Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1515, del 19 marzo 2015
Ambiente in genere.Qualificazione di una strada come vicinale pubblica

Ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01515/2015REG.PROV.COLL.

N. 07443/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7443 del 2014, proposto da: 
Valeria Camorani, rappresentata e difesa dagli avv. Massimo Colarizi, Ermes Coffrini, con domicilio eletto presso Massimo Colarizi in Roma, viale Bruno Buozzi, 87; 

contro

Comune di Casina, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Coli, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’ EMILIA-ROMAGNA – Sezione Staccata di PARMA- SEZIONE I n. 00036/2014, resa tra le parti, concernente diniego permesso di costruire.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Casina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il Consigliere Fabio Taormina e udito l’Avvocato Reggio d'Aci in sostituzione dell’Avvocato Coli, per parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna – Sede di Parma – ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellanteValeria Camorani, volto ad ottenere l'annullamento del diniego della richiesta di permesso di costruire presentata in data 12 marzo 2012 e, occorrendo in parte qua, del RUE adottato dal Comune di Casina con atto consiliare n. 34 del 28 marzo 2011.

La originaria ricorrente aveva esposto di avere presentato, in data 12 marzo 2012, istanza di rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una autorimessa interrata al servizio della propria abitazione, in località Cortrogno Faieto in Comune di Casina e che il Comune odierno appellato, con nota del 24 marzo 2012, aveva chiesto documentazione integrativa (richiesta ottemperata il 21 aprile successivo).

In data 31 maggio 2012 il Comune aveva emesso preavviso di diniego (cui essa non aveva presentato osservazioni), “in quanto le opere progettate sono in contrasto con l’art. 110 del RUE adottato con deliberazione CC n. 34 del 28.03.2011”. Avverso il definitivo diniego adottato con identica motivazione in data 6 luglio 2012 l’appellante era insorta, articolando quattro censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il primo giudice, con ordinanza n. 230 del 5 luglio 2013, ha disposto l’acquisizione, a fini istruttori, di una relazione illustrativa da parte del Comune (depositata il 21 ottobre 2013); il 7 novembre 2013, con motivi aggiunti, la odierna appellante ha impugnato per illegittimità derivata la delibera consiliare n. 36 del 28 agosto 2013 con cui il Comune di Casina aveva definitivamente approvato il RUE adottato il 28 marzo 2011.

Il Tar ha quindi partitamente scrutinato le censure, respingendole.

In particolare, ha escluso la fondatezza della prima censura (con la quale si era prospettato che, alla data del 6 luglio 2012, di adozione dell’impugnato diniego, si era formato il silenzio assenso), ritenendo che, dalla data di presentazione delle integrazioni richieste, 21 aprile 2012, decorrevano i 60 giorni liberi per istruire la pratica oltre agli ulteriori 15 giorni per provvedere.

E pertanto, trattandosi di giorni liberi, il termine riprendeva a decorrere dal 22 aprile, per scadere il 6 luglio 2012, data in cui era stato adottato il diniego.

Ha quindi saggiato la consistenza del terzo motivo, con il quale si era sostenuta la carenza di motivazione e di istruttoria del diniego e del preavviso di rigetto.

Ha in proposito osservato che, sotto il profilo oggettivo, risultava che l’autorimessa progettata ricadeva in fascia di rispetto stradale, poiché così indicata nel progetto (doc. 1 del fascicolo del Comune), anche se il progettista nella relazione aveva precisato “che alla data odierna, la strada situata ad Est dell’area oggetto di intervento, non risulta giuridicamente classificata e non ancora mappata”.

Tale situazione risultava confermata nella documentazione integrativa prodotta dalla odierna appellante in riscontro alla richiesta del Comune di produrre, tra l’altro, “rilievo generale tacheometrico quotato dello stato di fatto delle aree interessate all’intervento e delle aree immediatamente limitrofe…con l’indicazione dei confini, delle caratteristiche delle strade e fasce di rispetto, degli edifici e degli altri manufatti, delle infrastrutture tecniche, delle alberature, dei vincoli di rispetto, nonché ogni altro elemento che possa caratterizzare il contesto di progetto”.

Il provvedimento definitivo ed il preavviso di diniego erano motivati esclusivamente con il contrasto del progetto con la norma del RUE, che disciplinava, fra l’altro, l’arretramento delle costruzioni dalle strade: ne discendeva che non era condivisibile l’affermazione per cui l’operato dell’amministrazione appellata non avrebbe reso possibile preconizzare quali fossero i motivi ostativi.

