Cass. Sez. III n. 18385 del 12 maggio 2021 (UP 19 mar 2021)
Pres. Andreazza Est. Semeraro Ric. D’Amico
Acque.Sversamento e reato di scarico senza autorizzazone

In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, non configura il reato di scarico di acque reflue industriali di cui all'art. 137 del D.Lgs. n. 152 del 2006 uno sversamento, non ragionevolmente prevedibile, provocato da negligenza del soggetto agente, non potendo pretendersi, in tale caso, la presentazione da parte di quest'ultimo di una regolare richiesta di autorizzazione.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 24 febbraio 2020 il Tribunale di Sulmona ha condannato Claudio D'Amico alla pena di € 1.500 di ammenda per il reato ex artt. 103, 104, 137 del d.lgs. 152/2006 poiché quale amministratore della Società Borgo Termale del benessere s.r.l. con annessa attività recettiva denominata Acqua Montis, provocò uno sversamento di reflui con ristagno dell’odore nauseante, qualificabile come rifiuti liquidi, provenienti dal sistema fognario e depositatisi sul terreno adiacente agli edifici ricettivi (in Rivisoldoli il 15 agosto 2016).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Dopo aver ricostruito lo svolgimento del processo, con il primo motivo si deduce il vizio di violazione di legge, quanto al rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità degli accertamenti eseguiti sulle acque reflue, che sarebbero nulli perché l’indagato non avrebbe partecipato alle operazioni di prelievo e di analisi dei campioni come previsto dall’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., pur essendo emersi elementi a suo carico prima di procedere al prelievo.
Non sarebbero state rispettate neanche le garanzie relative al campionamento ed alla apertura del campione da analizzare.
Il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare l’inutilizzabilità e prendere atto dell’assenza di prove a carico del ricorrente.
Non si comprenderebbe, poi, come la rottura di una tubazione possa concretizzare il reato contestato, relativo alla realizzazione di scarichi privi di autorizzazione o abusivi.
 Il Tribunale avrebbe in motivazione confermato che la fuoriuscita di liquidi provenisse dalla rottura accidentale di un condotto che proveniva dal ristorante gestito dall’imputato; avrebbe cioè ammesso che si trattò di una perdita, non della realizzazione di uno scarico diretto senza autorizzazione.
L’accidentalità dello sversamento escluderebbe anche il dolo in assenza di intenzionalità.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, in riferimento all’art. 530 comma 2, e 533 cod. proc. pen. Dopo la parte in diritto, anche sulla prova indiziaria, sul principio del ragionevole dubbio, sulla insufficienza probatoria, si rileva che il metodo utilizzato dal Tribunale non sarebbe in linea con i principi della giurisprudenza. La motivazione si fonderebbe su congetture e sarebbe contraddittoria; lo sganciamento accidentale di una conduttura non concretizzerebbe il reato contestato. Non sarebbe stata accertata l’origine dello scarico e la provenienza dalla struttura ricettiva; non sarebbero stati adoperati traccianti ma la responsabilità sarebbe stata ritenuta solo in base alle dichiarazioni della persona offesa. Mancherebbe poi nello scarico la continuità (sez. 3, 50629/2017).
2.3. Con il terzo motivo si deduce l’erroneo apprezzamento delle acquisizioni probatorie e l’erronea applicazione degli artt. 103 e 104 d.lgs. 152/2006.
La riferibilità della condotta al ricorrente sarebbe avvenuta in modo sbrigativo, senza tener conto di quanto emerso in dibattimento, in via presuntiva e senza mettere in evidenza quale sia stato l’apporto causale del ricorrente. L’attribuzione della condotta all’imputato sarebbe avvenuta nonostante la contraddittorietà delle prove.
In atti vi sarebbe la prova che lo scarico sarebbe autorizzato, che lo sversamento durò pochi giorni e solo per lo sganciamento di una tubazione riferibile a terzi. Il ricorrente era ed è titolare di uno scarico di acque reflue industriali per le quali era ed è in possesso di un’autorizzazione a scaricare le stesse (acque nere) in pubblica fognatura rilasciata dalla Saca s.p.a. del 24 gennaio 2014. L’accumulo di reflui non potrebbe essere ricondotto allo scarico perché i reflui sono liquidi e non potrebbero accumularsi.
2.4. Con il quarto motivo si deduce ex art. 606 lett. b) e d) cod. proc. pen. l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

3. Il difensore delle costituite parti civili Luigi Altamura, quale rappresentante legale della Ex Arce Salus srl e Vittorio Altamura, quale rappresentante legale della Oligoterme società a responsabilità limitata semplificata chiede di confermare la sentenza e condannare il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo, relativo all’eccezione di inutilizzabilità, è inammissibile per genericità.
1.1. Sez. 3, n. 9977 del 21/11/2019, dep. 2020, Dichiara, Rv. 278423 – 01, ha affermato il principio per cui la violazione dell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen. non comporta automaticamente l'inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, essendo invece necessario che tale sanzione processuale sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito cui la disposizione citata rimanda.
In motivazione, la Corte ha affermato che nel caso dell'articolo 220 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, alla parte incombe un duplice onere; quello di dimostrare l’incidenza dell’inutilizzabilità sulla decisione e di indicare gli atti che, resisi necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale, siano stati acquisiti nel corso di attività ispettive o di vigilanza senza l'osservanza delle disposizioni del codice di procedura penale.
È stato infatti affermato che la violazione dell'articolo 220 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale non comporta automaticamente l'inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l'inutilizzabilità o la nullità dell'atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l'articolo 220 rimanda (Sez. 3, 6594 del 26/10/2016, dep. 2017, Pelini, Rv. 269299 - 01), con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso con il quale non vengono indicate, né dedotte le violazioni codicistiche che avrebbero prodotto l'eccepita invalidità. Non, dunque, la generica violazione dell'articolo 220 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale può essere dedotta, occorrendo la specifica indicazione della violazione codicistica che avrebbe determinato la nullità o l'inutilizzabilità con riguardo ai singoli atti compiuti dalla polizia giudiziaria.
1.2. Nel ricorso non è avvenuta la specifica indicazione delle norme di legge che sarebbero state violate.

2. Il ricorso è invece fondato quanto ai dedotti vizi di violazione di legge e della motivazione, con assorbimento degli altri motivi.
La sentenza impugnata non ha correttamente applicato l’art. 137 d.lgs. 152/2006 e motivato sulla sussistenza del reato.
2.1. All’imputato è contestato il reato ex art. 137 d.lgs. 152/2006 che punisce «Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1,) chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.
Ai sensi dell’art. 74 lett. h) del d.lgs. 152/2006 sono acque reflue industriali «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento».
Ai sensi della lett. g) sono acque reflue domestiche le «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche».
2.2. Va ribadito il principio per cui (cfr. Sez. 3, n. 5239 del 15/12/2016, dep. 2017, Buja, Rv. 268989 – 01) in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, non configura il reato di scarico di acque reflue industriali di cui all'art. 137 del D.Lgs. n. 152 del 2006 uno sversamento, non ragionevolmente prevedibile, provocato da negligenza del soggetto agente, non potendo pretendersi, in tale caso, la presentazione da parte di quest'ultimo di una regolare richiesta di autorizzazione (in motivazione la Corte ha precisato che una diversa soluzione interpretativa finirebbe con il configurare il reato in termini di mera responsabilità oggettiva).
Ciò in quanto ai sensi dell’art. 74 lett. f) del d.lgs. 152/2006 per scarico si intende «qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 114».
2.3. Orbene, dalla sentenza impugnata non emerge che sia avvenuto uno scarico secondo la definizione data dalla norma, ma la rottura del condotto che portava alla rete fognaria.
2.4. Inoltre, manca del tutto la qualificazione di ciò che sarebbe stato sversato quali acque reflue industriali.
Nella sentenza l’oggetto dello sversamento è definito quale «rifiuti liquidi» o più genericamente «reflui». Né è sufficiente il riferimento alla provenienza dalla condotta fognaria, dovendo la qualificazione dello scarico essere effettuata in termini di certezza, potendo da tale condotta essere riversate anche acque reflue domestiche.

3. Si impone pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio dinanzi al Tribunale di Sulmona, in diversa persona fisica, che si atterrà ai principi di diritto ora enunciati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sulmona, in diversa persona fisica.
Così deciso il 19/03/2021.