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Scuola Sottufficiali della Marina Militare “Domenico BASTIANINI” - LA MADDALENA

Allievo 2^Cl N.MRS NP Cristian ROVITO
" La tutela dell’ambiente marino alla luce della normativa in vigore e con particolare riferimento alla vigilanza ed eventuale gestione delle riserve marine. Analisi di uno o più casi concreti "

Tesi presentata al termine del 3° CORSO NORMALE MARESCIALLI “ VULCANO “ 2000 - 2002

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ESTRATTO

 

Gli approfondimenti e gli studi compiuti nella realizzazione della presente tesi hanno come scopo primario quello di cercare di delineare, analizzandone gli aspetti essenziali anche attraverso l’approfondimento di diversi casi concreti, un quadro generale su ciò che la macchina legislativa e giurisprudenziale, nazionale ed internazionale, ha approntato in tema di tutela dell’ambiente marino e gestione, vigilanza e controllo delle riserve marine.

Si cercherà, altresì, di riuscire a focalizzare in maniera più chiara possibile quelli che sono i compiti del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera – , evidenziandone gli aspetti principali che si ricollegano a quell’ attività posta in essere ai fini di una migliore utilizzazione e sfruttamento delle risorse naturali esistenti e viventi in un patrimonio così grande come è il “mare”, tenuto conto anche delle nuove tecnologie.

 

SOMMARIO

Introduzione 1

Capitolo I 2 - 10

1.-Definizione giuridica di ambiente e classificazione dei tipi di inquinamento delle acque in genere

2.-Individuazione dei tipi di inquinamento marino

3.-Effetti degli idrocarburi sull’ambiente marino

4.-La normativa nazionale ed internazionale

5.-Il Ministero dell’Ambiente: organizzazione ed attività

6.-I compiti delle Capitanerie di Porto: organizzazione dei servizi di tutela ambientale

Capitolo II 11 - 14

1.-Le riserve marine protette

2.-La legge istitutiva e successive modificazioni

3.-Il ruolo delle Capitanerie di Porto per la gestione, controllo e vigilanza

Capitolo III 15 - 19

1.-La riserva marina di Porto Cesareo: genesi storica

2.-Ambienti ed organismi marini

3.-Divieti e sanzioni

Osservazioni e conclusioni 20

Bibliografia 21

Appendice A: Rappresentazioni Fotografiche

Appendice B: Le funzioni di Polizia Giudiziaria della Guardia Costiera

Appendice C: Le norme esaminate e le nuove prospettive

Appendice D: Il telerilevamento con i mezzi aerei della Guardia Costiera

 

 

INTRODUZIONE.

L’ambiente marino costituisce un’inesauribile fonte di vita per tutti gli esseri viventi esistenti sul pianeta terrestre. E’ indubbio, infatti, che molte delle risorse presenti nel mare identificano un bene da salvaguardare e proteggere con cura ed attenzione, al fine di non determinare un’alterazione di quella biocenosi che regola l’intera esistenza dell’uomo congiuntamente a quella degli altri esseri animali e vegetali. Il complesso ecosistema marino, essenzialmente costituito dal mare, presenta aspetti diversi congiunti ad una varietà di particolari. Assume connotazioni diverse a seconda dell’area geografica interessata talché è possibile sfruttarlo in modo diverso in rapporto alle risorse in esso presenti, sia dal punto di vista economico che Geo – politico. Nasce conseguentemente la necessità di attuare politiche che mirino fondamentalmente alla tutela di tali beni e di tali risorse, a livello nazionale ed internazionale. A queste possono e devono necessariamente affiancarsi nuove prospettive tecnologiche atte a dare una maggiore efficienza alle attività economiche possibili, opportunamente guidate da una produzione legislativa e metodologica alquanto significativa e costantemente supportata da un’attenta attività preventiva - repressiva, di controllo e gestionale. Il tutto ispirato a principi di equità, giustizia, e di un essenziale coordinamento tra le istituzioni interessate o obbligatoriamente da interessare.

E’ eclatante, inoltre, come dal punto di vista strettamente marittimo, quanto menzionato risulti fondamentale allorché assume una duplice funzionalità: garanzia degli standard di sicurezza marittima unitamente a quella relativa ai lavoratori marittimi e drastica riduzione del rischio di sversamenti accidentali e volontari di sostanze inquinanti in genere. Un’elevata sensibilità, infine, a che ci si attenga scrupolosamente e con responsabilità alla specificità delle norme esistenti in ragione di quelle esigenze sempre crescenti dell’ambiente marino, dei traffici marittimi, degli insediamenti civili ed industriali, non deve assolutamente mancare.

 

CAPITOLO I

1 - Definizione giuridica di ambiente e classificazione dei tipi di inquinamento delle acque in genere.

