L’errore nella misura, l’errore nella norma: la trap-line come fattore di collasso epistemico e processuale nel diritto penale della pesca

di Daniela MAINENTI

L’articolo analizza la crisi epistemica generata dall’uso della trap-line nella pesca del pesce spada nel Mediterraneo, evidenziando come l’innovazione tecnologica possa alterare i presupposti di verità su cui si fondano le sanzioni penali e amministrative e le cadute nel processo penale. Il modello classico C = q·E·N, che lega catture, sforzo e abbondanza, viene sovvertito dal carattere non stazionario della catturabilità (q), la cui media varia nel tempo (E(qₜ) ≠ E(qₜ₊₁)). Tale instabilità rende gli indici CPUE inaffidabili, generando fenomeni di effort-creep e iper-stabilità che falsano la percezione dello stato dello stock. Ne deriva una perdita di coerenza tra dato tecnico e norma, che mina la funzione probatoria delle misure cautelari e sanzionatorie nel diritto della pesca. L’articolo dimostra come l’aumento della varianza di q riduca la probabilità di superare la soglia decisionale (θ), conducendo il giudice in una condizione strutturale di errore epistemico. Si propone una rifondazione del metodo probatorio in materia ambientale, capace di distinguere tra incertezza naturale e incertezza normativa, in linea con i principi di proporzionalità e giusto processo sanciti dalla CEDU, restituendo al diritto la capacità di governare criticamente la scienza.

Parole chiave: trap-line; catturabilità; CPUE; epistemologia giuridica; processo penale; CEDU.

The article examines the epistemic crisis generated by the use of the trap-line in Mediterranean swordfish fisheries, showing how technological innovation can distort the very foundations of truth on which penal and administrative sanctions—and the dynamics of the criminal process—are based. The classical model C = q·E·N, linking catch, effort, and abundance, is overturned by the non-stationary nature of catchability (q), whose expected value varies over time (E(qₜ) ≠ E(qₜ₊₁)). This instability renders CPUE indices unreliable, generating effort-creep and hyperstability phenomena that falsify the perception of stock status. A loss of coherence emerges between technical data and legal norm, undermining the probative value of precautionary and sanctioning measures in fisheries law. The paper demonstrates that as the variance of q increases, the probability of exceeding the decision threshold (θ) decreases, placing the judge in a structural epistemic error condition. It advocates for a renewed evidentiary method in environmental law, capable of distinguishing natural uncertainty from normative uncertainty, in accordance with the principles of proportionality and fair trial under the ECHR, thereby restoring to law the critical authority to govern science.

Keywords: trap-line; catchability; CPUE; legal epistemology; criminal process; ECHR.

In Italia il regime sanzionatorio in materia di pesca è strutturato su due grandi pilastri: le sanzioni amministrative pecuniarie e le sanzioni penali. Questi strumenti operano in un contesto regolato sia dal diritto nazionale che dal diritto dell’Unione europea. A livello nazionale, il Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 (“Disciplina della pesca marittima e delle acque interne”, che recepisce la direttiva IUU della UE) introduce la base normativa, stabilendo che sono vietate alcune condotte in materia di pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata. La legge di riforma ambientale e ittico-marina, in particolare la Legge 28 luglio 2016, n. 154, ha poi rafforzato il quadro sanzionatorio introducendo sanzioni amministrative severe, fino a decine di migliaia di euro, nonché misure accessorie quali la sospensione della licenza di pesca. In parallelo, il diritto europeo impone da un lato l’obbligo per gli Stati membri di prevedere un efficace sistema di controlli, sanzioni e misure coerenti con la politica comune della pesca (PCP) e con il regolamento IUU, dall’altro richiede che le misure siano proporzionate, dissuasive e realmente applicate. Dal punto di vista della natura giuridica, le sanzioni si distinguono: quelle amministrative pecuniarie sono misure di natura non-penale (anche se gravose) e sono irrogate senza che sia necessario instaurare un processo penale; esse si affiancano a misure accessorie quali la sospensione della licenza, il divieto di pesca o l’interdizione dall’attività, come previsto dalla legge 154/2016. Le sanzioni penali intervengono invece nelle fattispecie più gravi (uso di attrezzi vietati, pesca di specie protette, pesca non dichiarata, illeciti strutturati) e possono comportare arresto, ammenda, confisca degli attrezzi e delle imbarcazioni. Sul piano dell’effettività, emerge, pertanto, una situazione ibrida: formalmente il sistema sanzionatorio appare abbastanza articolato e adeguato (con un range sanzionatorio che varia da migliaia a decine di migliaia di euro per gli illeciti amministrativi, e pene penali per le violazioni più gravi) ma nella pratica vi sono criticità rilevanti: controlli non sempre capillari, difficoltà di monitoraggio e vigilanza, limitata conferma delle misure nell’ambito delle attività reali di pesca. Per esempio, pur essendo previste sanzioni elevate, la loro applicazione effettiva sul territorio spesso è ostacolata da risorse insufficienti per la vigilanza, da difficoltà identificative degli attrezzi illegali o non riconosciuti, e dall’asimmetria informativa tra l’operatore di pesca e l’autorità di controllo. In questi termini, la deterrenza appare attenuata: se la probabilità di accertamento è bassa, l’effetto preventivo delle sanzioni si riduce. Inoltre, in sede comunitaria è stato osservato che la mancata sanzione efficace degli attrezzi non riconosciuti o non tipizzati (come nel caso tecnico di cui stiamo discutendo) può minare la coerenza del sistema regolatorio e la fiducia nei dati scientifici su cui si fondano le misure di gestione. In conclusione, a ottobre 2025 in Italia il sistema sanzionatorio in materia di pesca è formalmente robusto dal punto di vista legislativo e coerente con le norme unionali, ma la sua reale efficacia sul campo risente di lacune operative e di controllo, il che comporta che la deterrenza e la coerenza tra norma, misura e applicazione restino parziali. Ciò ha comportato una frattura strutturale tra la dimensione normativa e la dimensione fattuale, tra la forma giuridica della sanzione e la sua sostanza applicativa, tra la previsione di un sistema punitivo formalmente coerente con il diritto dell’Unione europea e la realtà di un mare in cui la regola resta spesso un’astrazione, sospesa tra la burocrazia e l’inerzia. L’effetto più evidente è stato l’emersione di una sorta di diritto penale e amministrativo della pesca “a bassa intensità”, che esiste sulla carta ma non produce un reale mutamento di condotta nei soggetti obbligati, perché non è sostenuto da un’effettiva capacità di controllo e di accertamento tecnico. L’inadeguatezza dei mezzi di vigilanza, la carenza di personale formato, la scarsa interoperabilità tra i dati delle Capitanerie, dell’ICCAT, della Guardia di Finanza e del Ministero dell’Agricoltura, nonché la lentezza dei procedimenti sanzionatori, hanno generato una sistematica diluizione dell’efficacia del diritto. Si è formata così una zona grigia di non responsabilità, in cui l’uso di attrezzi non autorizzati, l’alterazione dei dati di cattura, la falsificazione dei logbook o la dichiarazione parziale delle quantità pescate vengono percepiti non come condotte penalmente rilevanti ma come normali variabili di adattamento economico. Tale percezione è devastante, perché in un settore regolato da norme di derivazione unionale fondate sul principio di precauzione e di sostenibilità, l’inerzia equivale alla negazione della norma. In termini sistemici, l’assenza di deterrenza reale ha trasformato la violazione da evento patologico in elemento fisiologico del sistema, spostando il diritto della pesca dal piano della prevenzione al piano della tolleranza. Ne derivano tre effetti concatenati: un’inefficacia sostanziale delle sanzioni amministrative, una sovraesposizione del giudice penale a materie che dovrebbero restare amministrative e un’erosione della credibilità dell’intero impianto regolatorio internazionale. La trasparenza con le norme unionali, così spesso invocata, si traduce nella pratica in un’adesione formale senza attuazione materiale, un fenomeno di “compliance apparente” che l’Unione stessa ha iniziato a monitorare con crescente inquietudine nei report 2024-2025 della DG Mare. In questo quadro, l’effetto della scarsa effettività non è solo economico o ambientale, ma eminentemente processuale: la distanza tra legge e realtà alimenta un contenzioso che si arena in procedimenti privi di riscontri oggettivi, in cui la prova della condotta e del danno si dissolve nell’assenza di dati verificabili. E quando la prova si dissolve, l’intero sistema della responsabilità, penale e amministrativa, implode. In sostanza, l’inefficacia delle sanzioni ha comportato la perdita della funzione di prevenzione generale e speciale, la proliferazione di comportamenti opportunistici, la sfiducia delle marinerie virtuose e l’espansione di una zona di impunità tecnica in cui il diritto, pur esistendo, non incide più sul reale. Il diritto penale della pesca, in quanto ramo del diritto ambientale penale, vive, come è noto, di una tensione permanente tra realtà scientifica e costruzione giuridica. Tutto ciò che si punisce o si tollera, tutto ciò che si misura per stabilire la gravità o la legittimità di una condotta, dipende dall’attendibilità del dato scientifico sullo stato della risorsa. Quando quel dato diventa inaffidabile, anche la norma — che di quel dato è conseguenza — smarrisce la propria razionalità. L’attrezzo denominato trap-line, di recente diffusione nel Mediterraneo, oggetto della presente analisi, ne è un esempio paradigmatico: la sua natura tecnica, ibrida tra palangaro e rete d’impigliamento, altera i fondamenti matematici della valutazione biologica e produce un effetto domino che arriva fino al cuore del processo penale. A conferma di ciò, gli sviluppi più recenti della ricerca scientifica e istituzionale nel 2025 hanno offerto prove empiriche e riconoscimenti ufficiali che mutano radicalmente il quadro di riferimento. Il report del Comitato Scientifico per la Pesca della Commissione Europea (STECF, marzo 2025) , a pagina 98, ha infatti raccomandato la classificazione della trap-line come un nuovo tipo di attrezzo da pesca , non assimilabile al palangaro tradizionale, rilevando che la cattura non è imputabile all’azione dell’amo ma al fenomeno meccanico “ dell’impigliamento”. Lo stesso documento avverte che tale anomalia altera la comparabilità delle serie Catch per Unit Effort e compromette la trasparenza dei dati di reporting a ICCAT e alla DG Mare, suggerendo l’istituzione di un codice specifico di gear e la revisione delle serie storiche.

A questa presa di posizione ufficiale si affianca lo studio Garibaldi et al. (SCRS/2025/199) , che dimostra con dati sperimentali raccolti nel Tirreno e nel Canale di Sicilia come le rese della trap-line siano superiori anche del 400% rispetto ai palangari derivanti, ma secondo una relazione non lineare con la densità dello stock.

In termini matematici, ciò implica che la catturabilità q non è più costante ma funzione di variabili ambientali e operative. Entrambe le fonti convergono, a quanto si legge, su un punto essenziale: la trap-line introduce un elemento di distorsione epistemica che rende le stime di abbondanza non comparabili, e di conseguenza inaffidabili come base per le politiche di conservazione e per la quantificazione giuridica dell’offesa

È, dunque, la prima volta che la Commissione Europea riconosce ufficialmente che un attrezzo già diffuso nel Mediterraneo genera un effetto di opacità sistemica nei dati su cui si fondano le decisioni di gestione e di enforcement. Per comprendere l’origine di tale rottura bisogna partire dal principio matematico che regge il sistema di monitoraggio internazionale delle specie pelagiche. Tutta la scienza della gestione ittica si basa su un indicatore di abbondanza: la Catch per Unit Effort (CPUE), definita come il rapporto fra la cattura (C) e lo sforzo (E). Il modello presuppone che C sia proporzionale alla densità della popolazione (N), con una costante di proporzionalità q, detta catchability coefficient, cioè C = q·E·N.

È un modello di proporzionalità diretta, e quindi l’indice CPUE = C/E = q·N è una stima lineare dell’abbondanza. La condizione perché questo valga è che q resti costante nel tempo. Ma l’introduzione della trap-line altera questa costanza. Infatti la resa dell’attrezzo, come documentato dagli studi ICCAT, è superiore del 50%–400% a quella del palangaro ordinario, ma in modo non proporionale: varia secondo la fase lunare, la corrente, la profondità e la densità locale del pescespada.

In termini formali, la catturabilità q diventa funzione di più variabili: q = f(t, L, d, A, ρ), dove L è la luminosità, d la profondità, A l’assetto e ρ la proporzione di trappoline sull’unità di sforzo.

In tale condizione la derivata ∂C/∂N non è più costante ma variabile, e il rapporto C/E non è più proporzionale a N.

Si può dimostrare che se la catturabilità cresce in modo non lineare con lo sforzo, il bias relativo dell’indice è dato da B = (∂q/∂E) ·(E/N); se B ≠ 0, la CPUE non è più un indicatore consistente

E questo è il primo collasso: l’errore nella misura produce una sovrastima sistematica dell’abbondanza. E poiché l’intero diritto sanzionatorio della pesca si fonda sul presupposto che lo sforzo consentito sia compatibile con lo stock, l’effetto normativo è che il margine di legalità si dilata fittiziamente. Si creano così condizioni di apparente conformità per condotte che, in realtà, aggravano la pressione sullo stock. L’errore scientifico si trasforma in vuoto penale.

Ma la questione non è solo epistemica: è processuale.

Nel procedimento penale per violazione della normativa sulla pesca illegale, l’accertamento dell’offesa ambientale si basa su indicatori quantitativi che discendono da dati ICCAT e FAO. La ratio delle incriminazioni in materia di attrezzi vietati e misure di tutela della fauna marina è fondata sulla prova dell’idoneità della condotta a incidere sull’equilibrio della risorsa. Se la misura scientifica che quantifica l’impatto è inficiata, anche la prova della pericolosità diventa incerta. Il nesso di causalità, già labile nei reati ambientali, viene spezzato da un errore di scala. Il processo, che dovrebbe ricostruire la realtà storica del fatto, si trova così a operare su una realtà probabilistica deformata da una catturabilità anomala. Il diritto penale, che pretende certezza, si trova a dover giudicare su dati che non hanno più valore probabilistico ma aleatorio. La differenza è sottile ma decisiva: la probabilità si fonda su un modello stazionario, l’alea su un sistema in cui le variabili non sono osservabili. È la differenza tra lanciare un dado equilibrato e lanciare un dado che cambia peso a ogni lancio. Nella trappolina, il “dado” della cattura cambia a ogni set di pesca. Formalmente, se la probabilità di cattura P(C|N) nel palangaro è costante e pari a q, nella trap-line è una variabile casuale con distribuzione P(C|N) = ∫ f(q|X)·q·N·dX, dove X è il vettore delle condizioni ambientali. In un tale modello, la varianza di q è non nulla e dipende dal tempo, cioè Var(q) = σ²(t) > 0. Il principio di inferenza statistica che regge le valutazioni dello stock — la convergenza della media verso il valore atteso — non è più applicabile, perché E(q_t) ≠ E(q_{t+1}). Da ciò deriva che ogni prova scientifica fondata sulla CPUE perde la sua proprietà di consistenza asintotica, e dunque la sua qualità di “fatto certo” ai sensi dell’art. 192 c.p.p. L’autorità giudiziaria che utilizzi tali dati per stabilire la gravità della condotta o il danno ambientale opera su una base non verificabile. Le conseguenze sul piano delle misure cautelari personali sono ancora più gravi. Il giudice per le indagini preliminari, quando valuta l’applicazione della custodia cautelare per violazione della normativa sulla pesca o per disastro ambientale, deve fondarsi su due elementi: la gravità indiziaria e le esigenze cautelari. Se l’indizio tecnico-scientifico è costruito su una misura alterata, la gravità indiziaria viene minata dall’interno. Non è più possibile affermare, neppure in termini di probabilità qualificata, che l’attività del pescatore abbia inciso in modo apprezzabile sullo stock. E tuttavia, poiché l’attrezzo stesso (la trap-line) è vietato o non riconosciuto, la mera detenzione o l’uso possono integrare un reato di pericolo astratto. Nasce così un paradosso processuale: si è di fronte a un comportamento formalmente illecito ma sostanzialmente indeterminabile nel suo impatto; l’autorità giudiziaria è costretta a scegliere tra un garantismo sterile e un ambientalismo cieco. La misura cautelare, che dovrebbe essere strumento di prevenzione, rischia di trasformarsi in strumento di supplenza epistemica, ossia di reazione all’incertezza del dato scientifico. In termini più tecnici, la probabilità di reiterazione del reato (art. 274 lett. c c.p.p.) non può essere calcolata se non è conoscibile la probabilità di impatto reale della condotta: l’incertezza scientifica si trasmette all’incertezza prognostica. E poiché la misura cautelare è fondata su un giudizio probabilistico a contenuto predittivo, l’instabilità della variabile scientifica rende l’intera struttura cautelare epistemicamente insostenibile. Dal punto di vista della teoria generale della prova, ciò che la trap-line introduce è un errore di tipo systemic bias : un errore non occasionale, ma strutturale, che rende falsi non solo i dati ma anche le inferenze logiche costruite su di essi. La prova scientifica non è più riproducibile, e dunque non è “certa” neppure in senso processuale. E qui si apre il precipizio più profondo: l’impossibilità di separare, nel giudizio, il fatto tecnico dal fatto giuridico. Il giudice, che dovrebbe limitarsi a valutare il dato scientifico, si trova costretto a scegliere quale scienza credere, perché la scienza stessa non offre più un indice verificabile. È il crollo della pretesa di oggettività su cui si fonda l’intero edificio del processo penale ambientale. Infine, la questione tocca anche le misure cautelari reali. L’art. 321 c.p.p. consente il sequestro preventivo dell’attrezzo quando esso sia strumentale al reato o possa aggravarne le conseguenze. Ma come può il giudice valutare la “pericolosità intrinseca” dell’attrezzo se la sua efficacia non è misurabile? La trap-line è un oggetto che produce un risultato variabile e imprevedibile, quindi non classificabile secondo criteri tecnici tipizzati. In assenza di un dato oggettivo sull’aumento di resa o sulla selettività, la misura cautelare reale rischia di essere disposta sulla base di una presunzione induttiva, non di una verifica empirica. Si tratta, platealmente, il rovesciamento della logica processuale: la misura preventiva si fonda non più sul pericolo dimostrato, ma sul pericolo epistemico, ossia sulla difficoltà di conoscere. È la materializzazione giuridica dell’incertezza scientifica. Da un punto di vista strettamente matematico, si può rappresentare tale effetto con un’equazione semplice: se P è la probabilità che la condotta produca danno ambientale e D la decisione cautelare di applicare la misura, la coerenza del sistema richiede che P(D|C) ≥ θ, dove θ è la soglia di credibilità imposta dal diritto (una probabilità qualificata).

Ma quando la varianza della misura scientifica cresce, Var(q) → σ² elevato, la distribuzione di P(D|C) si allarga, e la probabilità effettiva che il giudice superi la soglia θ diventa minore di 0,5: il sistema giudiziario si trova, statisticamente, in una condizione di errore di tipo I (applicazione di misura ingiustificata) o di tipo II (mancata misura a fronte di pericolo reale) senza possibilità di riduzione dell’errore mediante aumento del campione. In altre parole, il processo penale non può più convergere verso la verità, perché la verità è aritmeticamente indeterminata. In conclusione, la trap-line non è solo un attrezzo di pesca non riconosciuto: è un moltiplicatore d’incertezza che penetra fino al nucleo del processo penale, trasformando l’errore scientifico in errore giudiziario. L’innovazione tecnologica, tale sarebbe agli occhi di molti l’introduzione delle trap-line, non mediata da validazione normativa e controllo metodologico, crea, in realtà un varco nel sistema probatorio e cautelare, perché sposta l’intera procedura da un piano di proporzionalità verificabile a un piano di casualità non controllabile. In un sistema di diritto fondato sull’accertamento razionale del fatto, questa trasformazione è letale. Il diritto, senza una misura certa, non può più distinguere tra colpa e caso. E nel mare aperto della conoscenza incerta, la giustizia rischia di navigare senza bussola.

Bibliografia

Fonti normative e istituzionali

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