Relazioni Penali della Corte di Cassazione n. 1051-2004
REATI CONTRO LA MORALITA\' PUBBLICA E IL BUON COSTUME - CONTRAVVENZIONI - MALTRATTAMENTI DI ANIMALI -
Reato di cui all\'art. 727 cod. pen. - Condotte punibili - Orientamenti di giurisprudenza.
REATI CONTRO LA MORALITA\' PUBBLICA E IL BUON COSTUME - CONTRAVVENZIONI - MALTRATTAMENTI DI ANIMALI -
Reato di cui all\'art. 727 cod. pen. - Condotte punibili - Orientamenti di giurisprudenza.
Testo del Documento
Rel. n. 51/04
Roma, 24 maggio 2004
OGGETTO: 601006 - Reati contro la moralita\' pubblica ed il buon
costume - Reato di cui all\'art. 727 cod. pen. - Maltrattamenti di
animali - Condotte punibili - Orientamenti di giurisprudenza.
RIF. NORM.: Cod. pen. art. 727; legge 11 febbraio 1992 n. 157; legge
22 novembre 1993 n. 473.
.
1. Il reato di maltrattamento di animali
L\'analisi degli orientamenti di giurisprudenza in tema di
maltrattamenti di animali trova oggi quale punto di partenza la
sostituzione del vecchio testo dell\'art. 727 cod. pen., operata con
la legge 22 novembre 1993 n. 473, recante nuove norme contro il
maltrattamento degli animali, che nella sua attuale formulazione
recita:
"Chiunque incrudelisce verso animali senza necessita\' o li sottopone
a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per
le loro caratteristiche, ovvero li adopera in giuochi, spettacoli o
lavori insostenibili per la loro natura, valutata secondo le loro
caratteristiche anche etologiche, o li detiene in condizioni
incompatibili con la loro natura o abbandona animali domestici o che
abbiano acquisito abitudini della cattivita\' e\' punito con l\'ammenda
da euro 1.032 a euro 5.164.
La pena e\' aumentata se il fatto e\' commesso con mezzi
particolarmente dolorosi, quale modalita\' del traffico, del
commercio, del trasporto, dell\'allevamento, della mattazione o di
uno spettacolo di animali, o se causa la morte dell\'animale: in
questi casi la condanna comporta la pubblicazione della sentenza e
la confisca degli animali oggetto del maltrattamento, salvo che
appartengano a persone estranee al reato.
Nel caso di recidiva la condanna comporta l\'interdizione
dall\'esercizio dell\'attivita\' di commercio, di trasporto, di
allevamento, di mattazione o di spettacolo.
Chiunque organizza o partecipa a spettacoli o manifestazioni che
comportino strazio o sevizie per gli animali e\' punito con l\'ammenda
da euro 1.032 a euro 5.164. La condanna comporta la sospensione per
almeno tre mesi della licenza inerente l\'attivita\' commerciale o di
servizio e, in caso di morte degli animali o di recidiva,
l\'interdizione dall\'esercizio dell\'attivita\' svolta.
Qualora i fatti di cui ai commi precedenti siano commessi in
relazione all\'esercizio di scommesse clandestine la pena e\'
aumentata della meta\' e la condanna comporta la sospensione della
licenza di attivita\' commerciale, di trasporto o di allevamento per
almeno dodici mesi."
A seguito di tale modifica l\'art. 727 c.p., originariamente diretto
a salvaguardare soltanto il comune sentimento di pieta\' verso gli
animali, intende tutelare questi ultimi quali autonomi esseri
viventi, dotati di sensibilita psico-fisica e di un sufficiente
grado di reattivita\' agli stimoli del dolore. In proposito la
dottrina ha in piu\' occasioni auspicato un intervento piu\' rigoroso
del legislatore, partendo dalle posizioni di pensiero degli
"animalisti realisti", e ponendo conseguentemente sul tappeto il
problema dei diritti degli animali.
Anche la giurisprudenza, e fra questa quella di legittimita\', ha
sottolineato l\'evoluzione dell\'interpretazione del concetto di
maltrattamento sugli animali.
Da una prima e abbastanza diffusa rappresentazione del concetto di
maltrattamento, come direttamente collegabile all\'offesa al comune
sentimento dell\'uomo, nel senso che il maltrattamento era punibile
nella misura in cui offendeva il sentimento di pieta\' dell\' uomo, la
repressione e\' andata via via evolvendosi. Infatti, a prescindere
dalla reazione umana alla sofferenza dell\'animale, piu\' o meno
accentuata a seconda dell\' ambiente e delle circostanze (vita
ordinaria, feste, sport, caccia, ecc.) in cui essa viene inflitta,
l\'animale e\' considerato come soggetto dotato di sensibilita fisica
e, per cio\' stesso, meritevole di tutela e di protezione, anche con
riguardo alla Dichiarazione universale dei diritti dell\'animale
(Bruxelles, UNESCO, 27 gennaio 1978). Sul punto va altresi\'
ricordata la Convenzione europea sulla protezione degli animali nei
trasporti internazionali (Bonn, 12 luglio 1973), ponendosi cosi\' il
problema dell\'operativita\' delle fonti di diritto internazionale in
materia penale incriminatrice, attraverso il meccanismo degli
elementi normativi della fattispecie.
2. Le varie ipotesi previste dall\'art. 727
Le diverse ipotesi previste dal primo comma del nuovo testo
dell\'art. 727 cod. pen. sono distinte ed autonome, in quanto
prevedono condotte e comportamenti diversi. La conseguenza e\' che
gli elementi materiali essenziali ad una fattispecie non possono
assumersi come necessari anche per le altre ipotesi. In particolare,
l\'ipotesi dell\'incrudelimento verso animali e\' ben distinta, sia per
l\'elemento oggettivo che per quello soggettivo, dall\'ipotesi della
sottoposizione degli animali a strazi o sevizie incompatibili con la
loro natura (Sez. 3, sent. n. 601 del 29/01/1997 - Ud. 01/10/1996 n.
1271- rv. 206817, ric. Dal Pra\'). L\'elemento della sofferenza
fisica, connaturato all\'ipotesi di incrudelimento e sevizie, non e\'
necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare quella
di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli
animali. L\'elemento della incompatibilita\' naturalistica della
detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, cosi\'
ottemperando al principio di legalita\' di cui all\'art. 25, comma 2,
Cost. (Sez. 3, sent. n. 1353 del 05/02/1998 -Ud. 19/11/1997 n. 2982
- rv. 209795, ric. Losi).
Non diversamente da quanto accadeva alla stregua del precedente
testo dell\'art. 727 cod. pen., anche secondo la nuova formulazione,
ai fini della sussistenza dell\'elemento materiale dell\'ipotesi di
incrudelimento verso animali, la giurisprudenza ha ritenuto
necessari atti concreti di crudelta\', ossia l\'inflizione di gravi
sofferenze fisiche senza giustificato motivo. E\' appunto la mancanza
di motivi che distingue l\'incrudelimento dalla sottoposizione a
strazio o sevizie, essendo la crudelta\' di per se\' caratterizzata
dall\'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di un motivo
abietto o futile. Rientrano, quindi, nella fattispecie le condotte
che si rivelino espressione di crudelta\' intesa come espressione di
particolare compiacimento o di insensibilita\' (Sez. 3, sent. n. 9668
del 29/07/1999 - Ud. 10/06/1999 n. 2181 - rv. 214082, ric. Borriero).
Del resto, proprio per questa ragione, il precedente testo dell\'art.
