Nuova pagina 2

Corte di Giustizia Sez. II sent. 20 ottobre 2005
«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 92/43/CEE – Conservazione degli habitat naturali – Fauna e flora selvatiche»

Nuova pagina 1


SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

20 ottobre 2005(*)

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 92/43/CEE – Conservazione degli habitat naturali – Fauna e flora selvatiche»

Nella causa C-6/04,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 9 gennaio 2004,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. M. van Beek e L. Flynn, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, rappresentato dalla sig.ra C. Jackson, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra K. Smith, barrister,

convenuto,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. R. Schintgen, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dai sigg. G. Arestis e J. Klučka (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26 maggio 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 giugno 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il ricorso in esame, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, non avendo recepito correttamente le prescrizioni imposte dalla direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7, in prosieguo: la «direttiva habitat»), è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tale direttiva.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

2 Ai sensi del suo art. 2, n. 1, la direttiva habitat ha lo scopo di contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato CE.

3 In forza dell’art. 3, n. 1, della stessa direttiva, gli Stati membri designano zone speciali di conservazione (in prosieguo: le «ZSC»), per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie di interesse comunitario. Tali zone devono far parte di una rete ecologica europea denominata «Natura 2000».

4 L’art. 6 della direttiva habitat verte sulle misure necessarie per garantire la protezione delle ZSC. La sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali d’interesse comunitario è disciplinata dall’art. 11 di tale direttiva. Gli artt. 12 e 13 di essa riguardano provvedimenti per la tutela delle specie animali e vegetali. L’art. 14 è relativo al prelievo di esemplari delle specie della fauna e della flora selvatiche. L’art. 15 vieta alcuni mezzi non selettivi di cattura o di uccisione di talune specie faunistiche selvatiche. Quanto all’art. 16 della detta direttiva, esso definisce le condizioni alle quali gli Stati membri possono derogare, per determinati scopi, alle disposizioni di quest’ultima.

5 In conformità all’art. 23, n. 1, della direttiva habitat, gli Stati membri dovevano adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi ad essa entro il termine di due anni a decorrere dalla sua notifica e informarne immediatamente la Commissione. La detta direttiva è stata notificata agli Stati membri il 10 giugno 1992.

La normativa nazionale

6 I principali provvedimenti per il recepimento della direttiva habitat nel Regno Unito, rilevanti nel caso di specie, sono i seguenti:

– Il regolamento del 1994 sulla conservazione degli habitat naturali [Conservation (Natural Habitats, &c.) Regulations 1994, in prosieguo: il «regolamento del 1994»], applicabile in Inghilterra, Galles e Scozia.

– Il regolamento del 1995 sulla conservazione degli habitat naturali in Irlanda del Nord [Conservation (Natural Habitats, &c.) Regulations (Northern Ireland) 1995, in prosieguo: il «regolamento del 1995»], applicabile in Irlanda del Nord.

– L’ordinanza del 1991 relativa alla tutela della natura (Nature Protection Ordinance 1991), come modificata dal regolamento del 1995 sulla tutela della natura [Nature Protection Ordinance (Amendment) Regulations 1995, in prosieguo: l’«ordinanza del 1991»], applicabile al territorio di Gibilterra.

– La legge del 1970 relativa alla tutela delle foche (Conservation of Seals Act 1970, in prosieguo: la «legge sulle foche»).

7 L’art. 3, n. 2, del regolamento del 1994 dispone che il Secretary of State (Segretario di Stato), il Minister of Agriculture, Fisheries and Food (Ministro dell’Agricolura e dell’Alimentazione) e gli organi preposti alla tutela della natura svolgano le funzioni ad essi affidate dalla normativa in materia di tutela della natura in modo da garantire l’osservanza delle prescrizioni della direttiva habitat.

8 L’art. 3, n. 4, dello stesso regolamento prevede che, fatta salva la disposizione di cui al punto precedente, tutte le autorità competenti, nell’esercizio delle loro funzioni, tengono conto delle prescrizioni della direttiva habitat, nei limiti in cui l’esercizio di dette funzioni può incidere su tali prescrizioni.

