Cass. Sez. III n. 43604 del 17 novembre 2022 (CC 4 ott 2022)
Pres. Andreazza Est. Corbetta Ric. De Vita
Beni ambientali.Sequestro preventivo per reati paesaggistici

Nel valutare la sussistenza del presupposto del periculum in mora ai fini del sequestro preventivo di un immobile abusivo sito in zona paesaggisticamente vincolata conseguente all'uso dello stesso in quanto produttivo di conseguenze dannose sull'area oggetto di speciale protezione, il giudice del merito deve procedere ad una accurata disamina, verificando se possano escludersi ulteriori lesioni del bene protetto sulla base della assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, tenendo conto della natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera. In altri termini, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, il presupposto del periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza delle opere ultimate, ma è necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela.


RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Salerno, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame proposta nell’interesse di Aniello De Vita, quale legale rappresentante della Starza s.r.l., annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Vallo della Lucania limitatamente alle opere di completamento e sistemazione dell’area esterna adiacente alla piscina, con realizzazione di vialetti, camminamenti, aree pavimentate e muretti, disponendone la restituzione al ricorrente, rigettando, nel resto, l’istanza e, per l’effetto, confermava il vincolo cautelare sulle restanti opere, in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), e 181, commi 1 e 1-bis, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004, 64-71, 65-72, 93-95 d.P.R. n. 380 del 2001, 734 cod. pen. 13-10 l. n. 394 del 1991, e 44, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 30, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo H).
Secondo la prospettazione accusatoria, presso la struttura ricettiva denominata “Pian delle Starze”, sita in località Starze del Comune di Camerota e gestita dalla società Starza s.r.l., su un terreno agricolo distinto al foglio 30 particella 552 – in zona agricola E di salvaguardia ambientale, sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, rientrante nella perimetrazione del Parco Nazionale del Cilento e Valle di Diano, Zona C.P.C.I. (conservazione integrale del paesaggio collinare) del PTP Cilento Costiero, zona sismica di grado tre – in assenza di permesso di costruire, della prescritta autorizzazione paesaggistica, dell’autorizzazione sismica e del nulla osta dell’ente Parco, era in corso di realizzazione, in prosecuzione di abusi edilizi realizzati nel tempo, la trasformazione e il cambio di destinazione d’uso di un locale seminterrato (di per sé già abusivo) sul lato ovest della struttura ricettiva, adibito originariamente a deposito agricolo per attrezzi in civile abitazione, con la realizzazione di un manufatto, costituito da sette unità abitative indipendenti, avente una superficie complessiva di circa 298 mq. e una volumetria complessiva di circa 800 mc., nonché di un porticato avente una superficie di circa 62 mq., mediante lavori di manutenzione e completamento degli impianti, degli allestimenti e delle finiture, opere comportanti un aggravio del carico urbanistico con alterazione permanente dello stato dei luoghi e, in assenza di un piano attuativo lottizzatorio, concretizzanti altresì una lottizzazione abusiva materiale.

