Commissione ecomafia: chi non vuole i controlli ambientali?

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su osservatorioagromafie.it, si ringraziano Autore ed Editore

1. - Premessa. Sappiamo tutti che non basta avere una buona legge, occorre anche che questa legge venga applicata e che vi siano controlli adeguati per verificarne, in concreto, l’applicazione.

Questo è particolarmente vero per la normativa ambientale dove non solo le leggi di tutela sono notevolmente carenti ed inadeguate, ma, soprattutto, i controlli sono quasi sempre ridotti al minimo se non, a volte, inesistenti. Tanto più che, molto spesso, si tratta di controlli che implicano conoscenze «tecniche» per cui occorre l’intervento di un esperto di settore. Basta leggere, in proposito, la legge n. 68/2015 sui c.d. ecoreati per averne la migliore conferma: come, quando, ad esempio, occorre determinare se si è verificato un «deterioramento significativo e misurabile della biodiversità» (delitto di inquinamento ambientale) oppure «l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali» (delitto di disastro ambientale). Ma, anche per capire se sia applicabile la particolare procedura di favore per la estinzione delle contravvenzioni del d.lgs. n. 152/06, occorre verificare che non si sia provocato «danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette» e se «permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore», con la conseguente esigenza di imporre «prescrizioni tecniche». Così come è altrettanto evidente che solo attraverso accertamenti di laboratorio si può verificare il superamento di limiti imposti dalla legge.

Proprio per questo, è di fondamentale importanza poter disporre di organi tecnici specializzati che possano coadiuvare la polizia giudiziaria nei controlli sulla normativa di protezione dell’ambiente. Come è noto, la struttura istituzionale di riferimento è il «Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente» (SNPA), disciplinato dalla legge 28 giugno 2016, n. 132 («Riforma del sistema nazionale per la protezione dell’ambiente»), che, in sostanza, ricomprende l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) a livello centrale e le ARPA (Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente) a livello locale 1.

L’efficienza e l’adeguatezza di questo «Sistema» è stata recentemente oggetto di attenzione da parte della Commissione parlamentare c.d ecomafia, la quale, il 7 aprile 2021, ha sentito, in audizione pubblica, il Presidente, il direttore e altri dirigenti del SNPA.

Vale la pena di leggere integralmente il resoconto stenografico di questa seduta (accessibile dal sito della Commissione), anche se – è bene ricordarlo – ci si riferisce, in genere, a dati del 2019 e per alcuni settori (incendi impianti, EOW, LEPTA) si è ancora in fase di elaborazione. Tuttavia, per alcuni argomenti rispetto ai quali vi è stata elaborazione adeguata, sembra interessante riportare una sintesi al fine di fornire qualche indicazione circa lo stato e la reale efficienza del nostro sistema di controllo ambientale illustrato da chi ne fa parte.

2. - Alcuni dati su impianti AIA, impianti di gestione rifiuti e procedura estintiva legge n. 68/2015. Per quanto concerne gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) – 6.384 tra nazionali e regionali – sono state effettuate 1.883 ispezioni per una percentuale, ritenuta soddisfacente, del 29 per cento. Allo stato, non viene riportato l’esito di questi controlli, tuttavia il Capo Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale (ISPRA) ha informato la Commissione che «si sta ragionando se il solo approccio basato sull’analisi di rischio ambientale non debba essere integrato in sede di vigilanza di tipo amministrativo e di tipo preventivo da ulteriori valutazioni in termini di rischio legato alla gestione dello stabilimento e alla gestione dell’impianto».

Molto minore risulta essere la percentuale dei controlli eseguiti (entro settembre 2020) sugli impianti di gestione dei rifiuti, con 350 ispezioni, focalizzate su quelli ritenuti più a rischio, e cioè quelli in procedura semplificata, in particolare gli impianti che prevedono le attività di stoccaggio o messa in riserva, gli impianti di trattamento dei veicoli fuori uso e gli impianti di trattamento RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). Il risultato è stato che meno della metà degli impianti controllati operano in maniera conforme alla normativa, mentre negli altri casi si è rilevata non conformità o di tipo amministrativo o di tipo penale. In quest’ultimo caso, la situazione peggiore è stata riscontrata sugli impianti che effettuano attività di stoccaggio e ha interessato la non corretta tenuta delle aree di stoccaggio sia per le tempistiche previste dalle autorizzazioni, e quindi non conformità rispetto ai tempi previsti, sia per le quantità dei rifiuti presenti negli impianti, che superavano le quantità autorizzate o che era impossibile mettere a riserva anche ai sensi dei decreti ministeriali sulle procedure semplificate. Risultato che viene definito giustamente preoccupante, soprattutto se si considera che – come evidenziato dal Direttore del centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare (ISPRA) – «350 controlli sono una goccia nel mare perché ci sono migliaia di impianti sul territorio italiano».

Risultati migliori risultano conseguiti in ambito SNPA per la raccolta di tutti i dati che afferiscono all’applicazione pratica della già richiamata «procedura di prescrizione tecnica» prevista dalla legge n. 68/2015, in capo agli operatori, al fine di «eliminare» le violazioni caratterizzate da una minore gravità in termini di danno ambientale. Infatti a questo proposito il Capo Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale (ISPRA) ha evidenziato che «all’interno di una linea guida che è stata recentemente aggiornata e che è disponibile sul sito dell’SNPA, il Sistema ha fatto un’ampia raccolta di circolari emanate dalle Procure della Repubblica talvolta anche in forma coordinata sul territorio e ha anche raccolto una serie di indicazioni operative per gli ispettori dell’SNPA che conducono questa attività. Questo ha consentito di migliorare molto la capacità di intervento degli operatori e soprattutto i tempi di risoluzione di talune violazioni».

3. - Le carenze strutturali della rete di controllo ambientale. Le osservazioni più interessanti riguardano, tuttavia, più in generale, l’adeguatezza dei controlli. In più riprese il Presidente e gli altri dirigenti SNPA hanno richiamato le gravi carenze strutturali della loro rete di laboratori, stigmatizzando, in particolare, che nel PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) approvato dall’attuale Governo, è stato eliminato, ad esempio, un importante progetto ambiente e salute relativo al potenziamento della rete laboratoriale, presente nella prima stesura del Piano; ricordando anche di aver provato invano ad inserire nella legge di bilancio un emendamento di iniziativa parlamentare, sottoscritto da tutti i partiti presenti in Parlamento, che andava a potenziare il personale del Sistema nazionale della protezione dell’ambiente, definendo meglio l’ordinamento e l’inquadramento professionale. Potenziamento certamente indispensabile in un contesto caratterizzato da notevolissime differenze a livello locale in termini di risorse e di personale destinato alla protezione ambientale; per cui «è chiaro che parlare di un livello omogeneo di prestazione ambientale su tutto il territorio nazionale diventa impossibile». Insomma, come ben evidenziato dal Direttore di ARPA Lazio, «non è sufficiente per tutelare l’ambiente prevedere una norma e assegnare alle ARPA o al sistema una funzione. Se si vuole tutelare l’ambiente bisogna destinargli delle risorse. Pensare di investire nel nostro Paese 300 miliardi parlando di transizione ecologica e non investire 1 euro nel sistema di protezione ambientale, che peraltro deve valutare tutte le opere che passano attraverso il Recovery, penso sia un controsenso». Considerazione ripresa dal Direttore ISPRA, il quale ha ricordato che «ci sono circa 87 miliardi di fondi sulla parte linea 2 transizione ecologica, e buona parte sono impianti che devono subire una valutazione di impatto ambientale per quanto essi siano innovativi (...) Abbiamo la necessità urgentissima di potenziare quell’attività di valutazione di impatto ambientale perché allo stato attuale non saremmo assolutamente in grado di far fronte con le tempistiche del Recovery Fund alle necessità di valutazione che ci arriveranno dalla nuova impiantistica», aggiungendo che «il nostro è un capitale umano, noi abbiamo bisogno di investire sul capitale umano, quindi di introdurre delle forze professionali giovani, di un certo livello, all’interno delle diverse agenzie. Poi è chiaro che ci sono agenzie che sono più attrezzate e agenzie che sono meno attrezzate perché hanno una storia diversa, quindi c’è la necessità di intervenire in maniera diversificata». Insomma «allo stato attuale non abbiamo nessun fondo e abbiamo un deficit professionale molto forte, soprattutto all’interno delle agenzie regionali».

Denunzia gravissima, ulteriormente rincarata dal Capo Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale (ISPRA), il quale ha sintetizzato questa catastrofica situazione attraverso quattro numeri: «Il primo è il numero di addetti del sistema SNPA per abitante, o meglio, per 10 mila abitanti italiani, che è il parametro tipico che viene utilizzato come intensità dei sistemi di protezione Noi del sistema SNPA siamo circa due addetti per 10 mila abitanti. L’altro numero interessante è quanto costa questo sistema. Gli ultimi dati, i dati più aggiornati, quelli del piano triennale 2021/2023, che ovviamente si riferiscono agli anni precedenti, calcolano il costo medio pro capite per abitante del sistema, quindi quei 750-800 milioni che diceva il Direttore Bratti ripartiti su tutti gli abitanti italiani in 13 euro per abitante. Vi do, solamente per termine di paragone, gli stessi numeri per il Sistema sanitario nazionale: a fronte dei due addetti per 10 mila abitanti, il Sistema sanitario nazionale ne ha 190 per 10 mila abitanti. Il costo pro capite per cittadino dei sistemi dell’SNPA è di 13 euro, e il costo a carico del sistema pubblico del Sistema sanitario è 1.850 euro: 13 euro contro 1.850 euro. Questo per avere un’idea delle risorse complessive in termini numerici, in termini di costi, dell’SNPA, del Servizio nazionale per la protezione ambientale».

Di contro, tutte le richieste di potenziare il sistema di controllo ambientale risultano disattese; anche quando è stata avanzata la proposta di utilizzare a questo scopo i proventi derivanti dalle richiamate pratiche estintive della legge n. 68 del 2015, ricordando che, in circa tre anni, sono diventati oltre dieci i milioni di euro che riguardano le sanzioni correlate alle parti estintive della legge n. 68 del 2015. «Si tratta di risorse che potrebbero essere impiegate non solo dal sistema agenziale, ma anche dalle altre forze che eventualmente esercitano il controllo di questi impianti, e che aiuterebbero, soprattutto se finalizzate a potenziare le assunzioni all’interno del sistema».

4. - La non operatività della legge per assenza del regolamento di esecuzione, specie per la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria. Ma non si tratta solo di assenza di risorse e personale. Infatti, a distanza di cinque anni, una parte della legge istitutiva del SNPA risulta ancora non operante perché mancano decreti e regolamenti di attuazione. Ritardo che riguarda anche adempimenti che non costano nulla, come quello, previsto dall’art. 14, sugli ispettori ambientali, che dovrebbe finalmente fare chiarezza sulle figure che devono svolgere le ispezioni, consentendo di nominare i dipendenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, operano con la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria con la garanzia di adeguata assistenza legale e copertura assicurativa a carico dell’ente di appartenenza.

Allo stato, infatti, in attesa del regolamento di attuazione dell’art. 14, risulta applicabile l’insegnamento della Cassazione secondo cui «il decreto ministeriale n. 58 del 1997 – in uno con il d.l. n. 496 del 1993 – costituisce un imprescindibile e chiaro supporto normativo per affermare la qualifica di polizia giudiziaria in capo al personale ARPA, proprio in ragione delle specifiche competenze allo stesso attribuite ed alla rilevanza – anche costituzionale – del bene al quale le stesse attengono, oggetto di tutela penale. Poiché la tutela dell’ambiente è materia presidiata dalla legge penale, le funzioni di vigilanza e controllo che la citata normativa statale riconosce (...) ai Tecnici delle Agenzie regionali non possono non essere ricondotte nell’alveo della previsione di cui all’art. 55 c.p.p. e, quanto alla qualifica spettante ai soggetti che ne sono titolari, alla generale previsione di cui al citato terzo comma del successivo art. 57 c.p.p.» 2; insegnamento che, tuttavia, spesso viene ignorato in sede locale, in attesa, appunto, dell’attuazione dell’art. 14.

5. - Conclusione. Che dire come conclusione? Questa è l’ennesima conferma che i controlli non piacciono ai nostri governanti. Non molti anni fa, l’art. 14 del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5 convertito con l. 4 aprile 2012, n. 35 ( Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo) ha prescritto di adottare regolamenti al fine di garantire: «a) proporzionalità dei controlli e dei connessi adempimenti amministrativi al rischio inerente all’attività controllata, nonché alle esigenze di tutela degli interessi pubblici; b) eliminazione di attività di controllo non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici; c) coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni in modo da assicurare la tutela dell’interesse pubblico evitando duplicazioni e sovrapposizioni e da recare il minore intralcio al normale esercizio delle attività dell’impresa, definendo la frequenza e tenendo conto dell’esito delle verifiche e delle ispezioni già effettuate; d) collaborazione con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità».

E per fortuna, in sede di conversione, nella lettera d) è stato eliminato l’aggettivo «amichevole» collocato, nel decreto, subito dopo «collaborazione».

Saremo all’antica, ma, a nostro sommesso avviso, i controlli non possono essere né amichevoli né collaborativi. Sono controlli e basta.

1 Per approfondimenti in proposito si rinvia a Battarino, Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e attività giurisdizionale , in www.questionegiustizia.it , 5 dicembre 2017 nonché al nostroLa nuova legge sui controlli ambientali: un primo sguardo, in www.lexambiente.it, 1° luglio 2016.

2 Cass. Sez. III Pen. 28 novembre 2016, n. 50352, Innocenti, rv. 268.602.