TAR Campania (NA), Sez. VII, n.2753, del 27 maggio 2013
Urbanistica.Edificazione in zona bianca

E’ legittimo il diniego di permesso di costruire qualora l’intervento edilizio a scopi produttivi ricadente in zona bianca non rispetti sia il limite della densità fondiaria massima di 0,03 mc su metro quadrato, sia il limite di un decimo della superficie coperta rispetto all’area di proprietà del richiedente il titolo edilizio. Il regime in questione, per sua natura transitorio, ha natura di mera salvaguardia in attesa della futura pianificazione; a rigore, è privo del carattere di regolazione urbanistica in quanto solo l’attività pianificatoria può plasmare l’assetto complessivo del territorio: esso dà vita, pertanto, a una situazione peculiare in cui l’immodificabilità parziale dello stato dei luoghi assume la funzione, interinale e cautelare come ogni misura di salvaguardia, di consentire agli enti locali di riesaminare, senza il pregiudizio del fatto compiuto, tutti gli interessi (dei quali sono i portatori istituzionali nella veste di enti esponenziali delle comunità rappresentate), convergenti sul territorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02753/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02579/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2579 del 2011, proposto da: Bianca Maria Sinicropi e Marcella Sinicropi, 
rappresentate e difese dagli avv. Federico M. De Luca Di Melpignano, Lucio De Luca Di Melpignano, con domicilio eletto presso Lucio De Luca Di Melpignano in Napoli, via Cesario Console, 3;

contro

Comune di Piano di Sorrento in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gianvincenzo Esposito, con domicilio eletto presso l’avv. Emilio Paolo Salvia in Napoli, via S. Brigida, n. 79;

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Piano di Sorrento n.2862/2011 con cui è stato annullato in autotutela il permesso di costruire n.24091/2010;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Piano di Sorrento in Persona del Sindaco pro tempore;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2013 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Le ricorrenti , proprietarie di un suolo sito in Piano di Sorrento, alla via Maresca, con istanza in data 15/04/2008 richiedevano un permesso di costruire per la realizzazione di un ostello, il cui progetto riportava il parere favorevole della C.E. e l’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza dei BB.CC.AA. di Napoli in data 28/07/2009, con atto prot. 14607.

2. Con provvedimento n.24091/2010 il Comune rilasciava permesso di costruire in relazione all’intervento de quo.

3. Tuttavia, sulla base della sentenza n. 21del 2011 del Tar Campania, Napoli, sez. II, che con reviverment giurisprudenziale aveva ritenuto che l’art. 9 del D.P.R. 380/01, al di fuori del centro abitato, si interpretasse nel senso che per l’edificazione produttiva sussistesse il duplice limite plano volumetrico (00,03 mc per 1 mq) e fondiario (1/10 dell’area edificabile), il Comune, con il provvedimento n.2862/2011 ha annullato in via di autotutela tale permesso di costruire.

4. Con il presente ricorso, ritualmente notificato e depositato, parte ricorrente ha articolato in due motivi di ricorso le seguenti censure avverso il provvedimento di autotutela:

A) Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 D.P.R. 380/01, dell’art. 4 L.R. Campania n. 17 del 1982, come modificato dall’art. 9 della l. n. 15/2005. Illogicità e manifesta violazione di norme tecniche.

In via prioritaria parte ricorrente deduce che il Comune aveva fatto erronea applicazione del disposto dell’art. 9 D.P.R. 380/01, ritenendo che, al di fuori del centro abitato, per l’edificazione produttiva esistesse tale duplice limite, con un’interpretazione sostanzialmente innovativa rispetto al previgente disposto dell’art. 4 della legge n. 10/77, che, in riferimento all’edificazione a scopi produttivi, introduceva il solo limite fondiario, pari 1/10 dell’area edificabile.

Secondo parte ricorrente la norma di cui all’art. 9 del D.P.R. 380/01 andrebbe invece interpretata in conformità al precedente disposto normativo, tenuto conto della circostanza che l’art. 7 comma 2 della legge n. 50/99 in riferimento alla redazione dei testi unici misti – quale il D.P.R. 380/01 – prescrive “Al riordino delle norme di cui al comma 1 si procede entro il 31 dicembre 2002 mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari. A tale fine ciascun testo unico, aggiornato in base a quanto disposto dalle leggi di semplificazione annuali, comprende le disposizioni contenute in un decreto legislativo e in un regolamento che il Governo emana ai sensi dell'articolo 14 e dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, attenendosi ai seguenti criteri e princìpi direttivi :.. d) ) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo”.

