Cass. Sez. VI sent. 12147 del 19 marzo 2009
Pres. De Roberto Est. Matera Ric. Sodano
Acque. Distribuzione acqua potabile e rfiuto di atti d\'ufficio

Integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma primo, cod. pen., e non l’illecito amministrativo previsto dall’art. 19, comma quarto, del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, che disciplina la materia della distribuzione di acqua potabile in attuazione della direttiva CEE 98/83 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, la condotta inerte del sindaco di un comune il quale, a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute pubblica in relazione all’assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell’acqua erogata per il consumo, ometta di adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti autorità sanitarie, i necessari provvedimenti contingibili ed urgenti volti ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. VI Penale



(Omissis)

FATTO


Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza in data 15-4-2005, con la quale il Tribunale di Agrigento ha dichiarato Sodano Calogero colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv., 328 c.p. (perché, nella qualità di Sindaco del Comune di Agrigento dal 25-11-1993 al 13-3-2001 e di gestore del servizio di acquedotto di detto Comune, essendogli stata comunicata in più occasioni l\'assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell\'acqua erogata per il consumo umano, indebitamente ometteva di adottare i necessari provvedimenti cautelari, contingibili e urgenti proposti dall\'autorità sanitaria per impedire l\'ulteriore erogazione e per adeguare la qualità dell\'acqua in modo di garantire la salute pubblica e prevenire il possibile insorgere di malattie) e, concesse le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Legambiente, da liquidarsi in separata sede. Con la stessa sentenza, l\'imputato è stato condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali sostenute dalla parte civile.

La Corte di Appello, nel motivare la sua decisione, ha dato atto delle carenze strutturali del sistema di erogazione delle acque nel periodo considerato e dell\'inadeguatezza del sistema di clorazione adottato, garantito manualmente mediante l\'opera di un operaio privo di un titolo specifico; e ha ritenuto che la protratta inerzia del Sodano, sia sotto il profilo del mancato esercizio del potere di ordinare la sospensione della distribuzione dell\'acqua, sia sotto il profilo della mancata adozione di misure concrete idonee ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia, ripetutamente sollecitati dalle autorità sanitarie competenti, si traduce in una sostanziale risposta negativa, tale da integrate gli estremi del reato di cui all\'art. 328 comma 1 c.p.

Ricorre il Sodano, a mezzo del suo difensore, lamentando l\'erronea applicazione degli artt. 328 c.p. e 19 d.lgs. 31\\2001 e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, emergente dal testo del provvedimento impugnato. Deduce, in particolare, che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto integrato il reato di rifiuto di atti di ufficio, in quanto la vicenda in esame andava correttamente inquadrata nell\'ambito della normativa speciale dettata, in materia di erogazione delle acque destinate al consumo umano, dal d.lgs. 31\\2001, il quale all\'art. 19 comma 4 considera come mero illecito amministrativo la violazione delle prescrizioni in esso contemplate. Sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata risulta motivata in modo illogico nella parte in cui ha ritenuto integrato il reato di cui all\'art. 328 c.p. con riferimento al primo addebito mosso all\'imputato (il non avere interrotto l\'erogazione dell\'acqua), non avendo la Corte di Appello tenuto conto del fatto che la disposta perizia ha escluso che le acque distribuite per il consumo umano fossero dannose per la salute pubblica e che, pertanto, appariva legittima la scelta del Sindaco di non interrompere la distribuzione dell\'acqua, dato l\'inestimabile danno che sarebbe derivato alla cittadinanza da tale interruzione. Quanto al secondo addebito contestato (il non aver adeguato la qualità dell\'acqua in maniera tale da garantire la salute pubblica e prevenire il possibile insorgere di malattie ed infermità), secondo il ricorrente, la Corte distrettuale non ha tenuto conto del fatto che nessun rimprovero può essere mosso nei confronti al Sindaco in relazione alla mancata installazione di cloratori automatici, come suggerita dagli organi sanitari in sostituzione della clorazione manuale, avendo il Consiglio Comunale, con delibera del 24-8-1998, bocciato l\'emendamento proposto dalla Giunta presieduta dal Sodano per l\'acquisto di tali cloratori.

Il difensore della parte civile Legambiente ha depositato memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.