Procedimento precontenzioso

9 Il 6 novembre 2000 la Commissione ha inviato al Regno Unito una lettera di diffida nella quale affermava che talune disposizioni della direttiva habitat non erano state recepite correttamente nel diritto interno di tale Stato membro.

10 Le autorità britanniche hanno risposto a tale lettera di diffida con lettera 27 febbraio 2001. Esse hanno riconosciuto la fondatezza della detta lettera di diffida per quanto riguarda due punti, relativi alle attività petrolifere ed attinenti al gas in mare e all’ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva habitat al di fuori delle acque territoriali, ma hanno contestato la maggior parte degli altri addebiti mossi in tale lettera.

11 Il 18 luglio 2001 la Commissione, non convinta dalle spiegazioni fornite dal Regno Unito, ha emesso un parere motivato nel quale ha ribadito gli addebiti ed ha invitato tale Stato membro ad adottare i provvedimenti necessari a conformarsi al detto parere entro due mesi a decorrere dalla sua notifica.

12 In risposta a tale parere motivato il Regno Unito, con lettera 27 novembre 2001, ha comunicato alla Commissione la propria intenzione di modificare la sua normativa per incrementare il grado di certezza del diritto e di chiarezza su vari punti in questione nel parere motivato, pur ribadendo che, in generale, i provvedimenti vigenti rispettano le disposizioni della direttiva habitat (in prosieguo: la «lettera 27 novembre 2001»).

13 Infine, con lettera 2 dicembre 2003, le autorità britanniche hanno informato la Commissione dello stato di avanzamento del processo di adozione delle modifiche alla normativa nazionale volte al migliore recepimento della direttiva habitat.

14 In tale contesto la Commissione ha deciso di presentare il ricorso in esame.

Sul ricorso

Sulla modalità di recepimento della direttiva habitat

Argomenti delle parti

15 La Commissione contesta al Regno Unito di non avere recepito adeguatamente la direttiva habitat nel suo ordinamento giuridico. In particolare, essa ritiene che tale Stato membro, commettendo un errore, abbia adottato una disposizione generale per colmare le eventuali lacune delle disposizioni specifiche dirette a provvedere a siffatto recepimento.

16 Il Regno Unito sostiene di avere recepito correttamente la direttiva habitat adottando, a tal fine, una normativa contenente non solo prescrizioni specifiche, ma anche obblighi generali e procedure amministrative. Tali obblighi generali dovrebbero essere letti congiuntamente alle prescrizioni specifiche di tale normativa, che essi andrebbero a completare, il che garantirebbe un’attuazione adeguata ed effettiva della detta direttiva.

17 Le autorità britanniche si basano in particolare sull’art. 3, nn. 2 e 4, del regolamento del 1994, le cui disposizioni equivalenti sono, per l’Irlanda del Nord, l’art. 3, nn. 2 e 4, del regolamento del 1995, e per Gibilterra l’art. 17 A dell’ordinanza del 1991. Tali disposizioni farebbero infatti obbligo ai ministri, agli organi preposti alla tutela della natura e a tutte le autorità pubbliche competenti, di svolgere le loro funzioni in modo da garantire l’osservanza delle prescrizioni della direttiva habitat.

18 Al contrario, per la Commissione le disposizioni generali fatte valere dal Regno Unito non sono abbastanza precise da garantire il recepimento nel diritto nazionale degli obblighi specifici imposti dalla detta direttiva.

19 Per determinare la portata dei loro diritti e dei loro obblighi, infatti, i singoli dovrebbero sempre riferirsi alla direttiva habitat, che non soddisfarebbe i requisiti di certezza del diritto, né le condizioni di specificità, precisione e chiarezza richieste dalla costante giurisprudenza della Corte.

20 La Commissione aggiunge che, se la Corte dovesse seguire la logica che sottende il ragionamento del Regno Unito, la detta direttiva avrebbe probabilmente potuto essere recepita interamente mediante una siffatta disposizione generale, il che contrasterebbe con l’obbligo di specificità più volte ricordato dalla giurisprudenza della Corte in materia di recepimento delle direttive.

