TAR Piemonte Sez. II n. 807 del 5 luglio 2012
Urbanistica.Edificazione di abbaini
L’edificazione di abbaini sul tetto, caratterizzati da rilevanti dimensioni tali da trasformare la struttura preesistente, con conseguente creazione di nuovi spazi interni dapprima non utilizzabili per esigenze abitative, comporta aumento di volumetria ed incide significativamente sulla sagoma dell’edificio
N. 00807/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00231/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 231 del 2011, proposto da:
ROBERTO REIS, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Greppi, Giorgio Razeto, con domicilio eletto presso Antonio Fiore in Torino, corso Alcide De Gasperi, 21;
contro
COMUNE DI VERCELLI, rappresentato e difeso dagli avv. Enrico Inserviente, Ludovico Szego, con domicilio eletto presso Enrico Inserviente in Torino, corso G. Ferraris, 120;
nei confronti di
MARCO REIS, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Faggiano, Mariacristina Sapone, con domicilio eletto presso Marco Faggiano in Torino, via Drovetti, 37;
per l'annullamento
- del permesso di costruire in sanatoria n. 10/0192 del 21 dicembre 2010, conosciuto grazie all'esercizio del diritto di accesso il 13 gennaio 2011, con cui il dirigente del settore preposto ha rilasciato il suddetto permesso in sanatoria, con riferimento all'esecuzione di n. 5 "abbaini";
- di altro atto presupposto, conseguente o connesso, con riferimento, per quanto di ragione al parere della Commissione edilizia n. 1883 del 25 novembre 2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vercelli e di Marco Reis;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2012 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in esame il sig. Roberto Reis ha impugnato il permesso di costruire in sanatoria n. 10/0192 che il Comune di Vercelli ha rilasciato, in data 21 dicembre 2010, al sig. Marco Reis (fratello del ricorrente) e concernente la realizzazione di alcune opere edilizie nell’unità immobiliare di proprietà di quest’ultimo, ubicata in via Paggi n. 45/47, foglio n. 92- mappale n. 953 del catasto.
Le opere oggetto di contestazione consistono in cinque “abbaini” realizzati, a mo’ di innesto (ed in sostituzione di precedenti velux), sul tetto dell’edificio. Sostiene il ricorrente – che è proprietario di un immobile confinante con quello oggetto di modifica, a seguito di divisione ereditaria – che le opere realizzate avrebbero modificato la sagoma, il prospetto, l’altezza, la superficie ed il volume dell’edificio. Nel domandare a questo TAR l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria, previa sua sospensione cautelare, il ricorrente deduce i seguenti vizi di legittimità:
- violazione dell’art. 16 delle norme tecniche d’attuazione (n.t.a.) del Piano regolatore comunale vigente, a norma del quale è imposta, tra gli edifici, la distanza di cinque metri dal confine: nella fattispecie, l’edificazione dei manufatti sarebbe avvenuta “a distanza variabile dal confine compresa tra 1,88 e 3.40 metri secondo il progetto (o tra 1,50 e 3,50 metri secondo la planimetria a base della divisione)”;
- violazione dell’art. 36, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001: il controinteressato, in sede di domanda di sanatoria, non avrebbe pagato il contributo di costruzione nella misura doppia prescritta dalla legge.
2. Si è costituito in giudizio il controinteressato, sig. Marco Reis, depositando documenti e chiedendo il rigetto del gravame. Egli evidenzia, in particolare, che gli abbaini realizzati non consentono di esercitare una veduta dagli stessi (“data la notevole altezza dell’imposta inferiore dei medesimi”) e che essi “sono arretrati rispetto al filo di gronda” sicché non vi sarebbe stato “alcun avanzamento in direzione della proprietà del ricorrente”. Né vi sarebbe stata sopraelevazione “dal momento che l’altezza degli abbaini è inferiore rispetto all’imposta e al colmo del tetto”: così come, tra l’altro, ha anche accertato l’amministrazione comunale nel sopralluogo del 3 novembre 2010 (doc. n. 22). Inoltre non vi sarebbe stato, nella specie, neanche un aumento di superficie calpestabile. Si sarebbe determinato, unicamente, “un modesto aumento di volume dell’edificio, “perfettamente legittimo se si considera che l’intervento edilizio per cui è stato rilasciato il permesso di costruire consiste in una ristrutturazione edilizia”, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c, del d.P.R. n. 380 del 2001. Con riferimento, peraltro, al problema delle distanze, il controinteressato evidenzia che, a mente della disciplina dettata dal d.m. n. 1444 del 1968, nella specie “i due edifici non si fronteggiano e non vi è pericolo di creazione di intercapedini nocive”.
