Il diritto penale dell`ambiente Principi generali, teoria e prassi in prospettiva comparata
Prof. Dr. Cornelius Prittwitz, Goethe-Universität Frankfurt/Main

 

Salerno, 22 – 23  ottobre 2010

Testo originale in tedesco e traduzione italiana

I

 

Vorrei prima di tutto ringraziare di cuore i miei colleghi qui a Salerno - in particolare il Prof. Andrea Castaldo - per avermi invitato a questo Convegno. Colgo l’occasione per rivolgerVi anche il mio apprezzamento per la scelta del relativo argomento: il “diritto penale dell’ambiente”.

Anche se “del diritto penale dell’ambiente attualmente si parla poco”, come poco tempo fa scriveva il mio collega Ransiek.[1] E credo proprio che abbia ragione! Nonostante ciò, o proprio per questo motivo, rinnovo il mio apprezzamento.

Proprio il menzionato periodo di stasi – che ritengo provvisorio – nella lotta a questa forma di criminalità può tuttavia rivelarsi necessario a consentire alla scienza del diritto penale, che generalmente non viene ascoltata – stretta com’è tra i mass media da una parte, tesi solo a massimizzare il numero dei lettori, e i politici dall’altra, costantemente a caccia di voti (due entità che gareggiano in populismo forcaiolo) –, solo questa quiete, dicevo, può forse consentire alla scienza del diritto penale di inserirsi nella discussione spesso ipocrita sulla tutela dell’ambiente e in quella irrazionale sulla politica criminale.

In trenta minuti è impossibile svolgere un discorso sistematico e approfondito sul diritto penale dell’ambiente. Ma prima di esporre alcune idee sui principi fondamentali del diritto penale dell’ambiente e della politica criminale in materia ambientale, nonché sulle discussioni svolte e le esperienze fatte in Germania, desidero scusarmi con i miei colleghi e con Voi, cari ascoltatori, per la mia scarsa conoscenza della lingua italiana, lingua di cui sono fervido ammiratore ma che purtroppo padroneggio poco. Ringrazio il collega che ha tradotto il mio intervento e tenterò di leggerlo in modo da trasmetterVi ciò che mi spinge nella mia ricerca nel campo del diritto penale dell’ambiente. Affinché il tentativo vada a buon fine ho però bisogno della Vostra benevolenza e della Vostra pazienza.

II

 

Vorrei iniziare presentandovi quattro idee:

1.                  Il diritto penale dell’ambiente appartiene al diritto penale dell’economia, e ciò fa sì che un dilemma fondamentale ne accompagni costantemente la teoria e la prassi.

2.                  Il diritto penale dell’ambiente è un diritto penale del rischio, e ciò spiega perché sussista tale dilemma e perché le risposte ai molteplici problemi che si pongono siano tanto diverse.

3.                  Il diritto penale dell’ambiente è ogni giorno di più un diritto penale europeo; e ciò aggrava il problema, come vedremo.

4.                  La discussione sul diritto penale dell’ambiente in Germania non è caratterizzata da singoli problemi di carattere penalistico o dogmatico, la giurisprudenza in materia è ancora scarsa e lo sono anche i contributi scientifici; nonostante ciò, alcuni problemi fondamentali, che qui saranno affrontati solo brevemente, permangono irrisolti e sono tuttora oggetto di ricerca da parte dei penalisti.

 

1. Il diritto penale dell’ambiente in quanto diritto penale dell’economia e:
“Il dilemma del diritto penale dell’ambiente”

 

Non è un caso che gli organizzatori di questo Convegno siano esperti di diritto penale dell’economia.

Il diritto penale dell’ambiente è infatti da molti punti di vista anche diritto penale dell’economia.[2] È importante dirlo dato che, a partire dalla crisi finanziaria globale, la nostra altrettanto globale mancanza di idee ci porta a guardare nuovamente anche al diritto penale come possibile salvezza.

La stessa cosa accadde del resto 30-40 anni fa, quando si iniziò a comprendere i pericoli che il nostro tenore di vita e l’evoluzione della nostra società industrializzata comportavano per l’ambiente[3]; e ricordo in questa sede il grido d’allarme lanciato dal Club of Rome.[4]

Se noi qui a Salerno discutiamo dei problemi del diritto penale dell’ambiente - anche se io preferisco parlare di dilemma del diritto penale dell’ambiente - , parliamo della sua necessità, delle sue possibilità, della sua efficacia e legittimità, dovremo tener presente questo dibattito anche nelle discussioni future sul possibile inasprimento del diritto penale dell’economia. E i nostri risultati dovranno servirci da lezione quando inizierà la prossima tornata di discussioni sulla politica criminale, ad esempio quando si parlerà di inasprimento delle pene nel diritto penale dell’economia e in particolare nel diritto penale dei mercati finanziari.

Non voglio comunque negare il mio pessimismo: “Lessons learnt” è il motto dei manager che ad esempio si occupano di politica dello sviluppo. Questo motto ha per loro ha una grande importanza mentre sembra quasi sconosciuto alla politica criminale.

Ma qual è esattamente il dilemma del diritto penale dell’ambiente? Sono convinto che esso consista in una estrema discrepanza tra l’idea, o meglio l’ideale del diritto penale dell’ambiente, e la realtà di esso.

L’idea del diritto penale dell’ambiente appare assai lodevole, la realtà del diritto penale dell’ambiente, al contrario, sembra - almeno a me - assai criticabile.

Ho appena sottolineato l’“estrema discrepanza”.

Infatti, la discrepanza tra l’ideale e la realtà del diritto è nota a chiunque si occupi di diritto dal lato pratico e a (quasi) ogni teorico del diritto. Tali discrepanze poi sono addirittura una ovvietà nell’esperienza quotidiana di chi si occupa del diritto penale, e sono motivo di molte controversie sia tra pratici e teorici che tra teorici di diverse scuole di pensiero e di politica criminale.

Dato che tale discrepanza, nota a tutti, è molto evidente nell’ambito del diritto penale dell’ambiente, essa è qui fonte di questioni diverse e richiede risposte più radicali.

Ma che cosa intendo dire in concreto parlando di una discrepanza estrema tra ideale e realtà?

Mi riferisco[5] all’ideale di un diritto penale dell’ambiente che rappresenti nella nostra società un importante fattore ordinante dell’ecologia, in quanto risultato di una politica dell’ambiente univoca. Nel conflitto tra economia ed ecologia, che ha una posizione centrale nella nostra società, esso, con norme univoche coerenti con il principio di determinatezza, fa sì che le regole ambientali desiderate siano rispettate. Ciò è possibile, torno a ripeterlo, in un mondo ideale in cui la sua applicazione è garantita da un numero sufficiente di pubblici ministeri e uffici giudiziari specializzati. Questo diritto penale dell’ambiente gode del riconoscimento degli specialisti e della popolazione e proprio per questo è un diritto penale che ha efficacia - promettendo prevenzione e legittimandosi grazie alla sua opera di prevenzione - di diritto penale preventivo in senso generale e in senso speciale.

La realtà è tuttavia invariata da lungo tempo:

Il diritto penale dell’ambiente non svolge alcun ruolo nella questione del bilanciamento tra economia ed ecologia. Quasi non è applicato e, quando lo è, si tratta soprattutto di reati minori. Le sue norme non sono chiare, per lo più è costituito da leggi a carattere di sanatoria e connotate da una profonda natura amministrativo-accessoria. I pubblici ministeri e gli organi giudicanti faticano nell’applicazione del diritto penale dell’ambiente, non dispongono delle necessarie competenze specialistiche e non hanno sufficiente personale, e lasciano giustamente il campo ad autorità amministrative capaci di agire in modo più flessibile. Tale diritto è sempre troppo restrittivo per chi ne è concretamente colpito e lo è troppo poco per gli scienziati e per quella parte di popolazione sensibile ai temi ambientali. La sua applicazione poco percepita e la mancanza di riconoscimento fanno sorgere necessariamente pressanti dubbi circa la sua efficacia preventiva generale e speciale.

Si tratta di discrepanze estreme, che costituiscono motivo di dibattiti di politica criminale e soprattutto ambientale molto accesi e, spesso, aspri e polemici - “” in greco significa “guerra”! - tra coloro che per i motivi più diversi non intendono riconoscere tali deficit e coloro i quali si sono accorti che non possiamo dirci soddisfatti di questa politica ambientale e di questo diritto dell’ambiente (ivi compresi la politica criminale e il diritto penale dell’ambiente).

E non si tratta solo di discrepanze estreme, ma di discrepanze che devono essere spiegate, proprio perché così estreme. Sono persuaso del fatto che le si possa comprendere meglio intendendo il diritto penale dell’ambiente come diritto penale del rischio.

