T.A.R. Veneto, Sez. II n. 86 del 19 maggio 2011
Urbanistica. Distanze legali

L'obbligo di rispettare le distanze legali - previste dagli strumenti urbanistici per le costruzioni legittime non soltanto a tutela dei proprietari frontisti ma anche per finalità di pubblico interesse - deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, sicché in sede di esame delle istanze di sanatoria (i cui effetti sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi) la violazione delle distanze legittimamente ne comporta il diniego con conseguente necessità di disporre e procedere all'abbattimento o alla riduzione a distanza legale della costruzione illegittima.

N. 00861/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01856/2009 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2009, proposto da Rosa Calcabrini, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Mario Sanino e dagli Avv. Carlo Celani ed Enrico Vedova, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, Mestre, Piazza Ferretto, n.68;

contro


il Comune di Cortina D'Ampezzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Maurizio Paniz e Franco Stivanello Gussoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Venezia, Dorsoduro, 3593;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 11827/09 – UT del 22 giugno 2009, recante diniego di permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione di una baracca pertinenziale in legno;

di ogni altro atto annesso, connesso, presupposto ovvero consequenziale, compreso il parere reso dalla Commissione edilizia nella seduta del 10 marzo 2009;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cortina D'Ampezzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2011 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori Vedova per la parte ricorrente e Maraviglia in sostituzione di Stivanello per il Comune intimato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Con ricorso iscritto al n. 1856 del 2009 Rosa Calcabrini – comproprietaria della porzione di un immobile sito nel Comune di Cortina d’Ampezzo, in località Alverà – ha agito in giudizio per l’annullamento del provvedimento, prot. n. 11827/09 – UT del 22 giugno 2009, con il quale l’amministrazione comunale ha rigettato la domanda di permesso di costruire in sanatoria avente ad oggetto un manufatto in legno nonché di ogni altro atto annesso, connesso, presupposto ovvero consequenziale, compreso il parere reso dalla Commissione edilizia nella seduta del 10 marzo 2009.

La difesa della ricorrente rappresenta, in particolare, che il manufatto de quo, adibito a ricovero attrezzi e deposito, insiste da tempo in prossimità dell’unità immobiliare suddetta e che, a seguito della notificazione, in data 19 novembre 2008, dell’ordinanza con la quale l’amministrazione comunale ne ha ingiunto la demolizione, ha presentato, in data 20 gennaio 2009, un’istanza di sanatoria (all. 2 e 3 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

Nello specifico, emerge dalla stessa domanda di sanatoria suddetta, che l’odierna ricorrente ha richiesto la demolizione del manufatto esistente e la ricostruzione della struttura, rappresentando, peraltro, che, con atto depositato in data 14 dicembre 2008 presso il Tribunale di Belluno, sezione staccata di Piave di Cadore, ha agito per “la costituzione, per usucapione, della servitù di distanza del fondo individuato nel mappale n.5498/2 fg. 58 nei confronti del fondo individuato con la particella fondiaria n. 5497/4 fg. 8”.

L’amministrazione comunale ha rigettato, con il provvedimento gravato, la suddetta istanza in quanto, essendo il manufatto “posto a confine della adiacente proprietà non rispetta la distanza prevista dalle NTA di PRG art. 7” nonché in considerazione dell’inammissibilità di una domanda che consenta la sanatoria attraverso la demolizione e successiva ricostruzione delle opere abusive.

Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n.380 del 2001 e della l. n. 47 del 1985, censurato il vizio di eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per difetto assoluto di istruttoria, erronea valutazione dei presupposti di fatto, confusione e perplessità nell’azione amministrativa, illogicità manifesta, sviamento di potere, contraddittorietà e difetto di motivazione. La difesa della ricorrente contesta, nello specifico, i giustificativi alla base del provvedimento gravato, sostenendo che la violazione delle distanze legali tra costruzioni non è preclusiva dell’accoglimento di una domanda di sanatoria, in quanto relativa esclusivamente al profilo privatistico e, peraltro, considerando la proposizione dell’azione innanzi al giudice ordinario per la costituzione, per usucapione, di una servitù di distanza ed il carattere pertinenziale del manufatto. La stessa difesa, inoltre, sostiene la piena ammissibilità di una sanatoria avente ad oggetto la demolizione di un manufatto, peraltro disposta dall’amministrazione comunale, e la successiva ricostruzione, al fine di realizzare un miglioramento sul piano urbanistico, paesistico ed edilizio.

Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, erronea valutazione dei presupposti di fatto, confusione e perplessità nell’azione amministrativa, illogicità manifesta, sviamento di potere, contraddittorietà, difetto di presupposti e di motivazione. Viene lamentata, nello specifico, l’omessa indicazione da parte dell’amministrazione comunale dell’effettiva distanza sussistente tra il manufatto oggetto dell’istanza di sanatoria e l’adiacente proprietà come pure delle tecniche di misurazione utilizzate.

Il Comune di Cortina d’Ampezzo di è costituito in giudizio per resistere al gravame, concludendo per la reiezione del ricorso in quanto infondato.

All’udienza del 6 aprile 2011 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.


DIRITTO


1.Il Collegio ritiene di poter procedere direttamente all’esame del merito, non essendo stata sollevata alcuna eccezione preliminare e non emergendo questioni rilevabili d’ufficio.

