Sfruttamento dei fondi marini e controllo delle attività connesse

Daniele Esibini
Introduzione pag. 1

Capitolo 1 - Lo sfruttamento esclusivo dei fondali marini pag. 3
1.1 Mare territoriale: tra teoria funzionale e teoria spaziale
1.2 Piattaforma continentale: nozione geomorfologica e nozione giuridica
1.3 Zona Economica Esclusiva: giurisdizione strisciante e rapporto con la piattaforma continentale

Capitolo 2 - L' Area internazionale dei fondali marini: sfruttamento condiviso? pag. 12
2.1 Il regime previsto dalla Convenzione di Montego Bay
2.2 Il regime rivisto alla luce dell' Accordo integrativo sulla Parte XI

Conclusioni pag. 21




















Introduzione
Il settore marittimo è stato oggetto nel tempo di lunghi e accesi dibattiti, sia per le delimitazioni delle varie zone, sia per quanto concerne l' identificazione dei relativi diritti e obblighi per lo Stato costiero e per gli altri Stati facenti parte del panorama internazionale. Data fondamentale a partire dalla quale è venuto ad emergere in tutta la sua complessità il problema della delimitazione e soprattutto dell' utilizzazione degli spazi marini è il 1492, quando la scoperta degli orizzonti oltreoceano ha permesso alle varie potenze di ampliare i loro possedimenti ed il loro prestigio.
Il diritto internazionale marittimo si è costantemente sviluppato e stabilito, da allora, in base agli stessi presupposti di regolamentazione commerciale, coloniale e militare, essenzialmente tradizionali, i quali hanno indotto a considerare la navigazione marittima commerciale e militare come la prevalente se non esclusiva utilizzazione degli spazi marini da parte degli Stati.
Di conseguenza il concetto di dominio dei mari è derivato dal conflitto di interessi tra le grandi Potenze marittime; conflitto che, risolto in base a criteri di ordine rigidamente spaziali, non è mai cessato di esistere visto che si sono poi incontrate sempre maggiori difficoltà nella esatta delimitazione degli spazi marini a causa delle contrastanti pretese da parte degli Stati. Questa situazione ha portato, da un lato ad affermare il principio della libertà dell' alto mare, che si può considerare assoluto ed inderogabile (facendo eccezione per un limitato diritto di inseguimento continuo), essenzialmente in riferimento alla navigazione marittima e, dall' altro, l' affermazione della sovranità degli Stati costieri sui mari ad essi adiacenti, come sovranità assoluta ed esclusiva (eccezion fatta per un limitato diritto di passaggio inoffensivo), intesa essenzialmente nel senso di controllo sulla navigazione marittima costiera.
Numerose sono state le convenzioni che hanno tentano di risolvere le difficoltà in materia, alcune delle quali si conclusero con un insuccesso: è il caso della Conferenza di codificazione, tenutasi all'Aja nel 1930 per iniziativa della Società delle Nazioni, dove le divergenze di interessi degli Stati ne impedirono la redazione. Occorre attendere la Prima Conferenza di codificazione del diritto del mare, conclusasi a Ginevra il 29 aprile 1958, per vedere adottate quattro convenzioni:
1. convenzione su mare territoriale e zona contigua
2. convenzione sull' alto mare
3. convenzione su pesca e conservazione delle risorse biologiche dell' alto mare
4. convenzione sulla piattaforma continentale
La Conferenza di Ginevra ha redatto in forma scritta ed ha raccolto in maniera sistematica ed organica, operando ben poche innovazioni, nel testo delle quattro Convenzioni generali, i principi e le norme preesistenti di diritto internazionale marittimo, compiendo un' opera che può definirsi in prevalenza meramente dichiarativa.
Con il secondo dopoguerra, il diritto internzionale marittimo si è andato ulteriormente sviluppando in base a fattori essenzialmente diversi da quelli tradizionali, e cioè in base a presupposti del tutto nuovi, i quali hanno indotto a cosiderare non più la navigazione marittima, bensì lo sfruttamento delle risorse biologiche e minerali del mare e dei fondali, come la utilizzazione di gran lunga prevalente degli spazi marini ad opera degli Stati. Oltre a ciò, lo stesso quadro generale della Comunità internazionale è profondamente cambiato nei decenni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. A seguito del fenomeno della decolonizzazione, numerosissimi nuovi Stati hanno ottenuto l' indipendenza, la maggior parte dei quali sono, oggi, i cosidetti Paesi in via di sviluppo. Essi sono particolarmente interessati allo sfruttamento delle risorse biologiche e minerali del mare e dei fondali, ma sono ancora privi dei mezzi tecnici ed economici per realizzarlo.
In questo contesto viene a delinearsi il più vasto e complesso conflitto di interessi tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo da un lato, e quello che coinvolge Stati con elevato sviluppo di linee costiere o di piattaforma continentale, definiti maggiorati geofisici, e Stati privi di litorale marittimo o con mediocri accessi al mare, definiti geograficamente svantaggiati. Il mutamento sostanziale dei presupposti di regolamento, determinante la proliferazione delle utilizzazioni degli spazi marini, e le variazioni nella composizione della Comunità internazionale, che ha determinato il sorgere di conflitti di interessi essenzialmente nuovi e diversi, hanno provocato e continuano a provocare notevoli mutamenti nel tradizionale diritto internazionale marittimo, così come si era sviluppato e stabilito negli ultimi tre secoli, ed era stato definitivamente codificato a Ginevra nel 1958. Essi tendono infatti, a privare il principio della libertà dello alto mare, non più inteso solo come libertà della navigazione marittima, del suo carattere assoluto ed inderogabile, trasformandone il contenuto in modo da porre sostanziali modificazioni all'esercizio di questa libertà da parte degli Stati marittimi; come pure per un altro aspetto, tendono a privare il suo carattere assoluto ed esclusivo, ampliando notevolmente gli spazi territoriali di applicazione, la sovranità degli Stati costieri sui mari ad essi adiacenti, non più intesa solo come controllo sulla navigazione marittima costiera, trasformandola così in una sorta di giurisdizione a contenuto ed estensione variabili.
Sotto la spinta di così nuove esigenze, viene convocata la Terza Conferenza di Codificazione del Diritto del Mare, protrattasi per quasi dieci anni a causa dei notevoli contrasti insorti tra gli Stati partecipanti . La produzione di nuove norme giuridiche si è dimostrata necessaria al fine di disciplinare quelle utilizzazioni degli spazi marini precedentemente non ancora regolate dal diritto internazionale marittimo; mentre la modificazione e l' integrazione di numerose altre norme giuridiche preesistenti si è dimostrata necessaria per l' adeguamento alle nuove esigenze della Comunità nel dominio dei mari.
La presente ricerca mira a mettere in evidenza come il nuovo diritto del mare abbia delineato il tema dello sfruttamento dei fondali marini secondo due direzioni simmetricamente opposte tra di loro, a seconda della distanza cui si trova la fascia di mare considerata dalla costa. In particolare si procederà a partire dal mare territoriale che, come vedremo, è caratterizzato dall' esercizio di diritti esclusivi dello Stato costiero, per arrivare, attraverso l' analisi delle fasce intermedie, costituite dalla piattaforma continentale e dalla zona economica esclusiva, dove tali diritti sono esercitati in modo più limitato, fino ai fondi marini internazionali caratterizzati in parte, nonostante le numerose problematiche esposte nei successivi paragrafi, dalla sussistenza di uno sfruttamento in comune.

Capitolo 1 - Lo sfruttamento esclusivo dei fondali marini
1.1. - Mare territoriale: tra teoria funzionale e teoria spaziale
In contrapposizione al principio della libertà di navigazione in alto mare, da sempre gli Stati costieri hanno manifestato la pretesa di controllare la navigazione marittima e qualsiasi altra attività svolgentesi nei mari adiacenti alle proprie coste.
Nel periodo compreso tra il secolo XVI ed il secolo XVIII, non esisteva una nozione unitaria di mare territoriale, bensì una serie di pretese al controllo dei mari adiacenti, avanzate in funzione della protezione di determinati interessi dello Stato costiero. E' soprattutto nel secolo XIX che gli Stati ricollegano il controllo dei mari adiacenti il territorio alla protezione di interessi in numero via via crescente.
Il mare territoriale è definito, secondo il Nuovo Diritto del mare, come una zona di mare adiacente al territorio, sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità; sovranità che si estende allo spazio aereo sovrastante il mare territoriale, al suo fondo e al relativo sottosuolo.
Va sottolineato però come la coesistenza tra criterio spaziale e criterio funzionale della sovranità è possibile solo esclusivamente entro i limiti del territorio propriamente detto, che costituisce l' ambito dell' organizzazione sovrana e la stabile sede della comunità governata. Al di là di questi limiti, negli spazi marini, la protezione internazionale della potestà di governo è necessariamente destinata a sganciarsi dal criterio della effettività e, quindi, dalla delimitazione spaziale, assumendo così, carattere e forma esclusivamente funzionali. Negli spazi marini si ha solo una irradiazione della vita e degli interessi della comunità stanziata sul territorio, ed in funzione di questa, una irradiazione della potestà di governo dello Stato territoriale. In tali ambienti, il potere dello Stato si estende alle attività che vi si svolgono, a seconda delle effettive e concrete esigenze connesse all' esplicazione della funzione di governo, e solo nei limiti di queste esigenze esso viene internazionalmente tutelato.
In questo modo può spiegarsi la natura giuridica del mare territoriale. Come l' esercizio del potere di governo di ciascuno Stato nell' ambito del proprio territorio è riconosciuto e tutelato dal diritto internazionale, in funzione non del territorio in quanto tale, ma della comunità ivi stanziata, così la medesima esigenza funzionale è la ragione giustificativa dello jus excludendi alios in relazione al mare territoriale. Data l' immediata adiacenza del mare territoriale alle coste, la tutela accordata dall' ordinamento internazionale all'esercizio della potestà di governo, anche negli spazi marini inquadrati nella categoria del mare territoriale, si spiga con l' irradiazione naturale, nell' ambito descritto, delle normali attività della comunità stanziata sul territorio terrestre .
Nonostante la notevole rilevanza della teoria funzionale, non può comunque essere sottovalutata l' importanza di una delimitazione spaziale del mare territoriale; delimitazione che appare necessaria al fine della certezza del diritto. Una determinazione rigorosa del limite oltre il quale lo Stato costiero non può vantare un diritto esclusivo all' esercizio della propria potestà di governo è indispensabile per gli Stati terzi. La teoria funzionale vuole solo fornire una spiegazione logica, ed al tempo stesso giuridica, della espansione di tale diritto esclusivo al di là del territorio terrestre. Essa non mira comunque a fissare limiti diversi dell' estensione del mare territoriale, in ragione delle diverse possibilità del suo impiego.
La regola delle tre miglia, in vigore per tutto il secolo XIX, è entrata in crisi in conseguenza dell' atteggiamento assunto da numerosi Stati, i quali miravano a tutelare i loro interessi, soprattutto economici, in un ambito decisamente più esteso di quello rappresentato da tale misura. Sul problema della fissazione del limite esterno del mare territoriale, scarsi elementi potevano essere tratti dai risultati della Conevenzione di Ginevra, la quale afferma semplicemente che la zona contigua non può estendersi al di là delle dodici miglia a partire dalla linea di base , che serve da limite interno della larghezza del mare territoriale.
Negli ultimi anni si è venuta formando nell' ordinamento internazionale una norma consuetudinaria che fissa il limite esterno del mare territoriale ad una distanza massima di dodici miglia. La Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare ha registrato una generale intesa in senso favorevole a tale limite. Così, il numero degli Stati che ha adottato la regola delle dodici miglia, portando il proprio mare territoriale a tale ampiezza, è rapidamente aumentato, divenendo netta maggioranza, sia rispetto agli Stati che adottano una misura inferiore, sia rispetto a quelli che adottano misure superiori. Da una parte, infatti, i paesi anglosassoni, tradizionali sostenitori delle tre miglia, si sono convertiti alla regola delle dodici mglia, dall' altro, i paesi latino-americani, sostenitori del mare patrimoniale di duecento miglia, hanno mostrato anch' essi la tendenza ad accettare la regola delle dodici miglia, in cambio del riconoscimento della zona economica esclusiva di duecento miglia per lo sfruttamento delle risorse marine.

1.2. - Il concetto di Piattaforma continentale: nozione geomorfologica e nozione giuridica
Nell' ambito dei poteri funzionali esplicati dallo Stato costiero, particolare significato assumono quelli relativi al controllo sulle attività di sfruttamento delle risorse marine, sia viventi che minerali, soprattutto in conseguenza dei progressi tecnici che hanno aperto consistenti prospettive per lo sfruttamento delle risorse naturali, in particolare idrocarburi, contenute nei fondali marini di ridotta profondità adiacenti alle masse continentali ma situati oltre il limite del mare territoriale. Il nuovo sistema del diritto del mare fondato prima dalla Convenzione di Ginevra, e, successivamente dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, recepisce l' esigenza di molti Stati costieri di acquisire diritti di sfruttamento delle risorse non viventi del suolo e sottosuolo adiacenti al fondo del mare territoriale. Questa tendenza si era manifestata qualche anno prima nella pratica di diversi paesi e appariva generalmente accettata, purchè non venisse pregiudicata la condizione di alto mare delle acque sovrastanti.
Al riguardo tale esigenza era stata precedentemente espressa in modo evidente nel proclama presidenziale Truman del 1945, nel quale gli Stati Uniti rivendicavano diritti esclusivi allo sfruttamento di risorse naturali situate al di là del proprio mare territoriale. Nel preambolo del proclama gli Stati Uniti precisavano come fosse "ragionevole e giusto" estendere la propria giurisdizione sulle risorse minerali in questione e come lo Stato costiero fosse quello situato nella migliore posizione per adottare misure per la loro utilizzazione . Rimaneva invece impregiudicato il carattere di alto mare delle acque sovrastanti la piattaforma e il diritto alla loro libera navigazione da parte di tutti gli Stati.
La Convenzione di Ginevra sulla piattaforma continentale definisce tale spazio come: «il letto del mare e il sottosuolo delle regioni sottomarine adiacenti alle coste, ma situate al di fuori del mare territoriale, fino ad una profondità di 200 metri o, al di là di questo limite, fino al punto in cui la profondità delle acque sovrastanti permetta lo sfruttamento delle risorse naturali delle predette regioni» .
Nel 1958 le possibilità di sfruttare i fondali marini a profondità superiori ai duecento metri erano pressochè inesistenti, in quanto le tecniche dell' epoca erano ancora estremamente elementari.
Ben presto ci si accorse che era possibile raggiungere profondità molto più elevate, soprattutto ai fini dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi. La Convenzione di Montego Bay, alla luce di queste considerazioni, fornisce una definizione di piattaforma continentale sostanzialmente diversa rispetto alla precedente: «la piattaforma continentale di uno Stato costiero comprende i fondi marini e il loro sottosuolo al di là del suo mare territoriale, per tutta l' estensione del prolungamento naturale del territorio di questo Stato, fino al bordo esterno del margine continentale o fino a duecento miglia marine dalle linee di base a partire dalle quali è misurato il mare territoriale, quando il bordo esterno del margine continentale si trova a una distanza inferiore» . La stessa Convenzione prevede, inoltre, un' estensione giuridica sino a trecentocinquanta miglia dalla costa o ad una distanza non eccedente le cento miglia marine dalla isobata di duemilacinquecento metri, qualora, dal punto di vista geografico, la piattaforma continentale continui oltre le duecento miglia .
Secondo quanto è stato fatto valere dai Paesi in via di sviluppo e da quelli privi di litorale, la fascia di piattaforma continentale oltre le duecento miglia inciderebbe sull' Area internazionale, dichiarata patrimonio comune dell' umanità. Conseguentemente una quota dei proventi, ricavata dallo sfruttamento di tale superficie, dovrebbe essere versata dallo Stato costiero a favore dei Paesi emergenti.
Al fine di salvaguardare gli interessi dei Paesi in via di sviluppo, la Convenzione del 1982 afferma il principio della partecipazione della Comunità internazionale ai benefici derivanti dallo sfruttamento della piattaforma continentale al di là delle duecento miglia marine, in particolare viene stabilito che i contributi siano versati annualmente in relazione all' intera produzione di un sito, dopo i primi cinque anni di produzione di quel sito. Per il sesto anno la quota di pagamento o contributo sarà pari all' 1% del valore o volume di produzione del medesimo sito. La quota aumenterà dell' 1% per ogni anno successivo, fino al dodicesimo anno, e rimarrà del 7% da allora in poi. I pagamenti e contributi vengono corrisposti all' istituenda Autorità Internazionale dei fondali marini, che li ripartisce tra gli Stati contraenti la Convenzione, secondo criteri di equa suddivisione, tenendo conto degli interessi e delle necessità degli Stati in via di sviluppo e di quelli privi di litorale .
In conclusione la Montego Bay conferisce a tutti gli Stati il diritto ad una piattaforma continentale che va da un minimo di duecento ad un massimo di trecentocinquanta miglia o a cento miglia dall' isobata di duemilacinquecento metri, nonostante la eventuale inesistenza della stessa in senso geomorfologico.
Diversamente dalla Convenzione di Ginevra, la Convenzione del 1982 ha adottato un criterio giuridico di determinazione della piattaforma che prescinde completamente dalla nozione (geomorfologica), prevedendo una normativa che sembra più vantaggiosa per lo Stato costiero, rispetto al precedente limite tassativo, ma allo stesso tempo è più precisa e circoscritta dello stesso. Due sono le ragioni prevalenti che hanno portato l' istituto giuridico della piattaforma continentale a prescindere dalla nozione geomorfologica. In primis, la definizione data dalla Convenzione di Ginevra, creava una fortissima discriminazione tra gli Stati che geologicamente presentano la piattaforma e quegli Stati che, invece, ne sono privi. Viene allora istituito, con il Nuovo Diritto del mare, un vero e proprio sistema di compensazione a vantaggio dell' interesse generale, garantendo un principio di equità tra gli Stati. In secondo luogo, il concetto di piattaforma, come definito dalla Montego Bay , tende ad essere assorbito dall' istituto della Zona economica esclusiva (ZEE), riguardante non solo il fondale marino, ma anche la colonna di acqua sovrastante .
In questo modo si è tentato di razionalizzare gli istituti e di unificarne la disciplina, affermando che tutti gli Stati hanno diritto ad una piattaforma continentale che arrivi almeno a duecento miglia dalla costa.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, a seguito della pretesa degli Stati costieri di esercitare il proprio controllo e la propria giurisdizione sulle risorse naturali della piattaforma continentale, si è posto il problema della determinazione del regime giuridico della piattaforma stessa. Secondo la Convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma continentale e la corrispondente Parte VI della Convenzione di Montego Bay del 1982, lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di esplorare la piattaforma continentale e di sfruttare tutte le risorse naturali. Le risorse naturali della piattaforma comprendono, oltre alle risorse minerali, anche gli organismi viventi appartenenti alle specie sedentarie .
Il diritto all' esplorazione ed allo sfruttamento della piattaforma continentale, però, come è stato affermato dalla Convenzione di Ginevra e ribadito dalla Montego Bay, non deve avere per effetto di interferire in modo ingiustificato sulla navigazione, la pesca o la conservazione delle risorse biologiche del mare, nè di interferire sulle ricerche oceanografiche fondamentali, o sulle altre ricerche scientifiche effettuate con l' intenzione di pubblicarne i risultati .
Emerge, così, che il diritto esclusivo esercitato dagli Stati costieri sulla piattaforma continentale ha una portata più ristretta rispetto al diritto di sovranità sul territorio e nel mare territoriale. Precisamente il diritto esclusivo sulla piattaforma continentale ha natura funzionale e, quindi, lo Stato costiero può esercitare la propria potestà di governo, non genericamente per disciplinare e controllare tutti gli aspetti della vita sociale, ma solo nella misura necessaria e sufficiente a controllare l' esplorazione e lo sfruttamento o ad esplorare e sfruttare direttamente le risorse naturali della piattaforma. Si tratta, perciò, di diritti sovrani nel loro esercizio, ma limitati nel loro obiettivo e, pertanto, funzionali o finalizzati al perseguimento degli scopi tutelati dall' ordinamento.

1.3. - La Zona Economica Esclusiva: giurisdizione strisciante e rapporti con la piattaforma continentale
La zona economica esclusiva costituisce un istituto relativamente recente nell'ordinamento internazionale, avendo trovato per la prima volta la sua regolamentazione nella parte V della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare.
Il nuovo istituto rappresenta il punto terminale di quel processo evolutivo, cui si è accennato nell'introduzione, iniziato dopo la seconda guerra mondiale, tendente al riconoscimento di alcuni poteri statali diretti allo sfruttamento delle risorse naturali, sia biologiche che minerali, esistenti oltre il mare territoriale .
Il regime giuridico della zona economica esclusiva deriva da un complesso di norme di natura convenzionale . In realtà secondo la dottrina prevalente, già sul finire degli anni '70, e dunque prima ancora della definitiva approvazione della Convenzione di Montego Bay , il nucleo fondamentale del nuovo istituto del diritto del mare aveva assunto natura consuetudinaria. Già allora, infatti, nessuno Stato poteva contestare l' istituzione di una zona economica esclusiva da parte di altri. Ciò è confermato anche dagli orientamenti assunti dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Tale regime, come sarà analizzato qui di seguito, si differenzia sia da quello del mare territoriale che da quello dell' alto mare, pur avendo le caratteristiche di entrambi questi regimi. La zona economica esclusiva è una zona sui generis, di transizione tra il mare territoriale e l' alto mare. In essa lo Stato costiero non gode di una piena sovranità territoriale, ma soltanto della sovranità economica sulle risorse ivi contenute.
Tutti gli Stati costieri hanno il diritto di proclamare una zona economica esclusiva; in ogni caso, la giurisdizione dello Stato può ivi essere esercitata soltanto a seguito di un' apposita dichiarazione da parte dello Stato interessato .
Inoltre, è opportuno notare che, nella disciplina dell' istituto, sono individuabili due fasci di poteri e di libertà, attribuiti dalla Montego Bay rispettivamente allo Stato costiero e agli Stati terzi. In verità, questo non corrisponde pienamente alla realtà della disciplina convenzionale dell' istituto. E', infatti, ben difficile inquadrare la situazione degli Stati terzi, nell' ambito della zona economica esclusiva, in termini assoluti di libertà, considerando le misure di controllo che lo Stato costiero è legittimato ad esercitare nell'ambito della zona, al fine di conferire effettività ai propri poteri di accertamento e di verifica. A tal fine, lo Stato costiero può porre in essere misure coercitive quali l' arresto, il sequestro, il diritto di visita e di dirottamento, la sottoposizone a procedimento di navi straniere e dei loro equipaggi; tutte misure che spostano inevitabilmente gli equilibri in favore dello Stato costiero, rispetto alle attività poste in essere dagli altri Stati nell' ambito della zona.
Del resto, il fenomeno della c.d. giurisdizione strisciante degli Stati ha portato ad un'estensione sempre più accentuata della sovranità degli Stati costieri nel mare. Si è passati dai soli poteri di controllo e prevenzione di reati compiuti nel territorio dello Stato (zona contigua) ai diritti sovrani di sfruttamento delle risorse minerali esistenti nel fondo e nel sottosuolo marino (piattaforma continentale), fino a giungere ai diritti sovrani ed esclusivi ai fini dell' esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali biologiche o non biologiche, delle acque, dei fondi marini e del loro sottosuolo entro le 200 miglia dalla costa .
Venendo all' individuazione della natura giuridica della zona in esame, già durante i lavori della Terza Conferenza sul diritto del mare erano emersi due distinti orientamenti. Secondo il primo di questi, la zona economica esclusiva andava considerata come una parte di alto mare, in cui lo Stato costiero esercitava speciali diritti e potestà per il conseguimento di determinati fini di carattere prevalentemente economico, lasciando comunque inalterato il regime di libertà delle acque.
In base ad un secondo orientamento, invece, la zona economica esclusiva andava considerata una zona di potestà statuale, assimilabile al mare territoriale, nella quale lo Stato costiero esercitava diritti funzionali di rilevanza economica, che tendevano ad escludere l' attività degli altri Stati e, quindi, a negare le libertà tradizionalmente riconosciute a questi ultimi nell' alto mare.
Alla fine, la Convenzione di Montego Bay ha adotatto una soluzione di compromesso piuttosto ambigua, considerando la zona economica esclusiva come un ambito spaziale distinto sia dal mare territoriale sia dall' alto mare.
Ne consegue che questo spazio marino costituisce, in realtà, una zona intermedia tra il mare territoriale e l' alto mare; in altri termini, rappresenta un tertium genus che va ad inserirsi nella tradizionale dicotomia mare territoriale - alto mare.
In definitiva , la circostanza che la zona economica esclusiva tenda a realizzare un certo equilibrio tra la libertà di navigazione connessa al concetto classico di alto mare e l'estensione dei poteri dello Stato costiero su spazi marini sempre più vasti, rende ibrida la sua natura giuridica .
Accanto al regime stabilito per le risorse biologiche esistenti nella zona economica esclusiva, sono previsti diritti sovrani ed esclusivi anche in relazione alle risorse non biologiche presenti sul fondo e nel sottosuolo marino della stessa zona ; regime che in passato era regolamentato dalle norme della Convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma continentale.
Ad una analisi superficiale, sembrerebbe che la Convenzione di Montego Bay abbia soltatnto formalmente mantenuto in vita i due istituti della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva, sancendo sostanzialmente l' assorbimento della prima nella seconda e lasciando intendere che anche la regolamentazione dello sfruttamento delle risorse minerali sia inserita nella Parte V della Convenzione . In realtà secondo quanto disposto dall' aert. 56, par. 3, i diritti connessi con le risorse del fondo e del sottosuolo marino devono essere esercitati in conformità alle disposizioni contenute nella Parte VI della Convenzione relativa alla piattaforma continentale.
Del resto, il mantenimento della distinzione tra zona economica esclusiva e piattaforma continentale si giustifica in quanto, pur essendovi un notevole ambito di coincidenza geografica e relativa ai diritti riconosciuti allo Stato costiero tra i due istituti, tale coincidenza non è completa nè sotto l' uno, nè sotto l' altro profilo .
Il problema del rapporto tra la zona economica esclusiva e la piattaforma continentale risulta essere particolarmente complesso per la contemporanea applicazione di due diversi regimi giuridici nella medesima fascia di mare di 200 miglia marine; regimi entrambi caratterizzati dall' esercizio da parte dello Stato costiero di diritti sovrani funzionalizzati allo sfruttamento delle risorse naturali ivi esistenti.
E' importante, a questo proposito, mettere in luce che, mentre il regime della zona economica esclusiva si applica a tutte le risorse naturali, sia biologiche che minerali, il regime della piattaforma continentale riguarda soltanto le risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo. Questo fondamentale elemento di distinzione porta a configurare il regime della piattaforma continentale come un regime speciale, in quanto tale, prevalente sul regime generale della zona economica esclusiva. Ciò lo si può notare anche dal fatto che la legge istitutiva della zona economica esclusiva ha la tipica struttura di una norma facoltizzante per la cui applicazione c' è bisogno di un' espressa manifestazione di volontà dello Stato costiero .
Ne consegue che, in materia di sfruttamento delle risorse minerali entro le 200 miglia dalla costa, in caso di contrasto tra la discplina della zona economica esclusiva e quella della piattaforma continentale, prevalgono le norme riguardanti la piattaforma continentale per il loro carattere di norme speciali, sia nel caso in cui lo Stato costiero abbia istituito, al largo delle proprie coste, una zona economica esclusiva, sia in caso contrario. D' altro canto, nessun dubbio esiste sull' applicabilità delle norme riguardanti la piattaforma continentale per le risorse minerali esistenti nella fascia di mare che si estende oltre il limite delle 200 miglia marine dalla costa.
L' unica eccezione è costituita dal regime giuridico applicabile allo sfruttamento delle risorse minerali esistenti nel fondo marino di quegli Stati privi di piattaforma continentale. In questo caso la disciplina speciale della piattaforma continentale risulterebbe inapplicabile e nell' area del fondo e del sottosuolo fino a 200 miglia dalla costa troverebbe applicazione soltanto il regime giuridico della zona economica esclusiva.

Capitolo 2 - L' Area internazionale dei fondali marini
L' affermazione dell' istituto della piattaforma continentale, nella Convenzione di Ginevra del 1958, e di quello della zona economica esclusiva, nella Convenzione di Montego Bay del 1982, benchè abbiano ampliato considerevolmente le aree dei fondi marini sottoposte alla giurisdizione degli stati costieri, non hanno comportato cambiamenti sostanziali circa il regime di libertà, che ha continuato ad applicarsi al letto ed al sottosuolo marino situati oltre il limite esterno della piattaforma continentale. Nella concezione classica, ispiratrice della Convenzione di Ginevra, il letto dei mari era qualificato come res nullius ed ogni Stato era libero di esplorare e di utilizzare il fondo del mare e degli oceani al di là del limite delle giurisdizioni nazionali, con il solo obbligo di non intralciare la libertà di utilizzazione da parte degli altri Stati.
Per molto tempo, l' assenza di un sufficiente sviluppo della tecnica, ha comportato che la possibilità dello sfruttamento e della conseguente utilizzazione dei fondali marini internazionali costituisse un problema unicamente teorico, sprovvisto di rilievo pratico. La diffusione a partire dagli anni sessanta delle conoscenze circa l' esistenza e la possibilità di sfruttamento non solo di idrocarburi ma anche di risorse minerali solide nei fondi marini, ha avuto effetti giuridici e politici di segno opposto.
La tendenza degli Stati costieri ad estendere la propria giurisdizione su zone di mare sempre più vaste ha finito con l' imporsi all' interno della comunità internazionale. Le principali risorse in idrocarburi rimangono così ricomprese nella giurisdizione nazionale e i noduli polimetallici rimangono le sole risorse minerali importanti dei fondi marini al di là dei limiti della giurisdizione nazionale.
La qualificazione dei fondali internazionali come res nullius non poteva più reggere al paragone delle nuove tecniche e delle nuove possibilità che si aprivano agli Stati: la politica del laissez faire si presentava non più attuale e quindi meritevole di una revisione. Rendendosi così necessaria una disciplina internazionale della materia, si sono presto andate a delineare due concezioni. La prima, ispirata all' idea classica di libertà di iniziativa degli Stati, sosteneva che le risorse del mare dovevano essere poste a disposizione di coloro che erano in grado di appropriarsene, si faceva quindi riferimento agli Stati tecnologicamente più avanzati, proponendo un sistema compatto e ristretto di norme volto ad impedire l' insorgere di conflitti e di pratiche di concorrenza sleale tra gli Stati.
La seconda concezione, espressa nel 1967 dal rappresentante di Malta alle Nazioni Unite mediante la "Dichiarazione dei principi" e adottata successivamente con una risoluzione dall' Assemblea delle Nazioni Unite nel dicembre 1970, considerava le risorse racchiuse nel fondo del mare, come patrimonio comune dell' umanità (Common Heritage of Mankind) e richiedeva una specifica regolamentazione internazionale delle stesse, intesa a salvaguardare gli interessi di tutti e ad impedire che soltanto pochi Stati, tecnologicamente più avanzati, potessero avantaggiarsene ad esclusione di altri.
L' affermazione del concetto di patrimonio comune dell' umanità sancisce la non suscettibilità della Zona (Area internazionale dei fondi marini) ad appropriazione o rivendicazione di sovranità. L' utilizzo deve volgere a fini esclusivamente pacifici e, soprattutto, la sua esplorazione e sfruttamento devono effettuarsi nell' interesse di tutta l' umanità, tenendo conto delle esigenze e degli interessi dei Paesi in via di sviluppo . La "Dichiarazione dei principi" prevede che l' esplorazione e lo sfruttamento della Zona e delle sue risorse debbano avvenire nel quadro di un particolare regime internazionale comprendente un meccanismo internazionale appropriato a dargli effetto da istituire per mezzo di un trattato internazionale di carattere universale generalmente accettato.
E' così che la formulazione di regole che pongano in essere tale regime e tale meccanismo è stato uno degli obiettivi essenziali della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare e del suo Progetto di convenzione prima e della Convenzione stessa poi. Negli anni immediatamente successivi alla risoluzione sulla "Dichiarazione dei principi" vi è una forte coesione da parte di tutti gli Stati in merito all' idea che lo sfruttamento delle risorse dei fondi marini internazionali debba andare a beneficio di tutti gli Stati. Tale concetto è non solo contenuto nella Convenzione, bensì anche nelle disposizioni di quelle leggi nazionali che prevedono che venga percepita un' imposta a carico dei soggetti impegnati nello sfruttamento minerario dei fondi marini e che il suo ricavato debba utilizzarsi, tramite vari meccanismi, per fini di aiuto allo sviluppo in attesa di poterlo trasferire all' Autorità.
Il contrasto di posizioni è viceversa netto su un altro aspetto: si sostiene, da parte dei Paesi in via di sviluppo, che ogni forma unilaterale di sfruttamento sia illecita; illiceità derivante dal carattere vincolante della "Dichiarazione dei principi".
Gli Stati industrializzati più interessati allo sfruttamento obiettano che le risoluzioni non hanno effetto obbligatorio e che il principio della libertà dell' alto mare consente la appropriazione da parte degli Stati delle risorse dei fondali marini, purchè ciò non implichi rivendicazioni di sovranità e purchè non vengano lese le altre attività legittimamente svolte nel mare e sui fondi marini.
Ci si rende conto della necessità di soddisfare interessi molteplici e spesso contraddittori. Il regime, introdotto dalla Montego Bay, conciliare l' interesse dei Paesi industrializzati e delle loro imprese ad utilizzare i fondali in modo redditizio con l' intersse dei Paesi in via di sviluppo a fare dello sfruttamento la prima concreta realizzazione del "nuovo ordine economico internazionale" .
Entrambi questi interessi devono essere poi conciliati con l' interesse degli Stati consumatori, che vorrebbero una disponibilità crescente di metalli a prezzi quanto più possibile bassi, e con quello degli Stati produttori terrestri degli stessi metalli che vorrebbero evitare ripercussioni commerciali sfavorevoli nel settore, derivanti dalla introduzione sul mercato dei prodotti ottenuti dalla lavorazione dei noduli marini. E' compito del meccanismo conciliare il principio dell' uguaglianza degli Stati con la necessità di salvaguardare questo tipo di interessi particolari.
Come verrà approfondito nel successivo paragrafo, si è cercato di risolvere questi problemi di conciliazione di interessi mediante la creazione di un' organizzazione internazionale, l' Autorità internazionale dei Fondi Marini. Il compromesso tra tutta questa serie eterogenea di esigenze, è cercato, da una parte, all'esterno dell' Autorità, nella contrapposizione delle sue competenze ai diritti degli Stati membri e delle loro imprese; dall' altra, all' interno dell' Autorità, nella composizione e nel sistema decisionale dei suoi organi, nonchè nella distribuzione delle competenze fra questi.

2.1. - Il regime previsto dalla Convenzione di Montego Bay
Il regime dei fondi marini internazionali deve conciliare il dato oggettivo che solo un ristretto gruppo di Stati dispone delle tecnologie e dei mezzi finanziari per intraprenderne lo sfruttamento con il principio che tale uso deve avvenire nell' interesse dell' intera umanità. Per gli Stati industrializzati più direttamente interessati, solo gli Stati e le loro imprese possono sfruttare la Zona mentre l' Autorità avrebbe il solo compito di stabilire una regolamentazione generale. Per gli Stati in via di sviluppo, al contrario, spetterebbe alla Autorità gestire direttamente ogni attività nella Zona.
Il compromesso che si è cercato di trovare consiste in un sistema detto "parallelo". La idea di base è che lo sfruttamento dei fondi marini venga svolto parallelamente da parte degli Stati e delle loro imprese e da parte dell' Autorità, restando tuttavia fermo il principio che ogni attività deve avvenire nel quadro dell' Autorità.
E' stato necessario, da una parte, creare un braccio operativo dell' Autorità da contrapporre agli Stati ed alle loro imprese, identificato con l' Impresa internazionale dei fondi marini, organo dell' Autorità che conduce direttamente le attività nella Zona e che nel quadro della personalità giuridica internazionale dell' Autorità ha la capacità giuridica necessaria per svolgere le sue funzioni e raggiungere i suoi fini .
Così pure è stato necessario creare, dal lato dei soggetti nazionali, e in particolare di quelli che sono imprese disciplinate dal diritto interno, un collegamento avente rilievo internazionalistico con gli Stati parte della Convenzione. Fu allora introdotto il concetto di "patrocinio" (sponsorship), accordato all' impresa nazionale dal proprio Stato, o dallo Stato cui appartengono i soggetti che ne esercitano il controllo effettivo. Nel caso di consorzi tra imprese di più nazionalità tutti gli Stati interessati devono dare il loro patrocinio. Il sistema prevede che gli Stati o le imprese da questi patrocinate che intendano svolgere attività di esplorazione e di sfruttamento nella Area, sottopongano all' Autorità dei piani di lavoro che , una volta approvati, conferiscono loro il diritto esclusivo di esplorazione e di sfruttamento con riguardo ad un settore dell' Area internazionale.
Aspetto fondamentale del sistema in esame è il banking system, meccanismo per il quale i piani di lavoro presentati dagli Stati o dalle imprese da essi patrocinate devono coprire un settore che abbia una superficie totale ed un presumibile valore commerciale tali da consentire l'individuazione di due porzioni di area da sfruttare e, conseguentemente, due operazioni di estrazione. Solo così l' Autorità può approvare il contratto per una delle due parti del settore sottopostole nella proposta, designando l' altra come "sito riservato" ad attività che essa condurrà mediante l' Impresa o in associazione con Paesi in via di sviluppo.Tale meccanismo assicura, da una parte, lo stesso numero di siti minerari a ciascuna delle parti del sistema parallelo, e dall' altra, consente all' Impresa di evitare le spese e le difficoltà della prospezione. Inoltre, l' Impresa, in qualità di organo della Autorità, nel quadro del sistema parallelo, gode di ulteriori vantaggi. In particolare, seppure le attività condotte nella Zona dall' Impresa sono in linea di principio sottoposte all' insieme delle regole contenute nella Convenzione , al pari di quelle degli Stati e delle loro imprese, da un esame di tali regole risulata che l' Impresa è esclusa da alcuni obblighi che sono invece imposti agli Stati e alle loro imprese:
 l' Impresa può presentare una domanda riguardo a qualsiasi settore della Zona, mentre gli Stati e le loro imprese hanno accesso ai siti riservati solo quando si tratti di Paesi in via di sviluppo e alla condizione che vi sia la rinuncia da parte dell' Impresa di sfruttare la fascia di fondo selezionata.
 Le condizioni di qualificazione degli Stati e delle loro imprese, basate sulle capacità finanziarie e tecnologiche, sono oggetto di un esame specifico da parte dell' Autorità, mentre l' Impresa può limitarsi a produrre dei do*****enti che attestino la sussistenza di tali condizioni.
 Le sanzioni che l' Autorità può comminare a chi sfrutta un sito minerario non trovano applicazione per l' Impresa.
Il sistema è poi integrato da ulteriori disposizioni miranti a consentire all' Impresa di usufruire di mezzi tecnici e finanziari che le permettano di sfruttare l' Area parallelamente agli Stati, così da ottenere che i Paesi in via di sviluppo possano godere di una posizione privilegiata nel funzionamento del regime.
Quanto ai mezzi tecnici si intende far acquisire all' Impresa, secondo modalità e condizioni giuste e ragionevoli, le tecnologie impiegate dai contraenti, nel caso in cui la Impresa non sia in grado di reperirle sul mercato a condizioni equivalenti. La Convenzione di Montego Bay prevede, così, un sistema di cessione all' Impresa pressochè forzata della tecnologia utilizzata dai contraenti nazionali.
Quanto ai mezzi finanziari, gli Stati membri hanno l' obbligo di contribuire in maniera sostanziale al finanziamento della prima operazione mineraria dell' Impresa, mentre è fatto obbligo ai contraenti di pagare all' Autorità dei diritti e contributi di rilevante entità.
Gli Stati parte della Convenzione assicurano, secondo il criterio di ripartizione dei contributi al bilancio ordinario delle Nazioni Unite, il finanziamento della prima operazione dell' Impresa in misura del 50% mediante prestiti a lungo termine senza interessi e dell' altro 50% garantendo i debiti contratti dall' Impresa stessa . I diritti e i contributi che le imprese contraenti devono pagare all' Autorità sono:
1. Un diritto di 500.000 dollari per spese amministrative;
2. Un diritto annuale fisso di 1.000.000 di dollari dovuto a partire dall' entrata in vigore del contratto;
3. Un contributo finanziario da pagare dall' inizio della produzione commerciale, pagabile dal contraente, o mediante una tassa sulla produzione oppure versando una parte dei suoi proventi netti derivanti dalle attività di estrazione, oltre ad una tassa meno elevata sulla produzione.
Il regime dei fondali marini internazionali è completato da alcuni correttivi volti alla tutela degli Stati produttori terrestri di metalli contenuti nei noduli e ad evitare la monopolizzazione delle attività condotte nella Zona .
La prima tutela è assicurata da un sistema di limitazione della produzione proveniente dai fondi marini e da un sistema di compensazione. La limitazione è prevista per un periodo provvisorio la cui durata corrisponde alla prima generazione di sfruttamento minerario sottomarino. Il sistema di limitazione della produzione ha per conseguenza che un contraente può cominciare la sua produzione commerciale solo dopo aver ottenuto dall' Autorità una "autorizzazione di produzione". Nel concedere questa autorizzazione, la Autorità può trovarsi nelle condizioni di dover scegliere tra più aspiranti contraenti. In tal caso essa deve agire con criteri oggettivi e non discriminatori che tengano in considerazione efficienza e capacità finanziaria.
Il sistema di compensazione trova applicazione allorquando si reputi necessario assistere i Paesi in via di sviluppo i cui redditi subiscano gravi conseguenze per effetto di cali nelle quotazioni di un minerale di cui sono produttori che siano causati da attività condotte nella Zona.
La prevenzione alla monopolizzazione è garantita da una limitazione, imposta alla Autorità, a contrarre con quegli Stati o loro imprese qualora i siti a questi assegnati in precedenza superino il 2% dell' insieme della parte non riservata della Zona.
Infine, come accennato precedentemente, anche la struttura dell' Autorità riflette l' esigenza di conciliare i diversi interessi. Gli organi principali sono: l' Assemblea, il Consiglio, il Segretariato. A questi si aggiunge l' organo operativo, l' Impresa .
L' Assemblea, di cui fanno parte tutti gli Stati membri, riflette il principio di uguaglianza di tutti gli Stati e si riunisce in sessione ordinaria tutti gli anni .
Il Consiglio, invece, tende a conciliare il principio dell' equa ripartizione geografica con quello della rappresentanza degli interessi particolari. Si compone di 36 membri eletti nel seguente modo:
1. Quattro sono scelti tra gli otto Stati parte che hanno effettuato gli investimenti più importanti nelle attività di esplorazione e sfruttamento della Zona.
2. Quattro sono scelti tra gli Stati parte più forti consumatori e importatori dei metalli da estrarre dalla Zona.
3. Quattro sono scelti tra i principali produttori terrestri di tali metalli, tra i quali almeno due Stati in via di sviluppo.
4. Sei sono scelti tra gli Stati in via di sviluppo che rappresentano interessi particolari.
5. Diciotto sono scelti secondo il criterio di ottenere una equa ripartizione geografica dell' insieme dei seggi del Consiglio .
Il principio dell' equa ripartizione geografica e quello della rappresentanza di interessi particolari sono rispettati anche nella composizione degli organi del Consiglio. Tali organi sono la Commissione giuridica e tecnica e la Commissione di pianificazione economica, entrambe composte di 15 membri .
L' Impresa riveste una posizione di autonomia e, al tempo stesso di organo della Autorità. La sua struttura consta di un Consiglio d' amministrazione di 15 membri, eletti dall' Assemblea, di un direttore generale e del personale necessario per svolgere le funzioni affidate all' Impresa .
L' Assemblea e il Cosiglio prendono le decisioni a maggioranza dei due terzi per le questioni sostanziali , a mggioranza semplice per le questioni di procedura . Le politiche generali dell' Autorità sono decise dall' Assemblea per consensus in collaborazione con il Consiglio. Con le innovazioni apportate in seno alla Parte XI, in merito al Consiglio, viene previsto un sistema di votazioni per Camere. Si potrà pervenire in Consiglio all' adozione mediante voto di una decisione, sempre che a tale decisione non si opponga la maggioranza formatasi in una qualsiasi delle Camere previste. In tal modo, si consente alle maggioranze formatesi nelle ristrette Camere, rappresentative di interessi speciali, di bloccare le decisioni non gradite, permettendo così ai Paesi industrializzati di compensare la situazione di minoranza all' interno del Consiglio.
Ulteriore mezzo per assicurare l' equilibrio degli interessi si trova nella distribuzione delle competenze tra gli organi della Autorità. Le funzioni essenziali sono in parte distribuite tra l' Assemblea ed il Consiglio, ed in parte da loro esercitate in comune. Per la maggior parte delle questioni, l' Assemblea decide su proposta del Consiglio. L' Assemblea approva o propone emendamenti alle adozioni del Consiglio in merito a regolamenti e procedure inerenti il funzionamento del regime, la gestione finanziaria e l' amministrazione dell' Autorità. La competenza sulle materie dei piani di lavoro per le attività di esplorazione e di sfruttamento della Zona è suddivisa tra il Consiglio ed un suo organo, la Commissione giuridica e tecnica. Competenza esclusiva della Commissione è concedere le autorizzazioni di produzione e di calcolare il tetto massimo di produzione ai fini della limitazione della medesima.
Il meccanismo è poi integrato dalla "Camera per la risoluzione delle controversie relative ai fondi marini", organo, facente parte del Tribunale del diritto del mare, che assicura gazanzia giurisdizionale al sistema. Essa si compone di 11 giudici scelti dal Tribunale tra i suoi membri . La giurisdizione obbligatoria della Camera riguarda le controversie tra Stati relative all' interpretazione o all' applicazione della Parte XI della Convenzione, le controversie per infrazioni alla Parte XI della Convenzione tra Stati ed Autorità, nonchè le controversie che sorgano tra Autorità ed un richiedente patrocinato da uno Stato riguardo questioni giuridiche che sorgano durante la negoziazione del contratto.

2.2. - Il regime rivisto alla luce dell' Accordo integrativo sulla Parte XI
La complessità e l' onerosità del meccanismo previsto, hanno suscitato la reazione dei Paesi industrializzati i quali, pur non rigettando il principio di patrimonio comune dell'umanità, hanno posto in discussione le istituzioni ed i metodi con cui si intendeva realizzare il nuovo regime, chiedendone una profonda revisione. Sono state proprio le disposizioni della Parte XI a costituire un ostacolo alla partecipazione degli Stati industrializzati alla Convenzione. Alla fine degli anni '80 era del tutto evidente che questi Stati non avrebbero ratificato la Convenzione qualora il regime di sfruttamento fosse rimasto immutato.
Nel corso delle consultazioni informali, avviate dal Segretario generale delle Nazioni Unite a partire dal 1990, le posizioni dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi industrializzati, si sono notevolmente avvicinate. I negoziati informali, durati più di quattro anni, si sono conclusi nel luglio 1994 con l' Approvazione da parte dell' Assemblea generale delle Nazioni Unite di un Accordo integrativo di attuazione della Parte XI e di un allegato che ne costituisce parte integrante . L' adozione dell' Accordo ha creato le necessarie premesse per una rapida e generale partecipazione all' intera Convenzione, in quanto, sebbene sia riaffermato il principio di patrimonio comune dell' umanità, vengono apportate modifiche sostanziali al regime predisposto dalla Convenzione del 1982.
Innanzitutto, viene modificato il sistema finanziario: sono eliminati gli oneri finanziari incombenti sugli Stati parti. Inoltre l' Accordo accoglie la propsta degli Stati occidentali, modificando la regolamentazione concernente l' Impresa internazionale. E' previsto, in particolare, che gli Stati contraenti non siano più obbligati a contribuire con prestiti e garanzie alle prime operazioni minerarie dell' Impresa. Fintanto che questa non sarà in grado di finanziare operazioni indipendenti, essa condurrà le sue operazioni per mezzo di joint-ventures, cioè accordi tra l' Autorità e le imprese nazionali.
Allo stesso tempo l' Impresa è soggetta ai medesimi obblighi che gravano sugli altri operatori, perdendo così quella posizione di netto privilegio garantita dalla Convenzione del 1982.
Viene altresì eliminato il principio di obbligatorietà del trasferimento delle tecnologie, l' Impresa e gli Stati in via di sviluppo dovranno ottenere le tecnologie richieste a termini e condizioni commerciali giuste e ragionevoli sul libero mercato o mediante accordi di joint-ventures. Il trasferimento obbligatorio delle tecnologie è sostituito dal più generico obbligo di cooperazione tra gli Stati contraenti e l' Autorità al fine di conseguire l' obiettivo dello sviluppo di tecnologie.
Per tutelare i Paesi in via di sviluppo da un eventuale pregiudizio alle loro economie, causato dalle attività di sfruttamento condotte nell' Area, l' Accordo costituisce un "Fondo di assistenza economica" congegnato in modo tale da incentivare i Paesi in via di sviluppo a conformarsi alle nuove situazioni economiche.

Conclusioni
Analizzando la disciplina internazionale degli spazi marini, appare subito evidente come l' irradiazione dei poteri di sovranità di uno Stato in mare si vada affievolendo procedendo dalla costa verso il largo. La delimitazone del mare territoriale, della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva, ed i diritti esercitati in tali ambiti marini, si sono andati consolidando sia grazie alla prassi adottata dalla Comunità internazionale nel tempo, ma soprattutto per merito delle successive opere di codificazione, in questa sede brevemente esaminate. La Convenzione di Ginevra in primo luogo e la Montego Bay del 1982, poi, hanno fissato quelle norme necessarie a regolamentare la potestà degli Stati, tradizionalmente esplicata nelle zone predette, talora a titolo spaziale, ma sempre più frequentemente a titolo funzionale, e le attività, in particolare quelle di esplorazione e sfruttamento, che ivi possono essere svolte.
Non si può affatto parlare, invece, di disciplina consolidata per quanto concerne lo sfruttamento dei fondi internazionali. Questo sia perchè solo in tempi recenti si è prospettata una utilizzazione in tale direzione, sia perchè i fondi internazionali si qualificano per loro natura, come abbiamo detto, patrimonio comune dell' umanità sia per la presenza dei molteplici conflitti di interesse, analizzati in precedenza. La tradizionale concezione che configura il fondo del mare come uno spazio aperto alle attività di esplorazione e di sfruttamento da parte di tutti gli Stati, per quanto formalmente paritaria essa possa sembrare, è in realtà sostanzialmente discriminatoria ed ingiusta, in quanto tende a privilegiare soltanto pochi Stati già sviluppati che possono contare su ingenti capitali ed estese conoscenze tecnologiche, indispensabili per affrontare simili attività. La apparente posizione paritaria tra gli Stati si traduce così, in realtà, in una mera finzione giuridica e penalizza fortemente gli Stati sprovvisti di capacità tecniche e conoscenze, contribuendo ad accentuare il divario tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo.
E' così che i risultati politici, economici ed operativi sembrano non poter rispecchiare quei principi informatori del nuovo ordine economico internazionale. A sostegno di ciò si può rilevare come con l' innovazione della Parte XI sia stato ridimensionato il ruolo della Impresa, che, da strumento di realizzazione concreta del principio del patrimonio comune si è trasformata in un' entità soggetta agli automatismi del mercato. Anche l' eliminazione del trasferimento obbligatorio delle tecnologie e le innovazioni relative al processo decisionale in seno al Consiglio, fanno in modo da rimettere le decisioni alla volontà degli Stati industrializzati, nonostante la maggioranza numerica dei Paesi in via di sviluppo.
Si può così ben vedere come i molteplici interventi normativi in materia e l' istituzione di una Organizzazione internazionale quale l' Autorità, risultino insufficienti a costituire un regime rigoroso ed univoco pari a quello stabilito per i fondali soggetti, in modo più o meno assoluto, alle giurisdizioni nazionali.
Comunque, al di là del dato giuridico, sul piano fattuale, occorre sottolineare come lo sfruttamento dei fondali marini profondi abbia perduto, almeno per il momento, a causa di ragioni connesse al crollo dei prezzi dei minerali terrestri, buona parte della sua rilevanza economica. Inoltre, allo stato attuale, la tecnologia ancora non consente uno sfruttamento dei fondali marini profondi che sia remuneratore dei costi cui bisogna far fronte per svolgere l' attività.
In attesa che le tecnologie favoriscano la riduzione dei costi di estrazione, secondo la mia modesta opinione, sarebbe opportuno che l' attuale regime di sfruttamento degli alti fondali sia orientato all' effettiva fruizione da parte di tutti gli Stati dei benefici derivanti dalle attività, prescindendo, anche se necessario, dalla condizione di libero mercato. In questo caso l' Impresa potrebbe svolgere l' intera attività grazie ai contributi in denaro o beni, mezzi tecnologici in particolare, forniti dagli Stati. I benefici derivati saranno poi soggetti a divisione proporzionale in base alla partecipazione di ciascuno Stato. Rimane in mano all' Autorità, quindi, l' intera gestione delle attività di sfruttamento dell' Area.