L’interpretazione propugnata, secondo la quale per l’edificazione produttiva al di fuori del centro abitato si applicherebbe il solo limite fondiario, si evincerebbe, nella prospettiva attorea, anche dalla normativa regionale e segnatamente dal disposto dell’art. 4 comma 2 L.R. Campania n. 17 del 1982, come modificata dall’art. 9 della l. n. 15/2005 - legge quest’ultima sopravvenuta rispetto al D.P.R. 380/01 - il quale del pari detta il solo limite fondiario prescrivendo che “Le superfici coperte di complessi produttivi, all'esterno dei centri abitati definiti ai sensi dell'articolo 3, non possono superare un sedicesimo dell'area di proprietà”.

E poiché l’art. 9 D.P.R. 380/01 fa salve le più restrittive disposizioni regionali, secondo parte ricorrente, andava applicata tale ultima normativa, in forza della quale era stato originariamente richiesto ed ottenuto il permesso di costruire, poi annullato con l’atto oggetto dell’odierno gravame.

L’interpretazione per contro fatta propria dal Comune, secondo la difesa attorea, sarebbe pertanto irragionevole, violativa di norme tecniche e del disposto dell’art. 42 Cost - determinando un’espropriazione sostanziale del diritto di proprietà - in quanto i terreni al di fuori dei centri abitati, da adibire ad uso produttivo, sarebbero pressoché inedificabili, tenuto conto del limite plano volumetrico dettato dall’art. 9 D.P.R. 380/01, pari alla densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro e del limite fondiario, pari 1/16 dell’area edificabile, dettato dalla più restrittiva normativa regionale.

B) In via subordinata l’istante ha dedotto l’illegittimità costituzionale di tale norma in relazione all’art. 76 Cost., per violazione del citato disposto della legge delega ovvero dell’art. 7 comma 2 della legge n. 50/99 lett. d), in quanto il Governo doveva limitarsi al solo coordinamento formale delle norme preesistenti, e non ad un riordino sostanziale della disciplina della singola materia.

Ha altresì eccepito l’illegittimità costituzionale alla luce del combinato disposto degli artt. 9, 41 e 42 della Costituzione, deducendo che l’interpretazione della norma de qua, in base alla quale, per gli insediamenti produttivi sia necessario rispettare tanto il limite plano volumetrico (0, 03 mc/mq), quanto il limite fondiario (pari nella prospettazione attorea ad 1/16 della superficie disponibile), significherebbe azzerare lo ius aedificandidel proprietario, in relazione agli interventi a destinazione produttiva; ciò, tenuto conto della circostanza che il legislatore deve trovare un punto di bilanciamento tra gli opposti interessi di tutela del paesaggio, di cui all’art. 9 Cost, della tutela dell’iniziativa economica e della proprietà di cui agli artt. 41 e 42 Cost.

Sotto questo profilo, la disposizione dell’art. 9 comma 1 D.P.R. 380/01 sarebbe viziata anche per irragionevolezza, essendo la tutela perseguita dal legislatore con la norma de qua del tutto sbilanciata in favore della tutela del paesaggio, con sfavore del diritto di iniziativa economica e del diritto di proprietà.

5. Si è costituito il Comune resistente, instando per il rigetto del ricorso.

6. Nelle more della discussione del ricorso le ricorrenti hanno depositato memoria difensiva, con cui hanno ulteriormente illustrato la questione di costituzionalità, e perizia tecnica di parte, al fine di chiarire meglio la prospettata questione di illegittimità costituzionale in relazione all’irragionevolezza del calcolo matematico derivante dall’applicazione del limite planovolumetrico dettato dalla legge statale e di quello fondiario stabilito dalla legge regionale.

7. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 10 gennaio 2013.

DIRITTO

8. L’atto oggetto di impugnativa si fonda sull’interpretazione dell’art. 9 comma 1 D.P.R. 380/01 il quale prescrive che “1. Salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti:

a) gli interventi previsti dalle lettere a), b), e c) del primo comma dell'articolo 3 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse;

b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell'area di proprietà”.