Giudizio della Corte

21 In via preliminare, occorre ricordare che, in forza dell’art. 249, terzo comma, CE, la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi per attuare nel diritto interno la direttiva considerata. Tuttavia, per costante giurisprudenza, è vero che la trasposizione nel diritto interno di una direttiva non esige necessariamente una riproduzione formale e letterale del suo contenuto in una disposizione di legge espressa e specifica e può trovare realizzazione, in forza del suo contenuto, in una situazione giuridica generale, ma solo a condizione che quest’ultima garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva in maniera sufficientemente chiara e precisa (v., in particolare, sentenze 9 aprile 1987, causa C‑363/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 1733, punto 7, 30 maggio 1991, causa C‑361/88, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑2567, punto 15, e 7 gennaio 2004, causa C‑58/02, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑621, punto 26).

22 Al riguardo occorre determinare, caso per caso, la natura della disposizione prevista da una direttiva a cui si riferisce il ricorso di inadempimento, al fine di valutare l’estensione dell’obbligo di trasposizione che incombe agli Stati membri (v. sentenza 26 giugno 2003, causa C‑233/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑6625, punto 77).

23 Orbene, non può essere accolto l’argomento del Regno Unito secondo cui il modo più adeguato per attuare la direttiva habitat sarebbe quello di conferire specifici poteri agli enti preposti alla tutela della natura e di imporre in capo a questi un obbligo generale di svolgere le loro funzioni in modo da garantire l’osservanza delle prescrizioni di tale direttiva.

24 Occorre infatti ricordare, in primo luogo, che l’esistenza di norme nazionali può rendere superfluo il recepimento mediante provvedimenti legislativi o regolamentari specifici solo a condizione che tali norme garantiscano effettivamente la piena applicazione della direttiva in questione da parte dell’amministrazione nazionale.

25 In secondo luogo, occorre rilevare che dal quarto e dall’undicesimo ‘considerando’ della detta direttiva emerge che gli habitat e le specie minacciati fanno parte del patrimonio naturale della Comunità europea e che i pericoli che essi corrono sono generalmente di natura transfrontaliera, così che l’adozione di misure di conservazione è responsabilità comune di tutti gli Stati membri. Quindi, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 11 delle conclusioni, l’accuratezza del recepimento è particolarmente importante in un caso, come quello di specie, in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per il loro territorio, agli Stati membri [v., per analogia, quanto alla direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1), sentenze 8 luglio 1987, causa 262/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 3073, punto 39), e 7 dicembre 2000, causa C‑38/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑10941, punto 53)].

26 Ne consegue che, nell’ambito della direttiva habitat, che stabilisce norme complesse e tecniche nel settore del diritto ambientale, gli Stati membri sono particolarmente tenuti a fare in modo che la loro normativa destinata al recepimento di tale direttiva sia chiara e precisa, anche per quanto riguarda gli obblighi fondamentali di sorveglianza e di controllo, come quelli imposti alle autorità nazionali dagli artt. 11, 12, n. 4, e 14, n. 2, della detta direttiva.

27 Orbene, dall’esame della normativa fatta valere dal Regno Unito emerge che essa è caratterizzata da una genericità tale da non dare attuazione alle disposizioni della direttiva habitat con la precisione e la chiarezza necessarie a soddisfare pienamente il requisito della certezza del diritto (v., per analogia, sentenza 17 settembre 1987, causa 291/84, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 3483, punto 15) e che essa non istituisce neppure un preciso quadro normativo nel settore di cui trattasi, tale da garantire l’applicazione di questa direttiva in modo pieno e completo, né consente un’attuazione armonizzata ed efficace delle norme da essa stabilite (v., per analogia, sentenza 10 marzo 2005, causa C‑531/03, Commissione/Germania, non pubblicata nella Raccolta, punto 19).

