IL NUOVO PIANO DI TUTELA ACQUE DELLA REGIONE PUGLIA: “UN PASSO INDIETRO E…..TANTA CONFUSIONE”
di L. Fanizzi – ECOACQUE sr)
La Regione Puglia, con Deliberazione di Giunta del 19 giugno 2007, n. 883, ha recentemente adottato, ai sensi dell’art. 121 del D. Lgs. N. 152/2006, uno specifico progetto di Piano di tutela delle Acque (c.d. PTA). Poiché in tale progetto sono definite, le misure per la riduzione dell’inquinamento degli scarichi costituiti dalle acque meteoriche di dilavamento, risulta interessante esaminare quale siano state le scelte regionali, effettuate in predetto PTA (attuato attraverso l’ordinanza del Ministro dell’interno del 22 marzo 2002, n. 3184), per l’accertamento dell’inquinamento delle acque di prima e seconda pioggia e di lavaggio delle aree esterne. Gli aspetti più rilevanti sono legati, ovviamente, alla riformulazione delle definizioni che la Regione Puglia introduce con la volontà di voler chiarire e meglio puntualizzare gli aspetti che, sia le disposizioni del vecchio PIANO Direttore, approvato con Decreto n. 191/CD/A del 13 giugno 2002, che quelle introdotte col Decreto n. 282/CD/A del 21 novembre 2003, continuavano, a livello locale, a rimanere nell’incertezza.

Le nuove definizioni sono le seguenti:
Acque di prima pioggia: “le prime acque meteoriche di dilavamento relative ad ogni evento meteorico preceduto da almeno 48 ore di tempo asciutto, per un’altezza di precipitazione uniformemente distribuita:
- di 5 mm per superfici scolanti aventi estensione, valutata al netto delle aree a verde e delle coperture non carrabili, inferiore a 10.000,00 m2;
- compresa tra 2,5 mm e 5,0 mm per superfici di estensione maggiore di 10.000,00 m2, valutate al netto delle aree a verde e delle coperture non carrabili, in funzione dell’estensione dello stesso bacino correlata ai tempi di accesso alla vasca di raccolta”.

Diverse, invero, sono le questioni interpretative che immediatamente balzano agli occhi, nella lettura di detta nuova norma:

Non è chiaro perché la definizione normale non sia unica e generale ma duplice e basata specificatamente sull’estensione della superficie scolante;
Non è chiaro il riferimento al “tempo di accesso” alla rete (n.d.r. frazione del tempo di corrivazione che, nella progettazione idraulica corrente, è sempre stato assunto pari al più a 15 minuti), posto che da un punto di vista idraulico questo ultimo è riferibile ad una intensità di precipitazione e non ad un’altezza di pioggia uniforme, così come fissata dalla norma c.s.;
Non è chiaro, con l’introduzione di predetto tempo, se gli adempimenti normali previsti nella seconda parte della definizione, siano riferiti a delle portate piuttosto che a dei volumi inquinanti;
Non è facile individuare, quali siano le “acque di seconda pioggia”, posto il fatto che questo aggiornamento normale, nella seconda parte della definizione, non individua in modo univoco il discrimen giuridico per le “prime acque di pioggia”;
Non è chiaro, nella seconda parte della definizione, il motivo per il quale si demandi al progettista la responsabilità della determinazione di summenzionato discrimen, posto che tale responsabilità, ai sensi dell’art. 113 del D. Lgs N. 152/2226, è di esclusiva spettanza Regionale.
Nessun chiarimento e/o definizione viene offerta sulle acque di seconda pioggia.




Il nuovo PTA prevede, analogamente a quanto disciplinato dalla Regione Lombardia (n.d.r. R.R. 24 marzo 2006, n. 4), che:
la formazione, il convogliamento, la separazione, la raccolta e lo scarico delle acque di prima pioggia sono soggetti alla disciplina regionale, qualora tali acque provengano da stabilimenti industriali rientranti in determinate macro categorie, classificate per attività.

Ai fini di predetta disciplina, pertanto, sono definiti stabilimenti industriali, le aree ( a. cioè come superfici scolanti calcolate al netto di coperture non carrabili e delle aree a verde) aventi una superficie superiore a 2.000,00 m2 costituenti pertinenze di edifici ed installazioni in cui si svolgono le seguenti attività:

A)
1. Industria petrolifera;
2. Industria chimica;
3. Trattamento e/o rivestimento dei metalli;
4. Concia e tintura delle pelli e del cuoio;
5. Produzione della pasta carta, della carta e del cartone;
6. Produzione dei pneumatici;
7. Aziende tessili che eseguono stampa, tintura e finissaggio di fibre tessili;
8. Produzione di calcestruzzo;
9. Aree intermodali (n.d.r. aeroporti, porti e scali merci);
10. Autofficine;
11. Carrozzerie;
12. Depositi di rifiuti, centri di raccolta e/o trasformazione degli stessi;
13. Depositi di rottami;
14. Depositi di veicoli destinati alla demolizione.

B) Tutta l’area del bacino scolante (n.d.r. cioè tutta l’area scoperta impermeabile al netto di coperture non carrabili e di aree a verde) se specificatamente destinato ad attività di deposito, travaso, carico e scarico (n.d.r. movimentazione i genere), delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5 accluso al D. Lgs. N. 152/99 (n.d.r. D. Lgs. n. 152/2006).

Una prima osservazione, è quella relativa alla confusione ingenerata dalla scelta regionale di dare una definizione di “ stabilimento industriale” diversa da quella stabilita dal D. Lgs. N. 152/2006 che, all’art. 74, comma I, lett. nn) recita pedissequamente:

“si definisce stabilimento industriale tutta l’area, sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali od industriali che comportano la produzione, la trasformazione e/o l’utilizzazione delle sostanze di cui all’allegato 8 alla parte terza del presente decreto ovvero qualsiasi altro processo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico (n.d.r. tali sostanze, particolarmente pregiudizievoli da un punto di vista ambientale, sono normalmente definite inquinanti e sono elencate, per l’appunto, nell’allegato 8 alla parte terza del D. Lgs. N. 152/2006.

Un’altra legittima osservazione, conseguente alla prima è, quella relativa alla scelta di escludere dalla disciplina regionale, le superfici scolanti dimensionalmente inferiori a 2.000,00 m2 delle attività di cui alla lettera A), posto che la definizione di cui alla citata normativa nazionale, considera a rischio ambientale, invero, tutta l’area in cui predette attività si svolgono, a prescindere dal loro valore dimensionale.

Per quanto sopra, non è chiaro perché si escludano dalla disciplina regionale, se dimensionalmente inferiori a 2.000,00 m2, le superfici scolanti destinate ad attività di movimentazione di rifiuti pericolosi, quali i depositi destinati ai veicoli fuori uso ovvero destinate ad attività d movimentazione di rottami metallici (ferrosi e non) e relativi composti e/o di sostanze inquinanti che hanno effetti negativi sul bilancio dell’ossigeno (misurabili con parametri come BOD5, COD, Solidi in Sospensione, eccetera) quali i depositi di rifiuti, centri di raccolta e/o trasformazione degli stessi (c.d. industrie insalubri).

Non è chiaro, parimenti, perché non sia stata esplicitata la disposizione che assoggetti le acque di lavaggio delle superfici esterne (n.d.r. acque di apporto non meteorico), di cui alle lettere A), B) e C), alla disciplina stabilita per le acque di prima pioggia come, invero, prescrive il vecchio Piano Direttore.

Contrariamente a quanto sembra voler chiarire il PTA, circa la distinzione tra “scarico” ed “immissione”, lo stesso Piano ne accorpa e ne modifica le due definizioni nell’unica seguente:

scarico: rilascio tramite condotta delle acque meteoriche di dilavamento provenienti da rete fognaria separata o raccolte con altre condotte (c.d. c. separate), sul suolo negli strati superficiali del sottosuolo, nelle acque superficiali e marine nonché nella pubblica fognatura, di cui all’art. 39, comma 1 lettera a) e b) del D. Lgs. n. 152/99 (n.d.r. art. 113, comma 1, lettera a e b).Ancora una volta non sono state fatte salve le definizioni di cui all’art. 74 del D. Lgs. 152/2006.

Tale nuovo disattendimento dalla definizione normale di “scarico” di cui all’art. 74, c. I, lett ff) del già citato D. Lgs. 152/2006, nella fattispecie, ha comportato la confusione di una immissione idrica, costituita da acque meteoriche di dilavamento (diverse dalle acque reflue), raccolte con altre condotte separate (diverse dalle condotte della rete fognaria separata), con uno scarico costituito da acque reflue urbane convogliate in reti fognarie separate e provenienti da agglomerato.

Non è chiaro perché il PTA, adottato dell’art. 121 del D. Lgs. 152/2006, faccia ancora riferimento al vecchio Decreto Legislativo n. 152/1999.

In termini generali si può concludere che le prescrizioni contenute nel nuovo PTA, pur rientrando nell’esercizio del potere dell’Ente Regione, poiché presentano un profilo erroneo, illogico ed in alcuni punti di manifesta contraddittorietà possono essere, senz’altro, oggetto di sindacato giurisdizionale.