Cass. Sez. III n. 7229 del 24 febbraio 2016 (Cc 11 nov 2015)
Presidente: Fiale Estensore: Andronio Imputato: Diella
Urbanistica.Demolizioni disposte all'esito del procedimento penale e parere vincolante ex art. 33 comma 4 d.P.R. n. 380 del 2001

In tema di costruzione abusiva, la disposizione di cui all'art. 33, comma quarto, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che prevede la richiesta all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali di un parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria, opera esclusivamente in relazione alle demolizioni disposte in via amministrativa ai sensi della medesima disposizione e non anche alle demolizioni disposte dal giudice all'esito del procedimento penale.



 RITENUTO IN FATTO

1. - Con ordinanza del 14 ottobre 2014, il Tribunale di Trani, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza di sospensione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza dello stesso Tribunale del 13 giugno 2002, in relazione ad abuso edilizio.

2. - Avverso l'ordinanza l'interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, formulando deduzioni che si possono così sintetizzare: 1) mancata considerazione dell'impossibilità di procedere alla demolizione dell'immobile, per gravi problemi di staticità, che risulterebbero da una consulenza tecnica di parte, a fronte delle contrarie conclusioni che sarebbero state raggiunte da un tecnico di un'amministrazione non competente;

2) pendenza della procedura di sanatoria edilizia, che avrebbe di per sè efficacia sospensiva della disposta demolizione; 3) pretesa inosservanza del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 33, comma 4 per la mancata richiesta all'amministrazione competente per la tutela dei beni culturali del parere vincolante circa la restituzione in pristino o l'irrogazione di una sanzione pecuniaria e la mancanza di motivazione sul punto.

In prossimità della camera di consiglio davanti a questa Corte, la difesa ha depositato una memoria con la quale ribadisce l'ultimo motivo di doglianza sopra riportato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è inammissibile.

3.1. - Il primo motivo di doglianza è formulato in modo non specifico ed è, comunque, manifestamente infondato. A fronte di una relazione tecnica di parte con la quale, sulla base di mere indimostrate asserzioni, si nega l'evidenza della situazione in essere, sull'assunto che la sopraelevazione non potrebbe essere abbattuta senza danni all'edificio sottostante, il giudice dell'esecuzione correttamente valorizza, in senso contrario le risultanze dell'accertamento svolto, su incarico dello stesso giudice, dall'Ufficio tecnico comunale. Da tale accertamento emerge inequivocabilmente che non vi è alcun ostacolo alla demolizione, perchè non sussiste continuità strutturale della parte da demolire con le parti preesistenti. E non può assumere rilievo in questa sede la considerazione svolta dalla difesa circa l'incompetenza dell'amministrazione comunale, perchè l'accertamento in questione è stato svolta in quanto richiesto dal giudice, il quale, nell'assegnazione dell'incarico nell'ambito della procedura di incidente di esecuzione, non è vincolato dalle ordinarie regole di ripartizione delle competenze amministrative tra i diversi uffici, le quali riguardano esclusivamente l'attività amministrativa in senso stretto.

3.2. - Il secondo motivò di doglianza è anch'esso manifestamente infondato e genericamente formulato. La difesa non contrasta, infatti, neanche in via di mera prospettazione, l'affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata secondo cui nessuna prova è stata fornita in ordine all'esito della richiesta di sanatoria, nonostante il consistente lasso di tempo trascorso dal deposito della relativa istanza (20 dicembre 2011).

3.3. - Del tutto inconferente è, infine, il richiamo della difesa al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 33, comma 4. Tale disposizione, che si inscrive nel quadro della disciplina del ripristino dello stato dei luoghi imposto in via amministrativa, prevede che: "Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati; compresi nelle zone omogenee A, di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente".

La difesa si limita ad asserire, senza compiutamente richiamare i dati risultanti dagli atti di causa, che l'immobile sarebbe appartenente alla categoria di quelli che, anche se non vincolati, sono compresi nelle zone omogenee A; e, in ogni caso, non considera che il parere vincolante circa la restituzione in pristino cui la disposizione fa riferimento - e che nel caso di specie non sarebbe stato reso - non riguarda le demolizioni disposte dal giudice all'esito del procedimento penale, ma solo quelle disposte in via amministrativa ai sensi dello stesso art. 33.

4. - Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2015.