Cass. Sez. III n. 29815 del 27 ottobre 2020 (UP 9 set 2020)
Pres. Aceto Est. Gai Ric. Torre
Urbanistica.Realizzazione di finestre e luci su immobili sottoposti a vincolo

La realizzazione di finestre e luci su immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale in difformità del permesso di costruire costituisce variazione essenziale ai sensi dell'art. 32 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 punita ai sensi dell'art. 44 lett. c) del citato d.P.R. n. 380 del 2001


RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 17 maggio 2019, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Trapani che aveva condannato Torre Vito, alla pena sospesa di giorni otto di arresto e € 8.000 di ammenda, in relazione ai reati di cui all’art. 44 lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 134, 142, 159 e 181 comma 1 del d.lvo n. 42 del 2004, per avere realizzato, quale proprietario, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, un vano chiuso al secondo piano di un edificio già oggetto di abusiva edificazione sito sull’isola di Marettimo, in struttura portante in legno e copertura mediante pannelli coibentati e chiusure laterali con infissi vetrati avente estensione di mq. 30, altro vano chiuso al terzo piano in struttura portante con copertura mediante pannelli coibentati e chiusure laterali con infissi vetrati avente estensione di mq. 30, un’apertura al secondo e terzo piano di finestra e nella costruzione di una canna fumaria (capo A), in zona sismica senza preavviso e senza autorizzazione dell’ufficio del Genio Civile. Accertato in Marettimo il 06/09/2016.
Con la medesima sentenza il Tribunale aveva condannato l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile Comune di Favignana con liquidazione in separato giudizio.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione della legge penale e segnatamente della L.R. Sicilia n. 4 del 2003 e del d.P.R. 380 del 2001, non essendo prevista per le opere realizzate la necessità del permesso a costruire. Trattasi di chiusura di veranda, che la legge regionale consente senza titolo abilitativo, che non avrebbe determinato un aumento di cubatura né modificazione di sagoma dell’edificio, in ogni caso non sarebbe necessario il permesso a costruire avuto riguardo alla natura precaria delle opere ed infine, alcuna autorizzazione sarebbe necessaria per la costruzione di una canna fumaria.

2.2. Col secondo motivo deduce l’errata interpretazione della legge in relazione all’articolo 157 cod.pen. e il vizio di motivazione.
La Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare la intervenuta prescrizione del reato tenuto conto che la costruzione era ultimata e che per il generale principio del favor rei, il reato avrebbe dovuto ritenersi consumato alla data più risalente, indicata dal ricorrente nel 2013, ed il relativo termine doveva ritenersi decorso.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati che costituiscono la mera riproposizione delle stesse censure già devolute ai giudici dell’impugnazione e da quei giudici disattese, il che costituisce già una causa di inammissibilità del ricorso.
5. Manifestamente infondata, ed anche in parte generica perché priva della necessaria critica, è la censura devoluta nel primo motivo di ricorso con cui la ricorrente censura la violazione di legge, segnatamente dell’art. 20 della L.R. Sicilia n. 4 del 2003.
La sentenza impugnata, in continuità con quella del Tribunale che, in presenza di c.d. doppia conforme, si salda con quella impugnata diventando un unico corpo argomentativo, ha escluso che i lavori edilizi realizzati (come sopra descritti) fossero da annoverare tra quelli indicati dal citato art. 20 della legge regionale per i quali non occorre il permesso a costruire. Esclusa la ricorrenza di una chiusura di terrazze, la corte territoriale ha rilevato che erano state realizzate opere di sopraelevazione di fabbricato preesistente (già abusivo da cui l’ulteriore abusività delle opere edificate che accedono ad immobile abusivo) che comportavano una modificazione del perimetro verticale, in assenza di struttura precaria e neppure aperte da un lato, come richiede il citato art. 20 della legge regione Sicilia. Con tale intervento di costruzione sul lastrico solare si realizzava una sopraelevazione dell’edificio preesistente con aumento di cubatura e modifica di sagoma, opere che richiedevano il permesso a costruire.  
Ora il ricorrente ripropone la medesima censura senza, peraltro, confrontarsi compiutamente con la decisione impugnata laddove ha rilevato che si trattava di opere realizzate su immobile già abusivo e che comportavano una modificazione della sagoma e non erano precarie, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede.
Al riguardo deve osservarsi che in tema di reati edilizi, la natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici, per le quali l'art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o autorizzazione, va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/09/2014, Gulizzi, Rv. 261156 – 01; Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010, Pennisi, Rv. 246771 – 01).
Nel caso in esame, la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dello ius receptum e sulla scorta dell’accertamento di fatto, insindacabile in questa sede in quanto sorretto da adeguata motivazione, ha escluso che ricorressero i presupposti di applicazione dell’art. 20 cit., trattandosi di opere strutturali non precarie che comportavano una modifica della sagoma di immobile già abusivo, sicchè, tra l’altro, ripete la stessa abusività dell’immobile originario.
Quanto all’apertura di finestre, secondo il consolidato orientamento di legittimità la realizzazione di finestre e luci su immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale in difformità della concessione edilizia (ora permesso di costruire) costituisce variazione essenziale ai sensi dell'art. 8, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora art. 32 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) punita ai sensi dell'art. 20 lett. c) della citata legge n. 47 (ora art. 44 lett. c) del citato d.P.R. n. 380 del 2001) (Sez. 3, n. 38760 del 24/06/2004, Sinatra, Rv. 229623 – 01). Peraltro, nel caso in esame, si deve rammentare che le finestre erano state realizzate su immobile abusivo in origine.
Allo stesso modo, si è chiarito che la realizzazione di una canna fumaria necessita del rilascio del permesso a costruire e nel caso in cui interessi il prospetto dell’edificio di immobili ricadenti in zona vincolata paesaggistica è assoggettata anche al parere della soprintendenza per i beni architettonici e paessaggistici.
In tema di reati edilizi, sono "volumi tecnici" quelli strettamente necessari a contenere e consentire la sistemazione di impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione (serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di espansione dell'impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda), che non possono trovare allocazione, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, entro il corpo dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (Sez. 3, Sentenza n. 22255 del 28/04/2016, Casu, Rv. 267289 – 01). La canna fumaria, nel caso in esame, interessava la parte esterna dell’edificio (cfr. pag. 8).