727 cod. pen. nell\'ipotesi di crudelta\' verso gli animali, a
differenza della loro sottoposizione ad eccessive fatiche o torture,
non poneva la riserva della necessita\', perche\' l\'incrudelimento
presuppone concettualmente l\'assenza di qualsiasi giustificabile
motivo da parte dell\'agente: la crudelta\' e\' di per se\'
caratterizzata dall\'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di
un motivo abietto o futile; inoltre, e\' pacifico che nell\'ipotesi
dell\'incrudelimento l\'elemento soggettivo consiste nel dolo, cioe\'
nella libera e cosciente volontarieta\' del fatto di incrudelire
verso animali (Sez. 3, sent. n. 601 del 29/01/1997 - Ud. 01/10/1996
n. 1271 - rv. 206818, ric. Dal Pra\').
Sul punto va da ultimo sottolineato come, mentre nella citata
decisione Dal Pra\' si era sostenuto che le crudelta\' non potessero
che essere fisiche, in una successiva pronuncia (Sez. 3, sent. n.
1215 del 29/01/1999 - Ud. 21/12/1998 n. 3914 - rv. 212833, ric.
Crispolti), dopo avere ribadito che la condotta di incrudelimento va
intesa nel senso della volontaria inflizione di sofferenze, anche
per insensibilita\' dell\'agente, e che non e\' richiesto un preciso
scopo di infierire sull\'animale, si e\' precisato che determinare
sofferenza non comporta necessariamente che si cagioni una lesione
all\'integrita\' fisica, potendo la sofferenza consistere in soli
patimenti (nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il reato
nell\'aver tenuto legato un cane ad una catena corta e senza alcun
riparo).
3. La casistica
Alcune decisioni si rivelano interessanti in quanto si riferiscono
ad ipotesi "classiche" nella letteratura relativa al maltrattamento
di animali.
La Corte ha ritenuto che il reato di cui all\'art. 727 cod. pen. sia
configurabile quando, accolto un animale presso di se\', il soggetto
non si curi piu\' del medesimo, mantenendolo in condizioni
assolutamente incompatibili con la sua natura - nella specie
consentendo che zecche e pulci infestassero il corpo del cane-
ovvero in stato di sostanziale abbandono - cosi\' causandone la
denutrizione (Sez. 5, sent. n. 9556 del 28/08/1998 - Ud. 13/08/1998
n. 1446 - rv. 212142, ric. Biffi).
In altra occasione si e\' ritenuto integrare il reato il
comportamento di chi lasci il proprio cane in auto, sia pure
parcheggiata in zona d\'ombra e con i finestrini leggermente aperti,
in periodo estivo, cosi\' da determinare la morte dell\'animale per
eccessivo calore (Sez. 3, sent. n. 9905 del 04/08/1999 - Ud.
24/06/1999 n. 2451 - rv. 214341, ric. Patalano).
E\' stato inoltre affermato (Sez. 3, sent. n. 11056 del 27/10/2000 -
Ud. 10/07/2000 n. 2800 - rv. 217583, ric. Concu) come costituisca
forma di maltrattamento idoneo a configurare l\'ipotesi di reato di
cui all\'art. 727 c.p. l\'abbandono durante il periodo estivo di un
animale, atteso che la norma tutela gli animali in quanto autonomi
esseri viventi, dotati di propria sensibilita\' psico-fisica, e come
tali capaci di avvertire il dolore causato dalla mancanza di
attenzione ed amore legato all\'abbandono (nella specie, la Corte ha
ravvisato il reato nell\'abbandono nel giardinetto di proprieta\'
degli imputati, di due gattini in tenera eta\', deceduti per inedia).
3.1. Uso di richiami vivi nell\'esercizio della caccia
Un\'ulteriore tematica riguarda i rapporti tra la disposizione
contenuta nell\'art. 21 della l. 157/1992 sulla protezione della
fauna selvatico omeoterma, che vieta nel suo primo comma alla lett.
r) l\'uso "a fini di richiamo", di "uccelli vivi accecati o mutilati
ovvero legati per le ali", e l\'art. 727 c.p. nella sua nuova
formulazione introdotta dall\'art. 1 della l. 473/1993.
Nella giurisprudenza di merito, in epoca immediatamente successiva
alla modifica legislativa del 1993, sul punto erano presenti
differenti opzioni interpretative. Da un lato il Pretore di Bassano,
19 luglio 1995 (in Diritto e giurisprudenza agraria, 1996, fasc. 2,
pt. 2 , pagg. 125-126), premesso che la l. 157/1992 consente
l\'impiego nell\'esercizio della caccia di uccelli vivi di richiamo,
legati a funicelle come zimbelli, escludeva la configurabilita\' del
reato di cui all\'art. 727 c.p. nella fattispecie della detenzione di
tali uccelli da richiamo "sotto il profilo della detenzione in
condizioni incompatibili con la loro natura, sostenendo che non
potesse prescindersi dalla componente di sofferenza che deve
caratterizzare la condotta in oggetto, suscettibile di adeguata
prova non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le
conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Dall\'altro
il Pretore di Treviso, sez. Castelfranco Veneto, 17 ottobre 1994 (in
Diritto e giurisprudenza agraria, 1996, fasc. 2, pt. 2, pagg.
121-123) ravvisava nella detenzione di uccelli da richiamo in
piccole gabbiette, in condizioni incompatibili con la loro natura,
un comportamento tale da costituire maltrattamento di animali ai
sensi dell\'art. 727 c.p.
La giurisprudenza di legittimita\' ha preliminarmente osservato
(sent. Dal Pra\', cit.) come una pratica venatoria che e\'
consentita dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 non possa essere
punita a norma dell\'art. 727 cod. pen., poiche\' il fatto e\'
scriminato a norma dell\'art. 51 cod. pen. in quanto costituisce
l\'esercizio di un diritto, essendo stato ritenuto prevalente per una
scelta del legislatore l\'interesse a garantire l\'esercizio della
caccia.
La Corte ha tuttavia precisato (Sez. 3, sent. n. 11962 del 6/12/1995
-Ud. 07/11/1995 n. 2124 - rv. 203300, ric. Amadori), come non
ricorra una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur
essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per
le sue concrete modalita\' di attuazione sottoponga l\'animale ad un
aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della
caccia (nella specie la S.C., considerato che la legge n. 157 del
1992 all\'art. 21 vieta l\'uso di uccelli come richiamo nel caso in
cui l\'animale e\' legato per le ali, mentre nella specie l\'allodola
venne legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che
gli imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla
predetta legge, sia perche\' non espressamente vietata e sia perche\'
certamente meno dolorosa per l\'animale rispetto a quella per la
quale e\' stato fissato il divieto).
La norma ricavabile dal nuovo testo dell\'art. 727 cod. pen. e
relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con
la loro natura non si trova in alcun modo in una situazione di
puntuale ed inevitabile contraddizione con la norma della legge 11
febbraio 1992 n. 157 relativa all\'uso degli uccelli in funzione di
richiami e la sua applicazione non comporta necessariamente ed in
ogni caso la disapplicazione della seconda, dal momento che e\'
possibile una interpretazione delle due disposizioni che consenta
una coerente ed armonica applicazione di entrambe.
E\' stato conseguentemente ritenuto che nei confronti degli animali
sia consentita ogni attivita\' che non rientri in uno dei divieti
specificamente dettati dalla legge 11 febbraio 1992, n.157 per la
"Protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio"; quest\'ultima, pero\', da sola non esaurisce la tutela
della fauna stessa, poiche\', a seguito della successiva entrata in
vigore della legge 22 novembre 1993, n. 473, di modifica dell\'art.
727 cod.pen., la sfera di garanzia si e\' notevolmente ampliata
attraverso l\'introduzione dell\'ulteriore divieto di tenere condotte
che comunque possano determinare il maltrattamento dell\'animale
utilizzato come richiamo o della stessa preda catturata.
E\' pertanto configurabile il reato di cui all\'art. 727 quando
nell\'esercizio della caccia siano utilizzate allodole imbracate e
legate con una cordicella, alla quale venga impresso uno strattone,
che le faccia sollevare in volo e, poi, ricadere bruscamente perche\'
trattenute dal legaccio: tale comportamento integra una sevizia,
poiche\' la sua ripetitivita\' ossessiva viene ad incidere
sull\'istinto naturale dell\'animale stesso, dapprima dandogli la
sensazione di poter assolvere alla primaria funzione del volo ed
immediatamente dopo costringendolo a ricadere dolorosamente (Sez. 3,
sent. n. 4703 del 20/05/1997 -Ud. 19/11/1996 n. 1570 - rv. 208042,
ric. Gemetto, con nota di P. Mazza, in Diritto e giurisprudenza
agraria, 1998, fasc. 4, pt. 2, pagg. 236-237).
Peraltro la giurisprudenza di legittimita\' gia\' con una decisione
del 1995 (Sez. 3, sent. n. 6204 del 30/05/1995 - Ud. 11/01/1995 n.
33 - rv. 202482, ric. Cattelan), aveva ritenuto sussistere gli
estremi della contravvenzione in questione nel caso di uccelli vivi
usati come richiami, legati per la coda mediante fili, strattonati
per farli levare in volo breve con ricaduta; la Corte aveva,
infatti, osservato come in tal modo si infliggano a tali esseri
viventi, dotati di sensibilita\' psico-fisica e capaci di sentire il
dolore, ingiustificate gravi sofferenze, con offesa al sentimento
comune di pieta\' verso gli animali.
3.2. L\'uso di gabbie
In un primo tempo era stato ritenuto che costituisse maltrattamento
la detenzione di volatili in piccole gabbie, poiche\' essa priva
l\'animale della possibilita\' di movimento e di espansione, se non al
prezzo di sanguinamento e di sofferenza (Sez. 3, sent. n. 6897 del
16/06/1995 - Ud. 24/04/1995 n. 798 - rv. 201786, ric. Parussolo), in
fattispecie relativa alla detenzione di nove cesene e di un tordo
sassello, che fungevano da richiamo, in minuscole gabbie, ossia in
condizione incompatibile con la loro natura). E cio\' in quanto
secondo la Corte (Sez. 3, sent. n. 6903 del 16/06/1995 - Ud.
27/04/1995 n. 835 - rv. 201789, ric. Clearco) l\'uso di gabbie per i
richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina,
dopo la modifica del 1993 era divenuto possibile solo nelle ipotesi
residuali, da valutare in concreto, di compatibilita\' con la natura
dell\'animale (fattispecie nella quale e\' stato ritenuto integrata la
contravvenzione ex art. 727 cod. pen., poiche\' dieci volatili, quali
richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, e
cio\' era stato valutato incompatibile con la loro natura).
Successivamente la Corte ha individuato un diverso parametro
valutativo, affermando (sent. Dal Pra\', cit.) che, nel caso di
detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione
a fini di richiamo, la misura delle gabbie non puo\' ritenersi troppo
ristretta, e quindi idonea di per se\' a causare inutili sofferenze
agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di
maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle
misure stabilite dall\'Istituto nazionale per la fauna selvatica
(I.N.F.S.): orientamento questo seguito anche da altre decisioni
(Sez. III, 19 maggio 1998, n. 5868 e Sez. III, 15 giugno 1998, n.
7150, in Diritto e giurisprudenza agraria, 1999, fasc. 10, pt. 2,
pagg. 566-568).
In proposito la Corte ha ricordato come in ogni caso, nel
comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie
conformi alle dette misure, deve escludersi l\'elemento psicologico
del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile.
Il reato e\' comunque ravvisabile allorche\' la detenzione dei
volatili sia connotata da modalita\' tali da comportare crudelta\',
fatica eccessiva, o condizioni che danneggino lo stato di salute
dell\'animale, compromettendone la possibilita\' di espletare le
funzioni fisiologiche essenziali, con l\'eccezione del volo (Sez. 3,
sent. n. 3283 del 16/03/1998 -Ud. 06/02/1998 n. 406 - rv. 210293,
ric. Bertoldi), nella specie la Corte ha ritenuto che il solo fatto
che nelle gabbie si potesse determinare un\'abrasione accidentale
delle penne non integrasse il reato).
3.3. Fattispecie ulteriori
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato (Sez. 3, sent. n. 10673 del
10/12/1996 - Ud. 11/11/1996 n. 1516 - rv. 206480, ric. Calopaci)
come i comportamenti vietati, indicati nell\'art. 21 lett. r) legge
n. 157 del 1992, hanno un carattere esemplificativo e non
esauriscono le condotte illecite integranti gli estremi del reato
previsto dall\'art. 727 cod. pen., anche se lo stato di cattivita\'
dell\'animale, in se\' considerato, non integra gli estremi del reato
(Sez. 3, 16 marzo 1998, n. 406, in Studium iuris, 1999, fasc. 3,
pagg. 330-331).
In particolare, l\'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere
costituisce pratica assolutamente illegittima, per violazione sia
dell\'art. 21 lett. r) legge 11 febbraio 1992, n. 157 che dell\'art.
727 cod. pen. perche\' priva l\'animale di una condizione naturale di
vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilita\'
reale del volo e percio\' stesso comporta una grave forma di
maltrattamento (Sez. 3, sent. n. 10674 del 10/12/1996 - Ud.
11/11/1996 n. 1517 - rv. 206481, ric. Zauli).
La giurisprudenza (Sez. 3, 10 dicembre 1996, n. 10674 e Sez. 3, 10
dicembre 1996, n. 10673, in Diritto e giurisprudenza agraria, 1998,
fasc. 10, pt. 2, pagg. 552-554; Sez. 3, sent. n.7150 del 15/06/1998
-Ud. 07/05/1998 n. 1639 - rv. 211221, ric. P.M. in proc. Composta)
ha altresi\' ravvisato il concorso tra la contravvenzione punita
dall\'art. 727 c.p. e quella prevista dagli artt. 21 comma 1 lett. r)
e 30 comma 1 lett. h) della l. 157/1992, in quanto salvaguardano
beni fra loro diversi.
Si e\' ritenuto infatti (Sez. 3, sent. n. 9574 del 08/11/1996 - Ud.
08/10/1996 n. 1311 - rv. 206466, ric. Feltrini) che la cattura di
uccelli appena nati e la loro detenzione in regime di cattivita\'
integrino gli estremi del reato di maltrattamenti di animali,
poiche\' ex art. 727, comma primo, cod. pen., risponde di tale reato
anche chi detiene animali in condizioni non compatibili con la loro
natura; ma la cattura di detti uccelletti, senza uso di armi da
fuoco e dopo appostamenti e ricerche fra gli alberi, integra anche
il reato di uccellagione, di cui all\'art. 30, comma primo, lett. e)
legge 11 febbraio 1992, n. 157, in quanto l\'uccellagione deve
ritenersi consistere non solo nell\'atto finale della apprensione di
uccelli vivi e vitali con mezzi diversi dalle armi da fuoco, ma
altresi\' negli atti preparatori e strumentali, quali il vagare o il
soffermarsi in attesa o nella ricerca dei volatili, cosi\' che il
prelievo di uova, nidi e piccoli nati integra una ipotesi di
uccellagione ai sensi dell\'art. 3 citata legge n. 157 del 1992 per
la lettera e la ratio della norma.
4. L\'aggravante di cui all\'art. 61 n. 1 cod. pen.
La circostanza aggravante di cui all\'art. 61 n. 1 cod. pen. e\' stata
ritenuta compatibile con il reato di maltrattamento di animali, in
quanto nella fattispecie tipica non rientra, come elemento
necessario, la "futilita\'", che indica la sproporzione tra l\'azione
compiuta ed il motivo, per il quale si e\' agito, o la finalita\', che
si mirava a conseguire (Sez. 3, sent. n. 1208 del 02/02/1994 - Ud.
