Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1345, del 5 marzo 2013
Ambiente in genere.Legittimità diniego del Comune per autorizzazione all’installazione, nella sede di produzione, di un impianto di verniciatura a polveri

E’ legittimo il diniego di autorizzazione all’esercizio di un’attività industriale, ritenuta insalubre ex art. 216 del T.U. n. 1265/1934. Infatti, l’art. 216 del T.U stabilisce due classi di attività industriali insalubri, l’inserimento nella prima, comporta l’obbligo di isolamento nella campagne l’insediamento lontano dalle abitazioni, mentre solo la collocazione nella seconda prevede il potere-dovere (a fronte della domanda di insediamento) di valutare la pericolosità in concreto e di prescrivere le eventuali cautele. Ciò premesso, la mera iscrizione nella prima classe, in quanto derivante da una valutazione direttamente compiuta dalla scelta legislativa, che perciò esclude ogni discrezionalità dell’amministrazione sul punto, comporta il dovere della stessa di rifiutare le autorizzazioni, consentendo inoltre al Comune di varare, con riferimento a determinati ambiti territoriali, norme di regolamentazione urbanistica in senso preclusivo di dette attività. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01345/2013REG.PROV.COLL.

N. 00444/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 444 del 2005, proposto da: 
Comune di Valfabbrica, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Rampini, con domicilio eletto presso Paolo Giuseppe Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo, 180;

contro

Profilumbria S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Mario Busiri Vici, con domicilio eletto presso Pasquale Di Rienzo in Roma, viale G. Mazzini,11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. UMBRIA - PERUGIA n. 00589/2004, resa tra le parti, concernente regolamento assegnazione aree p.i.p. - diniego autorizzaz. impianto verniciatura.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per la parte ricorrente l’vvocato Mario Rampini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1.- Con ricorso al TAR dell’Umbria, la società Profilumbra, titolare di un’impresa di produzione di “profilati metallici” situata in Comune di Valfabbrica, premesso di aver chiesto a detta amministrazione l’autorizzazione all’installazione, nella sede di produzione, di un impianto di verniciatura a polveri, domandava l'annullamento:

1) del provvedimento prot. n. 2103 del 26 marzo 2003, con il quale il Responsabile dei procedimenti relativi allo Sportello Unico per le Attività Produttive del Comune di Valfabbrica rigettava l’istanza di autorizzazione;

2) dell’art. 2 bis del Regolamento per l’assegnazione delle aree P.I.P. in virtù del quale è stato adottato il provvedimento di cui sub 1;

3) di ogni altro atto e/o provvedimento inerente, presupposto e/o consequenziale, con particolare riferimento alla delibera del Consiglio comunale di Valfabbrica n. 37 del 29 aprile 1991, con la quale è stato aggiunto, al Regolamento per l’assegnazione delle aree P.I.P. del Comune di Valfabbrica, il detto art. 2 bis, nonché, per quanto occorrer possa, dell’art. unico aggiunto in appendice al Regolamento edilizio del Comune di Valfabbrica con la stessa delibera, nonché di ogni altra norma tecnica e/o regolamentare comunque impediente l’installazione, nelle zone industriali del Comune di Valfabbrica, di industrie insalubri.

A sostegno del gravame la ricorrente deduceva motivi così riassumibili:

I) Violazione dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale: applicazione alla fattispecie di norme abrogate; eccesso di potere per violazione dell’affidamento, erroneità ed ingiustizia manifesta, contrasto con precedenti momenti e determinazioni della stessa Amministrazione.

II) Illegittimità dell’art. 2/bis del Regolamento per l’assegnazione di aree P.I.P. del Comune di Valfabbrica, nonché della delibera c.c. n. 37 del 29.4.1991, con la quale detta norma è stata approvata, e conseguente illegittimità derivata del provvedimento di rigetto gravato, per violazione dell’art. 216 del T.U.LL.SS. (approvato con R.D. 27.7.1934 n. 1265), degli artt. 3 e 41 della Costituzione, nonché della convenzione per la cessione dell’area “de qua” stipulata in data 10.2.1983; violazione del principio della libertà di iniziativa economica e della riserva di legge di cui all’art. 41 della Costituzione; eccesso di potere per disparità di trattamento, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, contrasto con precedenti momenti/determinazioni della stessa Amministrazione.

III) Violazione dell’art. 27 della Legge 865/71 e di ogni altra norma e principio in materia di partecipazione alla formazione dei piani urbanistici; violazione del principio di trasparenza e di partecipazione.

IV) Eccesso di potere per sviamento della causa tipica dell’atto, violazione dell’affidamento, ingiustizia manifesta.

1.2.- Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo, disattesa l’eccezione di tardività del ricorso avanzata dal Comune, lo accoglieva, annullando i provvedimenti impugnati.

2.- Il Comune di Valfabbrica impugnava innanzi a questo Consesso la sentenza del TAR, chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

2.1.- Si è costituita nel giudizio la società Profilumbra, resistendo al gravame. Parte appellante ha riepilogato in memoria le proprie tesi e, alla pubblica udienza dell’ 8 gennaio 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

La controversia sottoposta alla Sezione verte sulla legittimità di un diniego di autorizzazione all’esercizio di un’attività industriale, ritenuta insalubre ex art. 216 del T.U. n. 1265/1934, il cui insediamento è precluso dalla normativa locale, parimenti oggetto di impugnazione, sopravvenuta all’insediamento dell’attività produttiva originariamente insediatasi.

Con la sentenza gravata il TAR Umbria ha ritenuto illegittimo il diniego ed annullato le fonti normative comunali su cui il primo si è fondato, previo rigetto dell’eccezione, mossa dall’amministrazione, di tardività dell’impugnativa del regolamento, eccezione basata sulla sostenuta immediata lesività della norma preclusiva dell’insediamento richiesto dalla ricorrente, odierna appellata.

1.- Col primo mezzo d’appello, il Comune ripropone l’eccezione, che tuttavia si conferma infondata. La valenza lesiva di norma regolamentare che vieti una determinata attività industriale in una determinata zona, e conseguentemente precluda il legittimo rilascio dell’autorizzazione all’attività stessa, deve essere apprezzata con riferimento alla posizione del soggetto istante, la quale non può considerarsi lesa con attualità sino a quando il soggetto non chieda il rilascio dell’autorizzazione e l’amministrazione non opponga un determinazione negativa, con specifico riferimento alla ricadenza dell’attività nella zona di interdizione ed alla istanza di autorizzazione alla stessa. Né può in contrario rilevare che la norma regolamentare sia intervenuta in senso preclusivo successivamente (nel 1991) all’insediamento industriale originario (del 1983) , poiché essa non reca la preclusione dell’attività a quel momento esercitata, che non è in contestazione, ma della ulteriore attività che l’impresa ha successivamente chiesto di inserire nell’impianto. Resta quindi confermato, nella fattispecie, il principio per cui la norma regolamentare anche sopravvenuta, che non rechi un’immediata lesione di posizioni di soggetti chiaramente individuabili e già in titolarità dei destinatari, può essere impugnata unitamente all’atto successivo che ne fa applicazione. E poiché nel caso in esame l’impugnazione dell’atto applicativo risulta tempestiva, la stessa valutazione deve essere espressa nei confronti del ricorso contro il regolamento, come correttamente ritenuto dal TAR.

2.- Nel merito l’appello, sostenuto dalle successive doglianze, è meritevole di accoglimento.

Nell’accogliere il ricorso, in particolare, il giudice di prime cure ha ritenuto che il divieto di attività rientranti nell’elenco di prima categoria di rischio di cui all’art. 216 del T.U. n. 1265/1934, nella zona “de qua” –, introdotto dalle fonti regolamentari applicate (art. 2/bis del Regolamento per l’assegnazione delle aree P.I.P. e nell’art. unico del Regolamento edilizio) per le industrie insalubri di prima classe non integra ex se una pericolosità sufficiente per bandirle in assoluto dal territorio. Ha aggiunto il primo giudice che:

- “Detta pericolosità infatti deve essere valutata non già in astratto, bensì in concreto, avendo riguardo alle misure ed alle cautele suggerite dal progresso tecnico che possono essere tali da rendere innocua, grazie ad opportuni accorgimenti, una attività potenzialmente nociva”;

- “la normativa comunale può anche essere molto più rigorosa rispetto a quella statale, specie quando nello specifico territorio comunale la salute pubblica ed anche l’ambiente risultino particolarmente compromessi a causa di insediamenti pericolosi e/o nocivi già esistenti”;

- “Tuttavia, tale rigore normativo (in ipotesi particolarmente giustificato da esigenze locali) non può spingersi al punto da bandire in assoluto una qualsiasi “lavorazione insalubre di 1^ classe” dall’intero territorio comunale”.

In contrario rileva tuttavia il Comune appellante, ed in effetti è sfuggito al giudice di prime cure, che l’art. 216 del citato t.u. stabilisce due classi di attività industriali insalubri; l’inserimento nella prima, comporta l’obbligo di isolamento nella campagne l’insediamento lontano dalle abitazioni, mentre solo la collocazione nella seconda prevede il potere-dovere (a fronte della domanda di insediamento) di valutare la pericolosità in concreto e di prescrivere le eventuali cautele, elementi cui si è richiamato il primo giudice. Ciò premesso, Collegio, all’opposto di quanto ritenuto dal TAR, deve confermare che la mera iscrizione nella prima classe, in quanto derivante da una valutazione direttamente compiuta dalla scelta legislativa, che perciò esclude ogni discrezionalità dell’amministrazione sul punto, comporta il dovere della stessa di rifiutare le autorizzazioni, consentendo inoltre al Comune di varare, con riferimento a determinati ambiti territoriali, norme di regolamentazione urbanistica in senso preclusivo di dette attività.

Pertanto, non essendo contestato che l’attività dell’appellata rientrasse nella prima classe, sia l’introduzione del divieto di insediamento che il diniego di autorizzazione non costituiscono un’erronea applicazione della normativa statale sopra menzionata.

3.- Non debbono essere, infine, esaminati anche gli altri profili che la società ricorrente aveva sollevato in prime cure e la cui trattazione non ha trovato spazio nel decisione gravata, risultando implicitamente assorbiti; essi , infatti , non risultano essere stati riproposti in questa sede da parte dell’appellato.

4.- Conclusivamente l’appello deve essere accolto con le conseguenze di legge.

Le spese di entrambi i gradi di giudizio, seguono il principio della soccombenza e sono perciò poste a carico della società Profilumbra, e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe,

accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna la società Profilumbra al pagamento, in favore del Comune di Valfabbrica, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida complessivamente in Euro tremila (3.000) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 gennaio 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con l’intervento dei signori:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)