Escluso alcun difetto di motivazione, ad avviso del Tar risultava nodale accertare in concreto se la strada in discorso (che il progettista aveva specificato essere non classificata e non ancora mappata) rientrasse – o meno - tra quelle classificabili come pubbliche o soggette ad uso pubblico ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.

Richiamati gli esiti della relazione depositata il 21 ottobre 2013 a firma del funzionario comunale, geom. Fabio Ruffini, il primo Giudice è pervenuto al convincimento per cui la strada, nella cui fascia di rispetto ricadeva il manufatto per il quale era stato richiesto il permesso di costruire, doveva ritenersi annoverabile tra le strade vicinali ad uso pubblico.

In senso contrario non poteva valere la corrispondenza (prodotta dalla originaria ricorrente con le memorie conclusive) intercorsa fra terze persone e il Responsabile dell’area tecnico-manutentiva del Comune, trattandosi - in disparte la discutibile valenza probatoria della stessa - di corrispondenza riferita ad una strada non corrispondente a quella per cui era causa, ed il cui regime giuridico era, dunque, del tutto irrilevante ai fini del decidere.

Quanto al quarto motivo (proposto in via subordinata avverso l’art. 110 del RUE), il Tar ha rammentato che, in materia di strade vicinali, gli elenchi stradali possedevano natura meramente ricognitiva: ne discendeva che la circostanza che la strada in contestazione non vi fosse inserita non precludeva all’amministrazione di indicarla nella cartografia del RUE come strada vicinale ad uso pubblico, attesa l’acclarata utilizzazione della stessa da parte della collettività e la manutenzione a carico del Comune.

Neppure coglieva nel segno il riferimento all’art. 26 “del Codice della Strada”, atteso che l’art. 26 del Regolamento di esecuzione e di attuazione D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (erroneamente citato come Codice della Strada) prevedeva che fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'articolo 4 del codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non potevano essere inferiori a 10 mt. per le strade vicinali.

Ad avviso del Tar, quindi (in disparte la considerazione che la distanza fissata dalla norma del RUE era coerente con quella stabilita dalla legge statale), doveva rilevarsi che la destinazione dell'area a fascia di rispetto della sede viaria integrava un vincolo di natura conformativa, costituente un limite all'edificabilità dell'area, che l'amministrazione ben poteva imporre nell'esercizio dei poteri di pianificazione del territorio (e neppure erano state formulate censure tali da far ritenere che il suddetto potere discrezionale fosse stato esercitato in modo distorto).

Ciò implicava l’improcedibilità, oltre che l’inammissibilità per carenza di interesse, del secondo motivo (con cui si era sostenuto che il Comune avrebbe dovuto, al più, sospendere l’adozione di qualunque decisione nelle more dell’approvazione del RUE, anziché opporre direttamente un diniego), in quanto, se, da una parte, dalla eventuale sospensione la originaria ricorrente non avrebbe potuto trarre alcun vantaggio, salvo il mero differimento della pronuncia negativa fino al momento dell’approvazione del RUE, d’altro canto, essendo l’approvazione effettivamente avvenuta con delibera consiliare del 28 agosto 2013, l’interesse alla censura era venuto meno.

In conclusione, il mezzo introduttivo è stato integralmente disatteso, e parimenti sono stati respinti i motivi aggiunti con i quali la delibera consiliare del 28 agosto 2013, da ultimo citata, era stata impugnata esclusivamente per illegittimità derivata.

La originaria parte ricorrente, rimasta integralmente soccombente, ha impugnato la detta decisione, criticandola sotto ogni angolo prospettico.

Ripercorso l’iter del contenzioso, anche infraprocedimentale, intercorso e diffusasi sulla natura della strada per cui è causa (non appartenente al comune; ove il comune non aveva mai effettuato raccolta di rifiuti, né attività di spazzamento di neve, etc), ha (primo motivo) sostenuto la tesi per cui era maturato il silenzio-assenso al momento dell’intervenuto diniego.

Con la seconda censura si è ribadita la tesi del difetto di motivazione del diniego: la richiesta istruttoria si incentrava su una congerie di atti (ed argomenti): quello della natura della strada e delle distanze da quest’ultima della erigenda autorimessa era solo uno dei “possibili” motivi di approfondimento.

Peraltro trattavasi di una autorimessa del tutto interrata; e tale specificità non era stata tenuta in considerazione dal Tar.

Di fatto (terza censura), vi era stata una inammissibile integrazione motivazionale: in ogni caso, la strada asseritamente “ostativa” alla realizzazione dell’intervento edilizio neppure era riportata in catasto, né contemplata nel PRG; e nella carta Regionale il tracciato era tanto evanescente che si era reso doveroso ricalcarlo.

Insomma, trattavasi di una strada vicinale, per cui era ininfluente che nel 2012 il Comune appellato vi avesse effettuato un intervento manutentivo.

E ciò emergeva dalla corrispondenza tra il Comune ed altri soggetti, versata in atti ed inesattamente svalutata, nella sua portata probatoria, dal Tar.

E contrariamente a quanto sostenutosi nella sentenza, la corrispondenza aveva ad oggetto proprio la medesima strada per cui è causa, e non già un diverso asse viario.

Trattavasi di una strada interpoderale privata, cui inesattamente si era apposta una c.d. “fascia di rispetto”; e non poteva certo dirsi che detta strada fosse frequentata da una collettività indeterminata.

Con il quarto motivo è stata riproposta la tesi della violazione dell’art. 26 del dPR n. 495/1992; e nel quinto si è rimarcata la contraddittorietà del capo conclusivo della sentenza.

Il PRG vigente non prevedeva alcuna fascia di rispetto; il Rue, al momento del diniego, era stato soltanto adottato; quindi la circostanza che nelle more del procedimento il Rue fosse stato approvato non poteva condurre alla improcedibilità della doglianza.

Ne conseguiva che il diniego era stato supportato da una norma non ancora vigente e, come tale, era illegittimo.

Ha puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate memorie.

Il Comune ha depositato una articolata memoria chiedendo il rigetto del gravame e facendo presente che la “doglianza” incentrata sulla tesi secondo cui vi sarebbero state due strade era del tutto nuova e, pertanto, inammissibile ex art. 104 del cpa.

Alla camera di consiglio del 30 settembre 2014 la domanda cautelare è stata rinunciata su espressa richiesta di parte appellante.

Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto.

2. Il primo motivo, incentrato sull’asserita formazione del silenzio-assenso è destituito di fondamento: la L.R. dell’Emilia Romagna 25-11-2002 n. 31, ratione temporis applicabile alla fattispecie, così prevede all’art. 13:

“1. La domanda per il rilascio del permesso di costruire sottoscritta dal proprietario o da chi ne abbia titolo, è presentata allo Sportello unico per l'edilizia, corredata da un'attestazione concernente il titolo di legittimazione e dagli elaborati progettuali richiesti dal R.U.E.

2. La domanda è accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che, ai sensi dell'art. 481 del Codice penale, assevera la conformità del progetto presentato agli strumenti urbanistici adottati ed approvati ed al R.U.E., alle norme di sicurezza ed igienico-sanitarie, nonché alla valutazione preventiva, ove acquisita.

3. Il responsabile del procedimento può chiedere una sola volta, entro quindici giorni dalla presentazione della domanda, documenti ed atti integrativi qualora gli stessi non siano nella disponibilità dell'Amministrazione comunale ovvero non possano essere dalla stessa acquisiti autonomamente. La richiesta produce l'effetto dell'interruzione del termine di cui al comma 4, il quale ricomincia a decorrere dalla data del completo ricevimento degli atti integrativi.

4. Entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento cura l'istruttoria, acquisendo i prescritti pareri dagli uffici comunali e richiedendo alle Amministrazioni interessate il rilascio degli atti di assenso necessari al rilascio del provvedimento. Il responsabile del procedimento acquisisce altresì il parere della commissione di cui all'art. 3, nei casi in cui è richiesto, prescindendo comunque dallo stesso qualora non venga reso entro il medesimo termine di sessanta giorni. Acquisiti tali atti, formula una proposta di provvedimento, corredata da una relazione.

5. Nel caso di inutile decorrenza del termine per il rilascio degli atti di assenso da parte di altre Amministrazioni, il responsabile del procedimento convoca la conferenza di servizi.

6. Qualora il responsabile del procedimento, nello stesso termine di sessanta giorni, ritenga di dover chiedere chiarimenti ovvero accerti la necessità di modeste modifiche, anche sulla base del parere della Commissione di cui all'art. 3, per l'adeguamento del progetto alla disciplina vigente può convocare l'interessato per un'audizione.

7. Al termine dell'audizione viene redatto apposito verbale nel quale sono concordati tempi e modalità per modificare il progetto originario. Il termine di sessanta giorni resta sospeso fino alla presentazione della documentazione concordata.

8. Il permesso di costruire è rilasciato o negato dal responsabile dello Sportello unico per l'edilizia entro quindici giorni dalla proposta formulata dal responsabile del procedimento ovvero dalla conclusione della conferenza di servizi, di cui al comma 5, e deve essere notificato all'interessato. Dell'avvenuto rilascio è data notizia sull'Albo pretorio. Gli estremi del permesso sono contenuti nel cartello esposto presso il cantiere.

9. I termini di cui ai commi 3 e 4 sono raddoppiati per i comuni con più di 100 mila abitanti nonché per progetti particolarmente complessi indicati dal R.U.E.

10. Decorso inutilmente il termine per il rilascio del provvedimento, la domanda di rilascio del permesso di costruire si intende accolta.

11. I comuni, con il R.U.E., possono disciplinare autonomamente il procedimento di rilascio del permesso di costruire, fermo restando il rispetto del termine di sessanta giorni di cui al comma 4, del termine di cui al comma 8 e degli effetti dell'inutile decorrenza dello stesso indicato dal comma 10. Fino all'emanazione delle norme regolamentari comunali trovano applicazione le disposizioni del presente articolo”.

 

 

A tacere d’altro, e con portata troncante, si evidenzia che il comma 3 ultima parte (“3. Il responsabile del procedimento può chiedere una sola volta, entro quindici giorni dalla presentazione della domanda, documenti ed atti integrativi qualora gli stessi non siano nella disponibilità dell'Amministrazione comunale ovvero non possano essere dalla stessa acquisiti autonomamente. La richiesta produce l'effetto dell'interruzione del termine di cui al comma 4, il quale ricomincia a decorrere dalla data del completo ricevimento degli atti integrativi.”) fa riferimento al concetto di “interruzione” e fa presente che il termine “ricomincia a decorrere”: esso inequivocamente depone per la infondatezza della critica appellatoria.

Nell’appello, si riporta il testo di legge con le parole (erroneamente riprodotte) “comincia a decorrere”, e si sostiene che si doveva sommare anche il tempo trascorso prima della richiesta di integrazione istruttoria: ciò, alla luce della prescrizione di legge, è totalmente errato.

La censura va disattesa e deve pertanto affermarsi la esattezza della tesi del Tar secondo cui nessun consenso “per silentium” si era formato; né parte appellante ha persuasivamente chiarito per quali ragioni l’art. 10 bis della legge n. 241/1990 non troverebbe applicazione nel caso in esame.

3. Passando all’esame delle censure di merito, rileva il Collegio che l’appellante prospetta più versanti di critica: vengono infatti reiterati:

.- censure infraprocedimentali (difetto di motivazione);

.- vizi sostanziali in punto di – asseritamente libera - realizzazione dei parcheggi interrati;

.- vizi risolventisi nel travisamento del fatto con riferimento alla natura della strada a presidio della quale sarebbe posta la fascia di rispetto ostativa alla realizzazione del manufatto.

Essi saranno scrutinati separatamente.

3.1. Quanto al primo profilo(seconda censura), nessun vizio di difetto di motivazione è ravvisabile: come colto dal Tar, infatti, il preavviso di diniego ed il provvedimento definitivo sono motivati esclusivamente con il contrasto del progetto con la norma del RUE che disciplina, fra l’altro, l’arretramento delle costruzioni dalle strade.

Sebbene – è da riconoscerlo – la ostensione da parte del Comune sia stata in parte generica (l’art. 110 del RUE disciplina più fattispecie, tra le quali, al punto 3, la problematica dell’arretramento delle costruzioni dalle strade), la questione della fascia di rispetto stradale era dallo stesso normata e quindi evincibile dal diniego: la censura va disattesa, dovendosi per incidens anticipare che (come meglio verrà di seguito chiarito) la circostanza che il manufatto fosse del tutto interrato è assolutamente neutra nell’economia della causa, stante l’assolutezza dei limiti imposti dalle c.d. “fasce di rispetto stradali”.

3.2. Al fine di sgombrare il campo da censure manifestamente, infondate, va immediatamente evidenziata, poi, la non favorevole delibabilità dell’ultima censura (già secondo motivo del mezzo di primo grado): e ciò, non soltanto perché il Rue è stato definitivamente approvato (delibera consiliare del 28 agosto 2013) e quindi l’appellante non ha interesse a sollevare la doglianza (come esattamente osservato dal Tar), ma, anche, per una più elementare considerazione.

Come è noto, questo Consiglio di Stato (v. Sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6316; Sez. IV, 05-08-2005, n. 4165) ha a più riprese affermato che gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo alla effettiva volontà dell'amministrazione ed al potere concretamente esercitato, cosicché occorre prescindere dal nomen iuris ad essi attribuito al momento della adozione (v. Cons. St., V, 28 giugno 2004, n. 4756).

La giurisprudenza di merito ha, del resto, parimenti precisato (T .A.R. Lombardia Milano Sez. II, 18-09-2013, n. 2170) che “l 'esatta qualificazione giuridica del provvedimento amministrativo impugnato, fondandosi sull'analisi del suo contenuto effettivo e della sua causa reale, spetta al giudice investito dalla controversia, il quale può (anche) legittimamente prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'amministrazione all'atto adottato.” Ciò sulla scia del condivisibile dictum dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, con la decisione 23 gennaio 2003, n. 3, ove è stato affermato che "l'atto amministrativo va qualificato per il suo effettivo contenuto, per quanto effettivamente dispone, non già per la sola qualificazione che l'autorità, nell'emanarlo, eventualmente ed espressamente gli conferisca".

L’atto avversato aveva contenuto inibitorio; doveva trattarsi di una mera sospensione (il Rue era stato solo adottato); venne qualificato quale diniego, ma l’effetto utile dello stesso si risolveva comunque nella interdizione del’attività edificatoria: riqualificarlo come atto “sospensivo” era nei poteri del Giudice, e ciò non concretava alcuna illegittimità dell’atto medesimo.

Tanto che l’appellante ha potuto impugnarlo ed ottenere una pronuncia giudiziale (anche se non satisfattoria nel merito rispetto alle aspettative): ne discende che l’atto non poteva essere qualificato invalido per l’errore della denominazione impressa dal Comune.

Ciò, si ripete, non ha privato l’appellante di tutela; e nelle more l’avviso reiettivo si è consolidato con la definitiva approvazione del Rue: nessuna lesione si è verificata, ma soprattutto in nessun caso il nomen impressovi avrebbe vincolato il Giudice, che, infatti, si è correttamente espresso sulle censure sostanziali sottese alla determinazione impeditiva: la censura è in definitiva infondata.

4.Quanto alle doglianze sostanziali, stante la assoluta portata dell’impedimento ad edificare nei limiti imposti delle fasce di rispetto (circostanza questa, sulla quale, in via di principio, anche l’appellante concorda, come si evince dall’incipit della pag. 16 dell’atto di appello), ne discende la assoluta ininfluenza della circostanza che il parcheggio previsto fosse del tutto interrato. Condivisibile giurisprudenza, plasticamente traslabile, per analogia, alla odierna fattispecie, così si è espressa in passato, ed il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi da tale opinamento (ex aliis: Cons. Stato Sez. V, 14-09-2010, n. 6671): “anche il parcheggio interrato, da realizzare ai sensi dell'art. 9 della L. n. 122/1989, in quanto struttura servente all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui all'art. 338 del R.D. n. 1265/1934” (ma si veda anche Cons. Stato Sez. VI, 21-07-2010, n. 4801).

4.1. Se così è, l’unico profilo residuo da risolvere riposa nella contestazione che l’appellante muove alla dedotta circostanza che la strada limitrofa al fondo di sua pertinenza fosse da considerare gravata da servitù di pubblico transito.

4.1.1. Le critiche appellatorie, a tal proposito, confliggono irrimediabilmente con il consolidato orientamento giurisprudenziale (ad es. T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 09-05-2014, n. 1217), secondo cui “ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione "iuris tantum", superabile con la prova contraria, che escluda l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività”.

In disparte ogni problematica in ordine alla giurisdizione in ipotesi di contestazione, resta fermo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. Unite, 07-11-1994, n. 9206) secondo cui “l'iscrizione di una strada nell'elenco formato dalla p.a delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa della pretesa della p.a. La stessa iscrizione pone in essere una mera presunzione "iuris tantum" di uso pubblico, superabile con la prova dell'inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività.”.

Da ciò si trae che, ove l’appellante avesse voluto contestare fondatamente la qualificazione impressa dal comune nell’atto reiettivo, avrebbe dovuto provare (non già elementi accessori e probatoriamente recessivi quali l’omessa iscrizione in catasto etc., ma) una sola circostanza: che la strada predetta non è adibita al pubblico transito.

In punto di ripartizione dell’onus probandi, anche la giurisprudenza di merito civile è categorica (Trib. Chieti, 15-10-2009): “la strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà, anche implicita, del medesimo, e tale presunzione può essere vinta con la prova contraria dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.”.

Ma così non è stato: neppure labialmente, infatti, l’appellante ciò ha sostenuto, facendo unicamente riferimento, invece, ad un uso compatibile con la asserita natura interpoderale (Cass. civ. Sez. II Sent., 18-07-2008, n. 19994:“l'accertamento della comunione di una via privata, costituita "ex collatione agrorum privatorum", non è soggetto al rigoroso regime probatorio della rivendicazione, potendo, tale comunione, al pari di ogni altra "communio incidens", dimostrarsi con prove testimoniali e presuntive, comprovanti l'uso prolungato e pacifico della strada da parte dei frontisti e la rispondenza della stessa alle comuni esigenze di comunicazione in relazione alla natura dei luoghi,con la conseguente necessità di una valutazione complessiva degli elementi, anche indiziari addotti, al fine di stabilire l'effettiva destinazione della via alle esigenze comuni di passaggio.” - nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito per avere escluso rilevanza, ai fini della comproprietà di una strada interpoderale, di elementi quali un'antica mappa del tracciato della strada, l'ampiezza di questa, l'idoneità al percorso di mezzi meccanici, la presenza di numerazione civica e di varie porte a fronte strada, una lettera attestante l'esistenza, al di sotto della strada, di una tubatura per le acque di scolo delle proprietà frontiste-).

Il Comune ha ribadito, invece, che la collettività utilizza e fruisce di tale via; ed a fronte di tali affermazioni, in carenza di decisive contestazioni supportate probatoriamente, la doglianza non appare accoglibile (il carteggio intrattenuto con soggetti terzi, anche se riferito alla stessa strada, e la circostanza che il Comune non effettuasse la raccolta di rifiuti sulla ridetta strada, infatti, non dimostrano che la collettività non la utilizzasse).

Nei limiti dell’accertamento incidentale demandato al Collegio (Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 27-01-2010, n. 1624:“l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù. Ne consegue che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione.”; -nella specie, le S.U. hanno affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in controversia promossa da privato proprietario di una strada sterrata, immettentesi su strada comunale, al fine di sentir dichiarare che la strada medesima, divenuta oggetto di provvedimento comunale di classificazione come strada vicinale ad uso pubblico, era di sua proprietà esclusiva-), non può che richiamarsi la consolidata giurisprudenza (ex aliis, Cons. Stato Sez. IV, 07-09-2006, n. 5209 e, ancora di recente, T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 09-05-2014, n. 1217), secondo cui “ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.”

4.2. Quanto infine alla censura incentrata sul disposto di cui all’art. 26 dPR n. 495/1992 (regolamento di attuazione al codice della strada), la fascia di rispetto di mt. 10, vige per le strade vicinali.

La doglianza sconta una petizione di principio: si fonda sulla asserita non adibizione della strada ad uso pubblico.

Dimostrata con sufficiente spessore probatorio la non rispondenza al vero di tale asserzione, la censura è inaccoglibile.

4.3. Il Collegio ritiene, poi, che il Comune appellato abbia buon giuoco nel dimostrare (pag. 2 della memoria conclusionale) che la CTR (carta tecnica regionale) possedesse funzione certificatoria, e spiegasse detto effetto: l’appellante si duole di ciò, ricorrendo a congetture (si sarebbe sentito il bisogno di “ricalcare” se non “ricreare” il segno di confine della strada), ma non può dequotare la valenza dimostrativa della detta rappresentazione cartografica.

4.4. Ribadendosi infine, quanto all’ultima censura, che nulla v’è da aggiungere al ragionamento del Tar, in quanto il Rue è stato infine approvato, e con quel contenuto censurato da parte appellante e per essa lesivo, deve concludersi che l’appellante non ricaverebbe alcun giovamento dall’accoglimento – meramente formale - della censura.

5. Conclusivamente, l’appello è infondato e merita la reiezione, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6.Sussistono le condizioni di legge per compensare le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della particolarità e novità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/03/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)