TAR Lombardia (BS) Sez. II n. 2152 del 27 maggio 2010
Ambiente in genere. Industrie insalubri
L'installazione nell'abitato (o in prossimità di questo) di una industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, dal momento che lo stesso art. 216 del T.U.L.S. n.1265 del 1934, lo consente in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02152/2010 REG.SEN.
N. 00747/2000 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 747 del 2000, proposto da:
Capelli Giacomo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Donatella Costantini, Gianni Morabito e Alessandro Pagano, con domicilio eletto presso Gianni Morabito in Brescia, via Romanino, 12;
contro
Comune di Sedrina, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Marchesi, ex lege domiciliato in Brescia, via Malta, n. 12, presso la Segreteria del Tribunale Amministrativo Regionale;
nei confronti di
A.S.L. di Bergamo, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
per quanto attiene al ricorso introduttivo:
- del provvedimento del 29.5.00, n. 2464, di diffida a proseguire l’attività di carrozzeria;
per quanto attiene al ricorso per motivi aggiunti:
- del provvedimento dell’8.9.01, n. 5454/00 di diniego del rilascio di nullaosta all’esercizio dell’attività di autocarrozzeria e conseguente ordine di chiusura della stessa.
Visto il ricorso con i relativi allegati ed il successivo ricorso per motivi aggiunti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sedrina;
Viste le ordinanze di questo Tribunale n. 499/2000, n. 621/2000 e n. 832/2001;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2010 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
A seguito di una visita ispettiva del Servizio d’igiene pubblica ambientale e tutela della salute nei luoghi di lavoro, avvenuto in data 9 settembre 1998 presso i locali in cui il sig. Capelli esercita da vent’anni un’impresa di carrozzeria, allo stesso veniva prescritto di provvedere a denunciare e verificare l’impianto di messa a terra della carrozzeria e a sottoporre a visita medica obbligatoria i tre dipendenti che non lo sono stati regolarmente, nonché di adottare alcuni accorgimenti nello stoccaggio dei rifiuti, senza che, peraltro, sotto tale profilo fosse stata accertata alcuna violazione passibile di sanzione.
La relazione di servizio sul sopralluogo veniva, in data 28 settembre 1998, trasmessa anche al Sindaco del Comune di Cedrina, con una nota nella quale il suddetto Servizio d’igiene faceva presente che: “rimanendo in attesa dei provvedimenti che saranno assunti in merito all’acquisizione dei certificati di licenza d’uso e nulla osta all’esercizio, si ritiene opportuno che la S.V. quale autorità sanitaria locale provveda ad ordinare al titolare della ditta il rispetto delle prescrizioni contenute nella presente relazione”.
In ragione di tale comunicazione e della circostanza per cui l’attività risultava insediata in zona residenziale, nonché della riscontrata assenza di un certificato di agibilità dei locali, il Sindaco, con ordinanza n. 25, prot. n. 3904 del 9 ottobre 1998, ha disposto la sospensione immediata dell’attività lavorativa di carrozzeria.
A seguito della formulazione, nell’ambito del ricorso presentato avverso il suddetto provvedimento, della domanda incidentale di sospensione cautelare degli effetti del provvedimento, il Sindaco stesso, in autotutela, con provvedimento del 30 novembre 1998, ha disposto in via amministrativa la suddetta sospensione, fino alla pronuncia definitiva sulla legittimità del provvedimento impugnato da parte del giudice amministrativo.
Il successivo 20 maggio 2000, però, il responsabile dell’Ufficio tecnico, con provvedimento prot. n. 2464, accertato che l’attività era esercitata dal sig. Capelli in assenza di licenza d’uso e nulla osta all’esercizio, vista l’incompatibilità con la normativa urbanistica, richiamato l’art. 3.1.4. del Regolamento Locale d’igiene, nonché la comunicazione dell’ASL del 4 maggio 2000, ha diffidato lo stesso sig. Capelli a cessare, entro 30 giorni dalla notifica, l’esercizio dell’attività di carrozzeria.
Anche tale provvedimento è stato impugnato, deducendo:
1. incompetenza dell’organo emanante, in quanto il potere di diffida a cessare attività produttive deve ritenersi conservato in titolarità dal Sindaco, come parrebbe confermato dal fatto che tutta l’attività prodromica sarebbe stata posta in essere da quest’ultimo;
2. eccesso di potere per erronea rappresentazione e travisamento dei fatti, nonché violazione o errata applicazione dell’art. 35, comma 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, del Regolamento locale di igiene e dell’art. 216 del T.U.L.S.. Parte ricorrente ha evidenziato come l’autorizzazione di agibilità sarebbe in re ipsa nel rilascio della concessione in sanatoria avvenuto il 16 febbraio 1998 (n. 39/98). In ordine alla mancanza del nulla osta all’esercizio dell’attività di carrozzeria, il responsabile del Servizio avrebbe trascurato di considerare che già il 9 dicembre 1978 il sig. Capelli aveva comunicato al Comune l’inizio della propria attività, così come previsto dalla normativa allora vigente, che non imponeva l’obbligo del nulla-osta preventivo, introdotto solo nel giugno del 1985. Sin dal 1983, peraltro, il ricorrente è stato autorizzato dal Comune all’apposizione di cartelli pubblicitari ed ha provveduto a pagare l’ICIAP, dal che se ne potrebbe dedurre, secondo il medesimo, la contradditorietà del comportamento del Comune;
3. violazione e mancata applicazione delle N.T.A. del P.R.G.. A tale proposito parte ricorrente richiama il ricorso sub R.G. 1307/98 e le ragioni di invalidità nei confronti di una precedente diffida alla sospensione dell’attività poi autosospesa dal Comune in attesa della definizione del giudizio. Il nuovo provvedimento si porrebbe, quindi, in netto contrasto con tale precedente atto di sospensione in autotutela, posto che nulla risulta modificato alla data della sua adozione. In ogni caso il provvedimento sarebbe illegittimo, perché non è stata ravvisata la nocività dell’attività;
4. violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90: il Comune ha omesso ogni comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’adozione del provvedimento impugnato, non essendo sufficiente a sopperire alla stessa l’invio, per conoscenza, delle note con cui il Sindaco chiedeva all’ASL dei sopraluoghi, inviate in data 30 marzo 2000 e 13 aprile 2000.
Ravvisate esigenze istruttorie, questo Tribunale disponeva (ordinanza n. 499/00) il deposito del Regolamento Locale d’igiene applicato nel caso di specie, disponendo interinalmente la sospensione dell’esecuzione del provvedimento, che veniva confermata (nella camera di consiglio del 20 ottobre 2000, ordinanza n. 621/00) fino all’esito del procedimento per il rilascio del nulla osta a norma dell’art. 3.1.4. del Regolamento locale d’igiene, per richiedere il quale è stato assegnato al ricorrente un termine di 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza stessa.
Tale nulla osta è stato quindi negato con provvedimento prot. n. 5454/00, assunto in data 8 settembre, impugnato dal sig. Capelli con ricorso per motivi aggiunti, corredato della domanda incidentale di sospensione degli effetti dello stesso; sospensione concessa con ordinanza n. 832/01 del 27 novembre 2001 ritenendo che “motivi di incompatibilità di natura urbanistica, peraltro non sufficientemente specificati, non sono idonei a motivare il diniego di rilascio del nulla osta abilitativi all’esercizio di una attività rispettosa della normativa di tutela igienico-sanitaria”.
Invero con tale ricorso per motivi aggiunti sono state dedotte le seguenti doglianze:
1.1. incompetenza dell’organo emanante, al pari di quanto dedotto nel ricorso introduttivo;
2.1. eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, erronea rappresentazione, violazione dell’art. 216 del R.D. 1265/1934 e delle N.T.A. del P.R.G.. Il Comune, anziché procedere all’accertamento in concreto dalla compatibilità dell’attività si sarebbe limitato a prendere atto del fatto che l’ASL ha comunicato come niente fosse innovato rispetto al passato, essendo rimasto immutato il contrasto tra destinazione residenziale ed esercizio dell’attività in questione, ma omettendo di precisare che la norma consente comunque l’esercizio delle attività insalubri se il gestore ne dimostri la non nocività. Dimostrazione che, secondo parte ricorrente, sarebbe ampiamente avvenuta ad opera dal gestore, mediante la produzione di una relazione tecnica compilata ai sensi dell’art. 3.1.9. del Regolamento d’igiene, nonché di una relazione predisposta sin dal 22 giugno 1989 ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 203/88, nella quale si certificava l’esistenza di un impianto di abbattimento delle emissioni inquinanti;
3.1. ulteriore eccesso di potere per erronea rappresentazione e/o travisamento dei presupposti. Contrariamente a quanto si legge nel provvedimento impugnato (e cioè che il ricorrente non avrebbe corredato la propria richiesta di alcuna documentazione che attesti l’idoneità dei locali all’esercizio dell’attività in essi esercitata, né risulta che siano state fatte opere), parte ricorrente evidenzia come la domanda fosse accompagnata da numerosi documenti atti a dimostrare l’idoneità dell’attività, rispetto a cui, peraltro, dal 1998 al 2001 non sono mai state riscontrate carenze.
Nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza n. 420 del 2010 con cui è stato accolto il ricorso sub R.G. 1307/98, avente ad oggetto la precedente diffida a sospendere l’attività in questione.
In relazione sia al ricorso introduttivo, che al successivo ricorso per motivi aggiunti, si è costituito in giudizio il Comune, eccependo l’infondatezza degli stessi. Il provvedimento sarebbe, infatti, stato legittimamente adottato dal Responsabile del Servizio, non trattandosi di ordinanza contingibile ed urgente, ma di semplice ottemperanza alla legge che impone la cessazione di attività esercitate in assenza del prescritto nulla osta.
Inoltre, il rilascio della concessione in sanatoria non comporterebbe automaticamente l’implicita autorizzazione di agibilità e comunque il nullaosta previsto dagli artt. 2.7.1. e 2.7.2. del Regolamento locale di igiene sarebbe stato necessario anche il relazione alle attività preesistenti rispetto all’entrata in vigore del medesimo, in particolare laddove prevede che “la comunicazione preventiva deve essere altresì fatta in caso di ampliamento, ristrutturazione e modificazione del ciclo produttivo, delle strutture edilizie e degli impianti”.
Con riferimento alla ravvisata carenza di istruttoria il Comune ha evidenziato come in realtà il parere di adeguatezza delle emissioni rilasciato dall’ASL ed invocato da parte ricorrente riguarderebbe solo l’impianto di verniciatura e non anche la totalità dell’attività, mentre la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stata superflua, non solo perché il Capelli era comunque a conoscenza dell’esistenza di un procedimento relativo alla sua attività, ma in ogni caso i provvedimenti impugnati non sarebbero lesivi, poiché non equiparabili ad una formale ordinanza di chiusura dell’attività.
In vista della pubblica udienza il Comune di Sedrina ha ribadito come, a proprio modo di vedere, ai sensi dell’art. 216 del Testo Unico 27 luglio 1934, n. 1265, l’installazione nell’abitato di una industria insalubre sarebbe permessa purchè chi esercita la relativa attività provi che non arreca nocumento alla salute del vicinato: prova che nel caso di specie sarebbe mancata.
Anche parte ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha ribadito quanto già dedotto nel ricorso introduttivo e nei successivi motivi aggiunti, in particolare avversando l’eccezione di infondatezza della censura di incompetenza. Secondo parte ricorrente, infatti, il regolamento locale di igiene attribuiva al Sindaco, alla data di adozione del provvedimento in questione, la competenza a disporre la cessazione delle attività esercitate in assenza del prescritto nulla-osta. In ogni caso la disposta cessazione sarebbe illegittima, in quanto, anche nella denegata ipotesi in cui si ritenesse che l’attività del sig. Capelli, benché iniziata nel 1978, necessitasse, in conseguenza della sopravvenuta disciplina, di un nulla-osta alla prosecuzione della stessa, l’assenza di quest’ultimo avrebbe potuto al più determinare l’intimazione al ricorrente di dotarsi di tale nulla-osta e non anche l’ordine di cessare immediatamente l’attività.
Il giorno fissato per la trattazione della causa in pubblica udienza, parte ricorrente ha depositato una relazione tecnica sull’impatto ambientale dell’attività in questione, che il Collegio non ha potuto acquisire stante la contrarietà di controparte al deposito fuori termine.
Con tale precisazione, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Non merita accoglimento la prima censura.
Il Collegio ritiene, infatti, a tale proposito, di poter condividere quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente in ordine al fatto che il provvedimento sarebbe stato legittimamente adottato dal Responsabile del Servizio, non trattandosi di ordinanza contingibile ed urgente, ma di semplice atto esecutivo, di ottemperanza alla legge che impone la cessazione di attività esercitate in assenza del prescritto nulla osta.
Con riferimento alla ravvisata mancanza di agibilità, invece, il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dal proprio recente precedente secondo cui l’autorizzazione in questione deve ritenersi implicita nel rilascio della concessione in sanatoria.
Peraltro proprio il fatto che le opere di ampliamento dell’insediamento produttivo in questione abbiano formato oggetto di richiesta di rilascio di concessione in sanatoria (formulata, quindi, in un momento in cui era chiaramente evidenziato come le opere fossero finalizzate all’esercizio dell’officina) senza che il Comune chiedesse alcuna integrazione in ordine alla “comunicazione preventiva” di cui all’art. 2.7.1. del Regolamento locale di igiene vale ad escludere la legittimità del provvedimento che ha ordinato la sospensione dell’attività sulla scorta del mancato ottenimento del nullaosta in questione.
In ogni caso, seguendo l’atteggiamento prudenziale adottato da questo Tribunale con l’ordinanza n. 621/00, in ragione del quale è stata ravvisata l’opportunità di subordinare il prosieguo dell’attività all’ottenimento di quel nulla-osta che è stato introdotto dalla normativa sopravvenuta, deve comunque trovare accoglimento il ricorso per motivi aggiunti, con conseguente caducazione degli atti impugnati con quest’ultimo e con quello precedente, attesa l’insufficienza dell’istruttoria che ha condotto all’adozione del provvedimento, privo di un’adeguata motivazione.
A tale proposito, si deve precisare che quanto sostenuto dal Comune in ordine all’adeguatezza della diffida in ragione delle osservazioni dell’ASL - che avrebbe accertato il rispetto dei limiti delle emissioni con riferimento esclusivamente all’impianto di verniciatura - non solo rappresenta un’inammissibile integrazione postuma della motivazione del provvedimento, ma non è comunque sufficiente a motivare il provvedimento, posto che, a tal fine, si sarebbe dovuto dimostrare il mancato rispetto dei parametri di legge individuati per la compatibilità dell’attività produttiva in area residenziale.
Risulta, quindi, del tutto apodittico escludere la possibilità della continuazione dell’esercizio della attività sulla scorta della sola considerazione di una pretesa incompatibilità urbanistica, che non trova fondamento nella normativa di riferimento che, al contrario, impone una valutazione in concreto della sussistenza delle condizioni prescritte per il permanere dell’attività stessa in zona residenziale.
Né si ritiene che tali conclusioni possano porsi in contrasto con il precedente di questo Tribunale, rappresentato dalla sentenza del 12 aprile 2005, n. 311. Diversamente da quanto riportato negli scritti di parte ricorrente, in tale pronuncia si legge: “che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'installazione nell'abitato (o in prossimità di questo) di una industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, dal momento che lo stesso art. 216 del T.U.L.S. n.1265 del 1934, lo consente in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato (C.G.A., 28.11.1996, n.450; Cons. Stato, Sez.IV, 31.7.2000, n. 4214; TAR Lombardia, Brescia, 27.4.2000, n. 366; TAR Emilia Romagna, Parma, 9.2.2001, n.60; TAR Marche, 23.11.2001 n. 1201; TAR Lombardia, Brescia, 16.7.2003, n. 1095)”.
A ben vedere, quindi, la sentenza richiamata afferma proprio il principio più sopra riportato e a cui il Collegio ha ritenuto di conformarsi, secondo cui “la valutazione dell'attività produttiva sotto il profilo sanitario non può essere compiuta aprioristicamente vietando in modo generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto tale valutazione deve essere compiuta sul caso specifico da parte dell'autorità sanitaria, che deve accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica (Cfr. anche T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 29.9.1990, n. 4)”.
Ne discende l’illegittimità dell’aprioristico diniego del nullaosta in ragione della mera valutazione della destinazione dell’area in cui si trova l’immobile in cui è esercitata l’attività artigianale in questione.
Per mera completezza, nonostante il Collegio abbia ravvisato l’opportunità, di valorizzare i vizi sostanziali che inficiano la legittimità dei provvedimenti impugnati, come sopra rappresentati, appare comunque opportuno dare atto anche della fondatezza del dedotto vizio formale collegato alla mancata comunicazione di avvio del procedimento per l’adozione dell’impugnata ordinanza con cui è stata disposta la cessazione dell’attività.
Tale comunicazione deve ritenersi necessaria, considerato che, pur corrispondendo al vero il fatto che essa si è inserita in un più complesso rapporto tra Amministrazione e esercente l’attività artigianale, ciononostante essa rappresenta il provvedimento conclusivo di un procedimento assolutamente autonomo e a sé stante che ha preso l’avvio, dopo l’atto con cui, in autotutela, il Comune aveva disposto la sospensione del precedente, analogo, provvedimento, senza che il destinatario fosse stato in alcun modo messo a parte della volontà dell’Amministrazione di ripensare a tale propria determinazione.
Le spese del giudizio possono trovare parziale compensazione tra le parti in causa, atteso che il ricorrente ha manifestato un comportamento in concreto scarsamente collaborativo ai fini di dimostrare l’effettiva compatibilità, nel complesso, dell’attività con la specifica destinazione urbanistica.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sezione seconda di Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie sia il ricorso introduttivo, che quello per motivi aggiunti e per l’effetto annulla i provvedimenti con essi impugnati.
Dispone la parziale compensazione delle spese del giudizio e condanna il Comune al pagamento della restante parte, nella misura di Euro 4.000,00 (quattromila,00) oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2010