2. Il ricorso è infondato.

2.1 Legittimamente l’amministrazione comunale ha rigettato la domanda di sanatoria ponendo a fondamento del provvedimento, in primo luogo, la violazione dell’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G. che disciplina le distanze tra fabbricati.

Il Collegio evidenzia, infatti, che la realizzazione di superfici utili e la creazione di nuovo volume rende significativo e rilevante il contrasto con le distanze dai confini e dai fabbricati previste dalla normativa edilizia comunale (Cassazione civile , sez. II, 28 settembre 2007 , n. 20574).

Al riguardo trova applicazione il principio in base al quale l'obbligo di rispettare le distanze legali - previste dagli strumenti urbanistici per le costruzioni legittime non soltanto a tutela dei proprietari frontisti ma anche per finalità di pubblico interesse - deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, sicché in sede di esame delle istanze di sanatoria (i cui effetti sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi) la violazione delle distanze legittimamente ne comporta il diniego con conseguente necessità di disporre e procedere all'abbattimento o alla riduzione a distanza legale della costruzione illegittima.

Ciò senza considerare che, nella fattispecie oggetto di giudizio, l’opera insiste su area di particolare pregio, sottoposta a vincolo paesaggistico e che, avendo determinato la creazione di superficie utile, è insuscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 167, comma 4 del d. lgs. n. 42 del 2004.

Né rileva, in senso contrario, la pendenza innanzi al giudice civile di un giudizio proposto dalla ricorrente per la costituzione, per usucapione, della servitù di distanza, atteso che l’amministrazione, in assenza di una pronuncia e, dunque, di un atto costitutivo della servitù, ha doverosamente rilevato il contrasto con l’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G., disposizione, peraltro, che non ha costituito oggetto di impugnazione.

Anche a prescindere dalle considerazioni sopra svolte, si osserva che il provvedimento gravato pone a proprio fondamento un ulteriore giustificativo e, cioè, l’inammissibilità di una domanda di sanatoria di opere da demolire e ricostruire.

Il Collegio ritiene opportuno chiarire che, in assenza di una disciplina eccezionale che consenta il condono delle opere abusive, l’unico istituto previsto dall’ordinamento per la sanatoria degli abusi edilizi è quello disciplinato dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 e, cioè, il c.d. accertamento di conformità.

Quanto meno improprio e foriero di confusioni si palesa, dunque, il riferimento all’istituto del condono ed il richiamo agli artt. 31 ss. della l. n. 47 del 1985, contenuto nel ricorso introduttivo e nella memoria della difesa di parte ricorrente del 24 febbraio 2011.

Del tutto correttamente, peraltro, le suddette disposizioni non sono menzionate nell’istanza di sanatoria, la quale, invece, reca un richiamo all’art. 38, comma 3 delle N.T.A., disposizione, questa, che, è bene precisarlo, disciplina non già la sanatoria delle opere accessorie bensì la loro edificazione, prevedendo specifici requisiti e presupposti.

Ciò chiarito, l’istituto al quale fare riferimento per la sanatoria dell’intervento, è l’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.

La suddetta disposizione consente la sanatoria delle opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite in assenza del titolo edilizio, ma conformi, nella sostanza, alla disciplina urbanistica applicabile per l’area sulla quale insistono, secondo il criterio della c.d. doppia conformità.

Dalle lettera e dalla ratio della disposizione in argomento si desume che la sanatoria può essere chiesta per opere chiaramente individuate nei loro aspetti strutturali e funzionali che, per come sono e non per come potrebbero essere a seguito dell’esecuzione di interventi ulteriori, si presentano conformi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione ed al momento della presentazione della domanda. L’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, in altri termini, non può essere invocato per sanare costruzioni abusive in relazione alle quali si richiede l’esecuzione di opere ulteriori non esistenti alla data della presentazione della domanda.

3. Del pari infondato si palesa il secondo motivo di ricorso con il quale la difesa della ricorrente lamenta l’omessa indicazione, nel provvedimento, dell’effettiva distanza sussistente tra il manufatto oggetto dell’istanza di sanatoria e l’adiacente proprietà come pure delle tecniche di misurazione utilizzate.

Si evidenzia che il provvedimento gravato reca un espresso richiamo all’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G., che disciplina le distanze tra fabbricati, ed alla violazione delle distanze con la “adiacente proprietà”.

Nella fattispecie oggetto di giudizio emerge, inoltre, che la problematica era ben nota alla ricorrente, la quale proprio nell’istanza di sanatoria ha dichiarato di aver agito, con atto depositato in data 14 dicembre 2008 presso il Tribunale di Belluno, sezione staccata di Piave di Cadore, per “la costituzione, per usucapione, della servitù di distanza del fondo individuato nel mappale n.5498/2 fg. 58 nei confronti del fondo individuato con la particella fondiaria n. 5497/4 fg. 8”.

In considerazione, dunque, delle peculiarità della fattispecie, il substrato motivazionale alla base del provvedimento gravato è adeguato ed esaustivo.

Il Collegio osserva, infine, che il provvedimento di diniego pone a proprio fondamento due distinte giustificazioni, ciascuna dei quali idonea a sorreggere la determinazione negativa assunta dall’amministrazione, laddove la censura presa in esame si riferisce, comunque, solo alla prima delle motivazioni suddette.

Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Comune di Cortina d’Ampezzo, che sono liquidate in € 2.000,00 per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Brunella Bruno, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/05/2011