DIRITTO


2) Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato. La Corte di Appello ha accertato, in punto di fatto:

- che nel periodo di tempo in contestazione le acque della città di Agrigento destinate al consumo umano erano interessate da un grave fenomeno di inquinamento, evidenziato dall\'esito delle analisi condotte dal laboratorio di Igiene e Profilassi sui campioni di acqua settimanalmente prelevati dagli Ispettori di Igiene;
- che i numerosi referti negativi acquisiti agli atti erano accompagnati dal contestuale invito alle competenti autorità comunali a sospendere l\'erogazione idrica e a programmare gli interventi atti ad eliminare gli inconvenienti segnalati, al fine di garantire la potabilità delle acque;
- che il grave fenomeno di inquinamento trovava la sua origine in una carenza strutturale del sistema di erogazione delle acque, a causa sia dell\'eccessiva vetustà e della presenza di rotture nella rete idrica di distribuzione che della discontinuità nella erogazione dell\' acqua;
- che in quel periodo il Comune si avvaleva di un sistema inadeguato di clorazione, garantito manualmente ad opera di un solo operaio, privo di un titolo specifico, il quale in una lettera risalente al 1998, facendo riferimento ad una ispezione dei NAS presso alcuni serbatoi comunali, aveva chiesto la revoca del suo incarico, lamentando "di essere stato lasciato solo senza responsabili sul posto di lavoro che controllassero il mio operato" e rilevando di non potere più "assumere responsabilità superiori alla qualifica rivestita"; richiesta che, tuttavia, era rimasta inevasa;
- che, in un simile quadro di gravi carenze strutturali del servizio idrico e di inadeguatezza del sistema di clorazione, il Sodano, durante gli anni in cui ha rivestito la qualità di Sindaco, a fronte della reiterata trasmissione di referti negativi da parte delle autorità sanitarie, in molti casi accompagnate da esplicite richieste di sospensione della erogazione e di programmazione di interventi atti ad eliminare tali inconvenienti, e delle ripetute segnalazioni da parte dei referenti di igiene pubblica per un più organico intervento risolutivo del problema della qualità delle acque, non ha adottato alcun provvedimento (ad eccezione di cinque limitate occasioni, tutte riferibili ad un ridotto periodo temporale, compreso tra il dicembre 1997 e l\'ottobre 1998).

2) Alla stregua di tali emergenze fattuali, correttamente la Corte di Appello ha ravvisato nella condotta del prevenuto gli estremi integrativi del reato di cui all\'art. 328 comma 1 c.p.

Non par dubbio, infatti, che la protratta inerzia del ricorrente, il quale, a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute pubblica, quale emergeva dalle molteplici segnalazioni trasmessegli, non si è avvalso del potere di ordinare la sospensione della distribuzione dell\'acqua ed ha omesso di adottare le misure idonee ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia, ripetutamente ed espressamente richiestegli dalle competenti autorità sanitarie, si è tradotta in un indebito rifiuto di atti di ufficio che, per ragioni di igiene e sanità, dovevano essere compiuti senza ritardo.

3) Non ha pregio, invero, l\'assunto difensivo, secondo cui, in base al principio di specialità, la condotta omissiva addebitata al prevenuto, da inquadrare nell\'ambito della normativa speciale sull\'erogazione delle acque regolata dal d.lgs. n. 31\\2001, non integrerebbe il reato di rifiuto di atti di ufficio, bensì l\'illecito amministrativo previsto dall\'art. 19 del citato decreto legislativo.

La Corte di Appello ha disatteso tale tesi, rilevando che l’art. 19 comma 4 del d.lgs. 31\\2001 (il quale sanziona "l\'inosservanza delle prescrizione imposte, ai sensi degli articoli 5, comma 3, e 10, commi 1 e 2, con i provvedimenti adottati dalle competenti autorità") è applicabile solo nel caso in cui, essendo state regolarmente avviate le procedure previste dagli artt. 5 comma 3 e 10 commi 1 e 2 del menzionato decreto, il soggetto agente operi in difformità alle prescrizioni imposte con i provvedimenti adottati, e non anche nel caso, ricorrente nella fattispecie in esame, in cui l\'omissione riguardi l\'adozione stessa di detti provvedimenti.

La motivazione resa sul punto, pur essendo sostanzialmente corretta, necessita di ulteriori specificazioni, ai sensi dell\'art. 619 n. 1 c.p.p.
Come è stato evidenziato dal giudice del gravame, il decreto legislativo n. 31\\2001, che disciplina la materia della distribuzione di acqua potabile in attuazione della direttiva CEE 98\\83 CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, stabilisce una serie di rigorosi parametri al fine di garantire la salubrità e la pulizia delle acque, preoccupandosi di fissare una serie di requisiti minimi. Nel caso di superamento di tali parametri, fissati a norma dell\'allegato 1, è previsto che l\'azienda unità sanitaria locale interessata proponga all\' "autorità d\'ambito", e quindi al Sindaco, l\'adozione degli eventuali provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica (analoga previsione, peraltro, era contenuta anche nelle disposizioni anteriormente vigenti, in virtù delle quali erano state trasmesse all\'odierno imputato, nella sua qualità di Sindaco di Agrigento, gli esiti sfavorevoli delle analisi condotte sui campioni di acqua prelevati dai vigili sanitari, con la contestuale richiesta di adozione dei provvedimenti necessari all\'immediato ripristino della qualità delle acque erogate). In particolare, l\'art. 10 comma 2 dispone che "sia che si verifichi, sia che non si verifichi un superamento dei valori di parametro, qualora la fornitura di acque destinate al consumo umano rappresenti un potenziale pericolo per la salute umana, l\'azienda unità sanitaria locale informa l\'autorità d\'ambito, affinché la fornitura sia vietata o sia limitato l\'uso delle acque ovvero siano adottati altri idonei provvedimenti a tutela della salute, tenendo canto dei rischi per la salute umana che sarebbero provocati da un\'interruzione dell\'approvvigionamento o da un uso limitato delle acque destinate al consumo umano".

Ciò posto, appare evidente che l\'art. 19 comma 4, nel sanzionare l\'inosservanza delle prescrizioni imposte con provvedimenti adottati dalle competenti autorità, presuppone concreto esercizio di un\'attività provvedimentale ad opera dell\'autorità a tanto abilitata, e considera come illecito amministrativo la mancata osservanza delle relative prescrizioni da parte dei soggetti tenuti a darvi esecuzione. Esula, al contrario, dall\'ambito di operatività della predetta norma, la condotta del Sindaco (al quale, come rilevato nell\'impugnata sentenza, sia in base alla normativa statale che a quella della Regione Sicilia compete il potere-dovere di adottare provvedimenti decisori di carattere contingibile e urgente in materia di sanità pubblica) il quale, come nel caso in esame, abbia omesso di adottare i provvedimenti necessari per scongiurare potenziali pericoli per la salute umana; condotta che, al contrario, in presenza dei presupposti richiesti dall\'art. 328 comma 1 c.p., può ben concretare gli estremi del reato di rifiuto di atti di ufficio.

4) Risulta altresì destituito di fondamento l\'ulteriore argomento addotto dal ricorrente, secondo cui, avendo il perito escluso che le acque distribuite per il consumo umano fossero pericolose per la salute pubblica, doveva ritenersi pienamente legittima la scelta del Sindaco di non interrompere l\'erogazione delle acque.

Si osserva, al riguardo, che il reato di cui all\'art. 328 comma primo c.p. è un reato di pericolo, che si perfeziona ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile, incidente su beni di valore primario tutelati dall\'ordinamento, indipendentemente dal nocumento che in concreto possa derivarne (Cass. Sez. 6, 19-9-2008 n. 38386; Cass. Sez. 6, 4-7-2006 n. 34066). Appare immune dai denunciati vizi logici e giuridici, pertanto, il giudizio espresso dai giudici di merito, secondo cui la mancanza di una concreta pericolosità delle acque, risultante dall\'accertamento ex post compiuto dal perito, può rilevare esclusivamente ai fini dell\'imputazione di cui all\'art. 444 c.p. (per la quale, infatti, il prevenuto è stato assolto), ma non vale di per sé ad elidere la potenziale pericolosità delle stesse acque, rivelata dai risultati delle analisi all\'epoca compiute, e il conseguente dovere, per le autorità preposte per legge alla tutela della salute pubblica, di intervenire senza ritardo e in modo adeguato onde rimuovere le cause dell\'inquinamento.

Quanto al rilievo svolto dallo stesso ricorrente per sostenere la legittimità della scelta del Sindaco di non interrompere la distribuzione dell\'acqua, in ragione del danno che sarebbe potuto derivare alla popolazione da tale misura, lo stesso, oltre ad introdurre una questione inammissibile in questa sede, in quanto non dedotta con l\'atto di appello, appare frutto di una valutazione postuma di contrapposti interessi, che avrebbe dovuto essere eventualmente esteriorizzata dall\'imputato in atti formali (che non risultano essere stati emessi) all\'epoca dei fatti, onde giustificare la mancata adozione dei provvedimenti cautelativi sollecitati dalle autorità sanitarie.

4) Le deduzioni svolte nell\'ultima parte del ricorso per sostenere la non addebitabilità al Sodano della mancata installazione di cloratori automatici, come suggerita dagli organi sanitari in sostituzione della clorazione manuale, sono inammissibili, risolvendosi nella richiesta di una rivisitazione degli atti e di una diversa valutazione delle risultanze processuali, esulanti dal sindacato di legittimità riservato a questa Corte. E\' appena il caso di segnalare, peraltro, che l\'assunto del ricorrente, secondo cui, all\'epoca dei fatti, la Giunta Municipale presieduta dal Sodano avrebbe proposto un emendamento per l\'acquisto dei cloratori automatici, risulta contraddetto dall\'affermazione, contenuta nell\'atto di appello, secondo cui l\'emendamento in parola era stato proposto da un consigliere di opposizione.

5) Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Lo stesso ricorrente, inoltre, va condannato al rimborso delle spese sostenute nel presente grado dalla costituita parte civile Legambiente.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì il ricorrente a rimborsare alla parte civile Legambiente le spese del grado, che liquida in complessivi euro 2.500,00, di cui 500,00 per spese, oltre IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma il 12/02/2009.

Deposito in Cancelleria il 19/03/2009.