Consiglio di Stato, Sez. III, n. 508, del 4 febbraio 2014
Caccia e animali.Legittimità diniego di rinnovo della licenza di porto d’armi ad uso caccia e divieto del suo rilascio per dieci anni per uccellagione
L’intervenuta e pressoché completa assimilazione e/o equiparazione del c.d. patteggiamento ad una pronuncia di condanna, eccettuata la sua inefficacia nei giudizi civili e amministrativi, siccome previsto dall’art. 445, comma 1bis, primo periodo, c.p.p., e fatta salva diversa ed espressa previsione di legge, destituisce di qualsivoglia fondamento la censura relativa alla lamentata violazione dell’art. 32, comma 1, lett. b), della l. 157/1992, poiché tale disposizione deve essere letta alla luce del principio generale, previsto dall’art. 445, comma 1bis, c.p.p. Né può ritenersi che l’art. 32, comma 1, lett. b), della l. 157/1992, prevedendo la sanzione amministrativa accessoria della revoca del porto di fucile e del divieto di rilascio per un periodo di 10 anni, costituisca una deroga a tale generale principio, poiché la sua ratio è proprio quella di evitare che la licenza del porto di fucile per uso di caccia sia rilasciata o mantenuta in favore di soggetti i quali, per effetto di una “condanna” intervenuta in sede penale per il delitto di uccellagione, non diano garanzia di affidabilità nell’uso specifico dell’arma. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00508/2014REG.PROV.COLL.
N. 08925/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 8925 del 2013, proposto da:
Gennaro Bellini, rappresentato e difeso dall’Avv. Enzo Bosio, con domicilio eletto presso l’Avv. Luca Ranalli in Roma, via Garigliano, n. 11;
contro
Questura di Bergamo, in persona del Questore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE II n. 00766/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo della licenza di porto d’armi ad uso caccia e il divieto del suo rilascio per dieci anni
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Questura di Bergamo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2014 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. Diotallevi su delega dell’Avv. Bosio e l’Avvocato dello Stato Saulino;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. Gennaro Bellini presentava istanza alla Questura di Bergamo per il rinnovo della licenza di porto d’armi ad uso caccia di cui era titolare.
2. Il 20.5.2013 veniva notificata al sig. Bellini la comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento di tale istanza.
3. Tali motivi ostativi consistevano, più specificamente, nella sussistenza di una sentenza, emessa il 16.11.2010 dal Tribunale di Genova ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con la quale veniva applicata al sig. Gennaro Bellini la pena dell’ammenda, pari ad € 600,00, per la violazione dell’art. 30, comma 2, lett. e), della l. 157/1992, concernente il c.d. reato di uccellagione.
4. Con provvedimento del 6.6.2013 la Questura di Bergamo decretava il rigetto dell’istanza di rinnovo della licenza di porto d’armi ad uso caccia, presentata dal sig. Bellini, e contestualmente decretava il diniego di rinnovo per dieci anni ai sensi dell’art. 32 della l. 157/1992.
5. L’interessato impugnava quindi il provvedimento della Questura di Bergamo innanzi al T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, deducendo la violazione di legge per omessa istruttoria e l’eccesso di potere per ingiustizia ed illogicità manifesta e violazione di legge (art. 32 della l. 157/1992).
6. Si costituiva nel giudizio di prime cure la Questura di Bergamo, resistente al ricorso.
7. Con la sentenza n. 766 dell’11.9.2013 il T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, respingeva il ricorso, compensando le spese di lite.
8. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato, deducendone l’erroneità per aver essa disatteso le censure relative alla violazione dell’art. 32 della l. 157/1992 e alla omessa istruttoria, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.
9. Si è costituita con mera memoria di stile l’Amministrazione appellata.
10. Nella camera di consiglio del 23.1.2014, fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione, il Collegio, ritenuta la possibilità di decidere il merito della controversia unitamente all’istanza cautelare con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e sentite le parti, che nulla osservavano, ha trattenuto la causa in decisione.
11. L’appello deve essere respinto.
12. Con il primo motivo di censura l’appellante aveva lamentato, nel giudizio di prime cure, la violazione dell’art. 32, comma 1, lett. b), della l. 157/1992, il quale stabilisce che “oltre alle sanzioni penali previste dall’articolo 30, nei confronti di chi riporta sentenza di condanna definitiva o decreto penale di condanna divenuto esecutivo per una delle violazioni di cui al comma 1 dello stesso articolo, l’autorità amministrativa dispone […] B) la revoca della licenza di porto di fucile per uso di caccia ed il divieto di rilascio per un periodo di dieci anni, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere c) ed e), nonché, relativamente ai fatti previsti dallo stesso comma, lettere d) e i), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all’articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale”.
12.1. Ora assume l’appellante, sulla base della sola littera legis, che la vicenda che lo interessa esulerebbe dai limiti di tale fattispecie, perché a suo carico non vi sarebbe né una sentenza di condanna passata in giudicato né un decreto penale di condanna divenuto esecutivo, bensì una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi e per gli effetti dell’art. 444 c.p.p.
12.2. Il c.d. patteggiamento, secondo tale tesi, non sarebbe in alcun modo equiparabile né assimilabile ad una sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio dibattimentale, sicché non potrebbe trarsene la conclusione, fatta propria dall’Amministrazione e condivisa, altresì, dal primo giudice, che la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. sia sufficiente, in sé sola, a giustificare il provvedimento di diniego o di revoca del titolo di polizia per il reato di uccellagione, essendo a tal fine richiesta all’autorità procedente, invece, un’autonoma istruttoria.
12.3. Da tale considerazione discenderebbe, secondo l’appellante, anche la fondatezza del secondo motivo di censura, relativo proprio al vizio di omessa istruttoria, motivo che il T.A.R. bresciano, rilevando che la Questura non si era limitata a prendere atto della sentenza penale, ma aveva anche valutato gli atti di polizia giudiziaria posti a fondamento di tale pronuncia, avrebbe erroneamente disatteso.
13. Ritiene il Collegio che entrambi i motivi di appello non siano meritevoli di accoglimento.
14. La previsione dell’art. 445, comma 1bis, c.p.p. non lascia più dubbio alcuno sul valore che l’ordinamento ormai riconosce, in linea di principio e salve diverse disposizioni di legge, alla sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, c.p.p., stabilendo che tale sentenza è equiparata ad una pronuncia di condanna.
14.1. Proprio l’intervenuta e pressoché completa assimilazione e/o equiparazione del c.d. patteggiamento ad una pronuncia di condanna, eccettuata la sua inefficacia nei giudizi civili e amministrativi, siccome previsto dall’art. 445, comma 1bis, primo periodo, c.p.p., e fatta salva diversa ed espressa previsione di legge, destituisce di qualsivoglia fondamento la censura relativa alla lamentata violazione dell’art. 32, comma 1, lett. b), della l. 157/1992, poiché tale disposizione deve essere letta alla luce del principio generale, previsto dall’art. 445, comma 1bis, c.p.p.
14.2. Né può ritenersi che l’art. 32, comma 1, lett. b), della l. 157/1992, prevedendo la sanzione amministrativa accessoria della revoca del porto di fucile e del divieto di rilascio per un periodo di 10 anni, costituisca una deroga a tale generale principio, poiché la sua ratio è proprio quella di evitare che la licenza del porto di fucile per uso di caccia sia rilasciata o mantenuta in favore di soggetti i quali, per effetto di una “condanna” intervenuta in sede penale per il delitto di uccellagione, non diano garanzia di affidabilità nell’uso specifico dell’arma.
14.3. Ai fini previsti dalla norma in oggetto è dunque indifferente il rito all’esito del quale il giudice penale è pervenuto ad una statuizione condannatoria, rilevando invece proprio la sostanziale natura di condanna che è ormai insita nel patteggiamento, per espressa volontà del legislatore, condanna che ben può e anzi deve l’Amministrazione porre a fondamento di provvedimenti intesi a negare il rilascio del titolo.
14.4. Di qui la conclusione che l’Amministrazione del tutto legittimamente e, anzi, doverosamente abbia rifiutato di rinnovare la licenza di porto d’armi ad uso caccia, di cui era titolare, all’odierno appellante in seguito alla sentenza ex art. 444, comma 2, c.p.p., emessa a suo carico dal Tribunale di Genova.
14.5. Entrambi i motivi di appello, conclusivamente, sono infondati, apparendo doveroso il diniego della licenza, anche in seguito a sentenza emessa ai sensi dell’art. 444, comma 2, c.p.p., e non essendo quindi richiesta all’Amministrazione, diversamente da quanto assume l’appellante, alcuna autonoma valutazione rispetto alla “pronuncia di condanna”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 445, comma 1bis, c.p.p., emessa dal giudice penale anche in sede di c.d. patteggiamento.
14.6. Simile conclusione, preme qui solo aggiungere, si pone in linea con la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio che, proprio in virtù della previsione dell’art. 445, comma 1bis, c.p.p., e anche in relazione ad analoghe fattispecie, ha osservato come le singole normative di settore stabiliscano, a protezione di un preminente interesse pubblico, che chi abbia tenuto determinati comportamenti, penalmente rilevanti, non sia idoneo a conseguire determinate autorizzazioni o concessioni e che, ai fini dell’emissione del conseguente (e vincolato) provvedimento di diniego, sia del tutto indifferente il rito con il quale è stata pronunciata la sentenza penale di condanna (v., in questo senso, Cons. St., sez. III, 27.3.2012, n. 1781).
15. Ne segue che l’impugnata sentenza, la quale bene ha rilevato che l’Amministrazione ha legittimamente fatto, nel caso di specie, riferimento alla pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444, comma 2, c.p.p., per disporre la revoca del porto d’armi, appare immune da censura e meritevole di piena conferma.
16. Le spese del presente grado di giudizio, attesa la delicatezza interpretativa della questione, possono essere interamente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Michele Corradino, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)