Cass. Sez. III n. 23182 del 30 luglio 2020 (UP 16 giu 2020)
Pres. Izzo Est. Corbo Ric. Lilli
Acque.Scarico dopo la scadenza dell’autorizzazione

In tema di inquinamento delle acque, integra il reato di cui all'art. 137 del d.lgs. n. 152 del 2006, il provvisorio mantenimento in funzione di uno scarico di reflui dopo la scadenza della autorizzazione, se il titolare non ne abbia tempestivamente chiesto il rinnovo almeno un anno prima del decorso del termine di validità, quando non sussistono i presupposti per l'operatività del regime dell'autorizzazione integrata ambientale, previsto dall'art. 9 del d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e che consente di fare istanza di rinnovo fino a sei mesi prima della cessazione di efficacia del titolo abilitativo


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 18 novembre 2019, il Tribunale di Sulmona ha dichiarato la penale responsabilità di Alfio Lilli, per il reato di cui all’art. 137, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, commesso in data 1 dicembre 2014 mediante l’effettuazione di scarico di acque reflue dal distributore di carburanti gestito dalla società di cui egli era legale rappresentante, nonostante l’assenza della necessaria autorizzazione, perché scaduta e non rinnovata, e lo ha condannato alla pena condizionalmente sospesa di 1.500,00 euro di ammenda.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe Alfio Lilli, con atto a firma dell’avvocato Paolo Di Gravio, articolando un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 e 378 cod. pen. e 546, comma 1, lett. l, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato.
Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi compiutamente con le risultanze dell’istruttoria dibattimentale, sia perché ha dato per scontato che lo scarico fosse riferibile alla società amministrata dall’imputato, sia perché non ha considerato che vi era stata la voltura dell’autorizzazione allo scarico e che l’impianto era sostanzialmente in regola.   

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.

2. Prive di specificità sono le censure che contestano l’accertamento sulla riferibilità dello scarico alla società amministrata dal ricorrente.
Invero, queste censure si limitano ad affermare che la sentenza impugnata ha dato per “acquisita” questa circostanza, ma non indicano alcun travisamento della prova, anche solo per omissione, a fronte dell’indicazione delle dichiarazioni testimoniali riportate nel testo della motivazione.

3. Manifestamente infondate sono le censure concernenti l’omessa considerazione dell’avvenuta voltura dello scarico e della sostanziale regolarità dell’impianto.
Secondo il principio più volte affermato e mai contraddetto in giurisprudenza, e che il Collegio condivide, in tema di inquinamento delle acque, integra il reato di cui all'art. 137 del d.lgs. n. 152 del 2006, il provvisorio mantenimento in funzione di uno scarico di reflui dopo la scadenza della autorizzazione, se il titolare non ne abbia tempestivamente chiesto il rinnovo almeno un anno prima del decorso del termine di validità, quando non sussistono i presupposti per l'operatività del regime dell'autorizzazione integrata ambientale, previsto dall'art. 9 del d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e che consente di fare istanza di rinnovo fino a sei mesi prima della cessazione di efficacia del titolo abilitativo (così Sez. 3, n. 19576 del 17/12/2013, dep. 2014, Corvo, Rv. 260079-01, ma anche Sez. 3, n. 16054 del 16/03/2011, Catabbi, Rv. 250308-01).
La sentenza impugnata ha ad oggetto un fatto commesso in data 1 dicembre 2014, concernente lo scarico di acque reflue industriali, ed espone che, secondo gli accertamenti effettuati, l’autorizzazione era scaduta nel 2013 ed avrebbe dovuto essere richiesta dall’imputato già nel 2012. Aggiunge, poi, che un successivo accertamento aveva permesso di constatare il funzionamento dei depuratori, ed osserva che questa circostanza, pur utile all’ottenimento dell’autorizzazione, non elimina la necessità del rilascio del provvedimento.
L’affermazione di responsabilità, anche con riferimento al profilo in questione, risulta correttamente motivata. Da un lato, infatti, gli scarichi di acque reflue industriali erano stati effettuati nel dicembre 2014, sebbene l’autorizzazione fosse scaduta nel 2013 e mai rinnovata, e non fosse stata presentata richiesta di rinnovo. Dall’altro, il funzionamento degli impianti per lo scarico non può di per sé essere dirimente per escludere il fatto di reato o comunque la punibilità della condotta: ed infatti, non solo l’art. 137 d.lgs. n. 152 del 2006 prevede come fatto tipico proprio lo scarico di acque reflue industriali «senza autorizzazione», ma è proprio tale provvedimento a fissare alcune, specifiche, condizioni a cui è subordinata l’effettuazione dello scarico, e, quindi, a costituire un fondamentale parametro per verificarne la regolarità.  

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/06/2020