Delega di funzioni e reati ambientali: la responsabilità penale del delegante nel rispetto del dettato costituzionale

di Vincenzo PAONE

La giurisprudenza di legittimità sta mettendo a fuoco l’applicazione dell’istituto della delega di funzioni in settori diversi da quello, più tradizionale, nel quale si è sviluppato e cioè quello della sicurezza sul lavoro.
E’ noto che, in questo comparto, dopo anni di elaborazione «pretoria», il legislatore ha formalizzato l’istituto con l’art. 16  D.Lgs. n. 81/2008 che recita testualmente:
«1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
 a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
 b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
 c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
 d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;
 e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.
3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L'obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4.
3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate».
Come si diceva poco fa, la delega di funzioni ha trovato un riconoscimento in ambiti diversi da quello della protezione dei lavoratori, anche in mancanza di una norma esplicita come quella prima riportata.
La cosa, peraltro, non deve stupire perché, al di là della giusta preoccupazione per l’individuazione delle condizioni di validità della delega, in via generale, la delega di funzioni costituisce una legittima modalità di adempimento degli obblighi penalmente sanzionati.
Per completezza di informazione, ricordiamo che la delega è stata estesa in materia di obblighi previdenziali e assistenziali (Cass. pen., sez. III, 27-03-2018, n. 31421, Ced Cass., rv. 273758);  di produzione e commercio dei prodotti alimentari  (Cass. pen., sez. III, 17-10-2013, n. 46710, Ced Cass., rv. 257860; Cass. pen., sez. III, 02-10-2013, n. 3107, Ced Cass., rv. 259091; Cass. pen., sez. III, 01-03-2017, n. 35159, Ced Cass., rv. 270684); di immissioni in atmosfera  (Cass. pen., sez. III, 13-07-2016, n. 43246, in questa Rivista, 2017, 172).
In materia di rifiuti, la giurisprudenza è ancora più ricca:   
- Cass. pen., sez. III, 15-05-2007, Ced Cass., rv. 236947: la responsabilità del preposto per il reato di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni è configurabile solo ove siano violate quelle che richiedono l'esercizio di limitate mansioni di carattere tecnico e/o operativo, mentre permane sul soggetto titolare dell'autorizzazione la responsabilità per l'ottemperanza alle prescrizioni che comportano l'adozione di scelte generali ed autonome sull'organizzazione e/o la gestione ovvero che presuppongono autonomia finanziaria;
- Cass. pen., sez. III, 31-05-2016, n. 35862, Varvarito, in questa Rivista, 2016, 752:  se il titolare di una azienda, per la molteplicità dei compiti istituzionali o per la complessità dell'organizzazione aziendale, affidi, in base a precise disposizioni  preventivamente adottate secondo le disposizioni statutarie, la direzione di singoli rami o impianti a persone, dotate di capacità tecnica ed autonomia decisionale, la responsabilità penale ricade su questi ultimi soggetti, quando si accerti che il titolare stesso non abbia interferito nella loro attività;
-  Cass. pen., sez. III,  15-06-2017, n. 52636, Rotondi,  in questa Rivista, 2018, 32: attesa l'esigenza di evitare asimmetrie con la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non è più richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa (nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto carente la valutazione compiuta in concreto sul requisito dimensionale in quanto il fatto si era verificato in uno stabilimento di circa 800 dipendenti ed esteso per quasi un milione di metri quadrati);
- Cass. pen., sez. III,  18-11-2019, n. 10430, Ruggeri, in questa Rivista, 2020, 421: la responsabilità per la realizzazione di un deposito irregolare di rifiuti non può essere affermata esclusivamente sulla base del dato formale della attribuzione di delega all'esercizio dei poteri concernenti il rispetto delle norme in materia di tutela ambientale dovendosi invece considerare le dimensioni dell'impresa, l’articolazione territoriale e organizzativa dell’attività svolta nonché ogni altra circostanza che abbia impedito, obiettivamente, di esercitare  correttamente e diligentemente la delega (nella specie, oltre alla circostanza che il deposito irregolare era stato realizzato in luogo diverso dalla sede centrale dell’impresa ove prestava servizio l’imputato, non erano state considerate le notevoli dimensioni della società, che aveva oltre 3.000 dipendenti, la sua articolazione territoriale, caratterizzata da oltre 90 punti vendita, la presenza di altre figure che costituivano la catena di responsabilità sui singoli punti vendita).

Requisiti della delega

E’ insegnamento costante della Suprema Corte  che, per attribuirsi rilevanza penale all'istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni, ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.
Proprio con riferimento alla gestione dei rifiuti, la Cassazione ha recentemente ribadito (Cass. pen., sez. III, 12-02-2020, n. 15941, Ced Cass., rv. 278879) che è consentita la delega di funzioni a condizione che la stessa: a) sia puntuale ed espressa, con esclusione di poteri residuali in capo al delegante; b) riguardi, oltre alle funzioni, anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; c) la sua esistenza sia giudizialmente provata con certezza; d) il delegato sia tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato allo svolgimento dei compiti affidatigli; e) il trasferimento delle funzioni sia giustificato dalle dimensioni o dalle esigenze organizzative dell'impresa, ferma restando la persistenza di un obbligo di vigilanza del delegante in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite.
Una  leggera divergenza nella giurisprudenza della Suprema Corte si registra in ordine alla necessità o meno della forma scritta per l’efficacia del conferimento della delega.
Se per  Cass. pen., sez. III, 16-05-2007, in questa Rivista, 2008, 17, la delega di funzioni nell'ambito di una impresa, seppure non necessita di atto scritto, per poter conseguire l'effetto di escludere la responsabilità penale del delegante originariamente tenuto per legge a determinati comportamenti attivi od omissivi, deve essere espressa (anche attraverso la concreta preposizione a settori autonomi in cui è stata articolata una organizzazione aziendale complessa), inequivoca nel contenuto e certa e deve investire persona dotata delle necessarie nozioni e capacità tecniche, alla quale devono essere attributi poteri decisionali e di intervento anche finanziario nel settore di competenza (in questo senso, v. anche Cass. pen., sez. III, 29-01-2009, n. 9489, in questa Rivista, 2009, 693, che ha ribadito che l'identificazione dell'oggetto e del contenuto della delega di funzioni deve essere in linea di principio, resa possibile sulla base di specifiche determinazioni, difettando le quali, il potere concernente l'attività delegata non può ritenersi dismesso dal delegante), secondo la più recente (e, a nostro avviso, più condivisibile) sentenza 17-10-2012, n. 16452, Ced Cass., rv. 255394, la delega di funzioni nell'esercizio di un'attività di impresa esonera il titolare dalla responsabilità penale connessa alla posizione di garanzia se è conferita per iscritto al delegato, essendo inidonea l'attribuzione in forma orale.

L’obbligo di controllo connaturato alla delega di funzioni

Si è già anticipato che, alla base dell’istituto della delega,  sta il principio che il titolare di obblighi penalmente sanzionati è «libero» di organizzarsi per meglio realizzare i propri scopi nel rispetto dei beni giuridici implicati dalla propria azione.
Ciò però non significa affatto – come si potrebbe pensare – che il destinatario dell’obbligo si liberi da ogni responsabilità in virtù del fatto che abbia delegato un terzo: anche quando la delega risponde esattamente a tutti i requisiti e le condizioni fissate dalla legge, il delegante ha sempre l'onere di controllare che il delegato svolga  puntualmente i compiti attribuitigli.
In altri termini, il delegante risponde penalmente non per la violazione dell’obbligo primario (quello scolpito nella norma incriminatrice), ma per la violazione degli obblighi conseguenti al conferimento della delega e cioè per non aver adeguatamente vigilato sul delegato e, di riflesso, per non essere intervenuto, potendolo fare, in via sostituiva rispetto al delegato inosservante.
La questione che vogliamo qui affrontare riguarda non tanto il contenuto del dovere di vigilanza, quanto le modalità e soprattutto i tempi di esecuzione della stessa.
Il problema non è semplice perché, da un lato, vi è il rischio  di scivolare dalla responsabilità per culpa in vigilando alla responsabilità oggettiva o da posizione (la prima è sempre basata sulla violazione di regole cautelari esigibili dal delegante, la seconda, invece, si fonda solo sulla qualità di titolare dell’obbligo non rispettato) e, dall’altro lato, non si può neppure pensare né a una vigilanza  del tutto formale ed apparente e neppure a forme di controllo eccessivamente  «strette» che finiscono per svuotare il decentramento dei compiti.
Occorre perciò trovare il giusto punto di equilibrio tra opposte esigenze.
La più recente giurisprudenza è intervenuta su questa tematica con alcune sentenze che conviene ricordare:
- Cass. 12 febbraio 2020, n. 12642, Pm in proc.  Frossasco, in questa Rivista, 2020, 616,  ha sostenuto che, in caso di delega di funzioni legittimamente conferita in conformità alle disposizioni di legge, persiste comunque un obbligo di vigilanza del delegante circa il corretto uso della delega da parte del delegato; una volta affermato l'obbligo di controllo del delegante sul delegato, la condotta omissiva del primo può integrare una responsabilità per omesso impedimento dell'evento ex art. 40, comma 2, c.p., in presenza di riconoscibili situazioni illecite che potevano essere oggetto di verifica da parte dei deleganti;
- Cass. 12 febbraio 2020, n. 15941, Ric. Fissolo e Campana,  in questa Rivista, 2020, ? , ha affermato che la condotta omissiva del delegante può integrare una responsabilità, per omesso impedimento dell'evento ex art. 40, comma 2, c.p., in presenza di riconoscibili situazioni illecite che possono essere oggetto di verifica da parte dei deleganti;
Cass. 3 marzo 2020, n. 17174, Pm in proc. Ceirano, in questa Rivista, 2020, ?,  ha ritenuto che, al fine di giustificare l'esonero da responsabilità dei soggetti deleganti, ferma restando l’esistenza di tutti i requisiti di validità della delega, è necessario il corretto assolvimento degli oneri di vigilanza sul delegato.  
Vale la pena citare anche una sentenza che affronta il tema in oggetto da un punto di vista leggermente diverso e cioè quello della responsabilità degli amministratori societari che abbiano conferito ad un membro del C.d.A. una delega «di gestione»: secondo Cass. 4 febbraio 2020, n. 7564, Pm in proc. Capogrosso, in Guida al diritto, 2020, n. 28, 104, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia; tuttavia, la delega di gestione conferita a uno o più amministratori, se specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, perché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega.
Inoltre, non sfugge  che la questione qui trattata presenta punti di contatto  con un’altra tematica al centro della riflessione giurisprudenziale e cioè quella della vigilanza che il datore di lavoro  deve esercitare sui dipendenti a norma dell’art. 18  D.Lgs. n. 81/2008.
La disposizione fissa l’obiettivo da raggiungere e perciò la "regola" implicata è una "regola modale" o di comportamento "positivo", in quanto indica "il modo in cui" una certa condotta debba essere realizzata per risul­tare conforme a diligenza.
Va poi tenuto conto che l’individuazione del comportamento doveroso va condotta ex ante,  non essendo sufficiente la mera constatazione di un legame derivativo tra omessa vigilanza del delegante e condotta irregolare del delegato.
Ricordiamo, infatti, che, in tema di colpa, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta "elastica", cioè dal contenuto comportamentale non rigidamente definito - al contrario di quelle "rigide", che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento -   è necessario, ai fini dell'accertamento della condotta impeditiva esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione "ex ante" che tenga cioè conto delle circostanze del caso concreto e che sia ragionevolmente in grado di evitare  il fatto antigiuridico.
In ogni caso, non si può ascrivere al garante un evento che, con valutazione "ex ante", non avrebbe potuto comunque evitare per l’applicazione del noto principio ad impossibilia nemo tenetur.

Responsabilità del delegante: indicazioni provenienti dalla Cassazione

Orbene, vi sono alcuni casi in cui la responsabilità del delegante non può essere messa assolutamente in discussione, come emerge dalla giurisprudenza cui si è fatto cenno in precedenza.
In primo luogo, quando la violazione alle norme ambientali è la conseguenza di precise scelte di  politica aziendale adottate dal vertice amministrativo, il dolo (e cioè  l’effettiva e totale conoscenza del comportamento illecito altrui) «la fa da padrone» e perciò, senza alcun dubbio, delle trasgressioni, materialmente ricollegabili alla condotta del delegato, risponderà anche chi ha deliberato la politica di impresa.
In secondo luogo, la responsabilità del delegante per il reato commesso dal delegato è pacifica tutte le volte in cui il primo, fuori del contesto di cui al punto che precede, abbia comunque piena ed integrale contezza che la condotta del delegato è  contraria ai disposti normativi. In tale ipotesi, il delegante ha il dovere di attivarsi immediatamente e, se non lo fa, risponde della violazione penale in concorso con  il delegato.
Più problematiche sono quelle situazioni non connotate dall’effettiva conoscenza in capo al delegante dell’inadempienza del delegato: va,  però, fatto notare che, se fosse sempre necessaria la prova di questo stato soggettivo, si restringerebbe eccessivamente  l’area di responsabilità del delegante che, per la legge, è comunque il garante principale del rispetto delle norme presidiate penalmente.
In altri termini, la fonte della responsabilità non è ancorata solo alla piena coscienza dell’irregolarità posta in essere dal terzo, ma deriva anche dal difetto di conoscenza per causa imputabile al delegante. Perciò, è responsabile non soltanto chi volontariamente si sottrae al dovere di controllare il delegato, ma anche chi, per colpa, non si pone nelle condizioni ideali per conoscere i contorni dell’altrui operato.  
Da questo angolo visuale, appare evidente che il titolare dell’impresa, in virtù dei poteri di gestione a lui spettanti, versa in colpa per fatto omissivo per mancata o inadeguata organizzazione (c.d. «colpa da organizzazione»), ossia per essere venuto meno all'obbligo di adottare le direttive organizzative o gestionali, necessarie a prevenire la commissione di irregolarità da parte del delegato. Infatti, in assenza di precise linee guida e/o di disposizioni vincolanti, il margine di discrezionalità del delegato aumenta esponendo quest’ultimo al rischio di commettere infrazioni che comunque rientrano nel cd. governo del rischio gravante sull’obbligato primario.
Provato, invece, l’assolvimento dei doveri organizzativi appena delineati, difficilmente potrà affermarsi la responsabilità del delegante se la violazione sia ascrivibile esclusivamente all’iniziativa autonoma ed estemporanea del delegato, tanto più se realizzata contro le direttive e ad insaputa del titolare dell’impresa. Analogamente,  se  la violazione riguardi aspetti dell'attività del tutto marginali o secondari oppure rappresenti un fatto occasionale ed episodico  perché, in queste ipotesi,  si tratta di eventi che sfuggono oggettivamente ad una pur accurata valutazione preventiva del titolare dell’impresa.
Si pone poi il problema di quando, nonostante le direttive impartite dal centro direzionale, si instaurino prassi lavorative scorrette. Per non sostenere una responsabilità penale "di posizione", occorre dimostrare che il garante fosse o potesse  essere realmente a conoscenza della prassi elusiva delle disposizioni impartite. Tale certezza può in alcuni casi inferirsi sul piano logico (ad esempio, qualora la condotta illecita  sia il frutto di scelte aziendali chiaramente finalizzata ad una maggiore produttività), altrimenti è necessaria l'acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi per dedurre la conoscibilità di prassi aziendali scorrette da parte del delegante.
L’indagine sulla "culpa in vigilando" del delegante è particolarmente complessa in tutte quelle situazioni in cui il comportamento illecito del delegato concerna profili di gestione che presentino un elevato grado di complessità e/o di tecnicismo o che richiedano competenze professionali specifiche.
Orbene, in prima battuta, si potrebbe ritenere che il delegante, che non possieda le necessarie conoscenze tecniche, non possa perciò esercitare il diligente controllo sul delegato circa il rispetto di discipline molto complesse. Ma questa strada non può essere percorsa fino in fondo perché il rischio è lo svuotamento del principio della responsabilità del garante in via primaria.
Ciò posto, un primo punto fermo è il seguente: il delegante versa in colpa se non abbia assolto all’onere di conoscere con l'ordinaria diligenza, almeno in grandi linee, la disciplina del settore. Non si pretende, ovviamente, alcuno studio specializzato, alcun approfondimento di tutti i possibili dettagli e le possibili variabili della materia, ma si pretende un livello di conoscenza razionale che consenta, anche al non esperto, di scoprire le altrui macroscopiche violazioni della normativa.
Perciò, potrà essere esclusa la responsabilità del delegante per culpa in vigilando in caso di inadempienze del delegato strettamente connesse al tipo di specializzazione e/o competenza tecnica da lui posseduta: infatti, il primo, pur utilizzando la diligenza ordinaria, potrebbe non essere in condizione di verificare la correttezza dell’operato del secondo se non con la nomina di altra persona tecnicamente qualificata, generando in questo modo un meccanismo che va avanti «all'infinito»!  
Chiudiamo queste riflessioni ribadendo che i doveri del garante primario non si esauriscono nelle attività di cui abbiamo prima parlato: infatti, è certamente fondamentale predisporre un’idonea struttura organizzativa, emanare incisive direttive, garantire la formazione di chi è chiamato a collaborare con il titolare dell’impresa, ma tutto ciò potrebbe non essere sufficiente ad evitare o ridurre il più possibile il rischio, sempre presente  in qualsiasi struttura complessa, di condotte scorrette da parte degli operatori. Per questo motivo, occorre prevenire l’inadempimento del delegato attraverso un adeguato monitoraggio sulla sua attività.
Si pone però una difficoltà  perché non è possibile intervenire in materia con disposizioni formali, concernenti la frequenza e le modalità del controllo, essendo oggettivamente diversificate le situazioni concrete da regolamentare.
Per questa ragione, premesso che l’obbligo di vigilanza non comporta affatto il controllo continuativo dello svolgimento delle funzioni trasferite, ma richiede la verifica della complessiva gestione del delegato, si può concludere che il monitoraggio deve essere idoneo, a seconda delle particolarità del caso specifico, ad «intercettare» tempestivamente  tutti i possibili segnali d’allarme provenienti dalla condotta del delegato così da riconoscere le sue eventuali  inosservanze e porvi immediatamente rimedio.

Pubblicato su Ambiente e Sviluppo n. 11\2020 si ringraziano Autore ed Editore