Cass. Sez. III sent.2205 del 19 gennaio 2006 (ud. 4 ottobre 2005)
Pres. Lupo Est. Fiale Imp. Moine
Alimenti – Responsabilità dell’importatore
In materia di introduzione sul territorio nazionale, a fine di commercio, di
prodotti alimentari confezionati all’estero, devono rispettarsi i requisiti
igienico-sanitari previsti dalle vigenti disposizioni e dalla loro inosservanza
deriva la responsabilità dell’importatore per colpa, configurabile ancor prima
della messa in commercio del prodotto sul territorio nazionale.
Per i prodotti alimentari confezionati nell’UE vige il principio della libera
circolazione delle merci ma con un limite posto dalle norme nazionali in tema di
tutela della salute pubblica secondo quanto stabilito dall’articolo 30 (già art.
36) del Trattato UE
Svolgimento del processo
Con sentenza del 9 dicembre 2004 il Tribunale di Asti, in composizione
monocratica, affermava la penale responsabilità di Moine Faustino in ordine al
reato di cui:
- all'art. 5, lett. h), legge 30 aprile 1962, n. 283 (per avere, quale
rappresentante legate della s.r.l. "SEPO di Moine Faustino & C", importato
dall'Olanda e venduto patate nelle quali veniva riscontrata una quantità di
principio attivo "Clorprofam" superiore ai limiti consentiti - acc. in Asti, il
4 aprile 2001)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di
euro 4.000,00 di ammenda, disponendo la pubblicazione della sentenza.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Moine, il quale lamenta:
a) manifesta illogicità della motivazione, in punto di affermazione della
responsabilità, non essendo stato tenuto in conto che egli (alla stregua dei
coimputati assolti dall’accusa di avere successivamente commercializzato il
medesimo prodotto, da lui acquistato) si era trovato nella impossibilità
oggettiva di verificare la rispondenza delle patate alle prescrizioni di legge,
"posto che, trattandosi di prodotto deperibile, sottoponendole a lunghi
accertamenti, ne avrebbe pregiudicato la commestibilità";
b) la insussistenza a suo carico, per la qualità di importatore, di obblighi di
più intensa diligenza, in quanto la provenienza delle patate dall'area
comunitaria lo parifica ad un qualsiasi altro "commercializzatore" di prodotti
nazionali;
c) la violazione dell'art. 19 della legge n. 283/1962, in quanto le patate erano
state importate dall'Olanda in sacchetti da 10 kg. ciascuno, confezionati
all'origine dal produttore, sicché egli, non potendo manomettere le confezioni
originali, non aveva la possibilità di controllare la qualità e le condizioni
del prodotto.
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato, perchè le doglianze anzidette sono infondate.
1. L'art. 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283 dispone, al 1° comma, che "è
vietata l’introduzione nel territorio della Repubblica di qualsiasi sostanza
destinata all’alimentazione non rispondente ai requisiti prescritti dalla
presente legge".
Viene affermata così l’illiceità dell'introduzione sul territorio nazionale, a
fine di commercio, di prodotti alimentari confezionati all'estero e che si
rivelino difformi dai requisiti prescritti dalla normative di cui alla legge n.
283/1962.
Gli obblighi dell'importatore sono sostanzialmente parificati a quelli che
gravano sui produttori nazionali e, quindi, sono decisamente più "consistenti"
di quelli gravanti sui rivenditori.
In tale prospettiva l'art 72 del Regolamento di esecuzione (D.P.R. 26 marzo
1980, n. 327), come sostituito dall'art. 11 del D.P.R. 8 maggio 1985, n. 254,
dispone, a sua volta, che "gli importatori di sostanze alimentari sono
responsabili della natura, del tipo, della quantità, dell'omogeneità,
dell'origine dei prodotti presentati all'importazione nonché della rispondenza
dei requisiti igienico-sanitari previsti dalle vigenti disposizioni in materia
di sostanze alimentari", facendo salva l’osservanza delle modalità prescritte da
altre leggi o regolamenti speciali nonché da convenzioni internazionali
concernenti particolari sostanze alimentari".
L'importatore, pertanto, ha l'obbligo di introdurre in Italia solo sostanze
destinate all'alimentazione rispondenti ai requisiti igienico-sanitari previsti
dalle vigenti disposizioni in materia e dall’inottemperanza a siffatto dovere
deriva una responsabilità dello stesso a titolo di colpa, configurabile ancora
prima dell'effettiva messa in commercio del prodotto alimentare sul territorio
nazionale.
Trattasi di un obbligo di particolare peso, per l’osservanza del quale la legge
pone indubbiamente a carico dell’importatore l'assunzione di cautele e di
controlli di rilevante difficoltà connessi ad una pregnante verifica delle
caratteristiche intrinseche degli alimenti. La giurisprudenza, però, non ha
mancato di rilevare, in proposito, che non può in alcun modo parlarsi di
responsabilità oggettiva, poiché l'importatore, conoscendo a priori siffatto
rigoroso dovere, non può non assumersi i rischi derivanti dallo svolgimento
delle sua attività. Ciò comporta che l'importatore, se non è0 in grado di
garantire la conformità del prodotto estero alla normativa sanitaria nazionale,
deve rinunziare ad importarlo.
Nella fattispecie in esame, comunque, con argomentazione logica, il giudice del
merito ha rilevato che "la patata non è un prodotto deperibile nel brevissimo
periodo e, quindi, posto che le analisi avrebbero richiesto circa una settimana,
i controlli non avrebbero inciso sulla commerciabilità del prodotto".
2. Quando si tratta di prodotti alimentari confezionati in Paesi dell'Unione
Europea, vige il principio della libera circolazione delle merci, che dal 1°
gennaio 1993 è pienamente operante nel settore dei prodotti alimentari e che
prevede la liceità del prodotto alimentare sul territorio di un Paese membro, a
condizione che sia rispondente alle prescrizioni che per quella determinata
sostanza alimentare sono in vigore nel Paese di produzione.
Tale principio si correla a quello del "mutuo riconoscimento", fondato in
sostanza sulla fiducia nella capacità degli altri Stati membri di fabbricare e
produrre merci destinate a circolare liberamente in tutta l'Unione.
Un limite a tale liberta di circolazione dei prodotti alimentari resta pur
sempre desumibile, in ogni caso, dalle prescrizioni poste, nei singoli Paesi, a
salvaguardia della salute pubblica, secondo quanto espressamente stabilito
dall'art. 30 (già art. 36) del Trattato dell'Unione Europea (in tal senso è
orientata la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, a partire dalla
sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe).
E' opportuno evidenziare, comunque, che - nella specie - il ricorrente non è
stato ritenuto responsabile della contravvenzione di cui all'art. 12 della legge
a 283/1962, bensì di una violazione a! precedente art. 5, la quale ben può
configurarsi anche in relazione ad un prodotto alimentare comunitario.
3. L'art. 19 della legge 30 aprile 1962, n. 283 stabilisce che le sanzioni
previste da quella legge "non si applicano al commerciante che vende, pone in
vendita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali,
qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i
requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei
recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione, o
la confezione originale non presenti segni di alterazione".
Va ribadita, però, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte Suprema
secondo la quale tale esimente speciale non opera quando il prodotto alimentare
sia stato confezionato all'estero, provenga cioè da un produttore straniero il
quale non sia obbligato ad osservare tutte le prescrizioni imposte dalla legge
italiana per prevenire il pericolo di frode o di danno alla salute del
consumatore: in tale ipotesi, infatti, colui che commercia il prodotto sul
territorio nazionale non può ritenersi legittimato a presumere l’adempimento di
obblighi giuridicamente inesistenti a carico del produttore (vedi Cass., Sez.
III: 26 marzo 1999, n. 6323 e 30 luglio 1997, n. 7700).
L'importatore-cornmerciante all'ingrosso o al dettaglio che opera sul territorio
nazionale è tenuto a verificare, pertanto, la conformità del prodotto o dei
componenti di esso alla normativa sanitaria con controlli tali da garantire la
qualità del prodotto anche se importato in confezioni originali (vedi Cass.,
Sez. III: 20 dicembre 2004, Granellini; 17 giugno 1998, n. 7214).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.