28 Ne risulta che gli obblighi generali previsti dalla normativa del Regno Unito non possono assicurare un soddisfacente recepimento delle disposizioni della direttiva habitat di cui al ricorso della Commissione e sono quindi inidonei a colmare eventuali lacune delle disposizioni specifiche destinate a garantire tale recepimento. Non occorre pertanto esaminare gli argomenti del Regno Unito fondati sugli obblighi generali contenuti nella detta normativa in sede di analisi delle specifiche censure mosse dalla Commissione.

Sulle censure mosse dalla Commissione

Sulla censura relativa all’incompleto recepimento dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat

29 Alla luce di alcune precisazioni fornite dal Regno Unito, la Commissione, nella replica ed in occasione dell’udienza, ha desistito dalla censura relativa alla violazione dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, limitatamente all’Inghilterra, al Galles, alla Scozia e all’Irlanda del Nord, mantenendo invece tale censura per quanto riguarda Gibilterra.

30 La Commissione sostiene che il Regno Unito, limitandosi a preservare i siti designati da qualsiasi attività idonea a provocare perturbazioni, senza adoperarsi anche per evitare il degrado derivante da negligenza o omissione, non ha provveduto al completo recepimento dell’art. 6, n. 2, di tale direttiva a Gibilterra.

31 Il governo del Regno Unito, senza contestare veramente l’argomento della Commissione, ritiene che il degrado da impedire sia solo quello non naturale.

32 Esso afferma, inoltre, che l’ordinanza del 1991 ha istituito un regime di controllo completo e rigoroso. Tale regime darebbe adeguata attuazione alla direttiva habitat, in particolare se letto in combinato disposto con la norma generale prevista all’art. 17 A della stessa ordinanza.

33 Al riguardo occorre ricordare, in primo luogo, che l’art. 6, n. 2, della detta direttiva obbliga gli Stati membri ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie.

34 Come osservato dall’avvocato generale al punto 19 delle conclusioni, è evidente che, ai fini dell’attuazione dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, può essere necessario adottare sia misure dirette ad ovviare ai danni e alle perturbazioni provenienti dall’esterno e causati dall’uomo, sia misure per neutralizzare evoluzioni naturali che potrebbero comportare un degrado dello stato di conservazione delle specie e degli habitat nelle ZSC.

35 In secondo luogo, occorre constatare che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, le disposizioni dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat non erano state formalmente riprese nella normativa applicabile a Gibilterra. L’art. 17 G dell’ordinanza del 1991, infatti, che permette alle autorità competenti di stipulare degli accordi sulla cura dei siti con i proprietari o i possessori, sembra essere l’unica disposizione applicabile a Gibilterra per evitare un eventuale degrado.

36 Orbene, è evidente che tale disposizione conferisce solo un’autorizzazione non vincolante alle dette autorità e che essa non è idonea ad evitare il degrado, contrariamente a quanto richiesto dall’art. 6, n. 2, della direttiva habitat.

37 Pertanto, dato che nel diritto interno non si trova alcuna disposizione espressa che obbliga le autorità competenti ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, esso presenta un elemento di incertezza giuridica in merito agli obblighi che tali autorità sono tenute ad osservare.

38 Da quanto precede risulta che, in ogni caso, le disposizioni dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat non hanno formato oggetto di un recepimento chiaro, preciso e completo a Gibilterra.

39 Di conseguenza, la censura vertente sul recepimento incompleto dell’art. 6, n. 2, della detta direttiva limitatamente a Gibilterra va considerata fondata.

Sulla censura vertente sul recepimento incompleto dell’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat

40 La Commissione sostiene che la normativa in vigore nel Regno Unito non recepisce correttamente tali disposizioni in tre settori specifici, vale a dire i piani ed i progetti per il prelievo di acqua, i piani regolatori e, per quanto riguarda Gibilterra, il controllo delle concessioni edilizie esistenti.