6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché privo della necessaria critica censoria alla sentenza impugnata che ha rilevato che si trattava di interventi di rifinitura assai recenti rispetto al momento dell’accertamento (pag.10).
In ogni caso, appare manifestamente infondato.
Come è noto, il reato urbanistico al pari del reato paesaggistico, hanno natura permanente e la loro consumazione, che ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione, perdura fino alla cessazione dell'attività edilizia abusiva (ex multis Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso, Rv. 261916), momento nel quale inizia a decorrere il termine di prescrizione.
La cessazione dell’attività, come ricorda la giurisprudenza, coincide con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera (Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351), con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio mediante sequestro penale (Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, P.G. in proc. Quartieri e altri, Rv. 265626), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498).
Dunque, ciò che rileva, e che deve essere rigorosamente provato o risultare dagli atti, è che l'attività antigiuridica sia cessata e il momento in cui la stessa si è verificata, momento a partire dal quale decorre il termine quinquennale di prescrizione trattandosi di reati contravvenzionale (ora anche quello paesaggistico).
Nel caso di specie, dal testo del provvedimento impugnato, emerge che il dies a quo è stato individuato alla data dell’accertamento sul rilievo che si trattava di interventi di rifinitura assai recenti rispetto al momento dell’accertamento.
Ora il ricorrente censura la sentenza con una prospettazione difensiva che mira a individuare un diverso momento di cessazione della permanenza invocando il principio del favor rei.  
Sul punto va rammentato, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, che non è invocabile l’applicazione del c.d principio del favore rei nella determinazione del momento della decorrenza del termine di prescrizione e ciò perché il ricorso al principio evocato presuppone l’incertezza della data di commissione del reato (Sez. 2, n. 35662 del 16/05/2014, Torrisi, Rv. 259983; Sez. 3, n. 8253 del 03/12/2009 Ilacqua e altri, Rv. 246229) che nel caso in esame non sussiste sulla base della individuazione operata dai giudici con motivazione che non presenta illogicità ed è corretta in diritto.
Ogni diversa decorrenza (ultimazione dei lavori, sospensione volontaria o coatta) doveva essere oggetto di dimostrazione rigorosa da parte del ricorrente non essendo invocabile alcun principio di favor rei. In assenza alcuna di diversa indicazione della data di cessazione della permanenza, che non viene allegata nel ricorso, questa deve essere mantenuta, come correttamente indicato nelle sentenze di merito. Dunque, il reato non era prescritto alla data di pronuncia della sentenza in grado di appello e non è ad oggi prescritto (si prescriverà il 15/09/2021).

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Il ricorrente deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che si liquidano in € 3.500,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi € 3.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 09/09/2020