Il concetto di tutela ambientale risulterebbe uno studio un po’ superficiale se dapprima non si definisce, sotto l’aspetto prettamente giuridico, che cos’è l’ambiente e come viene inquadrato dalla legislazione vigente. Ebbene, la giurisprudenza costituzionale, esprimendosi in merito, ha pronunciato che, per “ambiente”, debba intendersi il contesto delle risorse naturali e delle stesse opere significative dell’uomo protette dall’ordinamento perché la loro conservazione è ritenuta fondamentale per il pieno sviluppo della persona. L’ambiente è pertanto una nozione, oltrechè unitaria, anche generale, comprensiva delle risorse naturali e culturali, veicolata nell’ordinamento del diritto comunitario. A questo fine s’ispira la legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente, stabilendo, altresì, il risarcimento del danno ambientale quale offesa alla qualità della vita ed ai beni individuali e collettivi. Codesto dicastero, quindi, assicura verosimilmente la tutela dell’ambiente quale habitat nel quale l’uomo, sulla base di un nuovo rapporto “uomo – natura”, svolge la sua attività culturale ed economica e la sua vita di relazione.

La tutela dell’ambiente marino parte preliminarmente dalla sua protezione dall’inquinamento, il quale non si limita esclusivamente a quello delle acque di mare, ma anche alle acque dolci continentali. Queste ultime sono di origine domestica, ovvero provenienti dai residui collettivi della vita quotidiana scaricati nelle fogne, sia sottoforma liquida che solida, di origine industriale, ovvero provenienti da certe attività industriali e contenenti residui che inquinano le acque dove vanno a scaricarsi, ed infine di origine agricola poiché le acque piovane e di irrigazione asportano dai campi sostanze naturali e prodotti chimici usati in agricoltura, inquinando il corpo d’acqua in cui si riversano.

L’inquinamento delle acque dolci continentali diventa automaticamente inquinamento delle acque marine appena si riversano nelle ultime, al quale vanno ad aggiungersi scarichi diretti ed incontrollati, meglio inquadrabili come abusivi. Da aggiungere è, inoltre, il cosiddetto inquinamento termico, dovuto allo scarico industriale delle acque calde provenienti dai processi di raffreddamento, e quello causato dai prodotti petroliferi, che possono finire in mare in maniera accidentale o volontaria. Diverse fonti hanno stimato che il 75% di tutti gli inquinamenti sono direttamente o indirettamente attribuiti ad errori umani mentre il resto è dovuto principalmente a guasti di apparecchiature.

2 - Individuazione dei tipi di inquinamento.

Entrando nel merito dell’inquinamento marino causato da idrocarburi è possibile un ulteriore distinzione, ovvero: inquinamento dovuto a navi cisterna per pulizia delle tanks del carico, discarica delle acque di zavorra al largo prima delle operazioni di carico/scarico, versamenti accidentali durante le operazioni di routine, perdite accidentali per sinistro o per avarie; inquinamento dovuto a navi da carico non cisterna per discarica delle acque di sentina e cisterna bunker/zavorra; non ultimo, inquinamento dovuto ai mezzi da diporto e da pesca ed al naviglio minore in genere per trascuratezza e/o mancanza di attrezzature di bordo idonee alla raccolta di olii lubrificanti, etc. Con riferimento agli idrocarburi ed alle navi cisterna, “oil – tanker”, è possibile, quindi, distinguere ancora gli inquinamenti di natura operativa da quelli di natura accidentale, ricordando, a titolo puramente esemplificativo, l’incidente della petroliera Exxon Valdez che, nel marzo 1989, contaminò l’intera baia di Prince William, in Alaska, con ben 240.000 barili di petrolio greggio. La permanenza degli olii sul mare è influenzata da molti fattori. A seconda delle loro caratteristiche chimico – fisiche, densità, viscosità, e di quelle del corpo ricevente, temperatura, salinità, flora, fauna, si formano emulsioni acqua – olio, contenenti anche aria, che possono raggiungere una consistenza più o meno compatta con una densità intermedia tra quella del mare e quella dell’olio. In virtù di ciò tra la famiglia degli idrocarburi, esistono i cosiddetti “olii persistenti”, cioè a base idrocarburica nei quali il 50 % o più distilla ad una temperatura superiore a 300 °C, che sono di gran lunga più dannosi di altri, indipendentemente dalla fonte e dalla distribuzione geografica. Palesi esempi sono rappresentati dal petrolio greggio, dagli oli residui e dai distillati pesanti, olio diesel, lubrificanti.

3 - Effetti degli idrocarburi sull’ambiente marino.

Gli effetti della presenza di idrocarburi sulla superficie del mare sono diversi se si tiene conto dei fattori su menzionati e delle loro caratteristiche chimico – fisiche. Nella famiglia degli idrocarburi taluni, infatti, determinano danni minori e meglio rimediabili rispetto ad altri.

Intendendo per plancton l’insieme degli esseri viventi presenti nel mare, costituito da minuscoli organismi vegetali, costituenti il fitoplancton, ed animali, costituenti, invece, lo zooplancton, che vivono nelle acque, queste sono le risorse biologiche che per prima subiscono gli effetti nocivi determinati dalla presenza di idrocarburi. La maggior parte vive nei primi 10 metri d’acqua, dove penetra la luce solare e costituisce la prima maglia della catena alimentare per le altre forme di vita acquatica. Il resto, più specificatamente costituito da fitoplancton, assicura il mantenimento dell’equilibrio globale fra ossigeno e anidride carbonica. La presenza di uno strato d’olio sull’acqua determina i seguenti effetti: occlusione della luce con conseguente diminuzione dell’attività di fotosintesi da parte del fitoplancton, determinazione di una difficile ossigenazione delle acque con, al contempo, un consumo di ossigeno per degradazione dell’olio e non ultima, una tossicità per il plancton, favorita dall’utilizzo di sostanze chimiche neutralizzanti. Gli idrocarburi, infine, influenzano anche la fauna marina e le attività di pesca attraverso il danneggiamento delle riserve di pesci e di crostacei, con particolare riguardo al danneggiamento delle uova depositate e sulle larve, determinando la non commerciabilità ed incommestibbilità del pescato e l’impossibilità all’effettuazione delle operazioni di pesca future.

4 - La normativa nazionale ed internazionale.

La salvaguardia dell’ambiente marino e delle sue risorse biologiche trova origine dapprima a livello internazionale e successivamente a livello nazionale. Un’attenta analisi di entrambi i livelli si fonda essenzialmente su una verifica metodologica e temporale attraverso cui la complessa e alquanto variegata legislazione s’intreccia, determinando conseguentemente interpretazioni applicative differenti. Sul primo livello, punto cardine, è la Convenzione Internazionale MARPOL 73/78, la cui genesi ha avuto inizio con la Convenzione sull’inquinamento 1954 (Marpol 54) e suoi emendamenti del 1962 e 1969. Nonostante ciò deve tuttavia asserirsi che la sua nascita ufficiale e moderna risale al 1971 con i lavori preparatori e gli studi compiuti dall’Assemblea IMO, che ravvisò la necessità di rivedere appunto quella precedente del 1954. In effetti, nel 1973 venne definitivamente approvata e definita come “Convention for prevention of pollution from ships – MARPOL 73”. E’ stata ratificata dall’Italia con la legge 29/09/1980 n° 662. Negli anni a seguire, nel 1978 per l’esattezza, l’IMO, con la Conferenza di Londra TSPP (Tanker safety pollution prevention) ritenendo opportuno modificarla per renderla più attuale e conforme alle nuove esigenze operative, approvò un protocollo con il quale ritenne più opportuno assorbire l’intera legislazione internazionale nell’attuale MARPOL 73/78, nuovamente ratificata dall’ordinamento italiano con la legge n° 438 del 04/06/1982. La Convenzione, entrata in vigore a livello internazionale il 02/10/1983, consta di cinque annessi che dettano le norme da osservare per la prevenzione dei diversi tipi di inquinamento. A tal proposito, l’annesso I riguarda le norme per la prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi, l’annesso II quelle relative al controllo dell’inquinamento da sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa, l’annesso III quelle relative alle sostanze inquinanti trasportate in colli o veicoli cisterna, l’annesso IV quelle relative alle acque di scarico delle navi e l’annesso V, infine, quelle relative ai rifiuti delle navi.

Sul secondo livello, invece, vigono la legge 979/82, “Disposizioni sulla Difesa del mare”, entrata in vigore il 31/12/1982 e, parallelamente, diversi decreti legislativi che indirettamente a questa norma madre si connettono ed in maniera differente, per il tipo di inquinamento che forma oggetto della loro disciplina, hanno riguardo a tutelare gli ecosistemi marini. Trattasi, in effetti, di norme “satellite”, che pur disciplinando settori apparentemente a sé stanti, in qualche modo si riconnettono al mare, a volte in maniera anche imprevedibile se non si conosce la loro esistenza. In realtà il D.Lgs 22/97, cosiddetto “Decreto Ronchi”, disciplina i rifiuti in genere, intendendo con l’inciso che ne costituisce il principio ispiratorio, quanto costituisca o possa costituire “inquinamento”. A tal proposito è opportuno definire che, con il termine di inquinamento, s’intende: “L’introduzione diretta o indiretta ad opera dell’uomo di sostanze chimiche o microrganismi, definiti agenti inquinanti, nell’ambiente marino, quando essa ha o può avere effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, alla fauna e flora marine, rischi per la salute dell’uomo, intralcio alle attività marittime, comprese la pesca e le altre utilizzazioni lecite del mare, alterazioni della qualità dell’acqua di mare dal punto di vista della sua utilizzazione e degrado delle attrattive ambientali”. Pur rappresentando la norma quadro di settore, essa rinvia in deroga al D.lgs 152/99 per quanto concerne le acque di scarico, quale, invece, norma derogatoria e specifica per tale tipologia di inquinamento delle acque. Di conseguenza oggi le parole chiave sono di tre tipi all’interno della normativa citata sugli inquinamenti, incrociata in uno stretto rapporto tra i suddetti decreti. Ecco giustificata la necessità del legislatore di aver proceduto alla tripartizione delle sostanze liquide che, pur potendo apparentemente essere identiche, in realtà, vengono differenziate dal ciclo di origine e trattamento nonché dai sistemi adottati per gestirle.

5 - Il Ministero dell’ambiente: organizzazione ed attività.

L’istituzione governativa che si occupa in primis della tutela dell’ambiente marino non può che essere il Ministero dell’Ambiente, istituito con la Legge del 08 luglio 1986 n° 349, il cui compito è quello di assicurare la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento. A livello centrale è strutturato in dipartimenti. Il Dipartimento per le risorse idriche, si occupa essenzialmente della gestione e tutela delle risorse idriche, prevenzione e protezione dall’inquinamento idrico e difesa del mare e dell’ambiente costiero. Del medesimo fanno parte poi due direzioni, una per la tutela delle acque interne (TAI) ed un’altra per la difesa del mare (DM); in quest’ultima operano poi quattro divisioni. Tra le molteplici funzioni, da citare sono certamente quelle relative ai seguenti obiettivi: a) il monitoraggio delle acque marine; b) la promozione della sicurezza dell’ambiente marino; c) il rilascio di autorizzazioni agli scarichi in mare da navi o piattaforme, pianificazione d) coordinamento degli interventi in caso di emergenza – inquinamento; e) attivazione dei mezzi specializzati per l’intervento antinquinamento dell’ambiente marino; f) supporto al Ministro per l’esercizio della vigilanza sull’attività scientifica, amministrativa e contabile dell’ICRAM (Istituto centrale per la ricerca applicata al mare).

In merito all’obiettivo a), ad oggi è in corso il “programma di monitoraggio 2001 – 2003”. Questo programma, predisposto dai tecnici del Servizio Difesa Mare e dell’ICRAM, è iniziato nel mese di Giugno 2001 ed ha come obiettivi quelli di verificare per ciascuna regione lo stato di qualità ambientale, raccogliere in una banca dati realizzata presso il Si. Di. Mar. (Servizio Difesa Mare) tutti i dati emersi a livello nazionale e metterli a disposizione dei vari utenti e distribuire le metodiche analitiche di riferimento per le analisi previste dal programma. Le indagini salienti ricadono su 73 aree inquinate significative, localizzate lungo le coste italiane, delle quali, 57 scelte come aree critiche da confrontare con le restanti 16, individuate, invece, come aree di controllo, privilegiando quelle sui molluschi che hanno la capacità di conservare in memoria gran parte delle sostanze con cui sono venute a contatto, e degli ecosistemi quali le praterie di “Posidonia oceanica”, pianta marina fanerogama superiore che ossigena ed offre riparo a molte specie di pesci.

In merito all’obiettivo d), con decisione n. 2850/2000/EC in data 20 dicembre 2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio, la Commissione Europea ha istituito il Quadro Comunitario di Cooperazione in materia di prevenzione e lotta all'inquinamento marino, nell’ambito del qual è stata decisa l'attivazione del "Community Information System" che in sintesi costituisce la banca dati comunitaria su tutti i mezzi e le apparecchiature idonee alla lotta all'inquinamento marino, di pronto impiego nei casi di emergenza e disponibili presso i diversi Paesi dell'Unione.

Per quanto concerne, infine, l’obiettivo e), in data 10/05/1999, è stato attivato un servizio per la prevenzione e la lotta agli inquinamenti marini lungo tutta la costa della penisola attraverso l’impiego di 71 unità specializzate, che vanno a costituire la cosiddetta “Flotta Gialla”. Tali unità possono essere classificate in tre categorie: Supply – Vessel, adatte alla navigazione internazionale lunga con una velocità minima di 12 nodi in quanto hanno caratteristiche tecniche e impiantistiche che consentono il recupero meccanico di idrocarburi, materiali solidi e carcasse, l'aggressione chimica degli inquinanti e gli interventi antincendio e di salvataggio, la cui capacità di recoil (stoccaggio degli idrocarburi) è di oltre 200 metri cubi, essendo le dotazioni di bordo complete di tender, panne, skimmer, impianti ed attrezzi specifici; Unità Superiori, strutturate per la stessa tipologia di interventi, aventi, invece, una capacità di recoil di oltre 40 metri cubi, una velocità minima di 10 nodi e dotazioni di bordo sostanzialmente equivalenti a quelli della classe maggiore; infine, i Battelli Disinquinanti con compiti specifici di intervento costiero aventi capacità tecniche e dotazioni impiantistiche che compatibilmente alle minori dimensioni, consentono la raccolta di solidi inquinanti. La loro capacità di recoil è di oltre 10 metri cubi mentre la velocità minima di 8 nodi. Tale servizio in attuazione anche delle direttive comunitarie e convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito. Le unità della flotta gialla, nella fattispecie tecnico - operativa, svolgono servizio di pattugliamento e pronto intervento per la raccolta di idrocarburi secondo rotte programmate per otto ore giornaliere e sei giorni la settimana, festivi inclusi, per il periodo estivo. Nel periodo invernale, invece, solo tre giorni la settimana e negli altri sono in banchina pronti ad intervenire entro 30 minuti per far fronte ad eventuali emergenze. Durante il pattugliamento, tra l’altro, provvedono alla raccolta dei rifiuti galleggianti, sia solidi che liquidi, per poi scaricarli in banchina e successivamente smaltirli, avvistare e tutelare i mammiferi marini e le tartarughe in difficoltà ed infine ad eventualmente segnalare via radio alla locale Capitaneria di Porto, sotto il cui controllo sono sottoposte, l’unità mercantile o da diporto che stia illegittimamente scaricando in mare idrocarburi o sostanze nocive.

6 – I compiti delle Capitanerie di Porto: organizzazione dei servizi di tutela ambientale.

Le attribuzioni in materia di tutela ambientale demandate al Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera –, derivano ad hoc dall’art. 23 della Legge 979/82, che così recita “la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti delle acque marine da idrocarburi e dalle altre sostanze nocive nell’ambiente marino e l’accertamento delle infrazioni alle norme relative, sono affidati agli ufficiali ed agenti di P.G. di cui all’art. 221 del Codice Civile e all’articolo 1235 del Codice della navigazione nonché al personale civile dell’ Amministrazione dell’ambiente, agli ufficiali e sottufficiali e sottocapi della Marina Militare”. Attraverso la propria organizzazione centrale, ovvero il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera -, e più precisamente la “Centrale Operativa” del 3° Reparto “piani ed Operazioni”, e periferica, le capitanerie assolvono compiti relativamente alla sorveglianza antinquinamento in mare; infatti sono previste all’incirca 8000 ore di pattugliamento per mezzo di unità navali dei reparti “Guardia Costiera”, al fine di prevenire, reprimere e sorvegliare quanto possa costituire pericolo o minaccia per gli ecosistemi marini.

A quest’importante attività, prevalentemente navale, si affianca, il Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C. (S.T.A.I), con il compito di predisporre e pianificare missioni di telerilevamento ambientale avvalendosi dei mezzi della componente aerea. Allo stato attuale, essa è costituita da 7 elicotteri AB412 (“Koala”), 14 bimotori turboelica Piaggio P-166DL3 (“Orca”) e 1 bimotore turboelica a lunga autonomia ATR – 42MP (“Manta”). Tali mezzi hanno in dotazione vari tipi di sensori e sistemi ad alta tecnologia aerofotografica per ottimizzare la sorveglianza sul mare territoriale e sulle zone demaniali di giurisdizione; in primis per rilevare gli inquinamenti e controllare gli ecosistemi marini ed in secundis per scopi prettamente geologici, che riguardano l’erosione delle coste, l’assetto del territorio nonché il controllo degli scarichi abusivi, assolvendo, in tal modo, compiti rientranti nell’ambito applicativo dei decreti legislativi 152/99 e 22/97, sugli scarichi e rifiuti in genere, prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio, e quindi attività di P.G. in senso stretto, non trascurando ovviamente l’attività di ricerca e soccorso.

Il MAREM (Maritime emergency), inoltre, quale sottosistema del N.I.S.A.T. (Sistema informativo per la Navigazione ad Avanzata tecnologia), è sostanzialmente un data – base contenente tutte le informazioni relative alle risorse esistenti sul territorio nazionale per la lotta agli inquinamenti marini, evidenziando pertanto le attribuzioni conferite alle Capitanerie in tali settori. Tale sottosistema è anche equipaggiato con uno specifico software adatto proprio alla gestione delle emergenze ambientali e recentemente interfacciato, a livello del tutto sperimentale, con il server RAMSES, sistema in rete per la trasmissione di informazioni satellitari afferenti l’avvistamento di sversamenti di idrocarburi in mare.

Esiste, inoltre, un ulteriore e non ultimo servizio svolto a terra dalle Capitanerie che investe due livelli organizzativi, centrale e periferico; il primo facente capo al Ministero dell’Ambiente, ove è stata istituita, a mezzo apposita convenzione, stipulata in data 06 Agosto 1999 tra detto dicastero e quello delle infrastrutture e dei trasporti, l’ Unità Organizzativa del Corpo delle Capitanerie di Porto, composta da 10 elementi tra Ufficiali, Sottufficiali e marinai con l’obiettivo primario di avvalersi da tale personale specializzato per il miglior perseguimento dei fini individuati non soltanto dalle leggi 979/82, 349/86 e 394/91, modificata dalla 426/98 ed istitutiva delle riserve marine protette, ma anche delle convenzioni internazionali ed accordi comunitari. Il secondo, invece, facente capo ad ogni singolo ente periferico del Corpo, individuabile come sede compartimentale – capitaneria di porto, ove sono stati appositamente istituiti i “Nuclei per la Difesa del Mare” (N.O.D.M.), composti da personale in forza a codesti enti. La relativa organizzazione funzionale è disciplinata con apposito ordine di servizio sulla base della circolare 1/1997 in data 31/01/1987 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al cui servizio devono ricondursi tutte le attività svolte da altri nuclei operativi quali il “Nucleo Operativo Intervento Portuale (N.O.I.P.), “Nucleo Operativo Ambiente” (N.O.A.) ed il personale addetto ai controlli sulla pesca, secondo quanto disposto dalla Circolare n° 82/35668/II in data 30/05/2000, del Comando Generale.

In ogni compartimento marittimo, infine, esiste un “Piano Locale di Pronto intervento”, che è attuato dal Capo del Compartimento in caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento, il quale, inoltre, provvede a disporre le misure necessarie per prevenire o eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risulti tecnicamente impossibile eliminarli mettendosi in contatto con il Servizio Difesa Mare del Ministero dell’Ambiente.

CAPITOLO II

1 - Le riserve marine protette: definizione giuridica

Giungere ad una definizione giuridicamente valida di “riserve marine protette”, che rispecchi i reali intendimenti ed orientamenti del legislatore susseguitisi negli anni, non è stato semplice laddove l’intrecciarsi delle diverse leggi ha creato un’inevitabile confusione e sulla cui interpretazione non poche sono state le incertezze. Inequivocabilmente l’art. 25 della Legge 979/82 individua le riserve naturali marine in quegli ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono. L’articolo 2 della Legge 394/91, si preoccupa, invece, di far rientrare tale definizione nell’ambito di una classificazione piuttosto ampia per il settore. Tuttavia, riferendosi all’ambiente marino, risalta la definizione che è propria della legge 979/82 più volte menzionata, distinguendo le fattispecie di luogo di che trattasi non solo dai parchi nazionali e regionali, ma anche dalle aree protette statali e regionali, in quanto i parametri istitutivi e di regolamentazione risultano essere piuttosto differenti sino ad apparire in alcune circostanze, assai remoti. L’iter istitutivo di una riserva marina naturale protetta continua ad essere regolamentato dall’art. 26 della Legge 979/82, sebbene, con la Legge 426/98, sia stata soppressa la “Consulta per la difesa del mare”, trasferendone i relativi compiti alla III^ Divisione della Direzione per la difesa del Mare del Ministero dell’Ambiente, coadiuvata da una “Segreteria Tecnica per le Aree Marine Protette”; quest’ultima composta da personale altamente specializzato. Analizzando attentamente tutta la problematica normativa, è possibile intuire, tra l’altro, come il tutto trovi la sua “conditio sine qua non” di esistenza nel fondamentale principio costituzionale espresso dall’art. 9 della Carta Costituzionale, proprio perché: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutelando il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

2 - La legge istitutiva e successive modificazioni.

Le riserve marine protette oltre ad aver ricevuto un inquadramento giuridico dalle norme prima citate, hanno contemporaneamente acquisito quell’ indispensabile linfa a che vengano alla luce e successivamente siano portate avanti attraverso permanenti e adeguate risorse umane, economiche ed amministrative. Con il dettato sulle disposizioni per la difesa del mare, furono individuate ben 20 aree di reperimento. Successivamente talune furono portate a 46 con la Legge 394/91, quale “Legge quadro sulle aree protette”; tuttavia, allo stato attuale, le riserve marine effettivamente istituite sono 18.

L’iter istitutivo prevede, infatti, che nell’ambito di dette aree, il Ministero dell’Ambiente, coadiuvato dal Servizio Difesa Mare e dalla Segreteria tecnica per le Aree Marine Protette, avvalendosi inoltre di istituti scientifici, laboratori e centri di ricerca, effettui dapprima uno studio che porti ad una dettagliata ed approfondita conoscenza dell’ambiente naturale d’interesse. In un secondo momento, gli esperti della Segreteria tecnica avviano l’istruttoria istitutiva, fermo restando l’acquisizione di essenziali pareri tecnico – economici da parte di enti e comunità locali; talvolta risulta rilevante supportarli con sopralluoghi specificatamente mirati agli scopi da perseguire. Ultimate queste fasi, si provvede ulteriormente all’acquisizione dei pareri della Regione e degli enti locali interessati dall’istituenda area marina protetta al fine di ottenere un concreto ed armonico consenso locale. Non ultima, infine, risulta l’acquisizione del parere della Conferenza Unificata in merito allo schema di Decreto Ministeriale. Ultimata anche quest’ultima fase, il Ministro dell’Ambiente, sentito il Ministro dell’Economia, procede all’effettiva istituzione dell’area marina protetta, autorizzando anche il finanziamento per far fronte alle prime spese attinenti e necessarie all’istituzione, secondo quanto previsto dalle Leggi 394/91 e 93/01. Importante aspetto dell’iter è poi la suddivisione in zone diverse in relazione alle caratteristiche ambientali, in quanto esiste la necessità improcrastinabile di assegnare un differente regime di tutela tenendo conto delle diverse attività presenti. Tali zone sono identificate con A, B e C. La zona A è una zona di riserva integrale, la zona B di riserva generale e la C di riserva parziale. I diversi divieti vengono di volta in volta individuati dal decreto istitutivo, tenendo conto delle realtà locali, con il quale si provvede a stabilire i limiti e le modalità di segnalamento marittimo.

3 - Il ruolo delle Capitanerie di Porto: gestione, vigilanza e controllo.

E’ evidente come queste aree di particolare valore naturalistico richiedano un costante controllo ed un’intensa attività di prevenzione e repressione, adeguatamente supportate da una gestione responsabile che soddisfi appieno, coniugando in maniera equilibrata, sia le aspettative degli utenti del mare che quelle dell’ambiente da tutelare. A tal riguardo, le Capitanerie di Porto – Guardia Costiera -, assolvono essenziali compiti di polizia amministrativa, nella sua accezione più ampia, conferiti non solo dalla legge istitutiva ma anche dal Codice di Procedura Penale e dal Codice della Navigazione. L’art. 19 della legge quadro sulle aree protette, infatti, sancisce che per l’eventuale gestione delle aree marine protette, il Ministero dell’Ambiente si avvale proprio delle competenti Capitanerie di Porto. Tenuto conto, altresì, che per ogni riserva marina la legge prevede una commissione di riserva, nominata con decreto ministeriale, di cui fa parte il Comandante della Capitaneria di Porto interessata, ben si comprende come l’Autorità Marittima sia rappresentativa tanto degli aspetti inerenti la salvaguardia ambientale quanto di quelli legati al traffico marittimo, alle attività di pesca, al diporto ed in genere a quanto connesso con le realtà esistenti in loco. La Commissione di riserva ha un duplice compito ovvero, di affiancare la Capitaneria e l’Ente gestore nella gestione dell’area protetta, formulando proposte e suggerimenti per tutto quanto attiene al funzionamento della riserva stessa, e di fornire il proprio parere in merito alla proposta del regolamento di esecuzione del decreto istitutivo e di organizzazione della riserva, ivi comprese le previsioni relative alle spese di gestione, formulata dalla Capitaneria o dall’ente. Chiaramente, il regolamento sarà sottoposto ad approvazione da parte del Ministro, sentito il parere del Servizio Difesa Mare – Segreteria Tecnica per le aree marine protette.

Il Capo del Compartimento ai sensi dell’articolo 59 del Reg. Cod. Nav., in veste di Capo del Circondario, può emanare delle ordinanze (atti amministrativi aventi forza di legge) ai fini della disciplina organizzativa e gestionale della riserva protetta. Nel periodo che intercorre tra la pubblicazione del decreto istitutivo sulla Gazzetta Ufficiale e l’individuazione dell’Ente gestore, tale provvedimento assume indubbiamente un elevato carattere normativo poiché permette di delineare, seppur temporaneamente, una forma di tutela che comunque risulta essere utile anche se probabilmente incompleta o apparentemente superficiale. Lo strumento che consente al Corpo di intraprendere azioni repressive qualora venissero accertati degli illeciti amministrativi e penali, è costituito dall’art. 30 della legge 979/82 e 394/91. Per le violazioni amministrative è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 103 € ad un massimo di 2582 €, mentre per quelle penali la pena pecuniaria o detentiva variano a seconda della tipologia di reato commesso.

 

 

CAPITOLO III

1 - La riserva marina di Porto Cesareo: genesi storica.

Le prime azioni per l’istituzione della riserva marina di Porto Cesareo furono avviate nel 1966 dal Prof. Pietro Parenzan, direttore e fondatore della Stazione di Biologia Marina di Porto Cesareo, d’intesa con le Università pugliesi, sulla base degli studi naturalistici e biologici condotti in quell’area da decenni. Nel tratto di mare antistante Porto Cesareo, gli studi del Professore, evidenziarono di già la presenza di una ricchissima e diversificata comunità marina di elevato valore biologico che costituì la base per la proposta della istituzione di una “zona di riposo biologico”, formulata nel 1972. La legge 979/82, elencò proprio Porto Cesareo tra le iniziali 20 aeree di reperimento; tuttavia, la sua nascita ufficiale risale al 12/12/1997 allorquando il Ministro dell’Ambiente emanò il decreto ministeriale istitutivo. La superficie marina occupata dall’area è di 17.156 ettari ed è adiacente, per circa 18 Km, alla linea di costa di Porto Cesareo e Nardò, ambedue in provincia di Lecce, nella Regione Puglia, rappresentano pertanto i due Comuni geograficamente interessati all’area marina protetta. Il nome è dato proprio dal Comune di Porto Cesareo, collocato pressoché in posizione centrale rispetto alla riserva, il maggior centro abitato compreso nella fascia costiera pertinente distante 27 Km da Lecce, 52 da Brindisi e 65 Km da Taranto. La Capitaneria di Porto di competenza è Gallipoli, al comando del Capitano di Fregata (CP) Sandro Gallinelli, coadiuvata dall’Ufficio Locale Marittimo di Porto Cesareo.

La costa dell’area è limitata a Nord da Punta Prosciutto e a Sud da Torre dell’Inserraglio; mentre a Nord si presenta bassa e rocciosa con tratti di spiaggia sabbiosa ed a Sud a tratti rocciosi e sabbiosi e qua e là con macchia mediterranea, verso l’interno il terreno si presenta moderatamente alto. Caratteristica della costa sono le torri, manufatti costruiti a suo tempo per l’avvistamento di navi corsare e di pericoli in genere. Partendo da Torre Columena, infatti, situata a Nord, la più alta, prima di giungere a Torre dell’Inserraglio a Sud, invece, si incontrano: Torre Lapillo, Torre Chianca, Torre Cesarea, Torre Squillace e Torre Sant’Isidoro, tutte ben visibili dal mare ed indubbiamente costituenti importanti punti cospicui per la navigazione costiera. Nella zona, inoltre, predominano i venti di Tramontana e di Scirocco che talvolta durano a lungo, soffiando con violenza. Il Libeccio, altresì, che solleva mare violento, può stabilirsi senza alcun segno precursore. A tal proposito, lampeggiamenti verso Nord preannunziano venti da Ovest; venti deboli, invece, accompagnati da cielo chiaro, sono indizio di venti freschi settentrionali. Se al mattino, infine, il vento soffia da Est, il mare ingrossa e quasi certamente si stabilirà lo scirocco.

Il segnalamento dell’intera riserva è assicurato in mare da boe gialle, a terra da pali gialli, i quali segnalano le zone di riserva integrale davanti alla penisola “La Strega” e fra Torre Sant’Isidoro e Torre dell’Inserraglio; piccole boe, infine, sono collocate davanti allo specchio acqueo di Porto Cesareo per segnalare allevamenti di pesci e molluschi. In media, i fondali dell’intera riserva raggiungono i 30 m, pur tuttavia stimandosi attorno ai 50 m circa nella parte più lontana della costa.

2 - Ambienti ed organismi marini.

Caratteristica peculiare di questo tratto del Mar Ionio in cui la riserva è immersa, sono le formazioni di coralligeno abbondante e multicolore, dai quali fu attratto il Prof. Parenzan, che ne evidenziò la biodiversità attraverso l’enumerazione delle specie presenti rilevate dalle catture con la benna e le reti. Anche diversi sommozzatori ne furono attratti talché ne descrissero la grande rigogliosità evidenziandone in particolare la sovrapposizione di alghe, spugne e antozoi, la quale va a costituire scenari marini di inestimabile valore e bellezza, resi ancora più luminescenti quando i raggi del sole penetrano nelle decine di grotte marine presenti nella zona. Pur sembrando la costa piuttosto bassa, i fondali nascondono moltissime grotte marine, resti di un carsismo molto attivo e visibile, sulla terra, con le famose “Spunnulate”. Fino a qualche decennio fa, in esse si nascondeva la foca monaca (Monachus monachus) e non era raro, tra l’altro, che i pescatori trovassero intrappolate nelle reti esemplari di tartaruga della specie “Caretta Caretta”, le cui covate erano protette dalle bellissime spiagge riparate, bianche e fini. Il mare di Porto Cesareo possiede caratteristiche fisico – chimiche tipiche del medio Mediterraneo e l’assenza di fiumi, unitamente alla grande profondità fanno si che l’acqua sia eccezionalmente limpida, anche subito dopo una mareggiata. Ulteriore particolarità è la brezza di mare che fa sentire le sue carezze da mezzogiorno alle cinque del pomeriggio e quella di terra che, invece, avvolge il candido bacio d’amore di due innamorati da mezzanotte alle cinque del mattino. In alcuni tratti di costa serpeggiano antiche saline e paludi collegate con il mare attraverso piccoli canali, alimentate dalle numerose polle d’acqua ivi presenti. In tempi non molto remoti, tali bacini d’acqua salmastra erano peschiere per la cattura e l’allevamento degli “avannotti”. Attualmente sono poco utilizzate e sono ritornate ad essere la sede d’elezione per il rifugio dei piccoli pesci e di molti uccelli predatori. In piena estate fra i bagnanti si aggirano i piccoli delle spigole, dei cefali, delle orate e talvolta delle ombrine (Umbrina cirrosa). Sottocosta, dove il fondo è basso e sabbioso, si trovano le mormore (Lithognatus mormyrus). Nelle fenditure rocciose si muovono numerosissimi saraghi che culminano il loro viaggio incontrandosi con le straordinarie cernie gialle (Epinephelus alexandrinus) e bianche (Epinephelus aeneus). A partire dai 10 – 12 m di profondità fino a 5 miglia dalla costa, dove il mare è limpido, iniziano le praterie della posidonia oceanica, pianta fanerogama marina che, tra fine estate e l’autunno, produce dei singolari fiori e frutti. In queste zone ulteriormente arricchite dall’abbondante microfauna, vivono pesci di pregio, fra i quali la triglia, emblema della cucina di Porto Cesareo.

Mimetizzati tra gli scogli si possono scorgere ancora gli scorfani: nelle acque più basse lo scorfanetto (Scorpaena notata) e lo scorfano nero (Scorpena porcus); in quelle più profonde le due specie di scorfano rosso: lo Scorpena elongata, più piccola e variegata, e la più grande Scorpena scrofa. Sempre qui nuota imperioso il sarago pizzuto (Puntazzo puntazzo), il quale può raggiungere addirittura il peso di 2 Kg e la lunghezza di 50 cm.

3 - Divieti e sanzioni.

Con il Decreto Ministeriale istitutivo l’intera riserva è stata suddivisa in tre aree identificate con le sigle A, B, C. La zona A comprende il tratto di mare antistante la penisola “La Strega” per una distanza di 500 m dalla costa ed il tratto di mare di Sant’Isidoro alla punta corrispondente alla località Casa Giorgella, per una profondità di 500 m circa dalla costa. La zona B, comprende un tratto di mare rettangolare, adiacente la zona A, presso Sant’Isidoro ed un tratto di mare, quasi triangolare, al largo di Punta Prosciutto. La zona C, infine, è costituita dalla restante parte dell’aerea marina protetta, ad esclusione del tratto di mare prospiciente la città e le darsene di Porto Cesareo per lo svolgimento delle attività portuali. I divieti per ogni zona sono specificati nella seguente tabella:

ZONA A

ZONA B

ZONA C