9. Parte ricorrente deduce, con il primo motivo di ricorso, che la norma, in relazione ad interventi a destinazione produttiva, debba essere interpretata nel senso della sola soggezione dell’edificazione al limite fondiario di un decimo rispetto all’area di proprietà e non anche al limite plano volumetrico della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro.

9.1 Deduce che siffatta interpretazione sarebbe confermata dal disposto dell’art. 4 della L.R. n. 17 del 1982, come modificata dall’art. 9 comma 2 L.R. 11 agosto 2005 n.15, il quale del pari detta il solo limite fondiario prescrivendo che “Le superfici coperte di complessi produttivi, all'esterno dei centri abitati definiti ai sensi dell'articolo 3, non possono superare un sedicesimo dell'area di proprietà”.

Poiché peraltro l’art. 9 comma 1 D.P.R. 380/01 fa salve le più restrittive leggi regionali, nella prospettazione attorea, si applicherebbe tale ultimo limite, riferito al solo indice fondiario.

10. L’interpretazione delle istanti non può essere condivisa, contrastando con il chiaro tenore letterale della norma in esame, quale evidenziato dall’utilizzo del verbo “comunque”, a denotare che il limite fondiario si aggiunge al limite plano-volumetrico, come sottolineato nelle sentenza del Consiglio di Stato n. 681/2009, nella quale si è altresì evidenziata l’irrilevanza delle leggi regionali, siano esse precedenti o successive alla entrata in vigore del nuovo testo unico dell’edilizia DPR n. 380/2001.

10.1 Come osservato da questo T.A.R, con la indicata sentenza sez. II, 7/01/2011 n. 21 “La necessità del rispetto anche di tale indice di cubatura deriva dalle seguenti considerazioni.

L’uso del punto e virgola tra il primo e il secondo periodo della disposizione indica, in particolare, che la ipotesi contemplata nella seconda parte (e cioè il caso degli interventi a destinazione produttiva) rinviene una parte della sua regolamentazione nella disciplina contenuta in quella che precede il segno di interpunzione (poiché altrimenti le due frasi sarebbero staccate da un punto).

10.2 In disparte la discutibilità della tecnica normativa utilizzata, è soprattutto l’uso dell’avverbio “comunque” (il cui significato è stato valorizzato dal Giudice di appello, ritenendo che lo stesso va usato soltanto quando mette in relazione e congiunge una proposizione con un’altra, sicchè non va di regola utilizzato in proposizione sospesa), a rivelare come il secondo limite viene stabilito in aggiunta e non in alternativa al primo parametro, restando altrimenti del tutto privo di senso il suo utilizzo.

Deve quindi concludersi che, secondo il generale e prioritario canone ermeneutico dell’interpretazione letterale delle disposizioni normative, l’art. 9 comma 1, lettera b) DPR 380 del 2001, recante la disciplina degli interventi edilizi a destinazione produttiva al di fuori dei centri abitati in caso di assenza di pianificazione urbanistica, non può che essere interpretato nel senso della necessità e concorrenza di entrambi i limiti previsti dalla norma”.

Alla luce di tale opzione ermeneutica il limite statale può essere superato solo da leggi regionali che prevedano limitazioni più restrittive e non già da leggi regionali, se intese come di elusione del doppio limite (in tal senso è anche la circolare della Regione con delibera n.635 del 21.4.2005, secondo cui “il rinvio operato ai limiti di edificabilità previsti dalla legge 17/82 della l.r. 16/2004 va coordinato con le disposizioni di cui all’art. 9 del DPR 380/2001, nel senso che si applicano i limiti sanciti dalla legislazione regionale laddove più restrittivi della legge statale”).

10.3 L’interpretazione fatta propria da questo T.A.R. con la indicata sentenza, sulla cui base il Comune ha adotta l’atto impugnato, deve considerarsi pertanto corretta e conforme all’orientamento seguito dal Giudice d’Appello, secondo cui “è legittimo il diniego di permesso di costruire qualora l’intervento edilizio a scopi produttivi ricadente in zona bianca non rispetti sia il limite della densità fondiaria massima di 0,03 mc su metro quadrato, sia il limite di un decimo della superficie coperta rispetto all’area di proprietà del richiedente il titolo edilizio” (Consiglio Stato, IV, del 12 marzo 2010 n. 1461; Consiglio Stato sez. IV, 5 febbraio 2009, n. 679; Consiglio Stato sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4661; Consiglio Stato, IV, 19.6.2006, n.3658 e Consiglio Stato, IV, 22 giugno 2006, n.3872).

10.4 Il primo motivo di ricorso non può pertanto essere accolto.

10.5 La norma infatti individua –va ribadito– due requisiti generali ed autonomi, aventi contenuto eterogeneo, che devono contestualmente concorrere ai fini del rilascio del titolo edilizio.

“Il regime in questione, per sua natura transitorio, ha natura di mera salvaguardia in attesa della futura pianificazione; a rigore, è privo del carattere di regolazione urbanistica in quanto solo l’attività pianificatoria può plasmare l’assetto complessivo del territorio: esso dà vita, pertanto, a una situazione peculiare in cui l’immodificabilità parziale dello stato dei luoghi assume la funzione – lo si ripete, interinale e cautelare come ogni misura di salvaguardia – di consentire agli enti locali di riesaminare, senza il pregiudizio del fatto compiuto, tutti gli interessi (dei quali sono i portatori istituzionali nella veste di enti esponenziali delle comunità rappresentate), convergenti sul territorio.

La natura eccezionale e transeunte del regime di edificabilità divisato dall’art. 9 cit., esalta il potere dovere delle amministrazioni competenti di procedere tempestivamente alla pianificazione anche dietro diffida del privato interessato; la limitata edificabilità accordata dalla norma, infatti, non esime gli enti preposti dall’obbligo giuridico di colmare la lacuna pianificatoria che determina anche l’applicazione delle norme stesse; anzi, la sfasatura dei procedimenti di rilascio dei titoli edilizi e di quelli pianificatori fa si che, a tutela della proprietà e del diritto di impresa, sia possibile esercitare alternativamente sia la richiesta di sfruttamento delle limitate capacità edificatorie dei lotti, sia quella di nuova pianificazione delle aree interessate.

La norma in esame appresta, dunque, una sorte di valvola di sfogo che concorre a giustificare la previsione, in favore degli enti preposti, di uno spatium deliberandi entro il quale assumere le valutazioni urbanistiche generali.

La doverosa pianificazione non richiede l’iniziativa di parte, essendo riconducibile al novero degli adempimenti officiosi che rispondono prioritariamente al pubblico e generale interesse alla definizione di un razionale ed ordinato assetto del territorio che tenga conto ed assicuri la salvaguardia dei valori culturali, urbanistici, ed ambientali ivi esistenti.

Logici corollari delle su esposte premesse teoriche sono:

a) che l’amministrazione è tenuta, a prescindere dall’impulso di parte privata, ad iniziare il procedimento finalizzato alla riqualificazione dell’area mediante una specifica ed appropriata destinazione urbanistica (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 dicembre 2007, n. 6741; sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5355);

b) che il protrarsi nel tempo di una abnorme situazione di incertezza sulla sorte della utilizzabilità dell’area, può condurre, nel concorso di tutti i presupposti legali, alla configurazione di una violazione dei doveri di correttezza e buona fede con conseguente tutela risarcitoria (cfr. Cass., civ., sez. I, 26 settembre 2003, n. 14333);

c) che l’obbligo di procedere alla nuova pianificazione non sorge, neppure dietro diffida del privato, ove le norme tecniche di attuazione del p.r.g., ab imis, disciplinino espressamente le conseguenze dell’inefficacia dei vincoli, assegnando alle aree interessate una specifica destinazione urbanistica (cfr. Cons. St., sez. IV, 23 settembre 2004, n. 6212).

10.6 L’analisi della ratio della norma si completa, dal punto di vista storico – sistematico, con il rilievo che l’art. 9 si radica nell’art. 4, l. n. 10 del 1977, segnando una restrizione rispetto alla disciplina a suo tempo dettata: i limiti all’edificazione previsti da quest’ultima norma, valevano <<…in mancanza di norme regionali…>>;l’art. 9, invece, fa ora <<…salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali …>>.

Entrambe le formule rimarcano la natura residuale della disciplina nazionale rispetto a quella regionale, con una differenza testuale di grande spessore sistematico e costituzionale: l’art. 9 individua un principio fondamentale della legislazione statale tale da condizionare necessariamente quella regionale a regolare solo in senso più restrittivo l’edificazione, tramite l’imposizione di limiti ulteriori a quelli da esso previsti e ciò anche in relazione alle leggi previgenti, in forza del dettato dell’art. 10 della l. n. 62 del 1953; in tal modo si è voluto evitare che eventuali legislatori regionali, prodighi di facoltà edificatorie, finiscano con il frustrare la ratio della disciplina in commento, compromettendo in modo tendenzialmente irreversibile interessi di rango costituzionale.

Sotto tale angolazione si evidenzia il confluire ineluttabile, nella materia del governo del territorio, delle esigenze di salvaguardia di valori costituzionali assoluti e non comprimibili quali il paesaggio, l’ambiente ed i beni culturali (cfr. da ultimo Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3770; Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367); di questa caratteristica vi è traccia nel più recente dibattito sulla evoluzione della stessa scienza urbanistica, di cui si coglie l’eco nella giurisprudenza che riconosce, nel presupposto della necessità di non consentire la totale consumazione del suolo nazionale, la possibilità che gli strumenti urbanistici non siano sostenuti dalle tradizionali linee guida di espansione demografica o edilizia ma, al contrario, da linee guida esclusivamente rivolte al recupero ed alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2639).

Questo spiega, ed al contempo giustifica, sul piano costituzionale, la valenza di principio fondamentale del precetto in esame” (Consiglio di Stato, sez. IV con sentenza n.1466 del 26 gennaio 2010).

11. Peraltro il Collegio intende ribadire che, se come innanzi già esplicitato, si applicano i limiti sanciti dalla legislazione regionale, se più restrittivi della legge statale, laddove, come nell’ipotesi di specie, la legge regionale preveda solo il limite fondiario – anche se più restrittivo di quelle previsto dalla legislazione statale – e non anche quello planovolumetrico, previsto dall’art. 9 comma 1 D.P.R. 380/01, la legge regionale, complessivamente intesa, non può considerarsi come più restrittiva della legge statale, con la conseguenza che vanno applicate le sole disposizioni della legge statale, non potendosi applicare ibridamente le disposizioni della legge statale per il limite planovolutmetrico e quelle della legge regionale per il limite fondiario.

11.1 Lo si ribadisce per segnalare che la parte ricorrente non ha formulato alcuna censura al riguardo, prospettando anzi un’interpretazione, anche in riferimento all’eccezione di incostituzionalità formulata nel secondo motivo di ricorso, riferita al cumulo del limite planovolumetrico previsto dalla legge statale con quello fondiario previsto dalla legge regionale.

12. Va quindi delibata la questione di costituzionalità formulata con il secondo motivo di ricorso.

12.1 La stessa è palesemente infondata, condividendosi al riguardo le conclusione cui è pervenuto il Consiglio di Stato, sez. IV con la citata sentenza n.1466 del 26 gennaio 2010.

13. In ordine logico è prioritario l’esame della dedotta violazione dell’art. 76 Cost.

Si riporta al riguardo, la norma cha ha formalmente autorizzato il Governo ad emanare il t.u. ed., ovvero l’art. 7 – Testi unici - l. n. 50 del 1999: <<1. Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta, secondo gli indirizzi previamente definiti entro il 30 giugno 1999 dalle Camere sulla base di una relazione presentata dal Governo, il programma di riordino delle norme legislative e regolamentari che disciplinano le fattispecie previste e le materie elencate:

a) nell'articolo 4, comma 4, e nell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni e nelle norme che dispongono la delegificazione della materia ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

b) nelle leggi annuali di semplificazione;

c) nell'allegato 3 della presente legge;

d) nell'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale, in riferimento all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ;

e) nel codice civile, in riferimento all'abrogazione dell'articolo 17 del medesimo codice;

f) nel codice civile, in riferimento alla soppressione del bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata e del bollettino ufficiale delle società cooperative, disposta dall'articolo 29 della legge 7 agosto 1997, n. 266 ;

f-bis) da ogni altra disposizione che preveda la redazione dei testi unici.

2. Al riordino delle norme di cui al comma 1 si procede entro il 31 dicembre 2002 mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari. A tale fine ciascun testo unico, aggiornato in base a quanto disposto dalle leggi di semplificazione annuali, comprende le disposizioni contenute in un decreto legislativo e in un regolamento che il Governo emana ai sensi dell'articolo 14 e dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, attenendosi ai seguenti criteri e princìpi direttivi:

a) delegificazione delle norme di legge concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali, secondo i criteri previsti dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni;

b) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;

c) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;

d) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;

e) esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;

f) esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, che regolano la materia oggetto di delegificazione con espressa indicazione delle stesse in apposito allegato al testo unico;

g) aggiornamento periodico, almeno ogni sette anni dalla data di entrata in vigore di ciascun testo unico;

h) indicazione, per i testi unici concernenti la disciplina della materia universitaria, delle norme applicabili da parte di ciascuna università salvo diversa disposizione statutaria o regolamentare.

3. Dalla data di entrata in vigore di ciascun testo unico sono comunque abrogate le norme che regolano la materia oggetto di delegificazione, non richiamate ai sensi della lettera e) del comma 2>>.

12.1 Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, deve ritenersi, in conformità con quanto al riguardo affermato dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la citata sentenza 1466 del 26 gennaio 2010, che il t.u. ed. non appartenga al genus dei testi unici compilativi meramente ricognitivi.

I testi unici compilativi, come noto, a differenza di quelli che innovando la fonte la attualizzano, costituiscono soltanto una fonte di cognizione (tanto che in caso di contrasto fra le disposizioni in essi contenute e quelle originarie sono queste ultime a prevalere). Nel caso di specie, già sul piano formale, deve negarsi la natura compilativa del t.u. ed. essendo stato esternato da un decreto legislativo (6 giugno 2001, n. 278 recante disposizioni legislative in materia edilizia – testo B –).

Questo dato, unitamente all’individuazione dell’art. 20, l. n. 57 del 1997 quale base normativa implicita della delega – che a sua volta affida al legislatore delegato gli incisivi poteri del riassetto normativo - è stato valorizzato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sent. n. 2 del 7 aprile 2008 per escludere profili di contrasto di una diversa disposizione del t.u. ed. (l’art. 12), con i parametri sanciti dagli artt. 117 e 76 Cost. e dichiarare manifestamente infondati i relativi dubbi di costituzionalità.

Il collegio, non intendendo discostarsi dalle conclusioni raggiunte dall’Adunanza plenaria, si limita a rinviare ad esse.

12.2 Il collegio, rileva inoltre che a non diverse conclusioni si giungerebbe anche analizzando la norma delegante in un’ottica “minimalista”.

L’art. 7 cit., attribuisce al legislatore delegato il potere di effettuare il coordinamento formale delle disposizioni vigenti apportando le modifiche necessarie ad assicurare la coerenza logica e sistematica.

E’ assodato che il coordinamento formale implichi l’accorpamento coerente delle disposizioni vigenti in un unico testo, nel significato risultante dal c.d. diritto vivente, ossia cristallizzando l’interpretazione consolidata delle giurisdizioni superiori (cfr. Cons. St. Ad. Gen. 29 marzo 2001, n. 4/01, parere reso in sede di redazione del testo unico delle espropriazioni).

L’obiettivo di garantire l’armonia logica, e soprattutto sistematica, deve ritenersi che attribuisca, coerentemente, al legislatore delegato il potere di innovare l’ordinamento; a tal fine, ove manchi un autentico diritto vivente, il delegato potrà ricucire le disposizioni vigenti in un trama unitaria, scegliendo, inevitabilmente , fra le diverse soluzioni possibili che si erano affacciate nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale (cfr. Corte cost., 28 gennaio 2005, nn. 52 e 53, rese sul D.P.R. 30 maggio 2003, n. 115 fondato sulla medesima base normativa, ovvero l’art. 7, l. n. 50 cit).

Che è quanto accaduto nella presente fattispecie, dove l’art. 9 cit., ha superato i dubbi ed i contrasti giurisprudenziali in materia di:

a) applicabilità o meno del limite plano volumetrico per gli interventi a destinazione produttiva;

b) ammissibilità di tali interventi all’interno del perimetro dei centri abitati.