05/11/1993 n. 2208 - rv. 196477, ric. Battocchio: nella specie la
Corte ha ritenuto la configurabilita\' dell\'aggravante, poiche\' il
motivo, che aveva indotto l\'imputato ad uccidere un cane, era stato
quello di evitare che la bestia potesse eventualmente morire in una
cavita\' della sua abitazione con tutte le ovvie conseguenze;
finalita\' realizzabile mediante opportuno allontanamento
dell\'animale).
5. La causa di giustificazione dell\'esercizio di un diritto
La Corte ha ritenuto che i limiti posti alla causa di
giustificazione dell\'esercizio di un diritto, ed in particolare di
quello di proprieta\', ed all\'utilizzazione degli "offendicula"
concernano anche gli animali. Secondo la giurisprudenza di
legittimita\' l\'esigenza di un bilanciamento di interessi che deriva
dall\'esercizio di un diritto, essendo lo stesso limitato dalla
compresenza di altri, aventi eguale o differente forza, comporta di
ritenere lecito l\'uso degli "offendicula" nei limiti in cui i
medesimi appaiano necessari per la difesa di quel diritto e solo
qualora non vi sia la possibilita\' di utilizzare altri mezzi meno o
per nulla dannosi, intendendo la pericolosita\' di questi strumenti
nel senso di essere capaci di attentare gli interessi protetti dalla
norma incriminatrice con un differente grado, onde occorre scegliere
sempre quello che e\' capace di produrre un danno minore. In una
decisione (Sez. 3, sent. n. 12576 del 19/12/1994 - Ud. 01/12/1994 n.
2522 - rv. 200948, ric. P.M. in proc. Tomasoni) relativa ad
annullamento con rinvio di sentenza che aveva dichiarato l\'imputata
non punibile ex art. 51 cod. pen. dal reato di maltrattamento di
animali, la S.C. ha osservato che vi erano altre azioni (diverse
dall\'uso di cordicelle idonee al soffocamento di gatti utilizzate
dall\'imputato) alternative, non crudeli ed, addirittura, piu\' adatte
allo scopo (rete metallica, uso di sostanze, come la candeggina,
atte ad allontanare i gatti) e che la proporzione tra bene difeso e
quello aggredito deve essere valutata anche con riferimento agli
strumenti utilizzabili ed alla loro pericolosita\' nonche\' agli
interessi protetti, sicche\' anche sotto questo profilo sussisteva la
violazione dell\'art. 51 cod. pen. tanto piu\' che la stessa
predisposizione delle cordicelle, con le quali era stato soffocato
il gatto della parte offesa, poteva essere, in astratto, pericolosa
per i bambini e, quindi, per gli essere umani.
5.1 ... e quella di cui all\'art. 54 cod. pen.
In altra occasione (Sez. 3, sent. n. 43230 del 20/12/2002 - Ud.
12/11/2002 n. 2110 - rv. 223536, ric. P.M. in proc. Lentini) e\'
stato poi ritenuto che costituisce incrudelimento senza necessita\'
nei confronti di animali, suscettibile di dare luogo al reato di cui
all\'art. 727 cod. pen., ogni comportamento produttivo nell\'animale
di sofferenze che non trovino giustificazione nell\'insuperabile
esigenza di tutela, non altrimenti realizzabile, di valori
giuridicamente apprezzabili, ancorche\' non limitati a quelli primari
cui si riferisce l\'art. 54 c.p., rimanendo quindi esclusa detta
giustificazione quando si tratti soltanto della convenienza ed
opportunita\' di reprimere comportamenti eventualmente molesti
dell\'animale che possano trovare adeguata correzione in trattamenti
educativi etologicamente informati e quindi privi di ogni forma di
violenza o accanimento.
6. L\'uccisione immotivata di animali
Premesso che non puo\' legittimamente parlarsi di uccisione
immotivata di un animale allorche\' la uccisione degli animali
avvenga con le tagliole ed i lacci, atteso che i lacci uccidono
l\'animale per soffocamento e rendono estremamente difficile la
liberazione, mentre le tagliole portano ad una morte per
dissanguamento, sicche\' vengono inflitte ingiustificate sofferenze
che integrano il reato di cui all\'art. 727 cod. pen. (Sez. 3, sent.
n.12910 del 11/12/1998 - Ud. 13/10/1998 n. 3066 - rv. 212183, ric.
Rinaldi), va rilevato come allo stato la Corte Costituzionale (27
luglio 1995, n. 411, in Diritto e giurisprudenza agraria, 1996,
fasc. 11, pt. 2, pagg. 673-676, con nota di S. Di Pietro) abbia
dichiarato inammissibile la questione di legittimita\' dell\'art. 727
c.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 10 Cost., "nella parte
in cui non prevede come comportamento sanzionabile l\'uccisione
immotivata di animali propri realizzata al di fuori di comportamenti
rilevanti individuati nella stessa norma". Peraltro nel caso
sottoposto al giudice delle leggi il proprietario aveva provocato la
morte del cane a bastonate, ed in questa ipotesi e\' facilmente
ipotizzabile che un tale comportamento abbia provocato dolore e
sofferenza all\'animale per cui il giudice remittente sarebbe potuto
addivenire ad una soluzione di merito applicando i principi
giurisprudenziali illustrati.
Appare comunque auspicabile de jure condendo un trattamento
sanzionatorio dell\'uccisione del proprio animale che sia uniforme a
quello previsto dall\'art. 638 c.p..
7. Conclusioni
Va sottolineato come la giurisprudenza di legittimita\' si sia
progressivamente spostata da una posizione interpretativa ancorata
al dato letterale verso affermazioni di piu\' larga sensibilita\' nei
confronti dei valori protetti dalla norma incriminatrice.
In un primo momento si affermava (Sez. 3, sent. n. 601, Dal Pra\',
cit.) come anche l\'ipotesi della detenzione di animali in condizioni
incompatibili con la loro natura non puo\' prescindere, al pari delle
altre, per la sua configurabilita\', dalla presenza dell\'elemento
della sofferenza, intesa come lesione dell\'integrita\' fisica
dell\'animale, aggiungendosi che tale sofferenza, che deve
caratterizzare la condotta, dovesse risultare da una prova adeguata,
non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le
conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Sotto il
profilo dell\'interpretazione letterale, non poteva trascurarsi che
la rubrica dell\'art. 727 cod. pen. e\', pur nel nuovo testo,
intitolata "maltrattamento di animali", il che rivela la ratio della
disposizione di perseguire condotte caratterizzate da una componente
di lesivita\' dell\'integrita\' fisica. La Corte riteneva di
conseguenza che se fosse stata sanzionabile la semplice detenzione
degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, di per
se\' sola e dunque in assenza di sofferenza fisica degli animali
stessi, qualsivoglia detenzione, a prescindere dal luogo, dalle
modalita\', dalla durata e dagli scopi della stessa, si porrebbe, per
cio\' stesso, in contrasto col precetto penale, dal momento che si
tradurrebbe, inevitabilmente, in una privazione della liberta\'
dell\'animale, e quindi contrasterebbe inevitabilmente con la natura
dell\'animale stesso, istintivamente propenso a vivere in liberta\'.
Successivamente (Sez. 3, sent. n. 1215 del 29/01/1999 - Ud.
21/12/1998 n. 3914 - rv. 212833, ric. Crispolti) si e\' precisato che
determinare sofferenza non comporta necessariamente che si cagioni
una lesione all\'integrita\' fisica, potendo la sofferenza consistere
in soli patimenti (nella specie la Corte ha ritenuto integrato il
reato nell\'aver tenuto legato un cane ad una catena corta e senza
alcun riparo). E cio\' in quanto sono punibili ex art. 727 cod. pen.
non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento
di pieta\' e mitezza verso gli animali (come suggerisce la parola
"incrudelire") o che destino ripugnanza, ma anche quelle condotte
che incidono sulla sensibilita\' dell\'animale, producendo un dolore,
pur se tali condotte non siano accompagnate dalla volonta\' di
infierire sugli animali, ma siano determinate da condizioni
oggettive di abbandono o incuria (Sez. 3, sent. n. 5584 del
11/06/1997 - Ud. 20/05/1997 n. 1171- rv. 208461, ric. Fiore).