2. Avverso l’indicata ordinanza, De Vita Aniello, nella veste di legale rappresentante delle società Starza s.r.l., tramite il difensore di fiducia nonché procuratore speciale, propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.  in relazione all’intervenuta prescrizione di tutti i reati in contestazione. Argomenta il ricorrente che la diversa conclusione assunta dal Tribunale sarebbe errata, in quanto dalle evidenze emergenti dagli atti di indagine puntualmente indicati (in particolare: la relazione tecnica del  geom. Gennaro De Luca, le due relazione tecniche dell’arch. Leone, le s.i.t. rese da costui, l’informativa dei Carabinieri Parco, la comunicazione di fine lavori, l’autorizzazione all’agibilità dei fabbricati adibiti a struttura recettiva Country House, l’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande, le evidenze catastali, gli accertamenti del consulente di parte, i rilievi fotografici, i documenti comprovanti l’esercizio dell’attività) emergerebbe che il fatto addebitato al ricorrente è stato consumato tra il 24 febbraio 2004 e l’aprile 2007.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 309, 322 cod. proc. pen. con riferimento all'art. 44, lett. b) e c), d.P.R. n.  380 del 2001. Argomenta il difensore che il Tribunale avrebbe erroneamente rigettato il motivo incentrato sulla contestazione dell'ipotizzata trasformazione in civile abitazione della destinazione d'uso del seminterrato, adibito originariamente a deposito, in quanto le sette unità abitative indipendenti erano state ricavate coevamente alla realizzazione del fabbricato che le ospita, con conseguente non configurabilità dell'addebitata trasformazione, posto che la suddivisione del fabbricato in sette micro alloggi alberghieri sarebbe realizzabile mediante CILA, la cui assenza è sanzionata solo dal punto di vista amministrativo. Nella specie, risulta provato che il seminterrato non è mai sorto come deposito agricolo, bensì come deposito asservito alla struttura ricettiva, sicché la successiva destinazione d'uso ad alloggi di tipo alberghiero non ha comportato alcun passaggio da una categoria funzionale ad un'altra. Il Tribunale, inoltre, non avrebbe considerato che l'art. 23-ter, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 rinvia alla legge regionale e, ai fini che qui rilevano, all'art. 2 l. r. Campania n. 19 del 2001, che esige il permesso di costruire solo per il mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.  
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 309, 322 cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 44, lett. b) e c), e 30 d.P.R. n.  380 del 2001. Lamenta il difensore che il Tribunale avrebbe ravvisato il fumus del reato di lottizzazione con formule di stile, senza confrontarsi con le emergenze investigative e, in particolare, con le dichiarazioni dell'architetto Leone e del funzionario comunale, nonché con l'autorizzazione per l'agibilità e con la consulenza dell'arch. Greco, da cui risulta che tutte le particelle che contrassegnano il fondo in testa a Pasqualina Marotta sono state accorpate per generare l'unica particella 552, su cui insistono i due fabbricati.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 309, 321 e 322 cod. proc. pen. con riferimento  agli artt. 44, lett. b) e c), e 30 d.P.R. n.  380 del 2001. Secondo la prospettazione difensiva, il Tribunale ha ravvisato le esigenze cautelari in maniera apodittica, senza motivare in ordine alla loro concretezza e all'attualità, anche considerando che la struttura è operativa dal 2007, sicché non sussiste il paventato aumento degli ospiti, e che la P.A. ha autorizzato l'attività turistico ricettiva e, a servizio della stessa, ha deliberato la costruzione delle reti, delle energie e dello smaltimento dei rifiuti dimensionate secondo la ricettività autorizzata.

3. In data 28 settembre 2022, il difensore ha depositato memoria con cui, nel riprendere i motivi di ricorso, ne chiede l'accoglimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è, nel complesso, infondato.

2. Il primo motivo è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
2.1. Laddove sollecita una diversa prospettazione della data di commissione dei reati sulla base di una diversa e più favorevole valutazione di taluni documenti e atti di indagine, il motivo, infatti, travalica gli stringenti limiti entro i quali è consentito il sindacato di legittimità avverso le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, sindacato che è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione, che, però, siano così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; di recente, Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016 - dep. 02/02/2017, Faiella, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 - dep. 20/04/2017, Napoli, Rv. 269656).
2.2. Nel caso in esame, infatti, il Tribunale ha disatteso l’eccezione di prescrizione dedotta dalla difesa anche sulla base della relazione tecnica del 4 maggio 2022 a firma dell'arch. Greco depositata all'udienza camerale, secondo cui le opere sub 1) sarebbero state realizzate in coincidenza o comunque in prossimità dei titoli abilitativi conseguiti, con una  motivazione coerente e completa, rilevando come, invece, all’atto del sopralluogo effettuato il 13 maggio 2021 si accertò che, all’interno di uno degli alloggi, erano ancora in corso d’opera lavori di realizzazione  degli impianti interni, mentre in occasione dell’ultimo sopralluogo del 21 dicembre 2021 il manufatto in questione si presentava completo nella finiture.
Da ciò il Tribunale ha logicamente desunto che, almeno alla data del 31 maggio 2021 le opere non fossero state ultimate, e, quindi, che i reati non fossero prescritti, in ciò facendo corretta applicazione del consolidato principio, qui da ribadire, secondo cui, in tema di reati edilizi, ai fini del decorso del termine di prescrizione, deve ritenersi "ultimato" solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, coincidendo l'ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci, gli infissi e le parti annesse all'abitazione, come i locali destinati a garage o magazzino (da ultimo, Sez. 3, n. 46215 del 03/07/2018, dep. 12/10/2018, N. Rv. 274201).

