Cass. Sez. Sent. 39854 del  1122006 (C.C 17/10/2006 )
Presidente: Papa E. Estensore: Squassoni C. Imputato: P.M. in proc. Cocito.
(Rigetta, Trib. lib. Bari, 8 Giugno 2006)
ACQUE - Tutela dall'inquinamento - Acque reflue da perforazione - Natura di reflui industriali - Scarico in difetto di autorizzazione - Reato di cui all'art. 137 D.Lgs. n. 152 del 2006 - Configurabilità.

I reflui di attività di perforazione, nella specie per la realizzazione di un pozzo artesiano, costituiscono acque reflue industriali, in quanto non provenienti dal metabolismo umano e da attività domestiche, per cui il loro sversamento richiede il preventivo rilascio dell'autorizzazione, in difetto della quale si configura il reato di cui all'art. 59 del D.Lgs. n. 152 del 1999 (ora sostituito dall'art. 137 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 17/10/2006
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 00988
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 020032/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIB. LIBERTÀ di BARI;
nei confronti di:
COGITO BRUNO FORTUNATO, N. IL 26/11/1937;
avverso ORDINANZA del 08/06/2006 TRIB. LIBERTÀ di BARI;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. GERACI Vincenzo annullamento con rinvio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza 8 giugno 2006, il Tribunale di Bari ha accolto la richiesta di riesame di un sequestro preventivo non ravvisando la configurabilità del reato contestato dal Pubblico Ministero (D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59).
In fatto, i Giudici hanno rilevato che l'indagato in zona protetta, munito di autorizzazione per il trivellamento del suolo, effettuava lavori di escavazione per la ricerca di acque finalizzata alla costruzione di un pozzo artesiano; in tale contesto, aveva realizzato una condotta che versava sul suolo i fanghi provenienti dalla perforazione (costituiti da acqua, sostanza schiumosa non inquinante e facilmente biodegradabile, detriti di terreno e roccia). Lo scarico era - secondo il Tribunale - consentito a sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 29, comma 1, lett. d in quanto i fanghi erano costituiti da acqua e inerti naturali e non comportavano danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli. Per l'annullamento della ordinanza, ricorre in Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo violazione di legge. Sostiene che si deve prescindere dalla applicabilità della previsione di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 29 e rilevare come lo scarico sia stato effettuato senza autorizzazione con conseguente configurabilità del reato di cui all'art. 59, comma 1 del menzionale D.Lgs.; il Ricorrente precisa che le acque reflue in questione devono qualificarsi industriali.
Le censure non sono meritevoli di accoglimento anche se sono puntuali le deduzioni relative alla sussumibilità della fattispecie concreta nella contestata ipotesi di reato.
La previsione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 29, comma 1, lett. d costituisce una eccezione al divieto di scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo. La deroga facoltizza tale tipo di scarico che, tuttavia, non sfugge alla regola generale dell'art. 45 comma 1 e necessita di preventiva autorizzazione; la Pubblica amministrazione deve essere posta in grado di valutare se l'attività comporti conseguenze negative, cioè, danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli.
La mancanza del provvedimento autorizzatorio integra una violazione amministrativa, se riferita ad acque reflue domestiche, e configura la fattispecie di reato prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59 se inerente alle acque reflue industriali; tali sono, secondo la definizione normativamente data dall'art. 2, sub h D.Lgs. citato, quelle - diverse dalle acque domestiche e meteoriche di dilavamento - scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o produzione di beni (la attuale normativa, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, non ha mutato i termini della definizione e la problematica in esame).
Ora, nel caso concreto, avendo come referente gli accertamenti fattuali dei Giudici di merito, si deve concludere che i reflui fossero da considerarsi industriali in quanto non provenienti dal metabolismo umano e da attività domestiche; di conseguenza, la mancanza di autorizzazione integra la ipotesi di reato contestata. Tale conclusione non è sufficiente per ritenere la legittimità della misura cautelare reale essendo necessaria l'individuazione di esigenze di cautela che giustificano la ablazione dei beni allo avente diritto.
Su questo tema le deduzioni del ricorrente sono generiche e prive della necessaria concretezza in quanto si limitano ad una parafrasi del testo normativo senza alcun riferimento alla peculiarità del caso in esame; inoltre, dal momento che la attività è sospesa (come risulta dal testo del provvedimento), non si presenta il concreto pericolo che la libera disponibilità dei beni possa prolungare nel tempo ed incrementare in intensità le conseguenze del commesso reato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2006