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Giovanni Canzio)
12
Rel. n. 51/04
Roma, 24 maggio 2004
OGGETTO: 601006 - Reati contro la moralita\' pubblica ed il buon
costume - Reato di cui all\'art. 727 cod. pen. - Maltrattamenti di
animali - Condotte punibili - Orientamenti di giurisprudenza.
RIF. NORM.: Cod. pen. art. 727; legge 11 febbraio 1992 n. 157; legge
22 novembre 1993 n. 473.
.
1. Il reato di maltrattamento di animali
L\'analisi degli orientamenti di giurisprudenza in tema di
maltrattamenti di animali trova oggi quale punto di partenza la
sostituzione del vecchio testo dell\'art. 727 cod. pen., operata con
la legge 22 novembre 1993 n. 473, recante nuove norme contro il
maltrattamento degli animali, che nella sua attuale formulazione
recita:
"Chiunque incrudelisce verso animali senza necessita\' o li sottopone
a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per
le loro caratteristiche, ovvero li adopera in giuochi, spettacoli o
lavori insostenibili per la loro natura, valutata secondo le loro
caratteristiche anche etologiche, o li detiene in condizioni
incompatibili con la loro natura o abbandona animali domestici o che
abbiano acquisito abitudini della cattivita\' e\' punito con l\'ammenda
da euro 1.032 a euro 5.164.
La pena e\' aumentata se il fatto e\' commesso con mezzi
particolarmente dolorosi, quale modalita\' del traffico, del
commercio, del trasporto, dell\'allevamento, della mattazione o di
uno spettacolo di animali, o se causa la morte dell\'animale: in
questi casi la condanna comporta la pubblicazione della sentenza e
la confisca degli animali oggetto del maltrattamento, salvo che
appartengano a persone estranee al reato.
Nel caso di recidiva la condanna comporta l\'interdizione
dall\'esercizio dell\'attivita\' di commercio, di trasporto, di
allevamento, di mattazione o di spettacolo.
Chiunque organizza o partecipa a spettacoli o manifestazioni che
comportino strazio o sevizie per gli animali e\' punito con l\'ammenda
da euro 1.032 a euro 5.164. La condanna comporta la sospensione per
almeno tre mesi della licenza inerente l\'attivita\' commerciale o di
servizio e, in caso di morte degli animali o di recidiva,
l\'interdizione dall\'esercizio dell\'attivita\' svolta.
Qualora i fatti di cui ai commi precedenti siano commessi in
relazione all\'esercizio di scommesse clandestine la pena e\'
aumentata della meta\' e la condanna comporta la sospensione della
licenza di attivita\' commerciale, di trasporto o di allevamento per
almeno dodici mesi."
A seguito di tale modifica l\'art. 727 c.p., originariamente diretto
a salvaguardare soltanto il comune sentimento di pieta\' verso gli
animali, intende tutelare questi ultimi quali autonomi esseri
viventi, dotati di sensibilita psico-fisica e di un sufficiente
grado di reattivita\' agli stimoli del dolore. In proposito la
dottrina ha in piu\' occasioni auspicato un intervento piu\' rigoroso
del legislatore, partendo dalle posizioni di pensiero degli
"animalisti realisti", e ponendo conseguentemente sul tappeto il
problema dei diritti degli animali.
Anche la giurisprudenza, e fra questa quella di legittimita\', ha
sottolineato l\'evoluzione dell\'interpretazione del concetto di
maltrattamento sugli animali.
Da una prima e abbastanza diffusa rappresentazione del concetto di
maltrattamento, come direttamente collegabile all\'offesa al comune
sentimento dell\'uomo, nel senso che il maltrattamento era punibile
nella misura in cui offendeva il sentimento di pieta\' dell\' uomo, la
repressione e\' andata via via evolvendosi. Infatti, a prescindere
dalla reazione umana alla sofferenza dell\'animale, piu\' o meno
accentuata a seconda dell\' ambiente e delle circostanze (vita
ordinaria, feste, sport, caccia, ecc.) in cui essa viene inflitta,
l\'animale e\' considerato come soggetto dotato di sensibilita fisica
e, per cio\' stesso, meritevole di tutela e di protezione, anche con
riguardo alla Dichiarazione universale dei diritti dell\'animale
(Bruxelles, UNESCO, 27 gennaio 1978). Sul punto va altresi\'
ricordata la Convenzione europea sulla protezione degli animali nei
trasporti internazionali (Bonn, 12 luglio 1973), ponendosi cosi\' il
problema dell\'operativita\' delle fonti di diritto internazionale in
materia penale incriminatrice, attraverso il meccanismo degli
elementi normativi della fattispecie.
2. Le varie ipotesi previste dall\'art. 727
Le diverse ipotesi previste dal primo comma del nuovo testo
dell\'art. 727 cod. pen. sono distinte ed autonome, in quanto
prevedono condotte e comportamenti diversi. La conseguenza e\' che
gli elementi materiali essenziali ad una fattispecie non possono
assumersi come necessari anche per le altre ipotesi. In particolare,
l\'ipotesi dell\'incrudelimento verso animali e\' ben distinta, sia per
l\'elemento oggettivo che per quello soggettivo, dall\'ipotesi della
sottoposizione degli animali a strazi o sevizie incompatibili con la
loro natura (Sez. 3, sent. n. 601 del 29/01/1997 - Ud. 01/10/1996 n.
1271- rv. 206817, ric. Dal Pra\'). L\'elemento della sofferenza
fisica, connaturato all\'ipotesi di incrudelimento e sevizie, non e\'
necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare quella
di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli
animali. L\'elemento della incompatibilita\' naturalistica della
detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, cosi\'
ottemperando al principio di legalita\' di cui all\'art. 25, comma 2,
Cost. (Sez. 3, sent. n. 1353 del 05/02/1998 -Ud. 19/11/1997 n. 2982
- rv. 209795, ric. Losi).
Non diversamente da quanto accadeva alla stregua del precedente
testo dell\'art. 727 cod. pen., anche secondo la nuova formulazione,
ai fini della sussistenza dell\'elemento materiale dell\'ipotesi di
incrudelimento verso animali, la giurisprudenza ha ritenuto
necessari atti concreti di crudelta\', ossia l\'inflizione di gravi
sofferenze fisiche senza giustificato motivo. E\' appunto la mancanza
di motivi che distingue l\'incrudelimento dalla sottoposizione a
strazio o sevizie, essendo la crudelta\' di per se\' caratterizzata
dall\'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di un motivo
abietto o futile. Rientrano, quindi, nella fattispecie le condotte
che si rivelino espressione di crudelta\' intesa come espressione di
particolare compiacimento o di insensibilita\' (Sez. 3, sent. n. 9668
del 29/07/1999 - Ud. 10/06/1999 n. 2181 - rv. 214082, ric. Borriero).
Del resto, proprio per questa ragione, il precedente testo dell\'art.
727 cod. pen. nell\'ipotesi di crudelta\' verso gli animali, a
differenza della loro sottoposizione ad eccessive fatiche o torture,
non poneva la riserva della necessita\', perche\' l\'incrudelimento
presuppone concettualmente l\'assenza di qualsiasi giustificabile
motivo da parte dell\'agente: la crudelta\' e\' di per se\'
caratterizzata dall\'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di
un motivo abietto o futile; inoltre, e\' pacifico che nell\'ipotesi
dell\'incrudelimento l\'elemento soggettivo consiste nel dolo, cioe\'
nella libera e cosciente volontarieta\' del fatto di incrudelire
verso animali (Sez. 3, sent. n. 601 del 29/01/1997 - Ud. 01/10/1996
n. 1271 - rv. 206818, ric. Dal Pra\').
Sul punto va da ultimo sottolineato come, mentre nella citata
decisione Dal Pra\' si era sostenuto che le crudelta\' non potessero
che essere fisiche, in una successiva pronuncia (Sez. 3, sent. n.
1215 del 29/01/1999 - Ud. 21/12/1998 n. 3914 - rv. 212833, ric.
Crispolti), dopo avere ribadito che la condotta di incrudelimento va
intesa nel senso della volontaria inflizione di sofferenze, anche
per insensibilita\' dell\'agente, e che non e\' richiesto un preciso
scopo di infierire sull\'animale, si e\' precisato che determinare
sofferenza non comporta necessariamente che si cagioni una lesione
all\'integrita\' fisica, potendo la sofferenza consistere in soli
patimenti (nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il reato
nell\'aver tenuto legato un cane ad una catena corta e senza alcun
riparo).
3. La casistica
Alcune decisioni si rivelano interessanti in quanto si riferiscono
ad ipotesi "classiche" nella letteratura relativa al maltrattamento
di animali.
La Corte ha ritenuto che il reato di cui all\'art. 727 cod. pen. sia
configurabile quando, accolto un animale presso di se\', il soggetto
non si curi piu\' del medesimo, mantenendolo in condizioni
assolutamente incompatibili con la sua natura - nella specie
consentendo che zecche e pulci infestassero il corpo del cane-
ovvero in stato di sostanziale abbandono - cosi\' causandone la
denutrizione (Sez. 5, sent. n. 9556 del 28/08/1998 - Ud. 13/08/1998
n. 1446 - rv. 212142, ric. Biffi).
In altra occasione si e\' ritenuto integrare il reato il
comportamento di chi lasci il proprio cane in auto, sia pure
parcheggiata in zona d\'ombra e con i finestrini leggermente aperti,
in periodo estivo, cosi\' da determinare la morte dell\'animale per
eccessivo calore (Sez. 3, sent. n. 9905 del 04/08/1999 - Ud.
24/06/1999 n. 2451 - rv. 214341, ric. Patalano).
E\' stato inoltre affermato (Sez. 3, sent. n. 11056 del 27/10/2000 -
Ud. 10/07/2000 n. 2800 - rv. 217583, ric. Concu) come costituisca
forma di maltrattamento idoneo a configurare l\'ipotesi di reato di
cui all\'art. 727 c.p. l\'abbandono durante il periodo estivo di un
animale, atteso che la norma tutela gli animali in quanto autonomi
esseri viventi, dotati di propria sensibilita\' psico-fisica, e come
tali capaci di avvertire il dolore causato dalla mancanza di
attenzione ed amore legato all\'abbandono (nella specie, la Corte ha
ravvisato il reato nell\'abbandono nel giardinetto di proprieta\'
degli imputati, di due gattini in tenera eta\', deceduti per inedia).
3.1. Uso di richiami vivi nell\'esercizio della caccia
Un\'ulteriore tematica riguarda i rapporti tra la disposizione
contenuta nell\'art. 21 della l. 157/1992 sulla protezione della
fauna selvatico omeoterma, che vieta nel suo primo comma alla lett.
r) l\'uso "a fini di richiamo", di "uccelli vivi accecati o mutilati
ovvero legati per le ali", e l\'art. 727 c.p. nella sua nuova
formulazione introdotta dall\'art. 1 della l. 473/1993.
Nella giurisprudenza di merito, in epoca immediatamente successiva
alla modifica legislativa del 1993, sul punto erano presenti
differenti opzioni interpretative. Da un lato il Pretore di Bassano,
19 luglio 1995 (in Diritto e giurisprudenza agraria, 1996, fasc. 2,
pt. 2 , pagg. 125-126), premesso che la l. 157/1992 consente
l\'impiego nell\'esercizio della caccia di uccelli vivi di richiamo,
legati a funicelle come zimbelli, escludeva la configurabilita\' del
reato di cui all\'art. 727 c.p. nella fattispecie della detenzione di
tali uccelli da richiamo "sotto il profilo della detenzione in
condizioni incompatibili con la loro natura, sostenendo che non
potesse prescindersi dalla componente di sofferenza che deve
caratterizzare la condotta in oggetto, suscettibile di adeguata
prova non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le
conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Dall\'altro
il Pretore di Treviso, sez. Castelfranco Veneto, 17 ottobre 1994 (in
Diritto e giurisprudenza agraria, 1996, fasc. 2, pt. 2, pagg.
121-123) ravvisava nella detenzione di uccelli da richiamo in
piccole gabbiette, in condizioni incompatibili con la loro natura,
un comportamento tale da costituire maltrattamento di animali ai
sensi dell\'art. 727 c.p.
La giurisprudenza di legittimita\' ha preliminarmente osservato
(sent. Dal Pra\', cit.) come una pratica venatoria che e\'
consentita dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 non possa essere
punita a norma dell\'art. 727 cod. pen., poiche\' il fatto e\'
scriminato a norma dell\'art. 51 cod. pen. in quanto costituisce
l\'esercizio di un diritto, essendo stato ritenuto prevalente per una
scelta del legislatore l\'interesse a garantire l\'esercizio della
caccia.
La Corte ha tuttavia precisato (Sez. 3, sent. n. 11962 del 6/12/1995
-Ud. 07/11/1995 n. 2124 - rv. 203300, ric. Amadori), come non
ricorra una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur
essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per
le sue concrete modalita\' di attuazione sottoponga l\'animale ad un
aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della
caccia (nella specie la S.C., considerato che la legge n. 157 del
1992 all\'art. 21 vieta l\'uso di uccelli come richiamo nel caso in
cui l\'animale e\' legato per le ali, mentre nella specie l\'allodola
venne legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che
gli imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla
predetta legge, sia perche\' non espressamente vietata e sia perche\'
certamente meno dolorosa per l\'animale rispetto a quella per la
quale e\' stato fissato il divieto).
La norma ricavabile dal nuovo testo dell\'art. 727 cod. pen. e
relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con
la loro natura non si trova in alcun modo in una situazione di
puntuale ed inevitabile contraddizione con la norma della legge 11
febbraio 1992 n. 157 relativa all\'uso degli uccelli in funzione di
richiami e la sua applicazione non comporta necessariamente ed in
ogni caso la disapplicazione della seconda, dal momento che e\'
possibile una interpretazione delle due disposizioni che consenta
una coerente ed armonica applicazione di entrambe.
E\' stato conseguentemente ritenuto che nei confronti degli animali
sia consentita ogni attivita\' che non rientri in uno dei divieti
specificamente dettati dalla legge 11 febbraio 1992, n.157 per la
"Protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio"; quest\'ultima, pero\', da sola non esaurisce la tutela
della fauna stessa, poiche\', a seguito della successiva entrata in
vigore della legge 22 novembre 1993, n. 473, di modifica dell\'art.
727 cod.pen., la sfera di garanzia si e\' notevolmente ampliata
attraverso l\'introduzione dell\'ulteriore divieto di tenere condotte
che comunque possano determinare il maltrattamento dell\'animale
utilizzato come richiamo o della stessa preda catturata.
E\' pertanto configurabile il reato di cui all\'art. 727 quando
nell\'esercizio della caccia siano utilizzate allodole imbracate e
legate con una cordicella, alla quale venga impresso uno strattone,
che le faccia sollevare in volo e, poi, ricadere bruscamente perche\'
trattenute dal legaccio: tale comportamento integra una sevizia,
poiche\' la sua ripetitivita\' ossessiva viene ad incidere
sull\'istinto naturale dell\'animale stesso, dapprima dandogli la
sensazione di poter assolvere alla primaria funzione del volo ed
immediatamente dopo costringendolo a ricadere dolorosamente (Sez. 3,
sent. n. 4703 del 20/05/1997 -Ud. 19/11/1996 n. 1570 - rv. 208042,
ric. Gemetto, con nota di P. Mazza, in Diritto e giurisprudenza
agraria, 1998, fasc. 4, pt. 2, pagg. 236-237).
Peraltro la giurisprudenza di legittimita\' gia\' con una decisione
del 1995 (Sez. 3, sent. n. 6204 del 30/05/1995 - Ud. 11/01/1995 n.
33 - rv. 202482, ric. Cattelan), aveva ritenuto sussistere gli
estremi della contravvenzione in questione nel caso di uccelli vivi
usati come richiami, legati per la coda mediante fili, strattonati
per farli levare in volo breve con ricaduta; la Corte aveva,
infatti, osservato come in tal modo si infliggano a tali esseri
viventi, dotati di sensibilita\' psico-fisica e capaci di sentire il
dolore, ingiustificate gravi sofferenze, con offesa al sentimento
comune di pieta\' verso gli animali.
3.2. L\'uso di gabbie
In un primo tempo era stato ritenuto che costituisse maltrattamento
la detenzione di volatili in piccole gabbie, poiche\' essa priva
l\'animale della possibilita\' di movimento e di espansione, se non al
prezzo di sanguinamento e di sofferenza (Sez. 3, sent. n. 6897 del
16/06/1995 - Ud. 24/04/1995 n. 798 - rv. 201786, ric. Parussolo), in
fattispecie relativa alla detenzione di nove cesene e di un tordo
sassello, che fungevano da richiamo, in minuscole gabbie, ossia in
condizione incompatibile con la loro natura). E cio\' in quanto
secondo la Corte (Sez. 3, sent. n. 6903 del 16/06/1995 - Ud.
27/04/1995 n. 835 - rv. 201789, ric. Clearco) l\'uso di gabbie per i
richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina,
dopo la modifica del 1993 era divenuto possibile solo nelle ipotesi
residuali, da valutare in concreto, di compatibilita\' con la natura
dell\'animale (fattispecie nella quale e\' stato ritenuto integrata la
contravvenzione ex art. 727 cod. pen., poiche\' dieci volatili, quali
richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, e
cio\' era stato valutato incompatibile con la loro natura).
Successivamente la Corte ha individuato un diverso parametro
valutativo, affermando (sent. Dal Pra\', cit.) che, nel caso di
detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione
a fini di richiamo, la misura delle gabbie non puo\' ritenersi troppo
ristretta, e quindi idonea di per se\' a causare inutili sofferenze
agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di
maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle
misure stabilite dall\'Istituto nazionale per la fauna selvatica
(I.N.F.S.): orientamento questo seguito anche da altre decisioni
(Sez. III, 19 maggio 1998, n. 5868 e Sez. III, 15 giugno 1998, n.
7150, in Diritto e giurisprudenza agraria, 1999, fasc. 10, pt. 2,
pagg. 566-568).
In proposito la Corte ha ricordato come in ogni caso, nel
comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie
conformi alle dette misure, deve escludersi l\'elemento psicologico
del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile.
Il reato e\' comunque ravvisabile allorche\' la detenzione dei
volatili sia connotata da modalita\' tali da comportare crudelta\',
fatica eccessiva, o condizioni che danneggino lo stato di salute
dell\'animale, compromettendone la possibilita\' di espletare le
funzioni fisiologiche essenziali, con l\'eccezione del volo (Sez. 3,
sent. n. 3283 del 16/03/1998 -Ud. 06/02/1998 n. 406 - rv. 210293,
ric. Bertoldi), nella specie la Corte ha ritenuto che il solo fatto
che nelle gabbie si potesse determinare un\'abrasione accidentale
delle penne non integrasse il reato).
3.3. Fattispecie ulteriori
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato (Sez. 3, sent. n. 10673 del
10/12/1996 - Ud. 11/11/1996 n. 1516 - rv. 206480, ric. Calopaci)
come i comportamenti vietati, indicati nell\'art. 21 lett. r) legge
n. 157 del 1992, hanno un carattere esemplificativo e non
esauriscono le condotte illecite integranti gli estremi del reato
previsto dall\'art. 727 cod. pen., anche se lo stato di cattivita\'
dell\'animale, in se\' considerato, non integra gli estremi del reato
(Sez. 3, 16 marzo 1998, n. 406, in Studium iuris, 1999, fasc. 3,
pagg. 330-331).
In particolare, l\'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere
costituisce pratica assolutamente illegittima, per violazione sia
dell\'art. 21 lett. r) legge 11 febbraio 1992, n. 157 che dell\'art.
727 cod. pen. perche\' priva l\'animale di una condizione naturale di
vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilita\'
reale del volo e percio\' stesso comporta una grave forma di
maltrattamento (Sez. 3, sent. n. 10674 del 10/12/1996 - Ud.
11/11/1996 n. 1517 - rv. 206481, ric. Zauli).
La giurisprudenza (Sez. 3, 10 dicembre 1996, n. 10674 e Sez. 3, 10
dicembre 1996, n. 10673, in Diritto e giurisprudenza agraria, 1998,
fasc. 10, pt. 2, pagg. 552-554; Sez. 3, sent. n.7150 del 15/06/1998
-Ud. 07/05/1998 n. 1639 - rv. 211221, ric. P.M. in proc. Composta)
ha altresi\' ravvisato il concorso tra la contravvenzione punita
dall\'art. 727 c.p. e quella prevista dagli artt. 21 comma 1 lett. r)
e 30 comma 1 lett. h) della l. 157/1992, in quanto salvaguardano
beni fra loro diversi.
Si e\' ritenuto infatti (Sez. 3, sent. n. 9574 del 08/11/1996 - Ud.
08/10/1996 n. 1311 - rv. 206466, ric. Feltrini) che la cattura di
uccelli appena nati e la loro detenzione in regime di cattivita\'
integrino gli estremi del reato di maltrattamenti di animali,
poiche\' ex art. 727, comma primo, cod. pen., risponde di tale reato
anche chi detiene animali in condizioni non compatibili con la loro
natura; ma la cattura di detti uccelletti, senza uso di armi da
fuoco e dopo appostamenti e ricerche fra gli alberi, integra anche
il reato di uccellagione, di cui all\'art. 30, comma primo, lett. e)
legge 11 febbraio 1992, n. 157, in quanto l\'uccellagione deve
ritenersi consistere non solo nell\'atto finale della apprensione di
uccelli vivi e vitali con mezzi diversi dalle armi da fuoco, ma
altresi\' negli atti preparatori e strumentali, quali il vagare o il
soffermarsi in attesa o nella ricerca dei volatili, cosi\' che il
prelievo di uova, nidi e piccoli nati integra una ipotesi di
uccellagione ai sensi dell\'art. 3 citata legge n. 157 del 1992 per
la lettera e la ratio della norma.
4. L\'aggravante di cui all\'art. 61 n. 1 cod. pen.
La circostanza aggravante di cui all\'art. 61 n. 1 cod. pen. e\' stata
ritenuta compatibile con il reato di maltrattamento di animali, in
quanto nella fattispecie tipica non rientra, come elemento
necessario, la "futilita\'", che indica la sproporzione tra l\'azione
compiuta ed il motivo, per il quale si e\' agito, o la finalita\', che
si mirava a conseguire (Sez. 3, sent. n. 1208 del 02/02/1994 - Ud.
05/11/1993 n. 2208 - rv. 196477, ric. Battocchio: nella specie la
Corte ha ritenuto la configurabilita\' dell\'aggravante, poiche\' il
motivo, che aveva indotto l\'imputato ad uccidere un cane, era stato
quello di evitare che la bestia potesse eventualmente morire in una
cavita\' della sua abitazione con tutte le ovvie conseguenze;
finalita\' realizzabile mediante opportuno allontanamento
dell\'animale).
5. La causa di giustificazione dell\'esercizio di un diritto
La Corte ha ritenuto che i limiti posti alla causa di
giustificazione dell\'esercizio di un diritto, ed in particolare di
quello di proprieta\', ed all\'utilizzazione degli "offendicula"
concernano anche gli animali. Secondo la giurisprudenza di
legittimita\' l\'esigenza di un bilanciamento di interessi che deriva
dall\'esercizio di un diritto, essendo lo stesso limitato dalla
compresenza di altri, aventi eguale o differente forza, comporta di
ritenere lecito l\'uso degli "offendicula" nei limiti in cui i
medesimi appaiano necessari per la difesa di quel diritto e solo
qualora non vi sia la possibilita\' di utilizzare altri mezzi meno o
per nulla dannosi, intendendo la pericolosita\' di questi strumenti
nel senso di essere capaci di attentare gli interessi protetti dalla
norma incriminatrice con un differente grado, onde occorre scegliere
sempre quello che e\' capace di produrre un danno minore. In una
decisione (Sez. 3, sent. n. 12576 del 19/12/1994 - Ud. 01/12/1994 n.
2522 - rv. 200948, ric. P.M. in proc. Tomasoni) relativa ad
annullamento con rinvio di sentenza che aveva dichiarato l\'imputata
non punibile ex art. 51 cod. pen. dal reato di maltrattamento di
animali, la S.C. ha osservato che vi erano altre azioni (diverse
dall\'uso di cordicelle idonee al soffocamento di gatti utilizzate
dall\'imputato) alternative, non crudeli ed, addirittura, piu\' adatte
allo scopo (rete metallica, uso di sostanze, come la candeggina,
atte ad allontanare i gatti) e che la proporzione tra bene difeso e
quello aggredito deve essere valutata anche con riferimento agli
strumenti utilizzabili ed alla loro pericolosita\' nonche\' agli
interessi protetti, sicche\' anche sotto questo profilo sussisteva la
violazione dell\'art. 51 cod. pen. tanto piu\' che la stessa
predisposizione delle cordicelle, con le quali era stato soffocato
il gatto della parte offesa, poteva essere, in astratto, pericolosa
per i bambini e, quindi, per gli essere umani.
5.1 ... e quella di cui all\'art. 54 cod. pen.
In altra occasione (Sez. 3, sent. n. 43230 del 20/12/2002 - Ud.
12/11/2002 n. 2110 - rv. 223536, ric. P.M. in proc. Lentini) e\'
stato poi ritenuto che costituisce incrudelimento senza necessita\'
nei confronti di animali, suscettibile di dare luogo al reato di cui
all\'art. 727 cod. pen., ogni comportamento produttivo nell\'animale
di sofferenze che non trovino giustificazione nell\'insuperabile
esigenza di tutela, non altrimenti realizzabile, di valori
giuridicamente apprezzabili, ancorche\' non limitati a quelli primari
cui si riferisce l\'art. 54 c.p., rimanendo quindi esclusa detta
giustificazione quando si tratti soltanto della convenienza ed
opportunita\' di reprimere comportamenti eventualmente molesti
dell\'animale che possano trovare adeguata correzione in trattamenti
educativi etologicamente informati e quindi privi di ogni forma di
violenza o accanimento.
6. L\'uccisione immotivata di animali
Premesso che non puo\' legittimamente parlarsi di uccisione
immotivata di un animale allorche\' la uccisione degli animali
avvenga con le tagliole ed i lacci, atteso che i lacci uccidono
l\'animale per soffocamento e rendono estremamente difficile la
liberazione, mentre le tagliole portano ad una morte per
dissanguamento, sicche\' vengono inflitte ingiustificate sofferenze
che integrano il reato di cui all\'art. 727 cod. pen. (Sez. 3, sent.
n.12910 del 11/12/1998 - Ud. 13/10/1998 n. 3066 - rv. 212183, ric.
Rinaldi), va rilevato come allo stato la Corte Costituzionale (27
luglio 1995, n. 411, in Diritto e giurisprudenza agraria, 1996,
fasc. 11, pt. 2, pagg. 673-676, con nota di S. Di Pietro) abbia
dichiarato inammissibile la questione di legittimita\' dell\'art. 727
c.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 10 Cost., "nella parte
in cui non prevede come comportamento sanzionabile l\'uccisione
immotivata di animali propri realizzata al di fuori di comportamenti
rilevanti individuati nella stessa norma". Peraltro nel caso
sottoposto al giudice delle leggi il proprietario aveva provocato la
morte del cane a bastonate, ed in questa ipotesi e\' facilmente
ipotizzabile che un tale comportamento abbia provocato dolore e
sofferenza all\'animale per cui il giudice remittente sarebbe potuto
addivenire ad una soluzione di merito applicando i principi
giurisprudenziali illustrati.
Appare comunque auspicabile de jure condendo un trattamento
sanzionatorio dell\'uccisione del proprio animale che sia uniforme a
quello previsto dall\'art. 638 c.p..
7. Conclusioni
Va sottolineato come la giurisprudenza di legittimita\' si sia
progressivamente spostata da una posizione interpretativa ancorata
al dato letterale verso affermazioni di piu\' larga sensibilita\' nei
confronti dei valori protetti dalla norma incriminatrice.
In un primo momento si affermava (Sez. 3, sent. n. 601, Dal Pra\',
cit.) come anche l\'ipotesi della detenzione di animali in condizioni
incompatibili con la loro natura non puo\' prescindere, al pari delle
altre, per la sua configurabilita\', dalla presenza dell\'elemento
della sofferenza, intesa come lesione dell\'integrita\' fisica
dell\'animale, aggiungendosi che tale sofferenza, che deve
caratterizzare la condotta, dovesse risultare da una prova adeguata,
non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le
conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Sotto il
profilo dell\'interpretazione letterale, non poteva trascurarsi che
la rubrica dell\'art. 727 cod. pen. e\', pur nel nuovo testo,
intitolata "maltrattamento di animali", il che rivela la ratio della
disposizione di perseguire condotte caratterizzate da una componente
di lesivita\' dell\'integrita\' fisica. La Corte riteneva di
conseguenza che se fosse stata sanzionabile la semplice detenzione
degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, di per
se\' sola e dunque in assenza di sofferenza fisica degli animali
stessi, qualsivoglia detenzione, a prescindere dal luogo, dalle
modalita\', dalla durata e dagli scopi della stessa, si porrebbe, per
cio\' stesso, in contrasto col precetto penale, dal momento che si
tradurrebbe, inevitabilmente, in una privazione della liberta\'
dell\'animale, e quindi contrasterebbe inevitabilmente con la natura
dell\'animale stesso, istintivamente propenso a vivere in liberta\'.
Successivamente (Sez. 3, sent. n. 1215 del 29/01/1999 - Ud.
21/12/1998 n. 3914 - rv. 212833, ric. Crispolti) si e\' precisato che
determinare sofferenza non comporta necessariamente che si cagioni
una lesione all\'integrita\' fisica, potendo la sofferenza consistere
in soli patimenti (nella specie la Corte ha ritenuto integrato il
reato nell\'aver tenuto legato un cane ad una catena corta e senza
alcun riparo). E cio\' in quanto sono punibili ex art. 727 cod. pen.
non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento
di pieta\' e mitezza verso gli animali (come suggerisce la parola
"incrudelire") o che destino ripugnanza, ma anche quelle condotte
che incidono sulla sensibilita\' dell\'animale, producendo un dolore,
pur se tali condotte non siano accompagnate dalla volonta\' di
infierire sugli animali, ma siano determinate da condizioni
oggettive di abbandono o incuria (Sez. 3, sent. n. 5584 del
11/06/1997 - Ud. 20/05/1997 n. 1171- rv. 208461, ric. Fiore).
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Giovanni Canzio)
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