3. Il terzo motivo, la cui trattazione logicamente precede quella del secondo, è infondato.
3.1. Si rammenta che, secondo il costante orientamento assunto da questa Corte di legittimità, integra il reato di lottizzazione abusiva cd. "materiale" o fisica, oggetto di provvisoria contestazione al capo A), la realizzazione di un nuovo fabbricato che, per caratteristiche o dimensioni, sia idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale, mentre, nel caso di costruzione senza titolo abilitativo, l'intervento, per le dimensioni del manufatto, non presuppone opere di urbanizzazione primaria e secondaria (Sez. 3, n. 23010 del 10/01/2020, dep. 29/07/2020, Grossi, Rv. 280338–02; Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, dep. 13/04/2016, Bagliani, Rv. 266811).
Di recente, si è chiarito che, in quanto reato a consumazione anticipata, il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo dall'effettiva trasformazione del territorio ma da qualsiasi attività che comporti anche il mero pericolo di un'urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata, purché si traduca in interventi mirati alla realizzazione di opere che, per caratteristiche o dimensioni, pregiudichino la riserva pubblica di programmazione territoriale, sicché, in caso di lottizzazione abusiva materiale, è necessario e sufficiente che la condotta tenuta, valutata con giudizio ex ante, sia idonea ed oggettivamente adeguata a determinare l'evento, potendo infatti integrare, sul piano oggettivo, gli estremi del reato anche le condotte di inizio di esecuzione di opere suscettibili di determinare una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio in violazione di previsioni di piano o normative ovvero in assenza di autorizzazione. (Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, dep. 07/06/2022, P.G. in c. Licata, Rv. 283325-03).
3.2. Orbene, nel caso in esame il Tribunale ha ravvisato il fumus della contravvenzione di cui al capo A), vale a dire l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato che giustifica l’emissione di un provvedimento di sequestro (Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018 - dep. 27/04/2018, Armeli, Rv. 273069; Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014 - dep. 05/02/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279), con un percorso argomentativo coerente e immune da violazioni di legge.
Il Tribunale, invero, ha rilevato come le opere sub 1), valutate nel loro complesso, abbiano determinato, in un zona E agricola, lo stravolgimento dell'assetto territoriale dell'area di intervento, mediante la realizzazione di un manufatto abusivo - posto che le DIA (prot. n. 227 del 24 febbraio 2004, prot. 13542 del 9 novembre 2005 e prot. 11219 del 10 ottobre 2006) non solo sono sprovviste dai necessari pareri della Soprintendenza e del Parco ma si riferiscono all'edificazione di un locale interrato da adibire a deposito – costituito da sette unità abitative indipendenti, adibite a camere per ospiti della struttura ricettiva, e quindi destinate  allo svolgimento non di attività agricole, bensì turistico-ricettive.
3.3. Il Tribunale, inoltre, si è confrontato con quanto affermato dal responsabile dell'ufficio tecnico comunale in data 2 marzo 2022 - e cioè che, con riferimento al manufatto in questione, non vi sarebbe stato un frazionamento dell'area tale da comportare una suddivisione in lotti funzionali, giacché il fabbricato principale era stato interessato da regolare permesso di costruire n. 163/2004, che autorizzava lavori di completamento del fabbricato medesimo - rilevandone la non pertinenza.
Invero, il Tribunale ha osservato, per un verso, che, nell'ipotesi in esame, viene in rilievo un'ipotesi di lottizzazione non negoziale, bensì materiale; per altro verso, che il fabbricato principale, già caratterizzato da significativi ampliamenti totalmente abusivi (come descritti alle p. 2 e 3 della relazione tecnica del 27 agosto 2021) era stato sì interessato dall'indicato permesso di costruire n. 163/2004, il quale, però autorizzava l'attività edificatoria sulla particelle n. 47, 50, 336 e 337, mentre, in concreto, tale attività ha riguardato la diversa particella 552 del foglio 30.
3.4. A fronte di tale motivazione, che certamente non può dirsi né mancante, né apparente, il ricorrente propugna una diversa lettura dei dati probatori, non consentita in questa sede di legittimità.

4. Il secondo motivo è inammissibile per mancanza di interesse.
4.1. Invero, ferma restando la configurabilità dell'ipotizzata lottizzazione abusiva materiale, il Tribunale cautelare ha ritenuto che il fatto, in ogni caso, integri il fumus del reato di cui all'art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380, in relazione all’art. 30, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo H).
Orbene, posto che il decreto di sequestro preventivo è stato emesso con riferimento, tra gli altri, al reato di cui all'art. 44 lett. c) d.P.R. n.  380 del 2001, contestato al capo A) in relazione al quale, come detto, è stato ravvisato il fumus, ciò basta per il mantenimento del titolo ablativo.
Pertanto, essendo la motivazione in relazione all'eventuale configurabilità del  reato ex art. 44 lett. c), in relazione all’art. 30, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo H) del tutto irrilevante ai fini del mantenimento del vincolo cautelare, conseguentemente nessun interesse è configurabile in capo al ricorrente, posto che l'eventuale accoglimento del motivo relativo a una contestazione che non è stata elevata non inciderebbe in alcun modo sui presupposti alla base del decreto di sequestro preventivo.
Neppure è ipotizzabile che l'interesse possa essere sostenuto sulla base delle possibili ripercussioni derivanti dall’eventuale disarticolazione, in sede di impugnazione cautelare, del fumus delicti, avendo la Corte di cassazione affermato che non è configurabile un interesse ad impugnare identificabile con quello volto ad ottenere una pronunzia favorevole in ordine all'insussistenza del fumus commissi delicti, giacché questa non determinerebbe alcun effetto giuridico vincolante nel giudizio di merito, stante l'autonomia del giudizio cautelare (Sez. 5, n. 22231 del 17/03/2017, Paltrinieri, Rv. 270132).
4.2. In ogni caso, vale osservare che il Tribunale ha comunque ravvisato il fumus del delitto in questione con una motivazione immune da violazioni di legge, avendo ritenuto sussistente il cambio di destinazione d’uso penalmente rilevante, atteso che, per le considerazioni dinanzi indicate, si è accertata la realizzazione di una nuova costruzione con un cambio di destinazione d’uso da agricolo a turistico-ricettivo.

5. Il quarto motivo è infondato.

6. Si osserva che, con riferimento agli interventi eseguiti in zona sottoposta a vincoli, come nella vicenda in esame, questa Corte ha avuto modo di evidenziare, in passato, che in tali ipotesi, ai fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, rileva la sola esistenza di una struttura abusiva che integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente all'essere l'edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione all'utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3, n. 5954 del 15/1/2015, Chiacchiaro, Rv. 264370; Sez. 3, n. 42363 del 18/9/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/3/2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 30932 del 19/5/2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 2, n. 23681 del 14/5/2008, Cristallo, Rv. 240621; Sez. 3, n. 43880 del 30/9/2004, Macino, Rv. 230184; Sez. 3, n. 32247 del 12/6/2003, Berardi, Rv. 226158).
Successivamente tale orientamento è stato rivisto, osservando che nel sequestro preventivo di manufatti abusivi realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, il periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza ed entità delle opere ultimate, essendo invece necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica delle stesse, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente pregiudicare il bene protetto dal vincolo, sulla base di un accertamento da parte del giudice circa l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (Sez. 3, n. 50336 del 5/7/2016, Del Gaizo, Rv. 268331; Sez. 3, n. 40677 del 23/6/2016, La Sala e altro, Rv. 268049; Sez. 3, n. 28388 del 14/4/2016, Bondanini, Rv. 267412; Sez. 3, n. 28233 del 3/3/2016, Menti, Rv. 267410; Sez. 3, n. 48958 del 13/10/2015, Giordano, Rv. 266011).
Il più recente orientamento ha dunque escluso ogni automatismo tra semplice utilizzo del manufatto abusivo in zona vincolata e compromissione degli interessi tutelati dal vincolo, pur precisando che l'accertamento del giudice deve essere finalizzato a verificare se "l'uso della cosa, realizzata in violazione dei vincoli paesaggistici, sia idoneo o meno, nell'ipotesi di condotta del tutto esaurita, ad incidere sulle conseguenze dannose prodotte dall'intervento abusivo sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, con la conseguenza che l'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto, in tale caso, di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, il quale deve ritenere o escludere l'ulteriore lesione del bene protetto a seconda che accerti, in concreto, l'incompatibilità o la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera" (sent. 40677/2016, La Sala, cit.).
Tale accertamento sulla compatibilità dell'uso dell'opera rispetto agli interessi tutelati dal vincolo, si è pure affermato, va effettuato in maniera più penetrante proprio in ragione del peculiare bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 28388 del 14/4/2016, Bondanini, Rv. 267412 che a sua volta richiama Sez. 3, n. 40486 del 27/10/2010, P.M. in proc. Petrina ed altro, Rv. 248701).
Nel valutare la sussistenza del presupposto del periculum in mora ai fini del sequestro preventivo di un immobile abusivo sito in zona paesaggisticamente vincolata conseguente all'uso dello stesso in quanto produttivo di conseguenze dannose sull'area oggetto di speciale protezione, il giudice del merito deve procedere ad una accurata disamina, verificando se possano escludersi ulteriori lesioni del bene protetto sulla base della assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, tenendo conto della natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.
In altri termini, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, il presupposto del periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza delle opere ultimate, ma è necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (Sez. 3, n. 2001 del 24/11/2017, dep. 18/01/2018, p.m. in c. Dessi, Rv. 272071).

7. Tanto osservato, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, l'ordinanza impugnata appare del tutto immune da violazioni della legge penale, avendo il Tribunale distrettuale compiutamente motivato, con valutazione aderente alle emergenze processuali, in ordine alla sussistenza del periculum in mora con riferimento alle opere sub 1) – diversamente da quelle sub 2), per le quali detto periculum è stato escluso proprio in relazione alla loro modesta entità, tale da non determinare un aggravio urbanistico (p. 3 dell'ordinanza impugnata).
Il Tribunale, invero, ha rilevato che l'intervento edilizio, benché ultimato, ha comportato in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale non solo una rilevante alterazione dell'ecosistema protetto dal vincolo medesimo, ma un palese aggravio del vincolo urbanistico, come ripetutamente affermato dal responsabile dell'ufficio tecnico comunale, in considerazione del fatto che le opere in questione, che hanno comportato la trasformazione di un deposito agricolo in una struttura destinata ad accoglienza turistico-ricettiva, sono suscettibili di determinare un consistente aumento del numero dei frequentatori dell'immobile e, conseguentemente, un oggettivo aggravio su opere collettive, quali viabilità, rete idrica e fognaria, condutture elettriche e del gas.

 8. Né tale conclusione è smentita dal fatto che, come dedotto dal ricorrente,  la P.A. avesse già  autorizzato l'attività turistico ricettiva.
Come già affermato da questa Corte, è ravvisabile il periculum in mora, che legittima l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo di un immobile abusivo ultimato anche nel caso di utilizzo dell'opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un'incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell'aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015 dep. 23/10/2015, Buono, Rv. 265195), situazione, che, come detto, è stata concretamente ravvisata dal Tribunale nel caso in esame.

9. ll ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/10/2022.