Cass. Sez. III n. 15981 del 27 maggio 2020 (UP 30 apr 2020)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci Ric. Sottilaro
Ambiente in genere.Reato di cui all’art. 1161 cod. nav.e ordinanza di sgombero

 Il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. si concretizza indipendentemente dal fatto che sia stata o meno emessa dalla autorità competente l'ordinanza di sgombero di cui all’art. 54 cod. nav., la quale, quindi, è solo un eventuale post factum, la cui violazione integra, peraltro, l'ulteriore reato previsto dall'art. 1164 stesso codice


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 10 settembre 2019, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 5 agosto 2019 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria nell'ambito di un procedimento penale che vede, come indagato, Giovanni Sottilaro per i reati di cui agli art. 54, 1161 cod. nav., 142, lett. a), 181 d.lgs. 42/2004 e 44 d.P.R. 380/2001 perché, quale socio del "Lido Boccaccio Beach", in difformità dalle prescrizioni della concessione demaniale marittima, nonché in difformità ed in assenza dei rispettivi titoli abilitativi, realizzava, in area demaniale marittima, zona sottoposta anche a vincolo paesaggistico, varie strutture meglio specificate nel relativo verbale di sequestro.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni relative al rilascio della concessione demaniale marittima, che indica nel dettaglio, individuando anche il soggetto competente all’emissione ed all'autorizzazione delle variazioni, analizzando anche i contenuti di quella ottenuta dal Comune di Villa San Giovanni (individuata con il numero 3/2016).
Rileva, dunque, che la concessione demaniale sarebbe stata rilasciata dall’amministrazione comunale, autorità delegata dalla legge regionale n. 17\2005, ai sensi e per gli effetti dell'art. 8 del regolamento per l'esecuzione del Codice della Navigazione, come recepito dall'art. 10 del Piano di Indirizzo Regionale per l'utilizzazione delle aree del demanio marittimo (P.I.R.) della Calabria, avendo una durata inferiore a sei anni e riguardando strutture facilmente amovibili, tanto da dover essere rimosse ogni anno, potendo insistere appoggiate al suolo soltanto 6 mesi su 12, nonché che tale concessione poteva essere rinnovata senza formalità istruttorie.
Fatte tali premesse, osserva come il Tribunale del riesame sarebbe incorso in errore nel ritenere che la concessione fosse stata rilasciata ai sensi dell'art. 9 del regolamento per l'esecuzione del Codice della Navigazione, il quale ha come titolo concessioni di durata superiore al quadriennio (da leggersi, tuttavia, come durata superiore ai 6 anni ai sensi della legge 88/2001) e riguarderebbe impianti di difficile rimozione e, quindi, da utilizzare in maniera permanente, diversamente da quelli oggetto del sequestro.
Aggiunge che il titolo abilitativo ottenuto non necessiterebbe di alcuna novazione in caso di variazione dell'assetto funzionale delle attrezzature di facile rimozione, dal momento che queste vengono collocate nell'area concessa e per il solo periodo stagionale autorizzato. Ne conseguirebbe, pertanto, che sarebbe del tutto legittimo che presso lo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) si sia proceduto mediante ottenimento di licenza di concessione ai sensi dell'art. 8 del regolamento con documento unico autorizzativo, rilasciato dal sindaco assentendo le comunicate innovazioni senza variazione volumetrica.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione degli art. 142, lett. a), 181 d.lgs.  42/2004 e 44 d.P.R. 380/2001, osservando che, da quanto emerso dagli elaborati predisposti dalla ausiliario di polizia giudiziaria nella relazione datata 29 luglio 2019, le caratteristiche delle opere realizzate non consentirebbero di ricomprenderle tra quelle che necessitano di permesso di costruire ovvero di altre autorizzazioni per la sussistenza del vincolo paesaggistico e che, in ogni caso, non vi sarebbe stata occupazione abusiva di area demaniale.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione degli art. 54 e 1161 cod. nav. in quanto, prevedendo l'art. 54, in caso di occupazione abusiva o di esecuzione di innovazioni non autorizzate, che il capo del compartimento (ora il sindaco) ingiunga al contravventore di rimettere le cose in pristino entro un termine stabilito, provvedendo d'ufficio a spese dell'interessato in caso di mancata esecuzione dell'ordine, tale procedura avrebbe dovuto precedere la contestazione del reato ed il sequestro preventivo, sicché il sequestro sarebbe stato adottato in violazione della legge.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

5. La difesa ha successivamente inviato memorie difensiva datate 28 e 29 aprile 2020 ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni.
   




CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre premettere che la vicenda in esame è oggetto di due distinti ricorsi (il presente e quello recante il n. 5498/2020 R.G.) di identico contenuto avverso due distinte ordinanze sempre di contenuto identico.
Nel presente, come nell’altro ricorso, il difensore ha richiesto la trattazione ai sensi dell’art. 83, comma 3, lett. b), d.l. 18/2020 e succ. mod. e dei decreti del Primo Presidente di questa Corte n.47/2020 e 55/2020.
Fissata l’odierna udienza con decreto n. 68/2020 del Presidente titolare della Sezione, la difesa ha richiesto un rinvio evidenziando difficoltà di spostamento, istanza che il Collegio ha ritenuto tuttavia implicitamente revocata mediante l’invio di successive memorie nelle quali la difesa insiste per l’accoglimento del ricorso.  

3. Fatte tali premesse, occorre osservare, con riferimento al primo motivo di ricorso, come questa Corte abbia già avuto modo di osservare che l'accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio di titoli abilitativi edilizi è sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il controllo in sede di legittimità concerne la correttezza giuridica dell'accertamento di merito sul punto. Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi, in quanto l'accertamento dell'esistenza del fumus dei reati è fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa (così Sez. 3, n. 20571 del 28/4/2010, Alberti, Rv. 247189).  
Tale condivisibile principio, peraltro, sebbene affermato con riferimento alla disciplina edilizia, può ben trovare applicazione anche per ciò che riguarda altre situazioni nelle quali si rende necessaria la  disamina dell’iter amministrativo seguito per il rilascio di altri titoli abilitativi, quali quelli considerati, oltre al permesso di costruire, nel presente procedimento (autorizzazione paesaggistica e concessione demaniale).   

4. Ciò rilevato, va osservato che il Tribunale ha espressamente dato conto, in punto di fatto, di quanto risultante dalla comunicazione della notizia del reato, rilevando come, dagli accertamenti espletati, fosse emerso che, sotto il profilo dell’occupazione demaniale, l'area interessata dalla presenza dello stabilimento balneare era conforme, per difetto, a quella autorizzata, mentre invece le opere presenti non corrispondevano, per ubicazione, a quelle indicate nella planimetria allegata alla concessione demaniale marittima n. 3/2016.
Il Tribunale, richiamate quindi le disposizioni applicate e, segnatamente, l'art. 24 reg. es. cod. nav., ha osservato, sempre in punto di fatto, che nonostante fosse stata inoltrata, da parte del ricorrente, la pratica SUAP con codice univoco 1163, contenente una richiesta di variazione della concessione n. 3/2016 per la ricollocazione delle strutture all'interno dell'area segnata, non risultava, dagli atti, alcun provvedimento di autorizzazione suppletiva da parte dell'autorità competente e che, sebbene in una memoria della difesa fosse stato fatto riferimento ad una non meglio definita documentazione in cui tale ricollocazione verrebbe qualificata come “variazione senza attività edilizia, non soggetta ad alcuna variazione del canone concessorio e quindi non necessitante di alcuna nuova concessione demaniale marittima", tale attestazione, ovvero altri provvedimenti concessori suppletivi o integrativi della predetta concessione demaniale marittima del 2016, non sarebbero rinvenibili in atti, ritenendo conseguentemente dimostrata la sussistenza del fumus del reato di cui agli art. 54 e 1161 cod. nav.
A fronte di ciò, il ricorrente, come specificato in premessa, ritiene che il Tribunale abbia errato nell'individuare le disposizioni del codice della navigazione applicabili nel caso di specie.

5. Osserva a tale proposito il Collegio che, indipendentemente dai diversi richiami a plurime disposizioni di legge nazionali e locali effettuata dal ricorrente - peraltro non sempre in maniera pertinente, atteso che, laddove afferma, ad esempio, che l'art. 8 del regolamento è stato modificato dall'art. 1 del decreto legge 400/1993 (in realtà art. 01) a sua volta modificato dall'art. 10 legge 88/2001, in relazione alla durata delle concessioni demaniali, non tiene conto del fatto che la legge 15 dicembre 2011 n. 217 ha abrogato il secondo comma del menzionato art. 01 - ciò che rileva è il dato fattuale, specificamente indicato dai giudici del riesame, dell'assenza in atti di qualsivoglia documento o altro elemento atto a dimostrare che la procedura attivata presso lo sportello unico fosse stata portata a conclusione.
Si tratta, dunque, di un dato determinante al di là dell'esatta individuazione delle norme applicabili nella fattispecie, atteso che, in ogni caso, non risulta comunque che le modifiche apportate fossero assistite da un valido titolo abilitante.

6. Per ciò che concerne, poi, il secondo motivo di ricorso, si osserva che lo stesso risulta articolato in fatto, poiché il ricorrente si sofferma sulla corrispondenza tra le opere realizzate ed accertate in sede di controllo con quelle, indicate nell'art. 1, comma 2 d.lgs. 222/2016, che possono essere eseguite in regime di attività edilizia libera, verifica che non può che essere effettuata nel giudizio di merito.
Il ricorrente richiama, inoltre, un non meglio specificato “documento unico autorizzativo rilasciato dal sindaco secondo la normativa vigente ad assentire le comunicate innovazioni senza variazione volumetrica” che sembra corrispondere al medesimo documento che il Tribunale ha indicato come non presente in atti.
Va peraltro considerato che i giudici del riesame hanno correttamente dato conto della sussistenza del vincolo paesaggistico e dell'assenza di un valido titolo autorizzativo ai fini paesaggistici, escludendo anche, ancora una volta in punto di fatto, che le opere realizzate fossero riconducibili a quelle indicate dall'art. 4 del d.P.R. 31/2017 alla voce 26, All. B, in quanto non risultava in atti la presenza di provvedimenti da cui dedurre che, come previsto dalla disposizione richiamata, nel provvedimento di vincolo, ovvero nel piano paesaggistico fossero contenute specifiche prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione e la tutela del bene paesaggistico.
Anche con riferimento all'art. 44 T.U. edilizia il Tribunale ha evidenziato, sempre con argomenti in fatto non sindacabili in questa sede di legittimità, che dalla descrizione delle opere presente in atti, gli interventi realizzati non consisterebbero nella mera ricollocazione di strutture preesistenti, come sostenuto dalla difesa, ma si sarebbero concretati nell'introduzione di nuove opere che, anche se di natura stagionale, per la loro tipologia non assumevano il carattere della precarietà, in quanto destinate a soddisfare esigenze permanenti nel tempo e, dunque, non contingenti.

7. Quanto al terzo motivo di ricorso, si rileva che il ricorrente sembra sostenere che ogni valutazione in sede penale di condotte riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 1161 cod. nav. debba essere preceduta, secondo quanto disposto dall'art. 54 del medesimo codice, dall'ingiunzione al contravventore di riduzione in pristino entro un termine stabilito, ovvero dal diretto ripristino a spese dell'interessato in caso di mancata esecuzione dell'ordine.
Si tratta, come è evidente, di un'affermazione del tutto errata, in quanto una simile sequenza non è affatto imposta dalla legge, perché, come già si è avuto modo di precisare, il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. si concretizza indipendentemente dal fatto che sia stata o meno emessa dalla autorità competente l'ordinanza di sgombero di cui all’art. 54 cod. nav., la quale, quindi, è solo un eventuale post factum, la cui violazione integra, peraltro, l'ulteriore reato previsto dall'art. 1164 stesso codice (così Sez. 3, n. 21809 del 18/4/2007, Scognamillo, Rv. 236681. Conf. Sez. 3, n. 6250 del 15/5/1996, Guercia, Rv. 205290).
Si tratta di un principio pienamente condivisibile dal quale il Collegio non intende discostarsi e che qui ribadisce.

8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
    

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 30/4/2020