Si è costituito in giudizio, altresì, il Comune di Vercelli, in persona del Sindaco pro tempore, con contestuale deposito di documenti e richiesta di rigetto del gravame. Afferma l’amministrazione che, per un verso, la modificazione della sagoma del tetto non ha costituito, nella specie, una sopraelevazione (posto che essa “non ha determinato lo spostamento verso l’alto della copertura dell’immobile”) e che, per altro verso, l’inserimento dei cinque abbaini “modifica bensì la sagoma del tetto [...] ma senza produrre un apprezzabile incremento del volume dell’edificio”. Trattandosi, comunque, di “vedute” ex art. 905 c.c., la distanza da osservare nei riguardi del fondo del vicino è quella di un metro e mezzo, nella specie pacificamente rispettata.
3. Alla camera di consiglio del 16 marzo 2011, chiamata per la discussione dell’incidente cautelare, il ricorrente ha rinunciato alla domanda di sospensiva.
4. In vista della pubblica udienza di discussione tutte le parti hanno depositato memorie difensive, ribadendo ciascuna le proprie posizioni.
Alla pubblica udienza del 20 giugno 2012, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Il ricorso è fondato.
Coglie nel segno il primo motivo di gravame, mediante il quale il ricorrente ha argomentato il mancato rispetto della distanza minima (metri cinque) che l’art. 16 delle vigenti n.t.a. (in atti) impone per gli interventi, anche di ristrutturazione, che determinino una modifica sostanziale della sagoma dell’edificio.
Va premesso, in rito, che tale motivo risulta sicuramente dedotto nell’atto introduttivo del gravame, laddove è richiamato espressamente l’art. 16 n.t.a. a prescindere dalla qualificazione degli interventi come nuova costruzione o come ristrutturazione. Quanto poi precisato dal ricorrente nelle successive memorie (e cioè che tale art. 16 si applicherebbe, a suo dire, a tutti gli interventi ammessi, e quindi sia alle nuove costruzioni sia alle ristrutturazioni) rientra, pertanto, nell’estensione del motivo quale originariamente formulato. L’eccezione di inammissibilità formulata dall’amministrazione nella memoria depositata il 29 maggio 2012, pertanto, non può essere accolta.
Nel merito si deve osservare, innanzi tutto, che l’edificazione dei cinque “abbaini” sul tetto dell’edificio di proprietà del controinteressato ha determinato un’evidente alterazione della sagoma di esso insieme ad un innegabile avanzamento (nonché innalzamento) della struttura coperta. Sono stati, infatti, ricavati cinque spazi chiusi innestati sulla superficie curva del tetto con altrettante strutture aventi pavimentazione piana, che fuoriescono notevolmente dalla struttura preesistente, con altezza pari a m. 3,20 (cfr. tavola n. 3/5 del progetto: doc. n. 20 del controinteressato) tale da poter essere sfruttata anche per esigenze abitative. Deve, in proposito, richiamarsi la giurisprudenza amministrativa dominante, secondo la quale l’edificazione di abbaini sul tetto, caratterizzati da rilevanti dimensioni tali da trasformare la struttura preesistente, con conseguente creazione di nuovi spazi interni dapprima non utilizzabili per esigenze abitative, comporta aumento di volumetria ed incide significativamente sulla sagoma dell’edificio (cfr. ex multis: TAR Veneto, sez. II, n. 1692 del 2003; Cons. Stato, sez. V, n. 689 del 1996; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 13309 del 2010). Non può avere rilevanza, in proposito, quanto eccepiscono in fatto l’amministrazione resistente e il controinteressato, ossia che le cinque nuove strutture non fuoriescono né rispetto al filo di gronda né rispetto al colmo del tetto: se ciò è vero, è anche vero però che sono state realizzate nuove strutture coperte laddove prima esse non esistevano, ossia previa occupazione di spazi (sia verso l’esterno, sia verso l’alto) prima liberi, con conseguente radicale trasformazione della sagoma del tetto. Le opere così realizzate, pertanto, proprio per effetto della loro rilevanza edilizia, non potevano non considerarsi sottratte all’obbligo generale del rispetto delle distanze: come si precisa in giurisprudenza, infatti, gli aumenti della volumetria o delle superfici occupate, in relazione all’originaria sagoma di ingombro, anche qualora siano definiti come “ristrutturazione”, sono rilevanti ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui, come previste dagli strumenti urbanistici locali (cfr., ad es.: Cassaz. civ., sez. un., n. 21578 del 2011; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 7505 del 2010; TAR Liguria, sez. I, n. 3566 del 2009). L’assunto, del resto, trova conferma anche in quelle pronunce giurisprudenziali (come Cons. Stato, sez. IV, n. 5490 del 2011, invocata dall’amministrazione resistente) che, pur ricordando che gli interventi di ristrutturazione effettuati sopra un manufatto già esistente non impongono il rispetto delle distanze minime, evidenziano però l’inoperatività di tale “principio” allorché risulti essere stata realizzata “un'opera difforme da quella preesistente per sagoma, volume e superficie, anche in termini di ampliamento e sopraelevazione” (così, per l’appunto, Cons. Stato n. 5490 del 2011, cit.), come è avvenuto nel caso oggetto del presente giudizio.
La distanza da rispettare, nella specie, era quella di metri cinque dal confine stabilita dall’art. 16 n.t.a., valido per le “case del tessuto edilizio minore” (tipologia alla quale, in assenza di qualsiasi contestazione sul punto ad opera delle controparti, è da ascrivere l’immobile oggetto della presente causa). Che la nozione di “distanza” fatta propria da tale norma debba essere intesa nel senso di misura esistente tra la linea di confine della proprietà limitrofa ed il “filo di fabbricazione” (come ritenuto dal controinteressato nella memoria da ultimo depositata in data 30 maggio 2012 in base, asseritamente, a quanto dispone l’art. 18 delle n.t.a., peraltro non depositato in giudizio) è, in ogni caso, affermazione irrilevante, posto che il “filo di fabbricazione” deve considerarsi quello che segue l’andamento del perimetro delle pareti della costruzione: se le pareti indietreggiano rispetto al filo più esterno, in quel punto anche il filo deve considerarsi indietreggiato; sicché la realizzazione dei nuovi abbaini ha di certo influito, avanzandolo, anche sul filo di fabbricazione e, con esso, sul regime delle distanze. La conferma di ciò, del resto, si ottiene dall’art. 47, comma 9, del Regolamento edilizio comunale (doc. n. 34 del controinteressato) a norma del quale “La distanza tra edifici si misura lungo una linea tracciata ortogonalmente alla parete finestrata fino ad intersecare la parete dell’edificio frontistante, senza tener conto degli eventuali elementi sporgenti (quali terrazze, logge, aggetti di gronda, ecc.) che non rilevino ai fini della sagoma dell’edificio o che comunque non siano qualificabili come pareti finestrate (pozzi scala, ascensori, ecc.)”: quello che rileva, in base alla norma, sono dunque le “pareti” come punto di partenza della misurazione, e parete è certamente anche quella (dotata di apertura) degli abbaini de quibus.
Né ha alcuna rilevanza la presunta natura giuridica di “vedute” (ai sensi dell’art. 900 c.c.) delle aperture realizzate sugli abbaini, sostenuta dal Comune al fine di invocare l’applicazione della minore distanza (un metro e mezzo) che l’art. 905 c.c. prescrive per le vedute: in disparte la circostanza che tali aperture paiono più correttamente classificarsi come “luci” (in quanto non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino: ciò risulta dall’altezza dell’imposta inferiore dei locali interni, pari a m. 1,63: doc. n. 28 del controinteressato), va in ogni caso rilevato che ciò che conta è, nella specie, l’avvenuta modificazione della sagoma del tetto in partis quibus, con avanzamento della stessa rispetto all’edificio del ricorrente e conseguente incisione, in tali punti, dello spazio che separa i due immobili.
E’ pur vero, in proposito, che la preesistente situazione dei due immobili (separati solo da una distanza, al confine, compresa già tra m. 1,88 e 3,40 secondo i progetti ovvero tra m. 1,50 e 3,50 secondo la planimetria a base della divisione ereditaria) era tale da escludere, in radice, la possibilità di rispettare la distanza di metri cinque prescritta dalle norme urbanistiche. Ma è anche vero che, mediante la realizzazione degli abbaini, la distanza è stata ulteriormente ridotta (in corrispondenza di essi): se, pertanto, doveva mantenersi la distanza preesistente (in quanto, appunto, preesistente alla normativa urbanistica), non poteva però di certo ammettersi un’ulteriore sua riduzione rispetto alla misura minima indicata dalle norme urbanistiche.
Quanto, poi, all’ulteriore circostanza di fatto (evidenziata dal controinteressato) che i due edifici “non si fronteggiano e non vi è pericolo di creazione di intercapedini nocive”, si deve comunque osservare che le distanze tra edifici, anche in relazione a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968, vanno calcolate con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 7731 del 2010 e n. 6909 del 2005).
6. In definitiva, il ricorso è da accogliere con riferimento al primo motivo di gravame e con assorbimento del secondo. Ne segue l’annullamento del permesso di costruire n. 10/0192 che il Comune di Vercelli ha rilasciato, in data 21 dicembre 2010, al sig. Marco Reis, nella parte in cui ha assentito l’edificazione dei cinque abbaini.
In considerazione della natura della presente controversia, nonché della complessità delle questioni di fatto che la hanno determinata, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,
Accoglie
il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il permesso di costruire n. 10/0192 che il Comune di Vercelli ha rilasciato, in data 21 dicembre 2010, al sig. Marco Reis, nella parte in cui ha assentito l’edificazione dei cinque abbaini.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Ofelia Fratamico, Referendario
Antonino Masaracchia, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/07/2012