In tale ottica deve ritenersi si fosse formato, a suo tempo, un vero e proprio diritto vivente in ordine alla possibilità che l’insediamento produttivo rispettasse il solo limite del dieci per cento della superficie interessata; in realtà si registrano solo due precedenti del Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 11 luglio 2002, n. 3884 e sez. V, 2 luglio 1993, n. 770), a fronte di un vivace dibattito di segno contrario che ha animato la giurisprudenza di merito, la dottrina e la prassi amministrativa.

In tale contesto, giova sottolineare alcune considerazioni generali sul tipo di vaglio che deve essere compiuto dal giudice chiamato a delibare il vizio di eccesso di delega.

La Corte costituzionale sottolinea come la valutazione circa la sussistenza del vizio di eccesso di delega deve essere svolta tenendo conto anche delle finalità ispiratrici della delega, in ciò ritenendo significativi anche gli sviluppi normativi successivi all’emanazione delle disposizioni impugnate: Corte cost. 14 luglio 2006, n. 285.

In relazione alla riserva costituzionale della sfera regionale nelle materia di competenza concorrente, si esclude che l’uso in sé della delegazione leda i parametri individuati dall’art. 76 cit., tranne il caso in cui il legislatore delegato introduca disposizioni di dettaglio ovvero esorbiti dall’oggetto della delega, circostanza questa che non si verifica, sebbene in presenza di una delega <<minimale>>, allorquando si effettui la semplice ricognizione di principi fondamentali già esistenti nell’ordinamento (cfr., Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50; 28 luglio 2004, n. 280).

Orbene, e per concludere sul punto, il t.u. edilizia:

“a) ha riprodotto l’essenza delle disposizioni ante vigenti relative alla disciplina edilizia nelle c.d. “zone bianche”;

b) ha rispettato la natura di principio fondamentale della legislazione statale, in parte qua, accentuando i profili di tutela di alcuni valori costituzionali ritenuti preminenti, in coerenza con l’evoluzione della scienza urbanistica, della legislazione nazionale e del diritto internazionale ivi incluso quello comunitario;

c) ha sciolto i principali dubbi esegetici che si erano affacciati nella prassi, mantenendosi all’interno di quelle erano state le soluzioni prospettate, senza crearne di nuove ed eccentriche” (sentenza Consiglio Stato sez. IV, n. 1466 del 26 gennaio 2010).

13. Manifestamente infondata si rivela anche la questione di costituzionalità sollevata in relazione agli artt. 3, 9, 41, 42 e 97 Cost.

La contestata disciplina, come emerso nella ricostruzione effettuata al punto 10.5, cui si rinvia:

“a) non eradica il diritto di edificare del proprietario, ma lo contiene in limiti rigorosi, individuati dalla legge nell’esercizio della sua ampia discrezionalità che segna il punto di emersione del coordinamento e bilanciamento di molteplici e, a tratti, contrapposti interessi costituzionali;

b) garantisce strumenti e tecniche di tutela per i casi di abnorme inerzia dell’autorità amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV con sentenza n.1466 del 26 gennaio 2010 cit.).

13.1 Né rileva, nell’ottica di irragionevolezza della normativa de qua, censurabile sotto il profilo dell’art. 3 Cost., l’incongruenza del calcolo matematico prospettata con la perizia di parte dalla parte ricorrente, cui porterebbe l’applicazione dei due limiti, in primo luogo in quanto tale calcolo è riferito al cumulo del limite planovolumetrico stabilito dalla legge statale con il limite fondiario stabilito dalla legge regionale, laddove, come detto, nell’ipotesi di specie, non prevedendo la legislazione regionale limiti nel complesso più restrittivi della legge statale, doveva farsi applicazione della sola legge statale e non anche delle legge regionale, ed in secondo luogo in quanto, anche laddove la legge nazionale conducesse del pari ad un calcolo (apparentemente) “irragionevole”, comportante la pressoché inedificabilità del suolo, non potrebbe comunque concludersi nel senso della incostituzionalità della normativa, in considerazione della ratio della medesima e della sua necessaria temporaneità.

14. Il ricorso va dunque rigettato.

15. Nella complessità delle questioni affrontate il collegio ravvisa speciali ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima)

pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2013 e 4 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Pagano, Presidente

Michelangelo Maria Liguori, Consigliere

Diana Caminiti, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)