Corte Costituzionale sent. n. 51 del 10 marzo 2016
Oggetto: Ambiente - Misure urgenti in materia ambientale e per la mitigazione del dissesto idrogeologico introdotte dal decreto legge 12/09/2014 n. 133 (c.d. "sblocca Italia") - Previsione che qualora gli enti locali non aderiscono agli enti di governo dell'ambito, individuati ai sensi del comma 1 entro il termine fissato dalle Regioni e dalle Province autonome e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla delibera di individuazione, il Presidente della Regione stessa esercita, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro ulteriori trenta giorni, i poteri sostitutivi, ponendo le relative spese a carico dell'ente inadempiente.

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale

SENTENZA N. 51

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 9 gennaio 2015, depositato in cancelleria il 16 gennaio 2015 e iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 9 gennaio 2015, depositato il successivo 16 gennaio 2015 e iscritto al n. 9 del registro ricorsi del 2015, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato, tra gli altri, l’art. 7, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, per violazione di numerosi parametri statutari e di attuazione statutaria.

La disposizione impugnata ha aggiunto all’art. 147 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il seguente comma 1-bis: «Qualora gli enti locali non aderiscano agli enti di governo dell’ambito individuati ai sensi del comma 1 entro il termine fissato dalle regioni e dalle province autonome e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla delibera di individuazione, il Presidente della regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro ulteriori trenta giorni, i poteri sostitutivi, ponendo le relative spese a carico dell’ente inadempiente. Si applica quanto previsto dagli ultimi due periodi dell’articolo 172, comma 4».

La ricorrente lamenta che la norma, menzionando anche le «province autonome», accanto alle regioni, tra i soggetti chiamati ad assegnare agli enti locali un termine per l’adesione agli enti di governo dell’ambito territoriale ottimale, sarebbe lesiva delle sue prerogative statutarie in materia di organizzazione del servizio idrico.

La Provincia autonoma ricorda di essere dotata di potestà legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici provinciali», «urbanistica», «viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale», «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali», «opere idrauliche della terza, quarta e quinta categoria», ai sensi dell’art. 8, numeri 1), 5), 17), 19) e 24), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Aggiunge di essere titolare, ai sensi dell’art. 9, numeri 9) e 10), e degli artt. 80 e 81 dello statuto speciale, della potestà legislativa concorrente in materia di «utilizzazione delle acque pubbliche», «igiene e sanità» e «finanza locale». Sottolinea, inoltre, come l’art. 14 dello stesso statuto speciale disponga che «[l]’utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della provincia, nell’ambito della rispettiva competenza, ha luogo in base a un piano generale stabilito d’intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia in seno a un apposito comitato».

Il predetto assetto statutario – continua la ricorrente – è integrato e completato dalle norme di attuazione dello statuto speciale. Rilevano, in particolare: il d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione), che trasferisce alle Province autonome, tra l’altro, tutti i beni del demanio idrico, in relazione a quanto previsto dall’art. 68 dello statuto; il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), che trasferisce alle Province «[l]e attribuzioni dell’amministrazione dello Stato in materia di urbanistica, di edilizia comunque sovvenzionata, di utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche, di espropriazione per pubblica utilità, di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 1) e «tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità» del demanio idrico «ed in particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall’inquinamento» (art. 5); il d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia), in materia di energia e di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, nonché il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), in materia di finanza locale.

A conclusione dell’ampia descrizione si afferma che il riparto costituzionale risultante dal complesso delle norme passate in rassegna fonderebbe – come avrebbe riconosciuto più volte la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 137 del 2014, n. 233 del 2013, n. 357 del 2010, n. 412 del 1994) – la potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Trento di regolare tutti i diversi aspetti del servizio idrico. Ne conseguirebbe l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, la quale presupporrebbe l’operatività di un sistema territoriale e organizzativo del servizio idrico che, secondo la ricorrente, non trova riscontro sul territorio della Provincia autonoma, che lo ha autonomamente e diversamente regolato.

Sotto altro profilo, la norma impugnata, pretendendo di applicarsi direttamente alle province autonome e imponendo finanche lo svolgimento di un’attività (l’esercizio del potere sostitutivo) in una materia di competenza provinciale (organizzazione del servizio idrico), violerebbe altresì l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), che dispone l’inapplicabilità, nelle materie di competenza della Provincia, delle disposizioni legislative statali, fermo restando l’onere di adeguamento della legislazione provinciale vigente a principi che costituiscano limiti statutari.

Pur avendo così argomentato le ragioni a sostegno della declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni contestate, la Provincia autonoma nel contempo rimette a questa Corte il dubbio circa la loro effettiva applicabilità alle autonomie speciali.

Viene sottolineato come l’espresso riferimento contenuto nella norma impugnata alle province autonome sia specificatamente contraddetto sia dal comma 9-bis dello stesso art. 7, secondo il quale «[l]e disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione»; sia dalla clausola di salvaguardia “generale” contenuta nell’art. 43-bis del medesimo decreto-legge, secondo cui «[l]e disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione». Su questa considerazione, la ricorrente ipotizza che l’espresso riferimento, nella disposizione impugnata, alle «province autonome» non esprima una deliberata volontà del legislatore statale rivolta ad imporre alla ricorrente Provincia un determinato modello di gestione del servizio idrico, potendo supporsi che tale menzione rappresenti un mero lapsus calami.

La stessa ricorrente – pur ritenendo preferibile questa soluzione di interpretazione costituzionalmente conforme delle norme censurate – contestualmente avverte che proprio l’espresso riferimento alle «province autonome» potrebbe invece essere ritenuto espressione della volontà del legislatore di derogare alle clausole di salvaguardia sopra menzionate, al fine di imporre l’applicazione nella Provincia autonoma di Trento dell’intera disciplina contenuta nel novellato art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006.

La memoria illustrativa, depositata il 2 febbraio 2016, contiene ulteriori precisazioni.

La Provincia sottolinea come la sussistenza di un intreccio di competenze in materia di risorse idriche, pur potendo giustificare la previsione di forme di collaborazione tra i diversi livelli istituzionali, non potrebbe «dare copertura ad una norma del tutto eccentrica rispetto ad un assetto di competenze consolidato nelle norme statutarie e di attuazione». Ricorda, altresì, che la competenza della Provincia in materia di servizio idrico rimane una competenza primaria, non incisa dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), come da ultimo confermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 142 del 2015.

Aggiunge, a sostegno dell’interpretazione «adeguatrice» nel senso della non applicabilità della norma impugnata alla Provincia autonoma, la considerazione che l’evocazione (nel corpo del novellato art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006) delle province autonome solo in riferimento al potere di assegnare il termine agli enti locali per l’adesione agli enti di governo dell’ambito e al connesso potere sostitutivo sarebbe assolutamente eccentrica, e frutto di una distrazione più che di una volizione del legislatore.

2.– Costituitosi in giudizio il 17 febbraio 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda la costante giurisprudenza costituzionale che riconosce l’esistenza di una competenza esclusiva della Provincia in materia di organizzazione del servizio idrico integrato provinciale, e rileva che le clausole di salvaguardia delle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome contenute nel d.l. n. 133 del 2014 (nei sopra citati artt. 7, comma 9-bis, e 43-bis) fungerebbero da limite all’applicazione di norme statali incompatibili con gli statuti speciali e con le relative norme di attuazione, escludendo il contrasto con il riparto costituzionale delle competenze.

Nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, la difesa erariale afferma che il riferimento alle «province autonome» di cui al comma 1-bis non può essere considerato un mero errore materiale, come prospettato dalla ricorrente. La fattispecie normativa andrebbe interpretata nel senso di consentire e non di imporre alle autonomie speciali di adottare il modello statale di organizzazione del servizio idrico. La norma, in sostanza, farebbe comunque salva la facoltà per la Provincia autonoma di Trento di scegliere, nell’ambito delle proprie attribuzioni inerenti alla titolarità del demanio idrico e alla disciplina dei relativi servizi, il modello di gestione più adeguato alla sua realtà territoriale: in definitiva, sarebbe libera di applicare il modello integrato ovvero di mantenere quello attualmente in vigore.

Sia nell’atto di costituzione, che nella memoria finale, l’Avvocatura generale dello Stato richiama ancora le considerazioni svolte dalla questa Corte nella sentenza n. 412 del 1994, secondo cui la disciplina delle risorse idriche «realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi livelli istituzionali», pur rilevando che le fondamentali esigenze di cooperazione fra tutti i soggetti pubblici interessati «non legittimano indebite appropriazioni di competenze».


Considerato in diritto

1.– La Provincia autonoma di Trento ha impugnato diverse disposizioni del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.

Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 133 del 2014, vengono in rilievo in questa sede le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera b), numero 2).

Ad avviso della ricorrente, tale disposizione, nella parte in cui menziona anche le «province autonome», accanto alle regioni, tra i soggetti chiamati ad assegnare agli enti locali un termine per l’adesione agli enti di governo dell’ambito territoriale ottimale, violerebbe la competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Trento in materia di organizzazione del servizio idrico, desumibile dalla lettura congiunta di numerosi parametri statutari e di attuazione statutaria, e segnatamente: l’art. 8, numeri 1), 5), 17), 19) e 24), l’art. 9, numeri 9) e 10), gli artt. 14, 80 e 81 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), cui si aggiungono le correlative norme di attuazione contenute nel d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione), nel d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), nel d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia), nel decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).

La norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), che dispone l’inapplicabilità, nelle materie di competenza della Provincia, delle disposizioni legislative statali, fermo restando l’onere di adeguamento della legislazione provinciale vigente ai principi costituenti limiti statutari.

2.– Prima di passare all’esame dei motivi di ricorso, occorre precisare che, né la clausola di salvaguardia contenuta al comma 9-bis dell’art. 7 del d.l. n. 133 del 2014, con specifico riguardo alla disciplina del servizio idrico integrato, né, a maggior ragione, quella generale contenuta nel successivo art. 43-bis, sono idonee a escludere l’efficacia della norma censurata nei confronti della Provincia ricorrente. La presenza infatti, in essa, di un espresso riferimento alle province autonome quali destinatarie del precetto, comporta che debba farsi applicazione del principio, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo il quale l’illegittimità costituzionale di una previsione legislativa non è esclusa dalla presenza di una clausola di salvaguardia allorquando tale clausola entri «in contraddizione con quanto affermato nel seguito della disposizione, con esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome» (sentenza n. 133 del 2010; ex plurimis, anche le sentenze n. 1 del 2016, n. 156 del 2015, n. 137 del 2014 e n. 241 del 2012).

3.– Nel merito, la questione è fondata.

3.1.– Lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alla Provincia autonoma di Trento competenza legislativa primaria in materia di «acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 8, numero 17), «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione mediante aziende speciali» (art. 8, numero 19), «urbanistica» (art. 8, numero 5) ed «opere idrauliche» (art. 8, numero 24), nonché competenza legislativa concorrente in tema di «utilizzazione delle acque pubbliche», «igiene e sanità» (art. 9, numeri 9 e 10). L’art. 14 dello statuto speciale prevede, fra l’altro, che l’utilizzazione delle acque pubbliche deve essere realizzata in base ad un Piano generale stabilito d’intesa fra lo Stato e la Provincia autonoma (approvato con d.P.R. 15 febbraio 2006), il quale sostituisce interamente, nel territorio provinciale, il Piano regolatore generale degli acquedotti (art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 381 del 1974). In base alle norme di attuazione statutaria contenute nel d.P.R. n. 115 del 1973, la Provincia autonoma di Trento esercita, inoltre, tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità del demanio idrico, ivi compresa la polizia idraulica e la difesa delle acque dall’inquinamento (sentenza n. 137 del 2014).

Muovendo dalla ricognizione complessiva e sistematica delle menzionate attribuzioni statutarie e delle relative norme di attuazione, questa Corte ha riconosciuto in più occasioni in capo alla Provincia autonoma di Trento una competenza primaria in materia di organizzazione del servizio idrico, comprensiva della sua organizzazione e della sua programmazione, nonché dell’individuazione dei criteri di determinazione delle tariffe ad esso inerenti (sentenze n. 137 del 2014, n. 233 del 2013, n. 357 del 2010, n. 412 del 1994).

Tale sistema di attribuzioni – nell’esercizio delle quali la Provincia ha da tempo delineato il quadro organizzatorio del servizio idrico integrato provinciale, seguendo fra l’altro un modello non sovrapponibile a quello prefigurato dal legislatore statale – «“non è stat[o] sostituit[o] dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente”, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, considerato che “la suddetta riforma, in forza del principio ricavabile dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non restringe la sfera di autonomia già spettante alla Provincia autonoma” (sentenza n. 357 del 2010)» (sentenza n. 233 del 2013). È evidente, quindi, come il «complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi livelli istituzionali» in materia di risorse idriche – evocato dalla difesa erariale, senza tuttavia esplicitarne le implicazioni giuridiche da trarre a scioglimento del dubbio di legittimità costituzionale – non possa comportare alcuna compressione della preesistente autonomia organizzativa della Provincia autonoma in materia.

3.2.– Su queste basi, la disposizione impugnata – presupponendo l’applicazione del modello di gestione del servizio idrico integrato dettato dal d.lgs. n. 152 del 2006 anche sul territorio delle province autonome – ha senza dubbio invaso un ambito che è precluso all’intervento del legislatore statale in ragione delle richiamate competenze statutarie.

La rilevata antinomia non è superabile in via di interpretazione conforme.

Per un verso, non può essere accolto l’argomento sistematico prospettato dalla ricorrente, secondo il quale «l’evocazione delle due Province solo in riferimento al potere di assegnare il termine agli enti locali per l’adesione agli ATO e al connesso potere sostitutivo (dove peraltro si torna a parlare solo di Regioni) appare assolutamente eccentrica e anzi frutto di una distrazione più che di una volizione del legislatore». Nel rispetto del canone dell’interpretazione letterale, non è possibile disconoscere il significato precettivo del frammento normativo che considera espressamente le province autonome, insieme alle regioni, destinatarie dei vincoli imposti dalla norma. Al contrario, la novella non può che ritenersi espressiva dell’intenzione oggettiva della legge di estendere innovativamente alle autonomie speciali la disciplina statale in tema di organizzazione territoriale del servizio idrico integrato.

Per altro verso, la lettura riduttiva prospettata dalla difesa erariale – alla cui stregua la norma statale avrebbe inteso “consentire” e “non imporre” alla Provincia autonoma di adottare l’assetto organizzativo del servizio idrico integrato, così come disciplinato dal legislatore statale – è implausibile. Accedendo a tale impostazione, infatti, la norma non avrebbe alcun valore prescrittivo, non potendo di certo concedere ciò che è già garantito (in termini di piena autonomia organizzativa) dallo statuto speciale.

4.– Per i motivi esposti, l’art. 7, comma 1, lettera b), numero 2), del d.l. n. 133 del 2014, deve quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole «e dalle province autonome».

4.1.– Rimane assorbita l’ulteriore questione relativa alla violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, limitatamente alle parole «e dalle province autonome».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2016.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2016.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA