Corte Costituzionale sent. 83 del 13 aprile 2016
Oggetto: Ambiente - Misure urgenti per la mitigazione del dissesto idrogeologico, introdotte dal decreto legge 12/09/2014 n. 133 (c.d. "sblocca Italia") - Previsione che gli interventi in materia sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Determinazione di criteri e modalità degli interventi sul reticolo idrografico ed attribuzione di carattere prioritario alla delocalizzazione di edifici e infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità - Previsione che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare revoca le risorse assegnate alle Regioni per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico per i quali, alla data del 30 settembre 2014, non è stato pubblicato il bando di gara o non è stato disposto l'affidamento dei lavori, nonché per gli interventi che risultano difformi dalle finalità stabilite - Previsione che l'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) assicura l'espletamento degli accertamenti ed i sopralluoghi necessari all'istruttoria entro il 30 novembre 2014.
Dispositivo: non fondatezza - inammissibilità
SENTENZA N. 83
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 2 e 3, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 9 gennaio 2015, depositato in cancelleria il 16 gennaio 2015 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 16 gennaio 2015 e iscritto al n. 11 del registro ricorsi del 2015, la Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, fra le quali l’art. 7, commi 2 e 3, oggetto del secondo motivo di ricorso.
L’art. 7 (inserito nel Capo III del decreto-legge, «Misure urgenti in materia ambientale e per la mitigazione del dissesto idrogeologico») contiene, tra le altre, «norme di accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico».
Il comma 2 dell’art. 7 dispone quanto segue: «A partire dalla programmazione 2015 le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla Regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce altresì la quota di cofinanziamento regionale. Gli interventi sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Le risorse sono prioritariamente destinate agli interventi integrati, finalizzati sia alla mitigazione del rischio sia alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità, ovvero che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. In particolare, gli interventi sul reticolo idrografico non devono alterare ulteriormente l’equilibrio sedimentario dei corsi d’acqua, bensì tendere ovunque possibile a ripristinarlo, sulla base di adeguati bilanci del trasporto solido a scala spaziale e temporale adeguata. A questo tipo di interventi integrati, in grado di garantire contestualmente la riduzione del rischio idrogeologico e il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, in ciascun accordo di programma deve essere destinata una percentuale minima del 20 per cento delle risorse. Nei suddetti interventi assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità. L’attuazione degli interventi è assicurata dal Presidente della Regione in qualità di Commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico con i compiti, le modalità, la contabilità speciale e i poteri di cui all’articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116».
In relazione all’art. 7, comma 2, la Regione Veneto solleva due questioni di costituzionalità. Dopo aver premesso che le norme sopra riferite non attengono solo alla materia della «tutela dell’ambiente», ma anche a quella del «governo del territorio», la ricorrente contesta il secondo periodo del comma 2 per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto non contemplerebbe il coinvolgimento della Regione interessata nell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua gli interventi di «mitigazione del rischio idrogeologico».
Inoltre, l’art. 7, comma 2, violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione in quanto le disposizioni contenute nel quarto, quinto e sesto periodo dello stesso comma 2 sarebbero «alquanto dettagliate».
1.1.– L’art. 7, comma 3, dispone che «[i]l Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalendosi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), previo parere favorevole dell’Autorità di distretto territorialmente competente, provvede alla revoca, anche parziale, delle risorse assegnate alle Regioni e agli altri enti con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, con i decreti ministeriali ex articolo 16 della legge 31 luglio 2002, n. 179, nonché con i decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e dell’articolo 2, commi 321, 331, 332, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con il decreto ministeriale adottato ai sensi dell’articolo 32, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, con i decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico per i quali alla data del 30 settembre 2014 non è stato pubblicato il bando di gara o non è stato disposto l’affidamento dei lavori, nonché per gli interventi che risultano difformi dalle finalità suddette» (primo periodo). Inoltre, l’art. 7, comma 3, prevede che «[l]’ISPRA assicura l’espletamento degli accertamenti ed i sopralluoghi necessari all’istruttoria entro il 30 novembre 2014» (secondo periodo) e che «[l]e risorse rivenienti dalle suddette revoche confluiscono in un apposito fondo, istituito presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, e sono riassegnate per la medesima finalità di mitigazione del rischio idrogeologico secondo i criteri e le modalità di finanziamento degli interventi definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 11 dell’articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91» (terzo periodo).
Con riferimento a tali previsioni, la ricorrente avanza, in primo luogo, «[a]naloghe censure», rinviando implicitamente a quelle rivolte contro l’art. 7, comma 2.
Inoltre, la Regione Veneto lamenta la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. L’art. 7, comma 3, sarebbe «manifestamente irragionevole» là dove prevede, il 12 settembre 2014, la revoca delle risorse assegnate per interventi per i quali «alla data del 30 settembre 2014 non è stato pubblicato il bando di gara o non è stato disposto l’affidamento dei lavori», revoca da disporre senza «[n]essuna verifica concreta in contraddittorio con la Regione» e senza «nessuna considerazione dell’apporto positivo dato, ex art. 53 Cost., al concorso alle spese pubbliche». Inoltre, la Regione ritiene irragionevole, in quanto troppo breve, il termine (di «poco più di due mesi») dato all’ISPRA per gli accertamenti.
Ancora, sarebbe violato l’art. 2 Cost., in quanto la configurazione di un «potere sostanzialmente illimitato di revoca» delle risorse assegnate alle regioni per gli interventi idrogeologici metterebbe in pericolo «i diritti inviolabili dei cittadini […] primo tra tutti il diritto alla vita e quello alla salute».
La Regione argomenta la propria «piena legittimazione […] a sollevare censure di violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost.» rinviando «a tutto quanto precisato a margine del primo motivo» di ricorso.
La ricorrente poi osserva che «[a]lla denunciata violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. consegue de plano quella dell’art. 118 Cost.».
Infine, la Regione Veneto denuncia la violazione dell’art. 119 Cost., rinviando alle considerazioni svolte nel primo motivo di ricorso, nel quale si denuncia la disparità di trattamento tra le regioni del Centro-nord e quelle del Mezzogiorno, in relazione all’«esorbitante residuo fiscale» della Regione Veneto. Si espone in proposito che, nella Regione Veneto, per effetto della normativa sul finanziamento del fondo perequativo, la pubblica amministrazione disporrebbe, per l’erogazione di servizi a favore dei cittadini residenti, meno di quanto ricavato dal prelievo fiscale sul proprio territorio. Secondo la ricorrente verrebbe in tal modo violato l’art. 119 Cost., il quale, pur prevedendo meccanismi perequativi (terzo e quinto comma), fisserebbe un principio di corrispondenza tra assetto delle finanze delle singole regioni e gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Con riferimento particolare all’art. 7, comma 3, la ricorrente aggiunge che esso violerebbe l’art. 119 Cost. perché contemplerebbe «un potere sostanzialmente illimitato […] di revoca di risorse […] senza prevedere alcuna verifica concreta in contraddittorio con la Regione interessata e senza tenere conto dell’eventuale residuo fiscale della Regione in questione».
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito con memoria depositata il 17 febbraio 2015. In essa l’Avvocatura generale dello Stato osserva che le norme impugnate «attribuiscono all’amministrazione centrale funzioni programmatorie valide per tutto il territorio nazionale, nel rispetto dell’articolo 118 della Costituzione», e che «[t]utti gli interventi […] sono teleologicamente collegati all’esigenza di garantire al Paese sviluppo, crescita ed occupazione a fronte della straordinaria situazione di crisi economica e finanziaria». Le norme statali dovrebbero «essere qualificate come principi fondamentali della materia poiché spetta soltanto al legislatore statale dettare norme di principio volte a contemperare l’indispensabile coinvolgimento dei diversi livelli territoriali di governo con le […] ragionevoli esigenze di semplificazione amministrativa e di certezza circa la conclusione dei procedimenti».
Il 18 gennaio 2016 la Regione Veneto ha depositato una memoria integrativa, nella quale sviluppa le considerazioni generali svolte nelle premesse del ricorso, attinenti allo squilibrio esistente «tra quantità di risorse raccolte in un dato territorio e spesa pubblica ivi allocata».
Il 2 febbraio 2016 anche l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria integrativa. In essa si nega il contrasto fra l’art. 7, comma 2, e l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le attività relative alla difesa del suolo rientrerebbero nella materia «tutela dell’ambiente». Quanto al potere di revoca previsto dall’art. 7, comma 3, la difesa erariale osserva che la norma statale ha lo scopo di «intervenire con la massima urgenza nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico»; che la revoca si riferisce a risorse statali trasferite alle regioni con specifico vincolo di destinazione; che le risorse in questione sono assegnate alle regioni da molti anni e non sono state neppure impegnate; che, dunque, la revoca sarebbe giustificata alla luce dei ritardi accumulati e che sarebbe singolare invocare ulteriori verifiche in contraddittorio, nell’attuale situazione di emergenza.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, fra le quali l’art. 7, commi 2 e 3.
Riservata a separate pronunce la decisione dell’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 133 del 2014, vengono in rilievo in questa sede le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 2 e 3, del citato decreto.
Con riferimento all’art. 7, comma 2 (che disciplina gli interventi di «mitigazione del rischio idrogeologico»), la Regione solleva due questioni di costituzionalità, entrambe fondate sul presupposto che gli interventi in questione inciderebbero, non solo sulla materia della «tutela dell’ambiente», ma anche su quella del «governo del territorio»: da un lato, il secondo periodo di tale disposizione violerebbe il principio di leale collaborazione, in quanto non richiederebbe il coinvolgimento della Regione interessata con riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico; dall’altro lato, le disposizioni contenute nel quarto, quinto e sesto periodo dell’art. 7, comma 2, violerebbero l’117, terzo comma, della Costituzione in quanto sarebbero «alquanto dettagliate».
Con riferimento all’art. 7, comma 3 (che prevede la revoca, da parte del Ministro dell’ambiente, delle risorse assegnate in passato alle regioni e ad altri enti – per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico – e non utilizzate), sono enucleabili nel ricorso cinque distinte questioni di costituzionalità: a) la prima è argomentata per relationem, avanzando «[a]naloghe censure», con implicito rinvio a quelle rivolte contro l’art. 7, comma 2; b) con la seconda, la Regione lamenta la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto l’art. 7, comma 3, sarebbe «manifestamente irragionevole» là dove prevede, il 12 settembre 2014, la revoca delle risorse assegnate per interventi per i quali «alla data del 30 settembre 2014 non è stato pubblicato il bando di gara o non è stato disposto l’affidamento dei lavori», revoca da disporre senza «[n]essuna verifica concreta in contraddittorio con la Regione» e senza «nessuna considerazione dell’apporto positivo dato, ex art. 53 Cost., al concorso alle spese pubbliche»; inoltre, sarebbe irragionevole, in quanto troppo breve, il termine (di «poco più di due mesi») dato all’ISPRA per gli accertamenti; c) ancora, sarebbe violato l’art. 2 Cost., in quanto la configurazione di un «potere sostanzialmente illimitato di revoca» delle risorse assegnate alle regioni per gli interventi idrogeologici metterebbe in pericolo «i diritti inviolabili dei cittadini […] primo fra tutti il diritto alla vita e quello alla salute»; d) la Regione osserva poi che «[a]lla denunciata violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. consegue de plano quella dell’art. 118 Cost.»; e) infine, la Regione Veneto denuncia la violazione dell’art. 119 Cost., rinviando alle considerazioni svolte nel primo motivo di ricorso e rilevando che l’art. 7, comma 3, sarebbe illegittimo perché contemplerebbe «un potere sostanzialmente illimitato […] di revoca di risorse […] senza prevedere alcuna verifica concreta in contraddittorio con la Regione interessata e senza tenere conto dell’eventuale residuo fiscale della Regione in questione».
2.– La prima questione sollevata con riferimento all’art. 7, comma 2, è infondata, in quanto alla disposizione censurata si può attribuire un significato idoneo a renderla compatibile con il principio di leale collaborazione.
2.1.– In primo luogo va osservato che l’art. 7, comma 2, secondo periodo, prevede un atto (di individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico ammessi al finanziamento) che effettivamente chiama in causa – come sostenuto dalla Regione ricorrente – non solo la «tutela dell’ambiente», ma anche il «governo del territorio». Questa Corte ha già chiarito che la difesa del suolo rientra nella materia della «tutela dell’ambiente» (sentenze n. 109 del 2011, n. 341 del 2010 e n. 232 del 2009), ma ha anche ritenuto necessario, con riferimento specifico alle funzioni statali di programmazione e finanziamento degli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico, il coinvolgimento delle regioni. Per questa ragione ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 57, comma 1, lettera b) (che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l’approvazione del programma nazionale di intervento), e l’art. 58, comma 3, lettera a) (che attribuisce al Ministero dell’ambiente la funzione di «programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo»), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto le funzioni in questione «sono tali da produrre effetti significativi sull’esercizio delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio», per cui «il principio di leale collaborazione impone un coinvolgimento delle Regioni» (sentenza n. 232 del 2009, richiamata su questo punto dalla sentenza n. 341 del 2010).
È da sottolineare che la stessa legislazione statale riconosce da tempo alle regioni un ruolo importante nella materia della difesa del suolo. Già prima della riforma del Titolo V della Costituzione, l’art. 88, comma 1, lettera b), e comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), manteneva alla competenza degli organi statali la programmazione ed il finanziamento degli interventi di difesa del suolo, previo parere della Conferenza unificata. Nel decreto legislativo n. 152 del 2006, l’art. 59, comma 1, lettere d) ed e), prevede la necessità del parere della Conferenza Stato-regioni «sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun programma triennale tra i soggetti preposti all’attuazione delle opere e degli interventi individuati dai piani di bacino» e «sui programmi di intervento di competenza statale», e l’art. 72, comma 3, statuisce che «[i]l Comitato dei Ministri di cui all’articolo 57, sentita la Conferenza Stato-regioni, predispone lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio e la ripartizione degli stanziamenti tra le Amministrazioni dello Stato e le regioni».
Sulla base del quadro così sintetizzato, risultante da disposizioni legislative statali e da interventi additivi di questa Corte, si può ritenere che l’art. 7, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 133 del 2014 non estrometta completamente le regioni dalla decisione di individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico destinati al finanziamento. Il criterio sistematico di interpretazione e, in particolare, il dovere di interpretazione conforme a Costituzione conducono a leggere la disposizione in esame alla luce della disciplina generale della materia e del principio costituzionale di leale collaborazione. Questa Corte ha già dichiarato infondate questioni di costituzionalità sollevate per violazione del principio di leale collaborazione, ritenendo implicitamente già previsti i raccordi invocati dalle regioni ricorrenti, sia pure non menzionati dalle norme impugnate: ciò è avvenuto sia nella materia del finanziamento degli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico (sentenza n. 232 del 2009, con riferimento all’approvazione della ripartizione degli stanziamenti di cui all’art. 72, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006), sia in altre materie (sentenza n. 19 del 2015, riguardante il patto di stabilità, sentenza n. 278 del 2010, riguardante le centrali nucleari, sentenza n. 235 del 2010, riguardante l’utilizzo del personale scolastico, sentenza n. 451 del 2006, riguardante il Fondo per l’edilizia a canone speciale, sentenza n. 227 del 2004, riguardante il potere sostitutivo).
Precisato che il coinvolgimento delle regioni può ritenersi implicitamente richiesto anche dalla disposizione impugnata nel presente giudizio, è da aggiungere che tale coinvolgimento può assumere forme differenti, in coerenza con la natura del principio di leale collaborazione, che è «suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità della pur necessaria collaborazione» (sentenza n. 308 del 2003), e «per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni» (sentenza n. 50 del 2005).
Così, ad esempio, il raccordo con le regioni può tradursi, oltre che nell’adozione del decreto di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, previo parere della Conferenza Stato-regioni (o unificata), nell’adozione dello stesso atto sulla base di proposte avanzate dalle regioni.
Questa seconda eventualità si è effettivamente verificata nella fase di attuazione della disposizione impugnata. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 che ha dato parziale attuazione all’art. 7, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, ha individuato «gli interventi di riduzione del rischio alluvionale tempestivamente cantierabili in quanto dotati di progettazione definitiva o esecutiva, con l’indicazione del finanziamento statale richiesto, che fanno parte del Piano stralcio per le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta al rischio» (art. 1), sulla base di proposte avanzate dalle regioni. Ciò è avvenuto in virtù di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, recante in allegato un documento intitolato «Individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico», il punto 2 del quale prevede che «[l]e richieste di finanziamento per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico dovranno essere inserite nella piattaforma ReNDiS-web (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa Suolo) a cura delle Regioni e province Autonome o dei soggetti dalle stesse accreditati».
Pertanto, la prima questione sollevata con riferimento all’art. 7, comma 2, è infondata nei termini appena esposti.
3.– Anche la seconda questione sollevata con riferimento allo stesso art. 7, comma 2, è infondata.
Le disposizioni contenute nel quarto, quinto e sesto periodo dell’art. 7, comma 2, sono censurate per la loro natura dettagliata, incompatibile, secondo la ricorrente, con le competenze regionali in materia di «governo del territorio». Si tratta, tuttavia, di previsioni che riguardano specificamente gli «interventi integrati», con riferimento ai quali l’interesse ambientale assume peso prevalente rispetto alla materia «governo del territorio». E la stessa previsione invocata nel ricorso per dimostrare l’afferenza al «governo del territorio» («Nei suddetti interventi assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità») attiene, in realtà, non solo a questa materia concorrente, ma prioritariamente a quella, riservata alla competenza esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., della «sicurezza» (sentenza n. 21 del 2010). Nel complesso, dunque, gli interessi facenti capo alle competenze esclusive statali possono ritenersi prevalenti su quelli afferenti al «governo del territorio».
4.– Si può ora passare all’esame della prima questione sollevata con riferimento all’art. 7, comma 3.
4.1.– Essa è argomentata semplicemente con un rinvio, “interno” al ricorso, alle doglianze rivolte contro l’art. 7, comma 2 («Analoghe censure […]»). La motivazione tramite rinvio “interno” è ammissibile (sentenze n. 68 del 2011 e n. 438 del 2008), purché sia chiara la portata della questione. Nel caso di specie, benché la Regione non precisi quali parametri siano violati dalle norme censurate, risulta con sufficiente chiarezza che essa intende contestare la violazione del principio di leale collaborazione ed il carattere dettagliato delle norme con riferimento alla revoca delle risorse e agli accertamenti dell’ISPRA. Dunque, la censura – sia pure assai concisa – raggiunge la soglia dell’ammissibilità.
4.2.– Nel merito, la questione è infondata.
Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, questa Corte ha già chiarito che, in caso di revoca di risorse assegnate alle regioni e da tempo inutilizzate, le esigenze di leale collaborazione possono essere considerate recessive (sentenza n. 105 del 2007: «Né la sfera di competenze costituzionalmente garantita delle Regioni, né il principio di leale collaborazione risultano violati da una norma che prende atto dell’inattività di alcune Regioni nell’utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio dello Stato»; nello stesso senso, sentenza n. 16 del 2010). Nel caso in esame, peraltro, va rilevato che l’art. 7, comma 3, prevede che la revoca delle risorse sia disposta «previo parere favorevole dell’Autorità di distretto territorialmente competente» e, in base all’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006 (sia nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 133 del 2014, sia nel testo attualmente vigente, come sostituito dall’art. 51 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali»), la conferenza istituzionale permanente comprende «i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico». Dunque, le regioni sono coinvolte nell’adozione dell’atto di revoca (sentenza n. 341 del 2010).
Quanto al carattere dettagliato delle disposizioni relative alla revoca delle risorse e all’istruttoria dell’ISPRA, la questione risulta infondata perché – anche a prescindere dalla considerazione che, in caso di concorrenza di competenze, l’intervento del legislatore statale è ammissibile (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2016, n. 140 del 2015, n. 231 del 2005) e che, nel caso di specie, la competenza concorrente in materia di «governo del territorio» non si può certo considerare prevalente su quella esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente» – l’art. 7, comma 3, primo e secondo periodo, si limita a prevedere le funzioni statali e a dettare le norme essenziali al loro svolgimento. Dunque, non essendo contestata dalla Regione la spettanza al livello statale accentrato delle funzioni in questione, non si può negare allo Stato la possibilità di completare la scelta attributiva del potere con la cornice normativa indispensabile alla sua operatività.
5.– La seconda e la terza questione sollevate con riferimento all’art. 7, comma 3, fondate su una presunta violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost., sono inammissibili per insufficiente motivazione sulla ridondanza delle lamentate violazioni sulle competenze costituzionali della ricorrente.
Anche in questo caso, la Regione utilizza la tecnica del rinvio “interno” per argomentare tale ridondanza: essa, infatti, afferma la propria «piena legittimazione […] a sollevare censure di violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost.», rinviando «a tutto quanto precisato a margine del primo motivo» di ricorso.
Ora, nel primo motivo la Regione si sofferma sul tema della ridondanza, affermando di essere «pienamente legittimata a denunciare la violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost., perché, pur trattandosi di precetti costituzionali che formalmente non attengono al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione, cionondimeno la loro violazione comporta, nel caso di specie, una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o, comunque, ridonda sul riparto di competenze legislative», e citando alcune sentenze di questa Corte.
Come è agevole riscontrare, la Regione non indica le materie di propria competenza sulle quali si rifletterebbe negativamente la violazione dei parametri esterni al Titolo V della Parte II della Costituzione. Neppure la citazione della sentenza n. 236 del 2013 giova a motivare la ridondanza. Per dimostrare che la violazione del parametro estraneo alla competenza si traduce in una lesione indiretta delle sue prerogative costituzionali, la Regione dovrebbe allegare che la norma statale incostituzionale incide su una determinata materia regionale (ex plurimis, sentenze n. 220 e n. 8 del 2013, n. 221 e n. 80 e n. 22 del 2012), mentre essa si limita a ricordare una precedente pronuncia di accoglimento in un caso ritenuto simile. Si consideri inoltre che, se anche la Regione avesse meglio argomentato la ridondanza nel primo motivo di ricorso, difficilmente il rinvio a quella motivazione – contenuto nel secondo motivo – sarebbe stato idoneo a sostenere le censure di violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost., avanzate nei confronti dell’art. 7, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, data la diversità delle rispettive fattispecie.
6.– La quarta questione sollevata con riferimento all’art. 7, comma 3, è inammissibile per assoluta genericità della motivazione.
La ricorrente lamenta, senza alcun’altra precisazione, che «[a]lla denunciata violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. consegue de plano quella dell’art. 118 Cost.». La Regione non indica quale disposizione, all’interno dell’art. 118, sarebbe violata, né illustra in alcun modo le ragioni per le quali l’art. 7, comma 3, violerebbe l’art. 118 Cost. Questa Corte ha più volte chiarito che l’esigenza di una adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale «si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali», e che il ricorrente deve identificare non solo i termini delle questioni di legittimità costituzionale ma anche «le ragioni dei dubbi di legittimità costituzionale» (ex multis, sentenze n. 3 del 2016 e n. 273 del 2015).
7.– La quinta questione sollevata con riferimento all’art. 7, comma 3, è inammissibile.
Premesso che il profilo della censura relativo all’asserito mancato contraddittorio con la Regione è già stato esaminato (nel punto 4.2.), occorre qui soffermarsi sulla lamentata mancata considerazione del cosiddetto “residuo fiscale” della Regione Veneto, al quale conseguirebbe la violazione dell’art. 119 Cost. A tale proposito la ricorrente rinvia a quanto argomentato nel primo motivo di ricorso, nel quale viene censurato l’«esorbitante residuo fiscale della Regione Veneto», che si traduce nel «‘saldo’ fra ciò che ciascuna Regione riceve in termini di spesa pubblica e il suo contributo in termini di prelievo fiscale».
In primo luogo, la questione è inammissibile per genericità, in quanto la ricorrente non spiega affatto perché l’art. 7, comma 3, avrebbe dovuto dare rilievo al “residuo fiscale”, nell’ambito di una disciplina avente lo scopo di accelerare gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Non è chiaro, cioè, perché lo Stato dovrebbe revocare le risorse (assegnate alle regioni per realizzare interventi di difesa del suolo e inutilizzate) solo qualora la regione inerte non abbia un “residuo fiscale”.
Oltre a ciò, come questa Corte ha già chiarito, il parametro del “residuo fiscale” non può essere considerato un criterio specificativo dei precetti contenuti nell’art. 119 Cost., sia perché sono controverse le modalità appropriate di calcolo del differenziale tra risorse fiscalmente acquisite e loro reimpiego negli ambiti territoriali di provenienza, sia perché «l’assoluto equilibrio tra prelievo fiscale ed impiego di quest’ultimo sul territorio di provenienza non è un principio espresso dalla disposizione costituzionale invocata» (sentenza n. 69 del 2016).
Da quanto considerato deriva, dunque, l’inammissibilità della questione per l’assoluta inconferenza del parametro richiamato dalla ricorrente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, sollevata, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, sollevate, in riferimento al principio di leale collaborazione e all’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 97, 118 e 119 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2016.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2016.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA