Cass. Sez. III n. 35110 del 19 settembre 2024 (UP 15 mag 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Belardo
Acque.Assimilazione acque reflue industriali alle acque reflue domestiche

In tema di inquinamento idrico, l'assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie

RITENUTO IN FATTO

            1. Il sig. Antonino Belardo ricorre per l’annullamento della sentenza del 26 ottobre 2023 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza dell’8 novembre 2022 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato a da lui impugnata, ha revocato la confisca disposta in primo grado, ha rideterminato la pena in otto mesi di arresto e 1000 euro di ammenda, ha confermato nel resto la condanna per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 124, 137, 256, comma 2, d.lgs. n 152 del 2006, a lui ascritto perché, quale titolare dell’impianto oleario Alfalaval, effettuava senza autorizzazione lo scarico in pubblica fognatura dei reflui provenienti dall’attività produttiva (capo A) e perché, quale proprietario di altro immobile destinato ad uso agricolo, effettuava un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi e non, senza osservare le prescrizioni (capo B). I fatti sono contestati come accertati il 7 novembre 2019. 
                    1.1. Con il primo motivo deduce, con riferimento al reato di cui al capo A, l’erronea applicazione della normativa trattandosi, nel caso di specie, di acque reflue assimilabili alle urbane (acque reflue di vegetazione dei frantoi oleari) il cui versamento nelle fognature è espressamente consentito dall’art. 101, comma 7-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, con conseguente insussistenza del reato. Aggiunge che, anche a ritenere il contrario, le risultanze analitiche del campione di acque di scarico non è utilizzabile perché il campionamento è stato effettuato in violazione delle norme che ne disciplinano le relative modalità in caso di reflui industriali. In ogni caso, prosegue, le acque erano state successivamente analizzate dopo il dissequestro della cisterna confermando che si trattava di acque di vegetazione.
                    1.2. Con il secondo motivo, che riguarda il reato di cui al capo B, lamenta che la condanna si fonda su una semplice presunzione del concetto di “obsoleto” e deduce la mancanza di prova del disuso dei mezzi la cui natura di rifiuto non è stata provata. 

            2. Con memoria del 9 maggio 2024, il ricorrente ha replicato alla richiesta del Procuratore generale di inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

            1. Il ricorso è inammissibile.

            2. Dalla lettura delle sentenze di primo e di secondo grado risulta quanto segue:
                2.1. a seguito di sopralluogo del 7 novembre 2019 personale tecnico dell’ARPA aveva accertato che su di un terreno di proprietà del ricorrente si trovavano, in stato di abbandono: un rimorchio tg. AC41995 contenente sansa derivante da attività olearia e dotato di scivolo utilizzato per caricare la sansa stessa, un nastro trasportatore, una cisterna di grandi dimensioni e altre cinque più piccole, macchinari in disuso adibiti alla lavorazione del calcestruzzo e recanti evidenti segni di ossidazione, due ulteriori rimorchi, uno dei quali privo di targa, due autocarri, di cui uno privo di targa, cinquanta cassonetti dismessi;
                2.2. venivano altresì rilevate tracce di combustione di rifiuti in loco, liquido di colore ambrato e pozzanghere che, secondo gli operanti, indicavano il dilavamento nel terreno di acque di percolo derivanti dalla sansa depositata nel cassone e parzialmente dispersa durante le operazioni di scarico;
                2.3. si accertava, altresì, che il frantoio del ricorrente, in assenza di autorizzazione (espressamente negata dal Comune il 25 ottobre 2019) recapitava le acque reflue di lavorazione direttamente nella pubblica fognatura e senza alcuna depurazione;
                2.4. dalle analisi delle acque prelevate dal pozzetto era emerso il notevole superamento dei valori di concentrazione BOD5(O2) e COD (O2) stabiliti dalla Regione Sicilia per lo scarico in pubblica fognatura;  
                2.5. la situazione di abbandono era stata accertata ancora al 29 marzo 2022. 
    
                3. Sulla base di questi fatti, conformemente valutati in entrambi i gradi di giudizio, il Tribunale e la Corte di appello hanno ritenuto la sussistenza dei reati ascritti al ricorrente.
                    3.1. Questi se ne duole deducendo, quanto al reato di cui al capo A, la natura domestica dei reflui provenienti dal frantoio e recapitati nella pubblica fognatura.
                    3.2. Il rilievo è infondato;
                    3.3. Gli scarichi in pubblica fognatura delle acque reflue di vegetazione dei frantoi sono disciplinati dall’art. 101, comma 7-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, che assimila le acque reflue a quelle domestiche purché si tratti di frantoi che trattano olive provenienti esclusivamente dal territorio regionale e da aziende agricole i cui terreni insistono in aree scoscese o terrazzate ove i metodi di smaltimento tramite fertilizzazione e irrigazione non siano agevolmente praticabili; occorre, altresì, che gli scarichi siano sottoposti a idoneo trattamento che garantisca il rispetto delle norme tecniche, delle prescrizioni regolamentari e dei valori limite adottati dal gestore del servizio idrico integrato in base alle caratteristiche e all'effettiva capacità di trattamento dell'impianto di depurazione e che, in ogni caso, l'ente di governo dell'ambito e il gestore d'ambito non ravvisino criticità nel sistema di depurazione.
                    3.4. Nessuna delle condizioni sopra indicate ricorre nel caso di specie; anzi, al ricorrente era stata espressamente inibita la prosecuzione dell’attività con provvedimento sindacale non esibito ai tecnici dell’ARPA ai quali, in sede di sopralluogo, era stato mostrato un contratto di uso di terreni per lo spandimento dei reflui.
                    3.5. Al riguardo va ribadito che, in tema di inquinamento idrico, l'assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie (Sez. 3, n. 38946 del 28/06/2017, De Giusti, Rv. 270791 - 01; Sez. 3, n. 30678 del 19/05/2022, Salzillo, non mass.; Sez. 3, n. 39351 del 08/09/2021, Aliberti, non mass.).
                    3.6. Il ricorrente invoca l’applicazione dell’art. 2 d.P.R. n. 227 del 2011 che detta i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque che altrimenti tali non sarebbero. Sennonché, tali criteri si applicano a condizione che  a tanto non provveda la legislazione regionale, come del resto già dispone l’art. 101, comma 7, lett. e, d.lgs. n. 152 del 2006.
                    3.7. Orbene, la legge reg. Sicilia 15 maggio 1986, n. 27, ha indicato i limiti di assimilabilità degli scarichi di insediamenti produttivi a quelli di insediamenti civili  (allegato 8) che nel caso di specie risultano ampiamente superati per i parametri BOD5(O2) e COD (O2).
                    3.8. Non vi è stata, dunque, alcuna violazione della normativa, tantomeno si comprende da dove il ricorrente tragga alimento per sostenere che l’attività è stata autorizzata, risultando dalle sentenze di merito l’esatto contrario.
                    3.9. La dedotta violazione del metodo di campionamento (effettuato con modalità istantanea, piuttosto che ai sensi del punto 1.1.2 dell’allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006, che prescrive l’adozione, di norma, di un campionamento medio prelevato nell’arco di tre ore) non determina alcuna conseguenza in termini di utilizzabilità del risultato delle analisi, costituendo principio consolidato (che deve essere ribadito) quello secondo il quale, in tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, né indica un criterio legale di valutazione della prova ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentatività di campioni raccolti secondo metodiche diverse (Sez. 3, n. 36701 del 03/07/2019, Ercolini, Rv. 277158 - 01; Sez. 3, n. 30135 del 05/04/2017, Boschi, Rv. 270325 - 01, secondo cui l’emersione di valori di gran lunga - come nel caso di specie - superiori alla norma può costituire valido criterio di giudizio della attendibilità del risultato; Sez. 3, n. 26437 del 13/04/2016, Copreni, Rv. 267110 - 01; Sez. 3, n. 16054 del 16/03/2011, Catabbi, Rv. 250309 - 01; Sez. 2, n. 29884 del 06/07/2006, Ripamonti, Rv. 234662 - 01).
                    3.10. La mera violazione del metodo di campionamento non può, dunque, essere dedotta quale causa della non rappresentatività del risultato quando, come nel caso in esame, i valori accertati sono notevolmente superiori ai limiti di ammissibilità di qualunque scarico nella pubblica fognatura.

                4. Il secondo motivo costituisce sostanziale riedizione del corrispondente motivo di appello (dal quale mutua le inammissibili deduzioni fattuali) senza alcun vaglio critico delle ragioni della ribadita condanna (che fa riferimento alle stesse affermazioni dell’imputato il quale aveva riferito che gli automezzi erano stati abbandonati da anni a seguito della cessione della precedente attività edile).
                    4.1. Anzi, il ricorrente stesso non specifica nemmeno quale profilo, tra quelli indicati dall’art. 606 cod. proc. pen., vizia la sentenza stessa;
                    4.2. Correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto l’ipotesi del deposito incontrollato dei rifiuti i quali si presentavano ricoperti da vegetazione già all’atto del primo accesso (nel 2019) ed erano visibilmente in stato di abbandono, condizione, quest’ultima, che costituisce apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se non è frutto di travisamento o di ragionamento manifestamente illogico, profili nemmeno dedotti, come detto, dal ricorrente.
                    4.3. Va piuttosto ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784).
                    4.4. Il ricorrente si è sottratto a questo onere non avendo mai dato prova che le cose abbandonate in maniera indiscriminata sul fondo di sua proprietà (e che si presentavano nei modi sopra indicati) fossero attualmente utilizzate o destinate al riutilizzo.
                    4.5. Al riguardo, è stato affermato il principio di diritto (condiviso dal Collegio e che deve essere ribadito) secondo il quale il desiderio di riutilizzo è preso in considerazione dal legislatore solo se si realizza secondo un criterio oggettivo e prevalente di compatibilità ambientale (Sez. 3, n. 7567 del 22/04/1992, Abortivi, Rv. 190923 - 01), non quando è affidato alle intime e insondabili intenzioni dell’agente. 

                    5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 
Così deciso in Roma, il 15/05/2024.