Cass. Sez. III n. 45293 del 25 novembre 2009 (Ud. 21 ott 2009)
Pres. Petti Est. Amoresano Ric. Feriozzi
Acque. Autorizzazione allo scarico (rilascio e rinnovo)

L’autorizzazione allo scarico viene rilasciata soltanto ove vengano rispettati i parametri di cui alla L.152/06. Sono necessari verifiche ed accertamenti tant’è che, in caso di rinnovo, la richiesta deve essere presentata un anno prima per consentire l’effettuazione dei controlli necessari. Non è conseguentemente sufficiente la mera presentazione della richiesta per ritenere che l’autorizzazione debba essere necessariamente rilasciata.

Osserva
1) Con sentenza del 5.5.2008 il Tribunale di Teramo, sez. dist. di Giulianova, in composizione monocratica, condannava Feriozzi Aurelio, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 3.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art 137 comma 1 D.L.vo 3 aprile 2006 per aver, nella qualità di legale rappresentante della società “Sea Feriozzi srl”, effettuato scarichi di acque reflue industriali nella rete fognaria, senza la prescritta autorizzazione.
Rilevava il Tribunale che dagli accertamenti degli agenti del Corpo forestale dello Stato era risultato che le acque che fluivano dal depuratore attraverso un pozzetto erano immesse nella pubblica fogna. Come emerso dal dibattimento ed in particolare dalla testimonianza dell’ing. Cuccodrillo la Sea Feriozzi srl non era autorizzata allo scarico, in quanto la precedente autorizzazione aveva cessato di validità e la ditta medesima non aveva chiesto nei termini prescritti il rinnovo.
Escludeva poi il Tribunale l’invocata buona fede, non potendo essere invocato l’errore di fatto determinato da erronea valutazione di normativa extrapenale, in quanto, in ogni caso, si tratterebbe di norma integratrice del precetto penale (e l’errore sulla stessa quindi non sarebbe scusabile).
2) Proponeva appello il Feriozzi a mezzo del proprio difensore.
Con il primo motivo deduceva il contrasto esistente tra dispositivo e motivazione in ordine allo natura della pena inflitta. Risultando dalla motivazione e peraltro dal decreto penale opposto che veniva irrogata la pena della multa, la sentenza era appellabile.
Con il secondo motivo chiedevo il proscioglimento per motivo di merito con la formula perché il fatto non costituisce reato, denunciando il vizio di motivazione e l’error in procedendo. Il Tribunale aveva fondato la sentenza di condanna sulle sole dichiarazioni del teste ing. Cuccodrillo, senza prendere in considerazione le prospettazioni difensive in ordine alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato e dell’errore sull’elemento normativo extrapenale. L’imputato aveva semplicemente equivocato sul valore e sul significato di autorizzazione contenuto nella norma violata (peraltro introdotta tre mesi prima del fatto). L’autorizzazione in questione costituiva certamente un atto dovuto, in quanto, una volta accertati determinati presupposti di fatto e di diritto, doveva essere rilasciata. Il Feriozzi che osservava tutti gli obblighi relativi alla depurazione delle acque aveva presentato domanda di autorizzazione (il cui rilascio costituiva atto dovuto). L’errore dell’imputato quindi verteva non sulla disciplina della tutela delle acque ma sul procedimento amministrativo per il rilascio dell’autorizzazione (e quindi su un elemento estraneo al contenuto precettivo della norma).
Il Tribunale, inoltre, aveva omesso di valutare la prova documentale prodotta da cui risultava la natura e la piena liceità dello scarico, con violazione quindi dell’art. 125 comma 3 c.p.p. Secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale va escluso il dolo quando l’agente abbia dimostrato di voler osservare le prescrizioni, pur incorrendo in un errore valutativo di un elemento normativo extrapenale della fattispecie.
Lamentava infine l’eccessiva severità della pena.
3) La Corte di Appello, non essendo la sentenza appellabile, trasmetteva gli atti a questa Corte.
4) Il ricorso (così qualificato l’appello) è manifestamente infondato e va quindi dichiarato inammissibile.
4.1) Va premesso che il Tribunale aveva correttamente irrogato la pena dell’ammenda. In tal senso sono univoci sia il dispositivo scritto in calce alla motivazione sia, soprattutto quello (l’unico rilevante in caso di contrasto) letto in udienza “..condanna ad euro 3.000,00 di ammenda..”).
Del resto il reato contestato (art.137 comma 1 D.L.vo 152/2006) prevede la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda.
Era assolutamente evidente, pertanto, che il riferimento alla pena della multa contenuto nella motivazione della sentenza era frutto di un mero errore materiale.
La sentenza quindi, a norma dell’art. 593 comma 3 c.p.p. non era appellabile (“sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda”).
Avendo il Feriozzi proposto appello, nonostante che risultasse chiaramente, come si è visto, che era stata applicata la pena dell’ammenda (così come previsto dalla norma contestato), la Corte di Appello ha trasmesso gli atti a questa Corte.
La “conversione” dell’appello non determina, però, una modificazione per così dire “funzionale” dello stesso, altrimenti si attribuirebbe sostanzialmente alla parte la possibilità di appellare sentenze ritenute dal legislatore inappellabili.
A nulla rileva, ovviamente, la qualificazione data alla impugnazione. L’art. 568 comma V c.p.p. stabilisce, infatti, che l’impugnazione è ammissibile a prescindere da detta qualificazione, per un ovvio principio di conservazione del mezzo di impugnazione impropriamente denominato.
L’erronea qualificazione non comporta la modificazione dei contenuti possibili dell’impugnazione, per cui (nell’ipotesi, come nel caso di specie, di esperibilità solo di ricorso per cassazione) ne va sindacata l’ammissibilità secondo i parametri di cui all’art.606 c.p.p.
4.2) Tanto premesso, va rilevato che, in buona parte, l’impugnazione “risente” del fatto che si intendeva proporre appello avverso la sentenza del Tribunale, a partire dalla richiesta di “proscioglimento per motivo di merito”.
Si lamenta, invero, che il Tribunale abbia fondato la pronuncia di condanna sulla base di parte delle risultanze processuali e che abbia disatteso la tesi difensiva antagonista.
Il sindacato demandato alla Corte di cassazione, però, è limitato all’accertamento dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte quello di una “rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. sez. un .n. 06402 del 2.7.1997).
Il Tribunale, con argomentazioni corrette ed immuni da vizi, ha evidenziato che la “Feriozzi srl” aveva presentato in data 9.1.2004 richiesta di allaccio alla pubblica fognatura e che il 5.5.2005 era stata fatta richiesta dalla Ruzzo Servizi una integrazione documentale che era stata evasa solo in data 3 1.7.2006 (vale a dire successivamente all’accertamento del 4.7.2006) e che l’autorizzazione era stata rilasciata soltanto nell’ottobre 2006.
Pacificamente, quindi, al momento dell’accertamento (la circostanza non è contestata neppure dai ricorrente) la ditta non era munita di autorizzazione.
Ha sottolineato ancora il Tribunale, richiamando la testimonianza dell’ing. Cuccodrillo, che l’autorizzazione viene rilasciata soltanto ove vengano rispettati i parametri di cui alla L. 152/06. Sono necessari verifiche ed accertamenti tant’è che, in caso di rinnovo, la richiesta deve essere presentata un anno prima per consentire l’effettuazione dei controlli necessari. Non è conseguentemente sufficiente la mera presentazione della richiesta per ritenere che l’autorizzazione debba essere necessariamente rilasciata. Lo stesso ricorrente implicitamente riconosce tale assunto, quando afferma che l’Amministrazione è tenuta al rilascio quando accerti “la sussistenza di determinati presupposti di fatto e di diritto”.
Il Feriozzi, del resto, presentando la richiesta di autorizzazione era perfettamente consapevole della necessità della stessa.
Né può parlarsi di norma entrata in vigore solo da tre mesi in quanto anche la precedente normativa prevedeva l’autorizzazione.
E’ palesemente insostenibile, pertanto, invocare la buona fede.
4.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p.