Cass. Sez. III n. 35137 del 10 settembre 2009 (Ud. 18 giu 2009)
Pres. Onorato Est. Lombardi Ric. Tonelli
Acque. Scarico in pubblica fognatura di acque reflue equiparate a quelle domestiche

Mentre l’immissione, secondo la definizione di cui all‘art. 74, comma primo lett. ff), del D. Lgs n. 152/06, come modificato dall’art. 2, comma 5, del D. Lgs n. 4/2008, di acque reflue domestiche in pubblica fognatura senza la prescritta autorizzazione, è punita con sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 133, comma secondo, del D. Lgs n. 152/06, l’immissione di acque reflue industriali è prevista come reato dall’ari. 137, comma primo, del medesimo decreto legislativo. Costituiscono inoltre "acque reflue industriali", ai sensi dell’art. 74, comma 1 lett. h), del D. Lgs n. 152/06, come sostituito dall’art. 2, comma 1, del D. Lgs n 4/2008 "qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento". Tanto premesso, ai sensi dell’art. 101, comma 7 lett. e), del d.Lgs n. 152/06, sono equiparate alle acque reflue domestiche le acque "aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale", sicché l’immissione in pubblica fognatura di tali acque, senza la prescritta autorizzazione, è punita con sanzione amministrativa.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Milano ha affermato la colpevolezza di Tonelli Alessandro e Tonelli Stefano in ordine al reato di cui agli art. 110 c.p. e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152/06, loro ascritto perché, quali soci amministratori della società GEL.TO.DENT, s.n.c., effettuavano lo scarico nelle pubbliche fognature, dopo la decantazione, delle acque di lavorazione della squadra modelli ad acqua, nonché di quelle utilizzate per la rifinitura dei manufatti, nella vaporiera e nel lavabo presenti nell’impianto per la pulizia degli attrezzi, senza la prescritta autorizzazione per essere scaduta quella in loro possesso il 19.10.2005.
Il giudice di merito ha osservato che le acque di cui alla contestazione devono essere qualificate acque reflue industriali, provenendo da un insediamento produttivo, ed ha rigettato la tesi difensiva sostenuta dagli imputati, secondo la quale tali acque dovevano essere assimilate a quelle domestiche, ai sensi del Regolamento Regionale n. 3/2006, con la conseguenza che la carenza della autorizzazione è soggetta a sanzione amministrativa.
Su tale ultimo punto la sentenza, premesso che il reato di cui si tratta ha carattere formale, ha osservato che nella specie risulta sia carente la prova della sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa regionale per assimilare le acque di cui alla contestazione a quelle domestiche, sia carente la prescritta attestazione da parte dei titolari dello scarico nei confronti della pubblica amministrazione, al fine di rendere evidente e verificabile la propria posizione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge.

Motivi della decisione
Con un unico mezzo di annullamento i ricorrenti denunciano la violazione ed errata applicazione dell’art. 137 del D.Lgs. n. 152/06.
Premesso che la definizione di acque reflue industriali si caratterizza,, ai sensi dell’art. 74 lett. h) del D.Lgs. n. 152/06, per la sua connotazione negativa, essendo così definito qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, si osserva che il criterio generale adottato dal legislatore per individuare le acque industriali è quello afferente alla qualità del refluo; che, in applicazione del citato criterio sostanziale, sono individuate dall’art. 101, comma 7, del decreto legislativo alcune tipologie di acque assimilate a quelle domestiche, ai fini della disciplina degli scarichi.
Tra tali tipologia di acque alla lett. e) sono indicate le acque “aventi caratteristiche equivalenti a quelle domestiche e indicate nella normativa regionale.”
Si osserva, quindi, in sintesi, che ai sensi dell’art. 5 del Regolamento della Regione Lombardia 24.3.2006 n. 3, emesso in attuazione dell’art. 52, comma primo lett. A), della legge regionale 12.12.2003 n. 26, sono assimilabili a quelle domestiche, tra le altre, “Le acque che in relazione al tipo di attività da cui derivano e per le quali si realizza un consumo medio giornaliero inferiore a 20 mc. siano ritenute assimilabili senza necessità di accertamenti tecnici dell’autorità competente.” (art. 5, comma 4).
Si osserva, poi, che in tale categoria rientrano le acque provenienti dagli studi odontotecnici con un consumo medio giornaliero di acqua inferiore a 20 mc, i cui titolari, secondo la modulistica predisposta dal Comune, non devono chiedere l’autorizzazione all’immissione in pubblica fognatura, bensì presentare la “Dichiarazione di scarico di acque reflue domestiche e/o dichiarazione di assimilabilità degli scarichi idrici.”
Si deduce, quindi, che alla luce dei citati riferimenti normativi la immissione in pubblica fognatura delle acque reflue provenienti dal laboratorio odontotecnico doveva essere equiparata a quella delle acque domestiche e, pertanto, eventualmente soggetta a sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 133 del D.Lgs. n. 152/06, ma non essere configurata come reato.
Il ricorso non è fondato.
E’ appena il caso di premettere che, mentre “l’immissione”, secondo la definizione di cui all’art. 74, comma primo lett. ff), del D.Lgs. n. 152/06, come modificato dall’art. 2, comma 5, del D.Lgs. n. 4/2008, di acque reflue domestiche in pubblica fognatura, senza la prescritta autorizzazione, è punita con sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 133, comma secondo, del D.Lgs. n. 152/06, l’immissione di acque reflue industriali è prevista come reato dall’art. 137, comma primo, del medesimo decreto legislativo.
Costituiscono inoltre “acque reflue industriali”, ai sensi dell’art. 74, comma 1 lett. h), del D.Lgs. n. 152/06, come sostituito dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 4/2008, “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”.
Tanto premesso, effettivamente, come dedotto dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 101, comma 7 lett. e), del D.Lgs. n. 152/06, sono equiparate alle acque reflue domestiche le acque “aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”, sicché l’immissione in pubblica fognatura dì tali acque, senza la prescritta autorizzazione, è punita con sanzione amministrativa.
Passando all’esame della normativa regionale, deve essere, però, rilevato che l’art. 5, comma 1, del Regolamento della Regione Lombardia n. 3 del 24.3.2006, emesso in attuazione dell’art. 52, comma primo lett. a), della legge della Regione Lombardia 12.12.2003 n. 26, considera acque reflue domestiche, oltre a quelle provenienti da insediamenti residenziali, le acque reflue derivanti dalle attività indicate nell’allegato A.
Ai sensi del citato allegato A sono acque reflue domestiche:
1) Le acque reflue derivanti esclusivamente dal metabolismo umano e dall’attività domestica ovvero da servizi igienici, cucine e/o mense anche se scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni;
2) In quanto derivanti da attività riconducibili per loro natura a quelle domestiche e/o al metabolismo umano, le acque reflue provenienti da:
a) laboratori di parrucchiere, barbiere e istituti di bellezza;
b) lavanderie a secco a ciclo chiuso e stirerie la cui attività sia rivolta direttamente ed esclusivamente all’utenza residenziale;
e) vendita al dettaglio di generi alimentari e altro commercio al dettaglio, anche con annesso laboratorio di produzione finalizzato esclusivamente alla vendita stessa;
d) attività alberghiera e di ristorazione.
Orbene, dall’elencazione che precede si rileva che le acque provenienti da laboratori odontotecnici non sono direttamente equiparate alle acque reflue domestiche.
Ai sensi dell’art. 5, comma 4, del citato Regolamento Regionale n. 3 del 24.3.2006 “L ‘autorità competente, sulla base dell‘esame delle attività da cui derivano le acque reflue, può procedere alla valutazione della assimilazione delle acque stesse, senza necessità di eseguire accertamenti analitici, se le attività presentano sai consumo d’acqua medio giornaliero inferiore a 20 mc.”.
L’equiparazione delle acque derivanti da attività di produzione di beni o comunque non connesse al metabolismo umano alle acque reflue domestiche risulta, pertanto, subordinata alla esistenza di determinate condizioni.
Tali condizioni, secondo la tabella., predisposta dal Comune di Milano congiuntamente con l’ARPA e prodotta in giudizio dagli stessi imputati, devono consistere, con riferimento ai laboratori odontotecnici, dalla attestazione da parte dei titolari dell’attività che il consumo medio giornaliero di acque è inferiore ai 20 mc. e che gli scarichi sono costituiti dalle sole acque di lavaggio di calchi in gesso previa decantazione.
Orbene, è evidente che, in assenza dell’accertamento, sia pure mediante attestazione da parte del titolare del laboratorio odontotecnico, che le acque reflue scaricate rispondano ai requisiti indicati, non può ritenersi verificata la condizione che consente di equiparare dette acque reflue a quelle domestiche.
Correttamente, pertanto la sentenza impugnata ha ravvisato la sussistenza della fattispecie contravvenzionale ascritta agli imputati, in assenza delle condizioni previste dal riportato quadro normativo, che determina la equiparazione delle acque reflue provenienti dai laboratori odontotecnici a quelle domestiche e, cioè, per l’assenza di qualsiasi comportamento positivo, da parte degli interessati, richiesto dalle disposizioni citate al fine di consentire detta equiparazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.