2. Il diritto penale dell’ambiente in quanto diritto penale dei rischi

 

“Diritto penale del rischio” o anche “diritto penale della società del rischio” sono parole-chiave molto utilizzate nel passato come nel presente. Non sempre è chiaro che cosa si intenda con esse, spesso sono utilizzate come programma dogmatico penale o di politica criminale, altrettanto spesso e più frequentemente, al giorno d’oggi, come concetti critici del diritto penale o come slogan contro una concezione espansiva del diritto penale, accanto a concetti come quello di “diritto penale del nemico”.

Soprattutto l’ultimo concetto, quello di “Feindstrafrecht”, è troppo superficiale e non si dimostra molto utile, e lo dico nonostante io stesso - con la mia analisi del diritto penale del rischio scritta circa 20 anni fa - sia stato un critico del diritto penale del rischio[6] ed abbia in seguito tracciato delle linee di congiunzione tra questo diritto penale e il diritto penale del nemico.[7]

A differenza della “prima generazione” di penalisti e “dogmatici” del rischio[8], che mettono al centro delle loro riflessioni dogmatiche sulla responsabilità penale la creazione e l’aumento del rischio, ma anche a differenza dei penalisti (del rischio) – come ad esempio Stratenwerth[9] e Schünemann[10], quest’ultimo ogni anno più combattivoche ritengono la nostra società venga condotta dal progresso tecnologico sull’orlo dell’autodistruzione e si domandano quale ruolo possa svolgere il diritto penale nell’assicurare il nostro futuro, a me interessa[11] in primo luogo sottolineare come la politica criminale[12] e la teoria penalistica[13], ma soprattutto la dogmatica del diritto penale[14] sia già da lungo tempo caratterizzata dall’aumento del rischio parallelamente a quanto accade in tutta la società.

Ne deriva così un diritto penale del rischio

-                    che si è liberato della sua cattiva coscienza,

-                    che mette al centro la prevenzione di rischi importanti;

-                    che non colpisce più i “piccoli”, come è finora accaduto, ma i “grandi”, i potenti all’interno dell’economia e dello Stato, che finora se la sono sempre cavata;

-                    che di conseguenza non ambisce più a rimanere frammentario;

-                    ma che al contrario ha vissuto una mutazione che lo porta ad essere un diritto penale espansivo[15]/[16].

 

Si tratta di una espansione tridimensionale:

-                    nuovi beni giuridici (come ad esempio l’ambiente) sono tutelati dal diritto penale;

-                    proprio in tali ambiti il confine tra condotta punibile e non punibile viene spostata in avanti;

-                    e in terzo luogo si riducono i requisiti per la responsabilità penale, come testimonia lo spostamento del focus dalla violazione dei beni giuridici tutelati alla semplice messa in pericolo degli stessi.

Ulteriori requisiti: il diritto penale del rischio criminalizza una condotta non in quanto ritenuta socialmente inadeguata, ma affinché essa venga poi ritenuta inadeguata. Ciò ha un carattere centrale nel diritto penale dell’ambiente in toto ma può essere riscontrato anche nel diritto penale dell’economia e il suo risultato è una rivitalizzazione dell’idea della “forza moralizzatrice del diritto penale”[17]/[18]. Tuttavia, non si tratta qui né di morale (in senso tradizionale), né di violenza così come la intendiamo solitamente. Chi intende creare, con motivazioni estremamente etiche, tali nuove figure criminali non intende colpire condotte violente[19], (che generalmente sono già penalizzate) ma condotte apparentemente innocue se considerate superficialmente, le cui conseguenze però superano quelle della classica criminalità violenta[20].

Tali condotte raramente contraddicono l’“etica del prossimo”, che corrisponde all’etica sociale e segna fortemente la condotta degli individui, ma di solito violano una “morale a distanza”[21], che notoriamente ha una minore presa sulla condotta individuale. Spesso, di per sé, si tratta di condotte bagatellari, la cui pericolosità può derivare dalla ripetizione dei comportamenti[22], oppure rivelarsi solo a lunga distanza di tempo. Può trattarsi - come già accennato - di condotte conformi al sistema, più che devianti, e affinché le norme siano efficaci i destinatari sono spesso solo coloro che occupano determinate posizioni di potere.

La messa in risalto di tali caratteristiche del diritto penale del rischio rende evidente, secondo l’opinione più diffusa che anch’io condivido, che esso persegue finalità necessarie e giuste, quindi scopi legittimi. È, però, chiaro quale sfida rappresenti il progetto “diritto penale del rischio” che, come da tradizione, si serve dello strumento della criminalizzazione per evitare il verificarsi delle condotte rischiose: infatti un programma di diritto penale che abbia dalla sua parte la ragione e la giustizia, ma che non poggi su norme sociali già riconosciute (come ad esempio i tabù dell’omicidio e della violenza o l’etica del prossimo), mostra ben presto i suoi limiti di potere e di capacità di governare i processi sociali.[23] Ciò vale tanto più quando abbia a scontrarsi contro posizioni di potere già collaudate e quando conduca ad absurdum il concetto di “devianza” da tutti percepito.

Non sorprende, dunque, che il diritto penale divenga non solo uno strumento volto a minimizzare i rischi, ma che venga utilizzato (con prospettive di successo addirittura migliori) allo scopo di rassicurare i soggetti. Traducendo ciò in concetti di teoria del diritto penale, si potrebbe dire che alla (promessa) funzione di prevenzione dei rischi, attraverso il target delle condotte rischiose, cosa che tradizionalmente e in primo luogo dà legittimazione, si affianca ormai - e per niente casualmente - la funzione di rassicurazione simbolica all’insicurezza della società dei rischi[24].

Il profilo del diritto penale (del rischio) si è modificato sotto il peso degli ulteriori compiti che gli sono stati attribuiti ma - questa la mia diagnosi e la mia previsione – tali compiti sono eccessivi.

I problemi irrisolti della società moderna (ad esempio e soprattutto i problemi ecologici ed economici) rimangono in realtà irrisolti se affidati (in maniera esclusiva) al diritto penale. Spesso l’impiego del diritto penale può provocare addirittura effetti collaterali controproducenti[25]. E dato che le cause “di sistema” dei problemi, le cause che fanno sì che le soluzioni di diritto penale falliscano, dato che le “vere” cause insomma rimangono invisibili, si rimane fedeli al diritto penale (“more of the same”),  in tal modo distruggendo, a colpi di presunti miglioramenti, il profilo fondamentale dello Stato di diritto sotteso al diritto penale.

Tutto ciò può essere puntualmente riscontrato nel diritto penale dell’ambiente.

Collocare il diritto penale dell’ambiente nel contesto del diritto penale del rischio ha (o avrebbe) conseguenze drammatiche per la politica criminale e ambientale. Si dovrebbe:

-                    prendere rapidamente e pubblicamente coscienza (o atto) delle cause di sistema;

-                    attivare sempre più ambiti giuridici che promettono maggiore efficacia (soprattutto nel diritto pubblico, terreno classico della tutela ambientale, ma anche nel diritto civile - si pensi agli enormi danni provocati alle generazioni successive, che vanno addebitati a chi li ha provocati anche quando si mostrino solo successivamente, ed il diritto civile appare, in tal senso, un mezzo adeguato e potenzialmente efficace);

-                    sottolineare il carattere solo accessorio del diritto penale dell’ambiente;

-                    e limitare l’impiego del diritto penale a fattispecie determinate, gravi e addebitabili a singoli soggetti anche sul terreno della prassi giuridica.

Il legislatore è lontano anni luce da tutto ciò, ma la prassi è più vicina ad una soluzione adeguata del problema: la perdita di importanza del diritto penale dell’ambiente dal punto di vista della politica ambientale, da molti riscontrata, non è affatto così allarmante. La prassi cerca le soluzioni che funzionino meglio anche quando non sono le più appariscenti.[26]

 

 

3. Il diritto penale dell’ambiente come diritto europeo

 

La parola ambiente, “Umwelt”, contiene in tedesco la parola mondo, “Welt”. In parte anche la parola italiana e spagnola, “ambiente”, e quella inglese, “environment”, contengono l’idea del superamento delle barriere nazionali e politiche.

Inquinamento ambientale e distruzione dell’ambiente non conoscono frontiere. Per tale motivo il diritto penale dell’ambiente è naturalmente candidato a diventare diritto penale sovranazionale. Ciò vale già per il diritto penale europeo, ma la sua ulteriore vocazione è diventare diritto penale internazionale.[27]

Tuttavia, la logica sottesa a tale sviluppo non modifica il fatto che, tramite l’europeizzazione (e la prevedibile internazionalizzazione) del diritto penale dell’ambiente, i problemi e la discrepanza tra ideale e reale aumentino sempre più.

La determinatezza dei concetti, cuore del diritto penale che discende dalle idee liberali e dallo Stato di diritto, che determina la criminalizzazione di condotte ben definite e circoscritte, finisce con l’essere inevitabilmente condizionata dal fatto che ai legislatori nazionali si affianchi il legislatore europeo, ovvero che agli organi giudiziari nazionali si affianchino le corti europee. E ciò trova conferma nella giurisprudenza divergente della Corte di Cassazione tedesca e della Corte di Giustizia Europea sulla questione se i rifiuti restino rifiuti fino alla loro trasformazione in un nuovo prodotto (costituendo così oggetto del diritto penale, relativo allo smaltimento dei rifiuti), o sull’altra questione, di grandissima importanza pratica, se cioè solo i beni mobili possano costituire “rifiuti”.[28]

È prevedibile che problemi di questo tipo aumenteranno ancora, dato che il Trattato di Lisbona ha ampliato le competenze di diritto penale dell’ambiente dell’UE. Anche se all’Articolo 83 comma 1, seconda frase, del Trattato, il diritto penale dell’ambiente non è espressamente richiamato, il Consiglio (con decisione unanime) può decidere di avocare a sé questa materia. Ciò ha una grande importanza, dato che finora l’UE non aveva il potere di armonizzare l’entità delle pene nazionali. Dato che l’efficacia delle misure a tutela dell’ambiente dipendono strettamente dal buon funzionamento della cooperazione e della comunicazione tra chi produce le norme, chi le applica e chi le deve rispettare, tali armonizzazioni, anche se valutabili in senso positivo sulla base di un giudizio esterno, risulterebbero controproducenti, e c’è da sperare che l’UE non faccia uso di tale potere o che, eventualmente, uno degli Stati membri blocchi le eventuali direttive in questo senso appellandosi a conflitti fondamentali con il proprio diritto penale nazionale.

In generale, ciò che vale per il diritto penale europeo (ed europeizzato) vale anche e in particolare per il diritto penale dell’ambiente: lo si pone in essere senza un fondamento ben ponderato,[29] in altre parole: l’europeizzazione del diritto penale dell’ambiente rischia di provocare un’espansione controproducente del diritto penale dei rischi, già presente negli ordinamenti penali nazionali.[30]

Anche in questo caso, però, i pericoli non vanno sopravvalutati. La prassi del diritto penale, in particolare quella dei pubblici ministeri, che già ha mostrato un atteggiamento di prudente riservatezza nei confronti dell’espansione del diritto penale dell’ambiente a livello nazionale, lasciando il palcoscenico ambientale (più o meno in conformità alle leggi vigenti), alle autorità amministrative, reagisce alle nuove difficoltà (che richiedono ancora più risorse, che minacciano di complicare e allungare ulteriormente i processi) con un ulteriore passo indietro che, in questo caso, dobbiamo considerare salutare.

 

4. Giurisprudenza e dottrina di diritto penale dell’ambiente in Germania

 

Anche se attualmente nella dogmatica del diritto penale si parla poco di diritto penale dell’ambiente, alcune interessanti questioni sono state discusse recentemente in Germania.

Questioni sempre in primo piano sono quelle dell’accessorietà rispetto all’amministrazione, al diritto amministrativo e all’atto amministrativo del diritto penale dell’ambiente, questioni che non possono essere qui affrontate per motivi di tempo.[31] Voglio però accennare a una questione fondamentale: più un settore del diritto penale è accessorio, meno è trasparente, e in tal caso la speranza che esso abbia effetti di prevenzione generale, negativi o positivi, è praticamente nulla. Al contrario, un diritto penale che, ad esempio, nel settore ambientale crei propri concetti e valori distanziandosi dall’azione e dal diritto amministrativo, in uno Stato di diritto (e rispetto alla sua idea centrale dell’“unitarietà dell’ordinamento giuridico”) è qualcosa di intollerabile e di estremamente controproducente.

Questioni importanti affrontate più volte dalla Corte Federale di Cassazione sono quelle relative alla posizione di garante e alla relativa punibilità di chi ricopre cariche pubbliche in quanto reo di delitti omissivi.[32] Le difficoltà che da tempo si presentano in tale ambito (“Chi sono le cariche pubbliche?” “Bisogna allargarne la cerchia?” “Come conciliare i rischi di penalizzazione con il ruolo delle cariche pubbliche, che il diritto amministrativo considera flessibile?”) non dovrebbero ovviamente “essere risolte” introducendo nuovi obblighi di denuncia. Se emergono continuamente casi “nei quali le autorità competenti in tema ambientale non sono intervenute a sanzionare delitti ambientali commessi da terzi”,[33] ciò non significa che “tali amministratori... non abbiano notato... comportamenti nocivi per l’ambiente evidenti e gravi”,[34] ma piuttosto che tali funzionari, quando si tratta di tutela dell’ambiente, non puntano sul rigido diritto penale, ma sul diritto amministrativo, che consente maggior flessibilità. Gli obblighi di denuncia penalmente sanzionati sono qui di poco aiuto, e ciò vale anche quando, in singoli casi, la spiegazione dell’inattività non è da ricercare in considerazioni legate all’ambiente, ma semplicemente nella corruzione dei funzionari.

Una questione di fondamentale interesse è la seguente: il diritto penale dell’ambiente non è piuttosto un diritto penale speciale e i delitti contro l’ambiente non sono delitti speciali[35], nonostante siano formulati nel codice penale tedesco per lo più come norme rivolte a tutti i consociati? Ne derivano alcune conseguenze: soprattutto, però, è evidente come il trasferimento simbolico nella parte generale del diritto penale sia di disturbo all’inquadramento logico e sistematico del diritto penale dell’ambiente. In tali ambiti, solo le fattispecie penali speciali possono essere utili. E dal punto di vista della determinatezza i problemi che si pongono sono completamente diversi (e minori) se si presuppone che i destinatari siano competenti.

III

Riassumendo:

Il diritto penale dell’ambiente è un diritto penale del rischio a tendenza espansiva, che smembra le strutture dello Stato di diritto e promette scarsi risultati.

L’europeizzazione del diritto penale dell’ambiente rafforza - malgrado le migliori intenzioni - tali tendenze dannose per l’ambiente e per il diritto penale.

Il diritto penale dell’ambiente ha perso importanza pratica (nella politica ambientale).

Questa è però una buona notizia se lo Stato, quando impersonato dai pubblici ministeri e dagli organi giudicanti, riconosce che il potenziale del diritto penale nella tutela dell’ambiente è limitato e che può condurre una politica ambientale più efficace, quando è impersonato dalle autorità amministrative.

Viceversa, tale perdita di significato non è una buona notizia se il suo risultato è una perdita di importanza della tutela ambientale in tempi di crisi economica. Tuttavia, questo non è un problema di diritto penale dell’ambiente, ma di consapevolezza e di politica ambientale. Dato che esistono numerosi segnali che evidenziano come da alcuni anni lo sviluppo economico e i posti di lavoro sono assolutamente prioritari rispetto all’ambiente, si dovrà vedere se sia il caso di puntare maggiormente sul diritto penale, che ha un maggior potere simbolico, ma consente anche maggiori libertà al mondo economico[36].

 

 


[1]
[1] Ransiek, ZStW 121 (2009), 162.

 

[2]
[2] Das ist, wie Tiedemann (Wirtschaftsstrafrecht, Einführung und Allgemeiner Teil, 2. Aufl., 2007, Rn. 19) zu Recht hervorhebt, nicht unumstritten. Tiedemann (Wirtschaftsstrafrecht, BT, 2. Aufl., 2008, Rn. 21) und eine Reihe anderer Autoren (Arzt/Weber, Strafrecht BT, 2000, § 19, Rn. 16).

 

[3]
[3] So auch schon: Michalke, Ordnungsfaktor Wirtschaftsstrafrecht. Das Beispiel Umweltstrafrecht, in: 31. Strafverteidigertag 2007, 2008, S.  91 ff., 92.

 

[4]
[4] Dennis Meadows u.a., The Limits to Growth, 1972.

 

[5]
[5] Dieser Vergleich zwischen Idee und Wirklichkeit lehnt sich an Ausführungen von Michalke auf dem Strafverteidigertag 2007 (o. Fn 2), S. 91.

 

[6]
[6] Prittwitz, Strafrecht und Risiko, 1993. Vgl. für eine Zusammenfassung: Prittwitz, in Neumann/Prittwitz (Hrsg.), Kritik und Rechtfertigung des Strafrechts, 2005, S. 131 ff. Vgl. auch die italienische Fassung (Übersetzt von Kolis Summerer: Società del rischio e diritto penale, in: Stortoni/Foffani (Hrsg.), Critica e giustificazione del diritto penale nel cambio di secolo, 2004, S. 371 ff.).

 

[7]
[7] Prittwitz, „Feindstrafrecht“ als Konsequenz des Risikostrafrechts, in:  Vormbaum (Hrsg.), Kritik des Feindstrafrechts, 2009, S. 169 ff. ; vgl. eine frühere Fassung in Pilgram/Prittwitz (Hrsg.), Kriminologie. Akteurin und Kritikerin gesellschaftlicher Entwicklung, 2005, S. 215 ff.. Vgl. auch die italienische Fassung (Übersetzung von Valeria Torre), in: Donini/Papa (Hrsg.) Diritto penale del nemico, 2007, S. 139 ff.)

 

[8]
[8] Vgl. namentlich: Wolter, Objektive und personale Zurechnung von Verhalten, Gefahr und Verletzung in einem funktionalen Straftatsystem, 1981;  Frisch, Vorsatz und Risiko, 1983; ders., Tatbestandsmäßiges Verhalten und Zurechnung, 1986; Kratzsch, Verhaltenssteuerung und Organisation im Strafrecht, 1985.

 

[9]
[9] Stratenwerth, ZStW 105 (1993), S. 679 ff.; deutlich zurückhaltender in der Neuauflage seines Lehrbuchs (Strafrecht, Allgemeiner Teil I, 4. Aufl., 2000, S. 36 f.

 

[10]
[10] Vgl. demnächst die Publikation seines in Granada im März 2010 gehaltenen Vortrag, in dem er Umweltdelikte als Prototypen des Verbrechens ansieht. Siehe aber auch schon Schünemann, Zur Dogmatik und Kriminalpolitik des Umweltstrafrechts, in: Schmoller (Hrsg.) Festschrift für Otto Triffterer, 1996, S. 437 ff.

 

[11]
[11] Parallel zu der tatsächlich soziologischen Entdeckung des Risikos, wie sie Niklas Luhmann 1991 zusam­men­gefasst hat (Niklas Luhmann, Soziologie des Risikos, 1991; vgl. zuvor schon ders., Sicherheit und Risiko, Die politische Meinung, 1986, Heft 229, s. 18 ff.).

 

[12]
[12] Strafrecht und Risiko, 1993, S. 236-253.

 

[13]
[13] Strafrecht und Risiko, 1993, S. 199-235.

 

[14]
[14] Strafrecht und Risiko, 1993, S. 261-319 (zum Einzug des Risikogedankens in das Strafrecht, S. 320-363 zur mit der Risikoerhöhungslehre angestoßenen Risikodogmatik.

 

[15]
[15] Vgl. auch Silva-Sanchez (o. Fn. 3, S. 18 m.w.N. zu diesem Befund aus dem deutschen und italienischen Schrifttum), der den spanischen Reformgesetzgeber 1995 dahingehend zitiert, es gebe eine „Antinomie zwischen dem Prinzip minimaler (staatlicher strafrechts-) Intervention und das wachsende Schutzbedürfnis in einer immer komplexer werdenden Gesellschaft“.

 

[16]
[16] Vgl. jetzt Günter Heine, Die Strafrechtswissenschaft vor den Aufgaben der Zukunft, in: Eser/ Hassemer/ Burkhard (Hrsg.), Die deutsche Strafrechtswissenschaft vor der Jahrtausendwende, 2000, S. 397 ff. [405]: „Strafrecht ist nicht mehr reaktiv und punktuell angelegt, sondern prospektiv und flächig.“

 

[17]
[17] Hellmuth Mayer, Strafrechtsreform für heute und morgen, 1962, S. 15.

 

[18]
[18] Vgl. dazu: Strafrecht und Risiko, 1993, S. 263.

 

[19]
[19] Im Sinne von § 125 Abs. 1 Nr. 1 StGB, also als „Einsatz physischer ... Kraft durch aggressives positives Tun ..., mit dem unmittelbar auf Menschen oder Sachen ... eingewirkt wird.“ (Lackner/Kühl, StGB, 23. Aufl., 1999,  § 125 Rn 4

 

[20]
[20] Etwas das Handeltreiben mit biologischen oder chemischen Waffen, eine Straftat gemäß § 20 Abs. 1 Nr. 1 Kriegswaffenkontrollgesetz oder das bloße Fördern des Handeltreibens gemäß Abs. 1 Nr. 2 dieser Vorschrift, oder aber das Nichtabliefern radioaktiver Abfälle unter Verletzung verwaltungsrechtlicher Pflichten gem. § 326 Abs. 3 StGB.

 

[21]
[21] Vgl. zu diesem Begriffspaar Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, 1984, S. 26.

 

[22]
[22] Vgl. die treffende – die Problematik offenlegende und (gerade deswegen?) auf Kritik gestoßene (vgl. vor allem Rogall, FS Kölner Fakultät, 1988, S. 505 ff.) Charakterisierung der gemäß § 324 strafbaren Gewässer­verun­reini­gung als „Kumulations­delikt“ durch Kuhlen (GA 1986, 389 ff.).

 

[23]
[23] Speziell für das Umweltstrafrecht ebenso: Höpfel, Die internationale Dimension des Umweltstrafrechts, in: Schmoller (Hrsg.), Trifffterer-F, 1996, . 425 ff 428.

 

[24]
[24] Vgl. ähnlich schon Hassemer, der die „Karriere des Präventionskonzepts im modernen Strafrechtsdenken“ (JuS 1987, 258) konstatiert und bald darauf symbolisches strafrecht als „Kennzeichen modernen Strafrechts“ (NStZ 1989, 554) bezeichnet: der Zusammenhang liegt darin begründet, so Hassemer, daß das symbolische Strafrecht einen „Ausweg aus dem Präventionsdilemma“ (NStZ 1989, 558) des Strafrechts zu weisen scheint.

 

[25]
[25] Vgl. dazu im Zusammenhang der Bekämpfung der AIDS-Gefahren anschaulich: Ulfrid Neumann, Das Risiko des Risiko-Strafrechts. Zur Funktion des Strafrechts bei der Bekämpfung von HIV-Infektionen, in: HIV und AIDS im Spiegel der Wissenschaften, 1994, S. 77 ff. [88], der darlegt, nicht das Vertrauen, sondern das Misstrauen gelte es im Sinne des allein erfolgversprechenden Schutzes durch eigenverantwortliches Verhalten zu stärken.

 

[26]
[26] Ähnlich Michalke, (o. Fn. 2), S. 102 f.

 

[27]
[27] Das gilt für das in Deutschland sogenannte „internationale Strafrecht“ der §§ 3-7 und 9 D-StGB, die die An­wendbarkeit deutschen Strafrechts auf Taten mit fremdstaatlichen Bezug regeln, es gilt aber auch für das wirklich „internationale Strafrecht“, das in Deutschland „Völkerstrafrecht“ genannt wird, von dem man in späteren Jahren vielleicht sagen wird, dass unverständlicherweise die wichtigsten Rechtsgüter des Planeten nicht aufgenommen, und die ihn existenziell bedrohenden Gefahren nicht Gegenstand international-strafrechtlicher Prävention wurde.  Vgl. auch: Höpfel, Die internationalen Dimension des Umweltstrafrechts, in: Schmoller (Hrsg.), Triffterer-FS, 1996, 425 ff.

 

[28]
[28] Vgl. Michalke (o. Fn. 2), S. 100 f. m. w. N.

 

[29]
[29] Vgl. grundsätzlich Prittwitz, ZStW 113 (2001), 774 ff.

 

[30]
[30] Prittwitz, (o. Fn. 29), S. 796 f.

 

[31]
[31] Vgl. die grundlegende Arbeit von Paeffgen, in: Dencker u.a. (Hrsg.), FS für Stree und Wessels, 1993, S. 587 ff.

 

[32]
[32] Vgl. dazu jüngst von der Grün, Garantenstellung un Anzeigepflichten von Amtsträgern im Umweltbereich, 2003, und die Rezension bei Ransiek, ZStW 121 (2009),  165 ff.

 

[33]
[33] Ransiek, (o. Fn. 32), S. 165.

 

[34]
[34] A.a.O.

 

[35]
[35] Vgl. die Arbeit von Julia Martin, Sonderdelikte im Umweltstrafrecht, 2006 und die rezension bei Ransiek, ZStW 121 (2009), 162 ff.

 

[36]
[36] Vgl. dazu jetzt  Prittwitz, Perfektionierte Kontrolldichte und rechtsstaatliches Strafrecht, in: Beulke u.a. (Hrsg.), Das Dilemma des rechtsstaatlichen Strafrechts,  2009, S. 185 ff.

 

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I.

 

Ich möchte meinen Gastgebern hier in Salerno – und ganz besonders meinem Kollegen Andrea Castaldo – sehr herzlich für die Einladung zu dieser Tagung danken. Ich verbinde diesen Dank mit meinem Glückwunsch zur Wahl des Tagungsthemas „Umwelt­straf­recht“.

Obwohl: „Um das Umweltstrafrecht ist es stiller geworden,“ schrieb vor kurzem mein Kollege Ransiek.[1] Und ich glaube, er hat Recht! Trotzdem oder gerade deswegen bleibe ich bei meiner Gratulation.

Denn genau diese – meiner Meinung nach nur vorübergehende – kriminalpolitische Windstille und vielleicht nur diese Windstille gibt der Strafrechtswissenschaft, die ansonsten im populistisch-punitiven Wettstreit zwischen auf Leser-Maximierung fixierten Massenmedien und auf Wählerfang befindlichen Politikern kaum eine Chance hat gehört zu werden, die Möglichkeit, in den ziemlich scheinheiligen Umweltschutzdiskurs und den weitgehend irrationalen kriminalpolitischen Diskurs einzugreifen.

In 30 Minuten kann man keinen systematischen und fundierten Vortrag über das Umweltstrafrecht halten. Bevor ich Ihnen aber einige ausgesuchte Gedanken über Grundprinzipien des Umwelt­straf­rechts und der Um­welt­kriminalpolitik und auch über die Diskussionen und die Erfahrungen in Deutsch­land vorstelle, muss ich mich bei meinen Gastgebern und bei Ihnen, meinen Zuhörern, für meine sehr mangelhaften Kenntnisse der italienischen Sprache entschuldigen, einer Sprache, die ich sehr bewundere, die ich aber leider nicht beherrsche. Ich danke dem Kollegen/der Kollegin, der oder die meinen Vortrag übersetzt hat, und ich werde versuchen, den Text – so gut ich es kann − so zu vorzutragen, dass Sie verstehen, was mich beim Thema Umweltstrafrecht bewegt. Damit das gelingt, bin ich auf Ihr Wohlwollen und Ihre Nachsicht angewiesen.

II.

 

Ich möchte Ihnen vier Gedanken vorstellen:

1.      Umweltstrafrecht ist Wirtschaftsstrafrecht – und damit steht fest, dass es ein grundlegendes Dilemma des Umweltstrafrechts gibt, das Theorie und Praxis immer begleitet.

2.      Umweltstrafrecht ist Risikostrafrecht – damit kann man erklären, warum es das Dilemma gibt, und warum die Antworten auf die − unübersehbaren − Probleme so unterschiedlich ausfallen.

3.      Umweltstrafrecht ist − jeden Tag mehr – Europäisches Strafrecht; das verschärft, wie wir sehen werden, das Problem.

4.      Die deutsche umweltstrafrechtliche Diskussion ist nicht geprägt von einzelnen strafrechtliche oder strafrechtsdogmatischen Problemen, es gibt dazu wenig Rechtsprechung und wissen­schaftliche Beiträge; dagegen sind einige – hier nur kurz vorzustellende − Grundprobleme immer noch ungelöst und werden weiter von der Strafrechtswissenschaft behandelt.

 

1. Umweltstrafrecht als Wirtschaftsstrafrecht
und:
„Das Dilemma des Umweltstrafrechts“

 

Es ist  kein Zufall, dass die Veranstalter dieser Tagung Experten im Wirtschaftsstrafrecht sind.

Denn Umweltstrafrecht ist in vielerlei Hinsicht Wirtschaftsstrafrecht.[2] Das ist wichtig, weil wir spätestens seit der globalen Finanzkrise in unserer − ebenfalls globalen − Hilflosigkeit auch und wieder einmal auf das Strafrecht als möglichen Retter schauen.

Genau so aber war es vor 30 – 40  Jahren, als man begann zu verstehen, welche Gefahren unser Lebensstil und die Entwicklung unserer industrialisierten Ge­sell­schaft für die Umwelt mit sich bringen[3] – ich erinnere hier in Italien nur an den alarmierenden Bericht des Club of Rome.[4]

Wenn wir also hier in Salerno über die Probleme des Umweltstrafrechts diskutieren – ich möchte eigentlich lieber von dem Dilemma des Umweltstrafrechts sprechen −, wenn wir über die Not­wendig­keit des Umweltstrafrechts, seine Möglichkeiten, seine Effektivität und Legitimität sprechen, dann ist das eine Debatte, die wir auch für die in der Zukunft anstehenden Diskussionen über ein verschärftes Wirtschafts­strafrecht in Erinnerung behalten sollten. Und unsere Ergebnisse sollten auch Lektionen sein, die wir gelernt haben sollten, wenn die nächste kriminalpolitische Diskussionsrunde – z. B. über die Verschärfung des Wirtschafts- und speziell des Finanzmarktstrafrechts − beginnt.

Meinen Pessimismus will ich im Übrigen nicht verhehlen: „Lessons learnt“ ist ein Motto des Projektmanagements, das z.B. in der Entwicklungs­politik einen hohen Stellenwert hat, das in der Kriminalpolitik aber nahezu unbekannt scheint.

Worin genau besteht nun das Dilemma des Umweltstrafrechts? Nach meiner Überzeugung besteht es aus der extremen Diskrepanz zwischen der Idee oder dem Ideal des Umweltstrafrechts und der Wirklichkeit des Umweltstrafrechts.

Die Idee des Umweltstrafrechts erscheint höchst lobenswert, die Wirklichkeit des Um­welt­strafrechts dagegen erscheint − mir zumindest − höchst kritikwürdig.

Ich habe eben betont die „extreme Diskrepanz“.

Denn die Diskrepanz zwischen dem Ideal und der Wirklichkeit des Rechts ist jedem Rechtspraktiker und (fast) jedem Rechtswissenschaftler bekannt. Und dem Strafrechtspraktiker und -wissenschaftler sind solche Diskrepanzen sogar selbst­ver­ständ­licher Teil seiner alltäglichen Erfahrungen und der Grund für viele Meinungs­ver­schie­denheiten sowohl zwischen Praktikern und Theoretikern als auch zwischen Theoretikern der verschiedenen Denk- und Kriminalpolitikschulen.

Weil diese − an sich vertraute − Diskrepanz beim Umweltstrafrecht aber extrem ausfällt, wirft sie andere Fragen auf und verlangt nach radikaleren Antworten.

Was meine ich konkret, wenn ich von extremer Diskrepanz zwischen Idee und Wirklichkeit spreche?

Ich meine[5] die Idee …

… eines Umweltstrafrechts, das als Ergebnis einer eindeutigen Umweltpolitik einen wichtigen ökologischen Ordnungsfaktor in unserer Gesellschaft darstellt. In dem für unsere Gesellschaft zentralen Konflikt zwischen Ökonomie und Ökologie sorgt es mit unmissverständlichen, dem Bestimmtheitsgrundsatz entsprechenden Normen dafür, dass die umweltpolitisch ge­wünschten Regeln eingehalten werden.  Das gelingt, ich wiederhole noch einmal: im Ideal, weil seine Durchsetzung durch spezialisierte Staatsanwälte und Gerichte in ausreichender Kapazität garantiert ist. Dieses Umweltstrafrecht genießt Anerkennung bei den Fachleuten und in der Bevölkerung und genau deswegen wirkt dieses  − Prävention versprechende (und durch seine versprochenen Präventionsleistungen legitimierte – Strafrecht general- und spezialpräventiv.

Die Wirklichkeit sieht seit langem unverändert aus:

Das Umweltstrafrecht spielt in der Frage, wie Ökonomie und Ökologie ausbalanciert werden keine Rolle. Es wird kaum angewandt, und wenn dann überwiegend in Bagatellfällen. Seine Normen sind unklar, es besteht zu einem großen Teil aus Blankettgesetzen und einer daraus folgenden weitgehenden Verwaltungsakzessorietät. Staatsanwalt­schaft und Rechtsprechung tun sich schwer mit dem Umweltstrafrecht, sie verfügen weder über die notwendigen Spezial­kompetenzen noch über die erforderlichen Kapazitäten, und überlassen folgerichtig das Feld den flexibler agierenden Verwaltungsbehörden. Den Betroffenen geht es immer noch zu weit, den Wissenschaftlern und der Bevölkerung, namentlich dem ökologisch Orien­tierten, geht es nicht weit genug. Kaum wahrnehmbare Anwendung und fehlende Anerken­nung müssen zu massiven Zweifeln an nennenswerten generalpräventiven oder spezial­prä­ventiven Effekten führen.

Das sind extreme Diskrepanzen − und sie sind der Grund für die engagierten, oft erbitterten und polemischen –„polemos“ heißt auf Griechisch „Krieg“! −  kriminal- und vor allem umwelt­politische Debatten zwischen denjenigen, die diese Defizite aus heterogenen Gründen nicht anerkennen wollen und denjenigen, die erkannt haben, dass wir uns mit dieser Umweltpolitik und diesem Umweltrecht (inklusive Umweltkriminalpolitik und Umwelt­strafrecht) nicht zufrieden geben dürfen.

Und es sind nicht nur extreme Diskrepanzen, sondern weil so extrem, auch erklärungsbedürftige Diskrepanzen. Ich bin der Überzeugung, dass man sie besser versteht, wenn man das Umwelt­straf­recht als Risikostrafrecht begreift.

 

 

2. Umweltstrafrecht als Risikostrafrecht

 

„Risikostrafrecht“ oder auch das „Strafrecht der Risikogesellschaft“ sind Schlagworte, die oft ver­wendet wurden und auch immer noch verwendet werden. Nicht immer ist klar, was damit gemeint ist, oft wird es entweder als strafrechtsdogmatisches oder kriminalpolitisches Programm, genauso oft und inzwischen wohl noch öfter als strafrechtskritischer Begriff oder sogar als Kampf­begriff gegen ein expansives Strafrecht in einer Gruppe wie Begriffen des „Feindstrafrechts“ verwendet.

Vor allem die zuletzt genannte Begriffsverwendung ist zu oberflächlich und nicht sehr nützlich, und das sage ich, obwohl ich selber − mit meiner vor ungefähr 20 Jahren verfassten Analyse des Risiko­strafrechts – das be­ste­hen­de Risikostrafrecht kritisiert habe[6] und später auch Verbindungslinien zwischen dem Risikostrafrecht und dem Feindstrafrecht gezogen habe.[7]

Anders als die „erste Generation“ der Risikostrafrechtler[8], die „Risikodogmatiker“, die Risiko­schaf­fung und Risikoerhöhung in den Mittelpunkt ihrer dogmatischen Überlegungen zur strafrechtlichen Zu­rechnung stellen, anders aber auch als die (Risiko-) Strafrechtler, die – wie etwa Stratenwerth[9] und − jedes Jahr engagierter –Schünemann[10] - die Analyse teilen, unsere Gesellschaft werde durch den technologischen Fortschritt an den Rand der Selbstzerstörung getrieben, und sich fragen, welche Rolle das Straf­recht bei der notwendigen Zukunftssicherung spielen kann oder muss, interessiert mich[11] zunächst, dass und wie Kriminalpolitik[12] und Straftheorie[13], vor allem aber auch Straf­rechts­dogmatik[14] parallel zur gesamtgesellschaftlichen Entwicklung von der Risiko­gesellschaft längst geprägt sind.

Entstanden ist so ein Risikostrafrecht,

-        das sein schlechtes Gewissen verloren hat,

-        dem es um die Prävention wichtiger Risiken geht,

-        das auch nicht mehr − wie gehabt − die „Kleinen“ treffen soll, sondern die „Großen“ die Mächtigen in Wirtschaft und Staat, die man bisher hat laufen lassen,

-        das folgerichtig nicht mehr den Ehrgeiz hat, fragmentarisch zu bleiben,

-        sondern umgekehrt zu einem expan­siven[15]/[16] Strafrecht mutiert ist.

 

Diese Expansion ist dreidimensional:

-        neue Rechts­güter (wie z.B. die Umwelt) werden als Strafrechtsgüter aufgenommen,

-        gerade in diesen Feldern wird die Grenze zwischen strafbaren und straflosen Verhalten vorverlagert,

-        und drittens sinken die Anforderungen an die Vor­werf­barkeit, die sich im Paradigmenwechsel von der Rechtsgutsfeindlichkeit zur Rechts­guts­gefährlichkeit als Zentrum des Vorwurfs ausdrückt.

Weitere Merkmale: Das Risikostrafrecht kriminalisiert Ver­halten typischerweise nicht deswegen, weil es als sozial inadäquat vorgefunden wird, sondern damit es als sozial inadäquat angesehen wird. Das betrifft zentral das Um­welt­strafrecht in toto, lässt sich aber auch im Wirtschaftsstrafrecht nach­wie­sen, und läuft  auf eine Revitalisierung des Glaubens an die „sittenbildende Kraft des Straf­rechts“[17] hinaus[18]. Dabei geht es aber weder um Sitten (im traditionellen Sinn) noch um − vertraute – Gewalt. Den ethisch durchaus motivierten Neu­kriminalisierern geht es dabei eben nicht um (in der Regel schon pönalisiertes) gewalttätiges Ver­hal­ten[19], sondern um oberflächlich be­trachtet oft harmloses Verhalten, dessen Aus­wirkungen jedoch die­jenigen klassischer Gewalt­krimi­nalität übertreffen[20]. Selten widerspricht es der „Nächstenethik“, die sozial­moralisch geprägt und hoch verhaltensrelevant ist, dagegen verstößt es regelmäßig gegen eine „Fernmoral“[21], von der man weiß, dass sie das Verhalten der Menschen deutlich weniger ­prägt. Oft handelt es sich − für sich genommen – um Bagatellen, die Gefährlichkeit entsteht entweder nur durch Kumulationseffekte[22] oder auf sehr lange Sicht. Im Zweifel betrifft es – wie schon erwähnt − eher system­konformes als abweichen­des Ver­halten; und taugliche Adressaten der neuen Strafrechtsnormen sind oft nur die­jenigen, die über bestimmte Macht­positionen bereits verfügen.

Die Hervorhebung dieser Charakteristika des Risikostrafrechts macht deutlich, dass es – nach vor­herrschender und auch meiner Einschätzung – notwendigen und gerechten, also legitimen Zwecken dienen soll. Es zeigt sich aber auch, wie herausfordernd das Projekt Risikostrafrecht ist, das in guter Tradition instrumentell durch Krimi­nali­sierung das riskante Verhalten verhindern will: Denn ein Strafrechtsprogramm, das zwar die Ver­nunft und die Gerechtigkeit auf seiner Seite hat, sich aber nicht auf schon ver­ankerte soziale Normen (wie z.B. die Tötungshemmung, das Gewalttabu,  die Nächsten­­­ethik) stützen kann, gerät schnell an die Grenzen seiner Definitionsmacht, jedenfalls aber seines Steuerungspotentials.[23] Das gilt erst Recht, wenn es sich zusätzlich gegen eingespielte Macht­positionen durch­setzen muss und wenn es den Begriff des „abweichenden Verhaltens“ für alle gut sichtbar ad absurdum führt.

Es kann daher nicht überraschen, dass das Strafrecht  nicht nur zu Zwecken (ver­suchter) Risiko­mini­mie­rung funktio­­na­lisiert wird, sondern dass es auch (und sogar weit erfolgver­sprechen­der) zu Zwecken subjektiver Ver­sicherung eingesetzt wird. In straftheoretische Begrifflich­keiten übersetzt, heißt das, dass neben die (versprochene) Prä­vention von Risiken durch Steuerung des riskanten Verhaltens, die traditionell und in erster Linie Legitimation verspricht, längst – und alles andere als zufällig - die symbolische Versicherung der verun­sicherten Risikogesellschaft getreten ist[24].

Unter der Last der überwiesenen Aufgaben hat sich das Profil des (Risiko-) Strafrechts verändert, aber es ist – so lautet meine Diagnose und Prognose - mit  diesen Aufgaben über­fordert. Die nach Antworten drängenden Pro­bleme der modernen Gesellschaft (z.B. und vor allem der ökologische und ökonomische Probleme), bleiben durch die (zu weit gehende) Überweisung an das Strafrecht in Wirklichkeit unbearbeitet. Oft sind sogar kontra­pro­duktive Nebeneffekte des Strafrechtseinsatzes zu befürchten[25]. Und weil die strukturellen, die „systemischen“ Ursachen der Probleme, die dafür verantwortlich sind, dass die Lösung durch Strafrecht scheitert, weil also die „wahren“ Ursachen nicht gesehen werden, bleibt man dem Strafrecht treu („more of the same“) und zerstört so durch ver­meintliche Nachbesserungen kontinuierlich , aber überflüssig das rechts­staat­liche Profil des Strafrechts.

All dies kann man am Umweltstrafrecht Punkt für Punkt vorführen.

Das Umweltstrafrecht in den Kontext des Risikostrafrechts zu stellen, hat (oder hätte) dramatische kriminal- und umweltpoltische Konsequenzen:  Man müsste:

-        sich schnell und öffentlich der systemischen Ursachen bewusst werden (bzw. sie zugegen),

-        höhere Effektivität versprechende Rechtsgebiete verstärkt aktivieren(vor allem im Öffentlichen Recht, der klassischen Domäne des Umweltrechtsmaterie, aber auch im Zivilrecht− man denke an die gewaltigen Schäden, die wir den nachfolgenden Generationen überlassen; solche Schäden müssen den Verursachern auch dann zugerechnet werden, wenn sie absehbar aber erst später eintreten, und das Zivilrecht erscheint hier als angemessenes und Effektivität versprechendes Mittel),

-        den nur flankierenden Charakter des Umweltstrafrecht betonen

-        und den Strafrechtseinsatz auf eindeutige, schwere und – auch in der Rechtspraxis zurechenbare – Taten beschränken.

Der Gesetzgeber ist von alledem weit entfernt, aber die Praxis ist klüger: Der von vielen diagnostizierte umweltpolitische Bedeutungsverlust des Umweltstrafrechts ist keineswegs unbedingt alarmierend. Die Praxis sucht sich Lösungswege, die besser funktionieren, auch wenn sie nicht so eindrucksvoll klingen.[26]

 

 

3. Umweltstrafrecht als Europäisches Strafrecht

 

Unsere „Umwelt“ heißt (auf Deutsch jedenfalls) nicht zufällig „Umwelt“. Sie kennt – und das kann gilt auch, wenn auch weniger deutlich, für den italienischen und spanischen Begriff „ambiente“ oder dem englischen „environment“ − keine national­staatlichen oder andere politische Grenzen.

Umweltverschmutzung und Umweltzerstörung kennen auch keine Grenzen. Von daher ist das Um­welt­­strafrecht ein logischer Kandidat für übernationales Strafrecht. Beim Euro­päischen Strafrecht ist es schon angekommen, der Sache nach gilt es aber auch für das Internationale Strafrecht.[27]

Aber die Logik dieser Entwicklung ändert leider nichts daran, dass durch die Europäisierung und die absehbare Internationalisierung) des Umweltstrafrechts die Probleme und die Diskrepanz zwischen Idee und Wirklichkeit immer größer werden.

Die begriffliche Bestimmtheit, das Herz des Strafrechts, das rechtsstaatlich und liberal ist, weil und soweit es ein bestimmtes und begrenztes Verhalten pönalisiert, leidet darunter, wenn neben die nationalen Gesetzgeber der europäische Gesetzgeber, wenn neben die nationalen Gerichte die Europäischen Gerichtshöfe treten. Man kann das gut zeigen an den divergierenden Recht­spre­chun­gen von BGH und EuGH zu der abfallrechtlichen Frage, ob Abfall bis zur Umwandlung in ein neues Produkt immer Abfall“ (und damit Tatgegenstand des Abfallstrafrechts) bleibt, oder zur weiteren praktisch hochrelevanten Frage, ob nur bewegliche Sachen „Abfall“ sein können. [28]

Probleme dieser Art werden absehbar zunehmen, weil der Vertrag von Lissabon die umwelt­straf­rechtliche Kompetenz der EU erweitert. Zwar ist in Art. 83 Abs. 1 Satz 2 AEUV das Umweltstrafrecht nicht ausdrücklich genannt, der Rat kann aber (durch einstimmigen Beschluss) entscheiden, sich des Themas anzunehmen. Das ist vor allem deswegen von Bedeutung, weil die EU bisher nicht die Kompetenz hatte, die Höhe der nationalen Strafen zu harmonisieren. Da die Effektivität umwelt­schützender Maßnahmen wesentlich von der funktionierenden Kooperation und Kommunikation zwischen Normgebern, Normanwendern und Normadressaten abhängt, wären solche – nach außen hin eindrucksvoll klingenden – Harmonisierungen umweltpolitisch kontraproduktiv und es bleibt zu hoffen, dass die EU diese Kompetenz nicht wahrnimmt, oder ggf. einer der Mitgliedsstaaten ent­sprechende Richtlinien mit dem Hinweis auf fundamentale Konflikte mit dem eigenen nationalen Strafrecht stoppt.

Insgesamt gilt auch und ganz besonders für das Umweltstrafrecht, was für das Europäische (und europäisierte) Strafrecht insgesamt gilt: Es wird geschaffen, ohne dass ein durchdachtes Fundament zur Verfügung steht,[29] es droht mit anderen Worten mit der Europäisierung des Umweltstrafrechts eine weitere kontraproduktive Expansion des schon in den nationalen Strafrechten angelegten Risikostrafrechts.[30]

Auch hier kann ein Stück weit Entwarnung gegeben werden. Die Strafrechtspraxis vor allem der Staatsanwaltschaften), die sich schon gegenüber dem expansiven nationalen Umweltstrafrecht klug zurückgehalten hat und – mehr oder auch weniger gesetzeskonform – die umweltpolitische Bühne den Verwaltungsbehörden überlassen hat, reagiert auf die neuen Schwierigkeiten, die noch mehr Ressourcen verlangen, die die Prozesse weiter zu komplizieren und zu verlängern drohen, mit einem – in der Sache erfreulichen – weiteren Rückzug.

 

 

4. Umweltstrafrechtsprechung und -wissenschaft in Deutschland

 

Auch wenn es strafrechtsdogmatisch ein wenig still geworden ist um das Umweltstrafrecht, gibt es doch einige interessante Fragen, die in letzter Zeit in Deutschland diskutiert wurden.

„Dauerbrenner“ sind die Fragen der Verwaltungs-, Verwaltungsrechtsakzessorietät und Ver­wal­tungsaktakzessorietät des Umweltstrafrechts, auf die ich hier schon aus Zeitgründen nicht näher eingehen kann.[31] Ich will aber die grundlegende Problematik andeuten: Je akzessorischer ein Straf­recht ist, desto intransparenter ist es, die Hoffnung auf negative und positive generalpräventive Effekte geht gegen Null. Umgekehrt ist ein Strafrecht, das z.B. im Umweltrecht an Verwaltungs­handeln und Verwaltungsrecht vorbei eigene Begrifflichkeiten und Werte schafft im Rechtsstaat (und seinem Gedanken der „Einheit der Rechtsordnung“) unerträglich und zudem extrem kontraproduktiv.

Wichtige Fragen, die auch immer wieder den BGH beschäftigt haben, ist die Frage der Garanten­stellung und der daraus folgenden Strafbarkeit von Amtsträgern als Täter von Unterlassungs­delikten.[32] Die Schwierigkeiten, die sich hier seit langem zeigen („Wer ist alles Amtsträger?“ Ist der Kreis der Amtsträger zu erweitern? “Wie vertragen sich die Strafbarkeitsrisiken mit der verwaltungsrechtlichen auf Flexibilität ausgerichteten Rolle der Amtsträger?) sollten freilich nicht dadurch „gelöst werden“, dass neue strafbewehrte Anzeigepflichten geschaffen werden. Wenn immer wieder Fälle bekannt werden, „in denen Umweltbeamte nicht gegen Umweltstraftaten Dritter eingeschritten (sind)“,[33] dann bedeutet das eben nicht, dass „evidente und schwer wiegende Umweltgefährdungen von den … Funktionsträgern … nicht bemerkt (werden)“,[34] sondern es bedeutet, dass diese Funktionsträger eben, wenn es um den Schutz der Umwelt geht, nicht auf das starre Strafrecht setzen, sondern auf das mehr Flexibilität erlaubende Verwaltungsrecht. Straf­be­wehrte Anzeige­pflichten helfen hier wenig, und das gilt auch dann, wenn es im Einzelfall nicht die Sorge um die Umwelt, sondern schlichte Korruption die Untätigkeit erklären.

Eine interessante grundsätzliche Frage lautet, ob das Umweltstrafrecht nicht materiell ein Sonder­strafrecht, die Umweltdelikte Sonderdelikte sind,[35] obwohl sie im StGB überwiegend als Normen, die an alle adressiert sind, formuliert wurden. Daraus ergeben sich einige Konsequenzen; v.a. aber wird auch hier wieder deutlich, dass die symbolträchtige Verlagerung in das allgemeine Strafgesetzbuch die Logik und Systematik des Umweltrechts eher stört. Sinnvoll sind in diesen Bereichen, in denen es um vor allem um Immissionen geht, allein Sonderdelikte. Und unter Gesichtspunkten der Bestimmtheit stellen sich ganz andere (und weniger) Probleme, wenn die Adressaten als kompetent vorausgesetzt werden können.

 

 

III.

 

Ich fasse zusammen:

Das Umweltstrafrecht ist ein tendenziell expansives, rechtsstaatliche Strukturen zersetzendes und wenig Effektivität versprechendes Risikostrafrecht.

Die Europäisierung des Umweltstrafrechts verstärkt – trotz bester Absichten der Umweltakteure – diese der Umwelt und dem Strafrecht abträglichen Tendenzen.

Das Umweltstrafrecht hat an praktischer (umweltpolitischer) Bedeutung verloren.

Das ist eine gute Nachricht, soweit der Staat und in Person seiner Staatsanwaltschaften und Gerichte erkennt, dass das Strafrecht wenig Potential zum Umweltschutz hat,  und in Person seiner Ordnungsbehörden effektiver Umweltpolitik betreibt.

Keine gute Nachricht ist dieser Bedeutungsverlust, wenn sie darauf beruht, dass in Zeiten wirt­schaft­licher Krisen der Schutz der Umwelt wieder kleiner geschrieben wird. Aber das ist kein Problem des Umweltstrafrecht, sondern des Umweltbewusstseins und der Umweltpolitik. Da es zahlreiche Hinweise dafür gibt, dass seit einigen Jahren wirtschaftliche Entwicklung und Arbeitsplätze gegenüber der Umwelt wieder unbedingte Priorität besitzen, wird man umgekehrt beobachten müssen, ob in solchen Zeiten nicht verstärkt auf das symbolträchtige, aber der Wirtschaft viel mehr Freiheiten erlaubende Strafrecht gesetzt wird.[36]

 

 


[1] Ransiek, ZStW 121 (2009), 162.

[2] Das ist, wie Tiedemann (Wirtschaftsstrafrecht, Einführung und Allgemeiner Teil, 2. Aufl., 2007, Rn. 19) zu Recht hervorhebt, nicht unumstritten. Tiedemann (Wirtschaftsstrafrecht, BT, 2. Aufl., 2008, Rn. 21) und eine Reihe anderer Autoren (Arzt/Weber, Strafrecht BT, 2000, § 19, Rn. 16).

[3] So auch schon: Michalke, Ordnungsfaktor Wirtschaftsstrafrecht. Das Beispiel Umweltstrafrecht, in: 31. Strafverteidigertag 2007, 2008, S.  91 ff., 92.

[4] Dennis Meadows u.a., The Limits to Growth, 1972.

[5] Dieser Vergleich zwischen Idee und Wirklichkeit lehnt sich an Ausführungen von Michalke auf dem Strafverteidigertag 2007 (o. Fn 2), S. 91.

[6] Prittwitz, Strafrecht und Risiko, 1993. Vgl. für eine Zusammenfassung: Prittwitz, in Neumann/Prittwitz (Hrsg.), Kritik und Rechtfertigung des Strafrechts, 2005, S. 131 ff. Vgl. auch die italienische Fassung (Übersetzt von Kolis Summerer: Società del rischio e diritto penale, in: Stortoni/Foffani (Hrsg.), Critica e giustificazione del diritto penale nel cambio di secolo, 2004, S. 371 ff.).

[7] Prittwitz, „Feindstrafrecht“ als Konsequenz des Risikostrafrechts, in:  Vormbaum (Hrsg.), Kritik des Feindstrafrechts, 2009, S. 169 ff. ; vgl. eine frühere Fassung in Pilgram/Prittwitz (Hrsg.), Kriminologie. Akteurin und Kritikerin gesellschaftlicher Entwicklung, 2005, S. 215 ff.. Vgl. auch die italienische Fassung (Übersetzung von Valeria Torre), in: Donini/Papa (Hrsg.) Diritto penale del nemico, 2007, S. 139 ff.)

[8] Vgl. namentlich: Wolter, Objektive und personale Zurechnung von Verhalten, Gefahr und Verletzung in einem funktionalen Straftatsystem, 1981;  Frisch, Vorsatz und Risiko, 1983; ders., Tatbestandsmäßiges Verhalten und Zurechnung, 1986; Kratzsch, Verhaltenssteuerung und Organisation im Strafrecht, 1985.

[9] Stratenwerth, ZStW 105 (1993), S. 679 ff.; deutlich zurückhaltender in der Neuauflage seines Lehrbuchs (Strafrecht, Allgemeiner Teil I, 4. Aufl., 2000, S. 36 f.

[10] Vgl. demnächst die Publikation seines in Granada im März 2010 gehaltenen Vortrag, in dem er Umweltdelikte als Prototypen des Verbrechens ansieht. Siehe aber auch schon Schünemann, Zur Dogmatik und Kriminalpolitik des Umweltstrafrechts, in: Schmoller (Hrsg.) Festschrift für Otto Triffterer, 1996, S. 437 ff.

[11] Parallel zu der tatsächlich soziologischen Entdeckung des Risikos, wie sie Niklas Luhmann 1991 zusam­men­gefasst hat (Niklas Luhmann, Soziologie des Risikos, 1991; vgl. zuvor schon ders., Sicherheit und Risiko, Die politische Meinung, 1986, Heft 229, s. 18 ff.).

[12] Strafrecht und Risiko, 1993, S. 236-253.

[13] Strafrecht und Risiko, 1993, S. 199-235.

[14] Strafrecht und Risiko, 1993, S. 261-319 (zum Einzug des Risikogedankens in das Strafrecht, S. 320-363 zur mit der Risikoerhöhungslehre angestoßenen Risikodogmatik.

[15] Vgl. auch Silva-Sanchez (o. Fn. 3, S. 18 m.w.N. zu diesem Befund aus dem deutschen und italienischen Schrifttum), der den spanischen Reformgesetzgeber 1995 dahingehend zitiert, es gebe eine „Antinomie zwischen dem Prinzip minimaler (staatlicher strafrechts-) Intervention und das wachsende Schutzbedürfnis in einer immer komplexer werdenden Gesellschaft“.

[16] Vgl. jetzt Günter Heine, Die Strafrechtswissenschaft vor den Aufgaben der Zukunft, in: Eser/ Hassemer/ Burkhard (Hrsg.), Die deutsche Strafrechtswissenschaft vor der Jahrtausendwende, 2000, S. 397 ff. [405]: „Strafrecht ist nicht mehr reaktiv und punktuell angelegt, sondern prospektiv und flächig.“

[17] Hellmuth Mayer, Strafrechtsreform für heute und morgen, 1962, S. 15.

[18] Vgl. dazu: Strafrecht und Risiko, 1993, S. 263.

[19] Im Sinne von § 125 Abs. 1 Nr. 1 StGB, also als „Einsatz physischer ... Kraft durch aggressives positives Tun ..., mit dem unmittelbar auf Menschen oder Sachen ... eingewirkt wird.“ (Lackner/Kühl, StGB, 23. Aufl., 1999,  § 125 Rn 4.

[20] Etwas das Handeltreiben mit biologischen oder chemischen Waffen, eine Straftat gemäß § 20 Abs. 1 Nr. 1 Kriegswaffenkontrollgesetz oder das bloße Fördern des Handeltreibens gemäß Abs. 1 Nr. 2 dieser Vorschrift, oder aber das Nichtabliefern radioaktiver Abfälle unter Verletzung verwaltungsrechtlicher Pflichten gem. § 326 Abs. 3 StGB.

[21] Vgl. zu diesem Begriffspaar Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, 1984, S. 26.

[22] Vgl. die treffende – die Problematik offenlegende und (gerade deswegen?) auf Kritik gestoßene (vgl. vor allem Rogall, FS Kölner Fakultät, 1988, S. 505 ff.) Charakterisierung der gemäß § 324 strafbaren Gewässer­verun­reini­gung als „Kumulations­delikt“ durch Kuhlen (GA 1986, 389 ff.).

[23] Speziell für das Umweltstrafrecht ebenso: Höpfel, Die internationale Dimension des Umweltstrafrechts, in: Schmoller (Hrsg.), Trifffterer-F, 1996, . 425 ff 428.

[24] Vgl. ähnlich schon Hassemer, der die „Karriere des Präventionskonzepts im modernen Strafrechtsdenken“ (JuS 1987, 258) konstatiert und bald darauf symbolisches strafrecht als „Kennzeichen modernen Strafrechts“ (NStZ 1989, 554) bezeichnet: der Zusammenhang liegt darin begründet, so Hassemer, daß das symbolische Strafrecht einen „Ausweg aus dem Präventionsdilemma“ (NStZ 1989, 558) des Strafrechts zu weisen scheint.

[25] Vgl. dazu im Zusammenhang der Bekämpfung der AIDS-Gefahren anschaulich: Ulfrid Neumann, Das Risiko des Risiko-Strafrechts. Zur Funktion des Strafrechts bei der Bekämpfung von HIV-Infektionen, in: HIV und AIDS im Spiegel der Wissenschaften, 1994, S. 77 ff. [88], der darlegt, nicht das Vertrauen, sondern das Misstrauen gelte es im Sinne des allein erfolgversprechenden Schutzes durch eigenverantwortliches Verhalten zu stärken.

[26] Ähnlich Michalke, (o. Fn. 2), S. 102 f.

[27] Das gilt für das in Deutschland sogenannte „internationale Strafrecht“ der §§ 3-7 und 9 D-StGB, die die An­wendbarkeit deutschen Strafrechts auf Taten mit fremdstaatlichen Bezug regeln, es gilt aber auch für das wirklich „internationale Strafrecht“, das in Deutschland „Völkerstrafrecht“ genannt wird, von dem man in späteren Jahren vielleicht sagen wird, dass unverständlicherweise die wichtigsten Rechtsgüter des Planeten nicht aufgenommen, und die ihn existenziell bedrohenden Gefahren nicht Gegenstand international-strafrechtlicher Prävention wurde.  Vgl. auch: Höpfel, Die internationalen Dimension des Umweltstrafrechts, in: Schmoller (Hrsg.), Triffterer-FS, 1996, 425 ff.

[28] Vgl. Michalke (o. Fn. 2), S. 100 f. m. w. N.

[29] Vgl. grundsätzlich Prittwitz, ZStW 113 (2001), 774 ff.

[30] Prittwitz, (o. Fn. 29), S. 796 f.

[31] Vgl. die grundlegende Arbeit von Paeffgen, in: Dencker u.a. (Hrsg.), FS für Stree und Wessels, 1993, S. 587 ff.

[32] Vgl. dazu jüngst von der Grün, Garantenstellung un Anzeigepflichten von Amtsträgern im Umweltbereich, 2003, und die Rezension bei Ransiek, ZStW 121 (2009),  165 ff.

[33] Ransiek, (o. Fn. 32), S. 165.

[34] A.a.O.

[35] Vgl. die Arbeit von Julia Martin, Sonderdelikte im Umweltstrafrecht, 2006 und die rezension bei Ransiek, ZStW 121 (2009), 162 ff.

[36] Vgl. dazu jetzt  Prittwitz, Perfektionierte Kontrolldichte und rechtsstaatliches Strafrecht, in: Beulke u.a. (Hrsg.), Das Dilemma des rechtsstaatlichen Strafrechts,  2009, S. 185 ff.