinanza dirigenziale di demolizione n. 12 del 27 aprile 2019.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Edelweiss Renewables S.r.l. e di Legambiente Onlus;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2020 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’ordinanza di demolizione che il Comune ha adottato a seguito dell’accoglimento, da parte del Consiglio di Stato (sentenza 2023 del 27.3.2019), del ricorso presentato da Edelweiss e Legambiente contro la sentenza di primo grado che aveva, invece, rigettato il ricorso volto ad ottenere l’annullamento del permesso di costruire rilasciato all’odierna ricorrente, sarebbe illegittima in quanto, nella sua adozione, il Comune sarebbe incorso nella violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del DPR 380/2001.

Sin dal 2017, infatti, il Comune di Paratico ha dato avvio a un procedimento per la modifica delle NTA del Piano delle Regole e del Piano dei Servizi, nell’ambito del quale l’odierna ricorrente, a seguito della pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato citata, ha chiesto al Comune di introdurre una disposizione modificativa “che restituisca all’area interessata la destinazione insediativa, già oggetto del PdC annullato, anche allo scopo di limitare il più possibile i cospicui danni di cui è cenno” (così la richiesta della One Italy srl). In accoglimento di tale istanza, il Comune ha «ritenuto necessario riformulare l’art. 11.1 lettera b), affinchè sia inequivoco il contenuto urbanistico affidato allo stesso dal PGT ed integrare le norma con una scheda d’ambito specifica per l’intervento edilizio oggetto delle citate sentenze, al fine di fissare le destinazioni d’uso ammesse nonché i relativi parametri edilizi».

Proprio in ragione di ciò il Comune avrebbe dovuto soprassedere all’adozione dell’atto impugnato ovvero avrebbe dovuto sospenderne l’efficacia in attesa della conclusione del procedimento urbanistico.

Si è costituita in giudizio Legambiente, sostenendo che, in ragione della sentenza del Consiglio di Stato citata, il Comune avrebbe potuto solo procedere alla correzione o alla rettifica dell’errore materiale eventualmente commesso e, successivamente, rideterminarsi in senso diverso, in relazione al calcolo della SPL realmente esistente, in cui sarebbero stata erroneamente computata la superficie della piscina e in relazione alla cessione a titolo di standard di un terreno che avrebbe dovuto già essere ceduto a seguito dell’approvazione del piano PL8. L’adozione di una nuova variante ad hoc, non ancora pubblicata, per modificare le previsioni della strumentazione urbanistica nel senso voluto da parte ricorrente integrerebbe, dunque, un’elusione del giudicato.

In ogni caso, nella fattispecie in esame non vi sarebbe stata alcuna violazione dell’art. 38 del DPR 380/2001, essendo tale norma applicabile solo nel caso in cui l’adozione dell’ordine di demolizione risulti essere in contrasto con l’operare del principio di doppia conformità che consente di “sanare” la sopravvenuta abusività della costruzione per effetto della caducazione del titolo legittimante.

Anche la fiscalizzazione dell’abuso, peraltro, sarebbe ammessa solo nel caso di parziale conformità dell’opera.

Analoga difesa è stata dispiegata dalla controinteressata Edelweiss, secondo cui la tesi sostenuta da parte ricorrente si fonderebbe sull’erroneo presupposto che l’entrata in vigore della Variante possa determinare effetti di sanatoria per gli immobili oggetto di demolizione.

Dopo la concessione della richiesta misura cautelare della sospensione degli effetti impugnati, parte ricorrente, in vista dell’udienza pubblica, ha chiesto un differimento della stessa, per consentire alla medesima di presentare la richiesta del permesso di costruire dopo l’approvazione della variante urbanistica prevista per il Consiglio comunale del 20 gennaio 2020 e di produrre in giudizio la relativa documentazione.

Alla richiesta si è opposta Edelweiss sostenendo che il procrastinare la decisione renderebbe “vano quell’effetto ripristinatorio che è connaturato alla sentenza di annullamento e che rappresenta anche la risposta in termini di giustizia effettiva e sostanziale dell’azione giurisdizionale intrapresa da Edelweiss e Legambiente Onlus con i ricorsi conclusisi con la sentenza citata”.

In ogni caso, non sarebbero ravvisabili, nella fattispecie, vizi emendabili, in quanto al momento del rilascio del permesso di costruire la normativa non consentiva la realizzazione dell’edificio assentito.

Parimenti anche Legambiente si è opposta al deposito tardivo della documentazione relativa alla variante in corso di approvazione, che la ricorrente ha dichiarato di non aver potuto depositare prima.

Parte ricorrente ha, quindi, rappresentato che in data 10 gennaio 2020 il Comune ha approvato la variante urbanistica n. 4 e la One Italy srl ha presentato, in pari data, un’istanza di permesso di costruire e il successivo 13 gennaio un’istanza di autorizzazione amministrativa per l’esercizio della media struttura di vendita. Il 14 gennaio è stato rilasciato il provvedimento di autorizzazione paesaggistica.

Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2010, la causa, su conforme istanza delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’illegittimità dell’ordine di demolizione - adottato dal Comune dopo la caducazione, da parte del Consiglio di Stato (con sentenza 2023/2019), del permesso di costruire sulla scorta del quale la società ricorrente ha eseguito buona parte dei lavori necessari alla trasformazione di un preesistente insediamento in un centro commerciale – deriverebbe, secondo quanto dedotto in giudizio, da una non corretta applicazione delle garanzie contenute nell’art. 38 del DPR 380/2001.

In particolare, in ragione della mancata considerazione dell’avvio, in data 15 dicembre 2017 (con deliberazione giuntale n. 144), dell’iter per l’approvazione della variante n. 4 del PGT, volta ad apportate “correzioni di errori materiali, integrazioni e chiarimenti” alle NTA del piano delle regole e del piano dei servizi. Secondo parte ricorrente tale variante rappresenterebbe la necessaria risposta a un invito all’adozione di correttevi asseritamente richiesti dal Consiglio di Stato nella sentenza 2023 del 27.3.2019.

Secondo le parti resistenti (e cioè i due soggetti controinteressati) tale effetto sanante, non si potrebbe comunque produrre, in quanto la modifica delle NTA non consentirebbe di superare la non conformità del titolo rilasciato alla norma allora in vigore e, quindi, non vi sarebbe comunque il presupposto della doppia conformità. Né potrebbe trovare applicazione l’ipotesi della fiscalizzazione, atteso che la non conformità sarebbe totale e non anche parziale.

Parte ricorrente invoca, però, la giurisprudenza secondo cui il Comune può “disporre la rimozione dei vizi anzitutto ove si tratti di vizi formali o procedurali e può procedervi anche nel caso di vizi sostanziali, ove si tratti di vizi emendabili, dovendo, ogni volta che ciò sia possibile, privilegiare la riedizione del potere depurato dai vizi riscontrati, ancorché aventi carattere sostanziale, e ricorrere alla demolizione dell'opera abusiva solo quale extrema ratio, quando cioè si sia in presenza di vizio, formale o sostanziale, inemendabile” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28.7.2017 n. 3795; Cons.Stato, Sez. VI, 10.9.2015, n. 4221).

La società proprietaria dell’immobile non pretende, dunque, la sanabilità, in effetti esclusa anche nella fattispecie in esame in ragione del fatto che l’istituto di creazione pretoria della c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, volta a privilegiare l’efficacia sanante della sopravvenuta conformità del manufatto abusivo “deve considerarsi normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento dell'abusiva trasformazione del territorio, nel senso che il permesso in sanatoria è ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall'art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda, mentre con la invocata ‘sanatoria giurisprudenziale' verrebbe in rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem, i quali si collocherebbero al di fuori d'ogni previsione normativa. Tale istituto non trova, pertanto, fondamento alcuno nell'ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell'azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione (cfr., ex multis, da ultimo Consiglio di Stato sez. VI, 11/09/2018, n.5319).” (Tar Napoli, n. 3026/2019).

L’accertata, giudizialmente, non conformità del manufatto realizzato alla previsione urbanistica vigente al momento del rilascio del permesso di costruire preclude, dunque, la sanabilità dello stesso ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001, ancorché la sua costruzione possa oggi risultare compatibile con le nuove NTA.

Ciononostante, nella fattispecie in esame è necessario considerare che l’opera non è abusiva ab origine, ma lo è divenuta a seguito della caducazione del permesso di costruire rilasciato dal Comune e interrogarsi sugli effetti dell’innestarsi su tale situazione della nuova disciplina edilizia adottata con apposita variante urbanistica.

Parte ricorrente, infatti, chiede che non sia fatto abbattere quanto realizzato sulla scorta del titolo annullato, ma potrebbe essere nuovamente costruito alla luce di detta novella, grazie a un’interpretazione estensiva dell’art. 38 del DPR 380/2001, il quale prevede che: “In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale.”.

A tal proposito, il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7057/2019, ha affermato che l’art. 38 del DPR 380/2001, norma di favore applicabile nei casi in cui la natura abusiva dell’opera non sia originaria, ma sopravvenuta a seguito dell’annullamento del titolo edilizio sulla scorta del quale è avvenuta l’edificazione “ha previsto tre possibili rimedi: a) la sanatoria della procedura nei casi in cui sia possibile la rimozione dei vizi della procedura amministrativa, con conseguente non applicazione di alcuna sanzione edilizia; b) nel caso in cui non sia possibile la sanatoria, l'Amministrazione è obbligata ad applicare la sanzione in forma specifica della demolizione; c) soltanto nel caso in cui non sia possibile applicare la sanzione in forma specifica, in ragione della natura delle opere realizzate, l'Amministrazione è obbligata ad applicare la sanzione pecuniaria nel rispetto delle modalità sopra indicate. Si tratta di una gradazione di sanzioni modulata alla luce della gravità della violazione della normativa urbanistica. Secondo l'interpretazione della norma coerente alla ricordata ratio, il concetto di possibilità di ripristino non è inteso come "possibilità tecnica", occorrendo comunque valutare l'opportunità di ricorrere alla demolizione, dovendosi comparare l'interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del privato incolpevole che aveva confidato nell'esercizio legittimo del potere amministrativo; la scelta di escludere la sanzione demolitoria, infatti, laddove adeguatamente motivata ed accompagnata alle indicazioni contenute nell'annullamento, appare quella maggiormente rispettosa di tutti gli interessi coinvolti nella singola controversia ed anche del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, di diretta derivazione dal diritto dell'Unione Europea, principio che impone all'Amministrazione il perseguimento del pubblico interesse col minor sacrificio possibile dell'interesse privato….omissis…Al riguardo, si è ritenuto che, nel caso di opere realizzate sulla base di titolo annullato, la loro demolizione debba essere considerata quale extrema ratio, privilegiando, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535).”.

Il Collegio ritiene, quindi, di poter condividere l’affermazione di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6753/2018, secondo cui: “l’art. 38 detta una disciplina specifica e peculiare, qualificata dalla prevalente e condivisa giurisprudenza in termini di principio fondamentale della materia (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1909). Pertanto, a fronte di tale carattere delle conseguenze previste dall’art. 38 cit., una ulteriore conseguenza grave ed incisiva quale la perdita del bene imporrebbe una espressa previsione normativa, assente nel testo della norma di principio in esame; né, a fronte degli effetti gravemente sanzionatori conseguenti, è estendibile in via analogica la previsione dell’art. 31 invocata dal Comune, dovendosi applicare i principi generali in materia sanzionatoria. Invero, ciò oltre ad essere coerente al dato letterale, è parimenti coerente alla ratio del predetto art. 38.”.

Pertanto, considerato che “per il titolo annullato in sede giurisdizionale (com’è nella specie), l'effetto conformativo, il quale discende dal decisum di annullamento, non comporta certo per il Comune l'obbligo sempre e comunque di disporre la demolizione di quanto realizzato in base al titolo annullato” (così si legge nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2155/2018), l’Amministrazione deve, in tal caso, procedere a un puntuale bilanciamento degli interessi contrapposti, per individuare quale soluzione possa contemperarli conducendo al concreto soddisfacimento dell’interesso pubblico, nel rispetto del legittimo affidamento di chi ha edificato sulla scorta di un titolo poi caducato.

La norma parrebbe, dunque, ammettere l’efficacia preclusiva dell’abbattimento anche nel caso, come quello in esame, in cui esso non determinerebbe il soddisfacimento dell’interesse pubblico, nel frattempo mutato in ragione dell’intervenuta modifica della disciplina urbanistica dell’area, rendendo conforme ad essa l’edificio già esistente.

Date tali coordinate ermeneutiche, nella fattispecie in esame, nella quale, a seguito dell’annullamento del permesso di costruire, il Comune ha avviato l’iter per modificare la disciplina edilizia in modo da eliminare la dubbia formulazione che ha condotto il giudice amministrativo prima a respingere il ricorso e poi a ritenere non conforme alle NTA del Piano delle regole l’intervento assentito, il portare ad esecuzione l’ordine di demolizione nelle more di tale iter appare non rispettoso dei principi enucleati dal Consiglio di Stato. Infatti, se la demolizione deve essere l’extrema ratio in tutti i casi in cui il rilascio del titolo edilizio abbia indotto l’affidamento del destinatario, l’esecuzione dell’ordine di demolizione risulta priva di adeguata motivazione. Non si ravvisa, infatti, la sussistenza di un interesse pubblico alla riduzione in pristino stato in un’ipotesi in cui risulta ragionevole ritenere assentibile l’edificazione che dovrebbe essere oggetto di demolizione. L’adozione del provvedimento avversato si appalesa, dunque, irragionevole e contraddittoria, atteso che, in data 23 aprile 2019, One Italy s.r.l. ha trasmesso al Comune una richiesta di utilizzo della variante urbanistica in corso di adozione per includere, tra le modifiche delle NTA in essa previste anche l’adeguamento dell’art. 11.1 lettera b), delle NTA del Piano delle Regole in modo che essa “restituisca all’area interessata la destinazione insediativa, già oggetto del PdC annullato, anche allo scopo di limitare il più possibile i cospicui danni di cui è cenno”.

Tale richiesta è stata positivamente riscontrata dal Comune, che, come si legge nella deliberazione di giunta comunale n. 72/2019 ha ritenuto necessario riformulare l’articolo 11.1 lettera b) delle norme tecniche di attuazione del piano delle regole “affinché sia chiaro il contenuto urbanistico affidato allo stesso dal PGT”, così riconoscendo che la modifica apportata alla norma di attuazione ha proprio il senso voluto da parte ricorrente.

Appare, dunque, contraddittorio il comportamento del Comune che, nel mentre esamina l’istanza per introdurre il chiarimento ritenuto necessario e corretto, dispone l’abbattimento di quanto già realizzato sulla scorta del permesso di costruire annullato.

Si ritiene, pertanto, che ancorché la variante urbanistica sia stata, in concreto, adottata solo il 16 luglio 2019, l’avvio dell’iter preordinato a ciò, intervenuto prima dell’adozione dell’ordine di demolizione, renda quest’ultimo provvedimento contrario alla tutela dell’affidamento ingenerato dal rilascio del titolo legittimante poi annullato, nei termini indicati dalla giurisprudenza citata e non supportato da un interesse pubblico meritevole di perseguimento.

Pertanto, pur non essendo l’immobile suscettibile di sanatoria, a causa della mancanza del requisito della doppia conformità, cionondimeno il Collegio ritiene che lo stesso non potesse essere destinatario di un ordine di demolizione insufficientemente motivato e contraddittoriamente adottato dal Comune nel mentre era in corso il procedimento per l’approvazione di una variante urbanistica alla luce della quale è venuto meno l’interesse pubblico alla demolizione. Allo stato, dunque, l’abbattimento trova ostacolo nella possibilità della riedizione del potere in conformità alla disciplina urbanistica sopravvenuta, la cui legittimità potrà, se del caso, formare oggetto di un autonomo giudizio.

Così accolto il ricorso, le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la particolarità della fattispecie e la natura prettamente interpretativa della questione dedotta.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione intenderà adottare.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Bernardo Massari, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore