Salviamo la legge salvamare

di Gianfranco AMENDOLA

Il quadro generale

Il DDL “ per la promozione del recupero dei rifiuti in mare e per l’economia circolare ”, denominato “legge salvamare” si compone di 8 articoli che, sfrondati delle affermazioni di buoni propositi, trattano:

art. 1 : “finalità, oggetto ed ambito di applicazione”: in sostanza, la gestione dei rifiuti raccolti accidentalmente o volontariamente in mare

art. 2 : definizioni: spiccano le nuove definizioni di “rifiuti accidentalmente pescati” dalle reti dei pescatori, e “rifiuti volontariamente raccolti” nel corso di campagne di pulizia del mare di cui al successivo art. 4.

art. 3 : “modalità di gestione dei rifiuti accidentalmente pescati” che sono equiparati ai rifiuti prodotti dalle navi e conferiti agli impianti portuali di raccolta come “deposito temporaneo di rifiuti”, rinviando a futuri atti la individuazione dei costi e dei dispositivi premiali per i comandanti dei pescherecci virtuosi

art. 4 : “campagna di pulizia”: rinvia a un futuro decreto ministeriale facendo salva, nelle more la possibilità di organizzarle con istanza presentata all’Autorità competente 60 giorni prima e aggiungendo che i rifiuti così recuperati sono soggetti allo stesso regime di quelli pescati accidentalmente.

art. 5 : “promozione dell’economia circolare” che, ribadendo quanto già previsto per tutti i rifiuti dall’art. 184-ter D. Lgs 152/06 (EoW), promette che il Ministero dell’ambiente provvederà a stabilire i criteri in base ai quali i rifiuti accidentalmente o volontariamente raccolti in mare potranno perdere la qualifica di rifiuti dopo il loro recupero.

art. 6: campagne di sensibilizzazioni che potranno essere effettuate con disciplina rimessa ad un futuro decreto del Ministero dell’ambiente

art. 7 : riconoscimento di una “certificazione ambientale” di plauso agli imprenditori ittici che utilizzano materiali di ridotto impatto ambientale, partecipano a campagne di pulizia del mare o conferiscono i rifiuti accidentalmente pescati, con modalità e criteri rinviati a futuri decreti ministeriali

art. 8 : “clausola di invarianza finanziaria” per cui non vi saranno maggiori oneri per la finanza pubblica e le “amministrazioni coinvolte” dovranno provvedere “con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente”.

In sostanza, quindi, a livello operativo, i punti rilevanti sono la equiparazione dei rifiuti in oggetto a quelli prodotti dalle navi, l’obbligo di conferimento agli impianti portuali di raccolta, la applicazione al loro conferimento delle condizioni stabilite per il deposito temporaneo, e l’assenza di maggiori oneri per la finanza pubblica.

Alcuni chiarimenti sui punti rilevanti

Se esaminiamo questi punti rilevanti, appare evidente che:

  1. quanto alla equiparazione di questi rifiuti a quelli prodotti dalle navi ed all’obbligo di conferimento agli impianti portuali di raccolta, già l’art. 8, comma 5 del D. Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 ( "Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico" ) sul conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave agli impianti di raccolta portuali, stabilisce che “ il conferimento dei rifiuti accidentalmente raccolti durante l'attività di pesca non comporta l'obbligo della corresponsione della tariffa di cui al comma 2 ”; sancendo, anche se indirettamente, la equiparazione ai rifiuti prodotti dalle navi e l’obbligo di conferirli agli impianti di raccolta portuali che oggi vengono confermati esplicitamente dal DDL.

  2. quanto alla configurazione di questo conferimento all’impianto portuale di raccolta quale “ deposito temporaneo ai sensi ed alle condizioni dell’art. 183, comma 1, lett. bb) D. Lgs 152/06 ” (art. 3, comma 3 DDL) è bene ricordare che, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. bb), per “deposito temporaneo” si intende “ il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti… alle seguenti condizioni:1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo ”. In più, ai sensi dell’art. 208, comma 17 D. Lgs 152/06, per il deposito temporaneo vige l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico ed il divieto di miscelazione di cui all'articolo 187. E pertanto, a prescindere dal fatto che il deposito temporaneo appare essere fase ed operazione ben diversa da quella del conferimento di rifiuti dei pescherecci nell’impianto di raccolta portuale (che, quanto meno, non prevede alcun deposito sul peschereccio, tanto meno per 3 mesi), in tal modo si gravano i gestori dei pescherecci di obblighi e divieti tali da scoraggiare ogni conferimento 1 .

  3. Quanto, infine, all’assenza di maggiori oneri per la finanza pubblica, con riversamento di tutti i costi sulle “amministrazioni coinvolte” che dovranno provvedere con le risorse disponibili, non sembra trattarsi di disposizione atta ad incentivare l’intervento di queste amministrazioni, già, spesso, ai limiti della sopravvivenza finanziaria.

Le motivazioni del Ministero dell’Ambiente

A proposito dei citati punti rilevanti, nella relazione illustrativa del DDL si rinvengono alcune affermazioni e considerazioni che meritano attenzione.

La prima richiama la “Proposta di D irettiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che abroga la direttiva 2000/59/CE e modifica la direttiva 2009/16/CE e la direttiva 2010/65/UE ”, la quale – scrive il Ministero- “ introduce una disciplina appositamente dedicata ai rifiuti accidentalmente pescati” , con le cui previsioni il DDL dichiara di volersi mettere “ perfettamente in linea”.

In realtà, se si leggono la proposta di direttiva e la sua relazione esplicativa, appare evidente che essa si preoccupa di evitare scarichi e sversamenti di rifiuti in mare senza occuparsi dei rifiuti accidentalmente pescati se non marginalmente, quando stabilisce che “i rifiuti pescati "passivamente", ossia quelli raccolti nelle reti durante le operazioni di pesca, sono stati inclusi nella definizione di rifiuti delle navi al fine di garantire che siano presi provvedimenti adeguati per il conferimento di questo tipo di rifiuti del settore della pesca agli impianti portuali di raccolta, data la loro rilevanza nel contesto dei rifiuti marini ” ; e quando afferma che non dovrebbe essere prevista alcuna tariffa supplementare per il conferimento di “ attrezzi da pesca in disuso e rifiuti pescati "passivamente". Disposizioni che, come abbiamo detto, erano già desumibili dalla normativa attualmente vigente in Italia ma che, comunque, non sembrano delineare “ una disciplina appositamente dedicata ai rifiuti accidentalmente pescati ”, come ritiene il Ministero.

La seconda affermazione invece, riguarda l’obiettivo “strategico” di “ chiarire il quadro sanzionatorio di riferimento, evitando profili sanzionatori per i pescatori che effettuino la raccolta accidentale durante l’attività di pesca ”. Affermazione meglio precisata dal Ministro dell’Ambiente quando, nella sua audizione dinanzi alla Commissione ecomafia del 31 gennaio 2019 ha detto che si tratta di “ profili sanzionatori penali per i pescatori che effettuino la cosiddetta “raccolta accidentale” (articolo 256 del codice dell’ambiente, gestione illecita di rifiuti) durante l’attività di pesca ”.

Trattasi di affermazioni che destano notevoli perplessità. La gestione illecita di rifiuti vietata dall’art. 256, comma 1 D. Lgs 152/06, infatti, punisce “chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto , recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione… .”. In proposito, tuttavia, appare evidente che, in primo luogo, i pescatori non effettuano alcuna “raccolta” quando tirano a bordo involontariamente rifiuti giacenti sul fondo rimasti impigliati nelle loro reti. Infatti, la raccolta di rifiuti è definita dalla legge come “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento ” (art. 183, comma 1, lett. o, D. Lgs 152/06), con chiaro riferimento ad una azione di prelievo volontaria, non certo involontaria ed accidentale. Non a caso, in proposito, la Cassazione (Cass. pen., sez. 3, 2 ott 2014- 23 gennaio 2015 n. 3204) ha chiarito che “ la raccolta, che costituisce una delle attività concernenti il ciclo di gestione dei rifiuti, consiste nell'operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto, dovendosi ribadire quanto già affermato da questa Corte circa il fatto che la nozione normativa di raccolta dei rifiuti, secondo la definizione ora data dall'art. 183 lett. o) d.lgs. n. 152 del 2006 ampliata con l'espresso riferimento anche alla gestione dei centri di raccolta dei rifiuti, presenta natura complessa, comprensiva di ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell'accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi, risultando così estesa anche alla cernita ed alla preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento ”.

Ma non effettuano neppure alcun trasporto di rifiuti per cui vi sia obbligo di autorizzazione. E’, infatti, giurisprudenza costante della Cassazione che il trasporto di rifiuti senza titolo abilitativo sia illecito “ purché costituisca una "attività" e non sia assolutamente occasionale, laddove è la stessa descrizione normativa ad escludere dall'area di rilevanza penale le condotte di assoluta occasionalità ” (da ultimo, cfr. Cass. pen., sez. 3, 8 febbraio – 12 marzo 2018, n. 10799 2 ). Ove appare, quindi, di tutta evidenza che il trasporto di rifiuti accidentalmente “pescati” da parte di un peschereccio che non voleva affatto la loro raccolta è assolutamente occasionale.

Anzi, occorre aggiungere che il loro trasporto a terra, a quel punto, è addirittura un dovere. Se, infatti, si considera che l’art. 192, comma 2 D. Lgs 152/06, vieta “ l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee ”, appare evidente che il pescatore non può riimmettere lecitamente in mare i rifiuti da lui accidentalmente pescati (anche se da lui non prodotti); e non ha altra alternativa “lecita” se non quella di trasportarli a terra per il loro smaltimento o recupero secondo legge.

Conclusioni

Non sembra, purtroppo, che la cd “legge salvamare”, così come formulata, sia realmente in grado di ottenere né la salvezza dei nostri mari nè risultati significativi, specie a breve termine, visto che, a livello pratico, l’unico dato normativo rilevante in senso positivo (peraltro, già desumibile, anche se in via indiretta dalla normativa vigente) consiste nella qualificazione dei rifiuti raccolti in mare accidentalmente come rifiuti prodotti dalle navi, con obbligo di conferimento agli impianti portuali di raccolta (peraltro, senza sanzione diretta in caso di inadempienza). Con la conseguenza che essi rientrano, come gestione, nei piani di raccolta dei rifiuti da navi, di competenza dell'Autorità portuale, previa consultazione delle parti interessate e, in particolare, degli enti locali, dell'ufficio di sanità marittima e degli operatori dello scalo o dei loro rappresentanti (art. 5 D. Lgs. 182/2003, cit.).

Di contro, il richiamo alle condizioni del deposito temporaneo di rifiuti appare inutile, improprio e fonte probabile di incertezza e ritardi rispetto all’obiettivo che si vuole conseguire.

Così come – e già lo abbiamo rilevato- il richiamo alla “promozione dell’economia circolare” di cui all’art. 5 appare inutile in quanto altro non è che la ripetizione dell’obbligo già sancito sin dal 2010 dall’art. 184-ter D. Lgs 152/06 a carico del Ministero dell’Ambiente per la definizione dei criteri EoW in tema di cessazione della qualifica di rifiuto.

In più si consideri che gran parte delle altre disposizioni del DDl rinviano a futuri decreti e provvedimenti, a volte anche complessi, per iniziative di pulizia che già oggi vengono regolarmente attuate, in accordo, volta per volta, con le autorità competenti senza bisogno di complicate regolamentazioni ministeriali (art. 4). Sono anni, cioè, che in Italia si promuovono, senza bisogno di alcuna legge ed alcuna regolamentazione burocratica, giornate di pulizia del mare da parte di associazioni ambientaliste insieme ai Comuni rivieraschi cui vengono consegnati i rifiuti recuperati in mare. Né si è mai verificato che qualcuno abbia chiesto alle barche utilizzate per queste campagne e che riportavano a terra i rifiuti recuperati se fossero iscritte all’Albo od avessero un formulario di trasporto.

Né sembra vi sia bisogno di un apposito decreto interministeriale per promuovere campagne di sensibilizzazione a difesa del mare (art. 6).

Infine, appare certamente lodevole il proposito di incentivare comportamenti virtuosi da parte degli imprenditori ittici attraverso il rilascio di una “ certificazione ambientale attestante l’impegno per il rispetto dell’ambiente marino e la sotenibilità dell’attività di pesca ”, anche se, pur con tutto il rispetto per gli operatori ittici, sembra lecito dubitare che essi si sobbarchino, in massa, ad adempimenti anche finanziariamente più gravosi (ad esempio per l’acquisto di materiali a ridotto impatto ambientale) pur di ottenere un attestato ministeriale che, comunque, per essere operativo, necessita di due decreti ministeriali (art. 7).

Una proposta immediatamente praticabile

In questo quadro, appare evidente che, in realtà, il contenuto più rilevante del DDL è quello che riguarda il recupero accidentale di rifiuti da parte di pescherecci.

I fini da perseguire sono, in sostanza:

  1. evitare che i pescherecci ributtino in mare i rifiuti accidentalmente “pescati” e ottenere, invece, che li portino in terra per il loro recupero o smaltimento secondo legge.

  2. stabilire, a tal fine, poche regole semplici per il conferimento di questi rifiuti nonché adeguati incentivi, tenendo conto che si tratta di pescatori e che i rifiuti non sono un carico voluto.

In proposito, la prima questione da risolvere riguarda la classificazione di questi rifiuti in quanto da essa si possono individuare obblighi e divieti nelle varie fasi di gestione. A tal proposito, il DDL li equipara ai rifiuti prodotti dalle navi e cioè ai “ rifiuti, comprese le acque reflue e i residui diversi dai residui del carico, ivi comprese le acque di sentina, prodotti a bordo di una nave e che rientrano nell'ambito di applicazione degli allegati I, IV e V della Marpol n 73/78, ….. ”: rifiuti eterogenei e certamente molto diversi da quelli che oggi si vogliono ad essi “equiparare” sia come qualità sia come possibile pericolosità. Trattasi, tuttavia, di equiparazione che, in armonia con la futura normativa comunitaria, ha lo scopo di chiarire definitivamente che i rifiuti accidentalmente raccolti dai pescherecci devono, come i rifiuti prodotti dalle navi, essere conferiti agli impianti portuali di raccolta per il loro recupero o smaltimento secondo legge.

Non si capisce, a questo punto, perché il DDL, invece di richiamare (a sproposito, come abbiamo detto) la disciplina del deposito temporaneo, non si sia rifatto, invece, ad una disposizione ben più pertinente e significativa per il problema in esame. E cioè all'art. 184, comma 2, lett. d) D. Lgs 152/06 (sulla classificazione dei rifiuti in urbani, speciali e pericolosi), a norma del quale sono rifiuti urbani i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua ”. Trattasi, quindi, di classificazione basata non sulla natura o provenienza del rifiuto ma unicamente sulla sua “giacenza” in aree pubbliche o comunque soggette ad uso pubblico, incluse le spiagge marittime, la cui ratio evidente è di fornire immediata e particolare tutela dall'inquinamento da rifiuti alle zone di territorio pubbliche o, comunque, destinate ad uso pubblico. Spetta, infatti, ai Comuni la competenza per la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati (art. 198, comma 1 D. Lgs 152/06) e, in particolare al sindaco il quale, ai sensi dell’art. 192, comma 3 D. Lgs 152/06, in ogni caso è obbligato a gestire questi rifiuti illecitamente depositati in aree pubbliche, garantendo il loro smaltimento-recupero secondo legge anche quando siano ignoti gli autori dell'abbandono 3 .

E pertanto, se anche non si volesse ritenere che già con questa formulazione rientrino nell’ambito dei rifiuti urbani anche quelli abbandonati e depositati nel mare territoriale - considerato bene comune di tutti e, quindi, oggetto di uso pubblico- , sarebbe stato sufficiente aggiungere, con il DDL, nell’art. 184, comma 2, lett.d) “ i rifiuti giacenti nel mare territoriale” per attivare immediatamente un potere-dovere di intervento del Comune nei confronti degli stessi. Lo stesso potere-dovere di intervento, quindi, che gli compete per i rifiuti abbandonati nelle aree terrestri pubbliche.

Sarebbe, quindi, bastato e basterebbe un minimo intervento legislativo per precisare, comunque, definitivamente, a livello di chiarimento giuridico, che gli interventi per il recupero di rifiuti depositati in mare rientrano nell’ambito dell’art. 184, comma 2, lett. d) e 198, comma 1, D. Lgs 152/06.

Né questa conclusione si pone in contrasto con la futura disciplina comunitaria. Se, infatti, si stabilisce con legge che i rifiuti in questione devono essere conferiti agli impianti portuali di raccolta, la loro gestione dovrà essere prevista, come si è detto, da piani di raccolta approvati dalla Autorità portuale previa consultazione proprio dei Comuni interessati 4 .

Ma intanto, finchè questa legge non entrerà in vigore, si potrà immediatamente continuare ad intervenire facendo capo direttamente ai Comuni interessati.

In conclusione, se pure, a nostro sommesso avviso, questo DDL andrebbe interamente ripensato, sarebbe opportuno approvare, comunque, con la massima urgenza una semplice disposizione in cui, a prescindere dalle sorti del DDL e dal tempo necessario per renderlo operativo, si sancisse, per l’immediato e prima dell’inizio della stagione balneare, che:

  1. i rifiuti, di qualunque natura o provenienza, giacenti in mare sono considerati rifiuti urbani ai sensi dell’art. 184, comma 2, lett. d);

  2. quelli recuperati accidentalmente dai pescherecci ovvero con campagne apposite di volontari devono essere, quindi, conferiti ai Comuni territorialmente competenti

  3. i Comuni provvederanno, sentite l’Autorità portuale e le Capitanerie di porto, alla raccolta ed alla gestione di questi rifiuti, privilegiando riciclo e recupero.

  4. i Comuni provvederanno a introdurre contestualmente incentivi finanziari o sgravi di tasse e tariffe a favore delle imprese ittiche e dei soggetti che conferiranno rifiuti accidentalmente recuperati in proporzione alla quantità degli stessi.

Si spera, in tal modo, di sollecitare immediati e fattivi interventi da parte dei Comuni rivieraschi che, comunque, potranno giustamente pubblicizzare i risultati così raggiunti per la pulizia del loro mare.

1 Cfr per tutti Cass. pen., Sez. 3, 6 luglio 2011, n. 36979, Migliori secondo cui “l 'abbandono di rifiuti "alla rinfusa" e non per categorie omogenee, come invece previsto dall'art. 183, comma primo, lett. bb) D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 esclude la configurabilità del cosiddetto deposito temporaneo regolare ed integra l’ipotesi di abbandono

2 La sentenza aggiunge che “ il carattere non occasionale della condotta di trasporto illecito di rifiuti può essere desunto anche da indici sintomatici, quali la provenienza del rifiuto da una attività imprenditoriale esercitata da chi effettua o dispone l'abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito (Sez. 3, n. 36819 del 04/07 /2017, Ricevuti, Rv. 270995), non rilevando appunto la qualifica soggettiva del soggetto agente bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (in specie il carattere non occasionale della condotta è stato desunto dall'esistenza di una minima organizzazione dell'attività, dal quantitativo dei rifiuti gestiti, dalla predisposizione di un veicolo adeguato e funzionale al loro trasporto, dallo svolgimento in tre distinte occasioni delle operazioni preliminari di raccolta, raggruppamento e cernita dei soli metalli, dalla successiva vendita e dal fine di profitto perseguito dall'imputato) (Sez. 3, n.5716 del 07/01/2016, Isoardi, Rv. 265836) .”

3 Cfr. da ultimo, Cass. pen. sez. 3, 12 giugno- 3 settembre 2018, n. 39430: "l ’emanazione dell’ordinanza e l’esecuzione in danno costituiscono un obbligo e non una semplice facoltà, al punto che si è sostenuto, in dottrina, che il sindaco deve comunque procedere alla rimozione o all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti stessi anche nel caso in cui i soggetti obbligati non siano noti o immediatamente identificabili, fatta salva la successiva rivalsa, nei loro confronti, per il recupero delle somme anticipate. Inoltre, l’eventuale omissione configura l’ipotesi di reato sanzionata dall’articolo 328 cod. pen ., senza che possa avere efficacia scriminante l'attesa dovuta alla preliminare individuazione, da parte dell'ufficio tecnico, dei nominativi dei proprietari dei terreni inquinati o il rispetto dei tempi necessari per la procedura d'appalto dei lavori di rimozione dei rifiuti (Sez. 6, n. 33034 del 10/6/2005, Esposito, Rv. 231926) "

4 Cfr. in questo senso, ben prima di questo DDL, il nostro Rifiuti recuperati in mare da pescherecci durante l' attività di pesca. Problematica giuridica in www.lexambiente.it, 5 ottobre 2018

Dal sito Start Magazine:

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