– Piani e progetti per il prelievo di acqua

41 Secondo la Commissione, nessuna disposizione di diritto interno prevede che le autorizzazioni al prelievo di acqua rilasciate in applicazione del capitolo II, sezione II, della legge del 1991 sulle risorse idriche (Water Resources Act 1991), debbano rispettare l’obbligo, stabilito dall’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, di tenere conto delle incidenze significative che il prelievo di acqua può produrre sui siti appartenenti alle ZCS. Siffatte disposizioni mancherebbero anche per quanto riguarda l’Irlanda del Nord e Gibilterra. I prelievi di acqua idonei ad incidere significativamente sulle ZSC non sarebbero quindi né totalmente coperti, né correttamente disciplinati dalle misure di recepimento vigenti nel Regno Unito.

42 La Commissione aggiunge che il Regno Unito, nella sua lettera 27 novembre 2001, aveva indicato che le pertinenti disposizioni del regolamento del 1994 sarebbero state modificate per rendere più chiara la normativa relativa alle attività di prelievo di acqua.

43 Il Regno Unito afferma invece di aver istituito, congiuntamente alle disposizioni generali, un sistema che consente di individuare preventivamente, per ogni sito, le attività potenzialmente dannose.

44 A tale riguardo occorre ricordare che, in forza dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione di un sito ma che possa avere incidenze significative su di esso, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, deve formare oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito in questione, tenendo conto degli obiettivi di conservazione di quest’ultimo.

45 Orbene, nel caso di specie è pacifico che alla scadenza del termine fissato nel parere motivato non esisteva alcuna disposizione di legge che prevedesse espressamente che i piani o progetti di prelievo di acqua dovessero formare oggetto di siffatta valutazione.

46 Va inoltre constatato che il sistema istituito dalla normativa del Regno Unito, prevedendo, in sostanza, che tutti i piani ed i progetti di prelievo di acqua che soddisfano le condizioni dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat siano preventivamente ritenuti potenzialmente dannosi per il sito interessato, non sembra idoneo a garantire l’osservanza delle prescrizioni di tale disposizione.

47 Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al punto 33 delle conclusioni, tale previa valutazione dei rischi potenziali si può basare su dati concreti in relazione al sito, ma non in relazione ai progetti stessi, diversamente da quanto richiesto dall’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, in forza del quale occorre procedere ad una valutazione adeguata dell’incidenza del progetto sul sito in questione. Pertanto, il fatto di limitarsi a definire le attività potenzialmente dannose per ogni sito interessato comporta il rischio che non vengano contemplati determinati progetti idonei ad arrecare pregiudizio a tale sito per le loro specifiche caratteristiche.

48 Non può essere accolto neppure l’argomento del Regno Unito secondo cui, per quanto concerne la Scozia, la legge del 2003 sull’ambiente ed i servizi idrici (Water Environment and Water Services Act 2003) ha creato, nell’ambito del recepimento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU L 327, pag. 1), una struttura relativa ad un nuovo sistema completo di prelievo di acque che introduce controlli corrispondenti a quelli previsti dall’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva habitat.

49 Per costante giurisprudenza, infatti, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 30 gennaio 2002, causa C‑103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑1147, punto 23, e 30 maggio 2002, causa C‑323/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4711, punto 8).

50 Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che il Regno Unito non ha recepito correttamente l’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat per quanto riguarda i piani ed i progetti di prelievo di acqua.

– Piani regolatori

51 La Commissione sostiene che la normativa vigente nel Regno Unito non impone chiaramente l’obbligo di assoggettare i piani regolatori ad una adeguata valutazione della loro incidenza sulle ZSC, in conformità all’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat.

52 Secondo la Commissione, anche se i piani regolatori non autorizzano di per sé i progetti di sviluppo e questi ultimi devono formare oggetto di un permesso rilasciato secondo la procedura abituale, essi incidono notevolmente sulle decisioni in materia. Essa ritiene quindi che anche siffatti piani debbano formare oggetto di un’adeguata valutazione della loro incidenza sui siti interessati.

53 Il Regno Unito ammette che i piani regolatori possono essere considerati piani e progetti ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, ma contesta che essi possano produrre un effetto significativo sui siti tutelati in virtù di essa. Esso sostiene che i detti piani non consentono, di per sé, la realizzazione di un programma determinato e che, di conseguenza, solo una successiva autorizzazione potrebbe danneggiare siffatti siti. Ad avviso di tale Stato membro, è sufficiente assoggettare solo tale autorizzazione alla procedura prevista per i piani ed i progetti.

54 A questo riguardo occorre ricordare che la Corte ha già statuito che l’art. 6, n. 3, della direttiva habitat subordina il requisito di un’opportuna valutazione delle incidenze di un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest’ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste poiché non può essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, che il detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito (v., in questo senso, sentenza 7 settembre 2004, causa C-127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, Racc. pag. I-7405, punti 43 e 44).

55 Orbene, come ha giustamente rilevato la Commissione, l’art. 54 A della legge del 1990 sulla pianificazione territoriale (Town and Country Planning Act 1990), il quale dispone che le richieste di rilascio di concessioni edilizie vadano esaminate alla luce dei pertinenti piani regolatori, implica necessariamente che tali piani possono influenzare notevolmente le decisioni adottate in materia e, di conseguenza, i siti interessati.

56 Da quanto precede risulta quindi che, poiché i piani regolatori non sono assoggettati ad un’adeguata valutazione della loro incidenza sulle ZSC, l’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat non ha formato oggetto di un recepimento sufficientemente chiaro e preciso nell’ordinamento giuridico del Regno Unito, e che quindi il ricorso proposto dalla Commissione deve essere considerato fondato su questo punto.

– Sul controllo delle concessioni edilizie esistenti a Gibilterra

57 La Commissione sostiene che, per quanto riguarda Gibilterra, le autorità competenti non si sono conformate a quanto richiesto dall’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, in quanto non sarebbero obbligate a controllare se le concessioni edilizie esistenti incidono sui siti protetti in forza di essa.

58 Al riguardo occorre rilevare che, come giustamente ricordato dall’avvocato generale al paragrafo 55 delle conclusioni, anche se un siffatto obbligo di controllo a posteriori si può basare sull’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, tuttavia il n. 3 di tale articolo, della detta direttiva non contiene alcuna disposizione che obbliga gli Stati membri a svolgere un tale controllo.

59 Al contrario, dalla formulazione stessa di tale disposizione emerge che la procedura prevista deve essere attuata prima che gli Stati membri diano il loro assenso alla realizzazione di piani o progetti idonei ad incidere sul sito in causa.

60 Ne consegue che questa parte della censura, vertente sull’incompleto recepimento dell’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat non può essere accolta.

Sulla censura vertente sul mancato recepimento degli artt. 11 e 14, n. 2, della direttiva habitat

61 La Commissione contesta al Regno Unito di non avere recepito nel diritto interno gli obblighi di sorveglianza contenuti in tali disposizioni. Essa sostiene che fino a quando i detti obblighi non saranno stati chiaramente imposti alle autorità competenti, essa non sarà grado di determinare se si sia provveduto a garantire la sorveglianza richiesta.

62 A sostegno di tale censura, la Commissione adduce la lettera 27 novembre 2001, nella quale il Regno Unito aveva precisato, da una parte, che alle competenti autorità era implicitamente imposto un obbligo di sorveglianza e, dall’altra che sarebbero state apportate modifiche al regolamento del 1994, al regolamento del 1995 e all’ordinanza del 1991, al fine di accrescere la certezza del diritto mediante disposizioni più precise di quelle contenute in tale normativa.

63 Secondo il Regno Unito, gli artt. 11 e 14, n. 2, della direttiva habitat prevedono semplicemente che gli Stati membri debbano garantire la sorveglianza, senza imporre requisiti precisi in merito al modo in cui essa deve essere effettuata, né alla maniera in cui la normativa nazionale deve dare attuazione a siffatta sorveglianza. Esso afferma inoltre che l’elenco delle attività di sorveglianza svolte in applicazione della sua normativa nazionale dimostra che nel Regno Unito è garantita una sorveglianza efficace, in conformità agli artt. 11 e 14, n. 2, della detta direttiva.

64 La Commissione replica di non aver mai affermato che nel Regno Unito non si effettui alcuna sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali. Sostiene invece che l’obbligo di sorveglianza non viene applicato chiaramente in tale Stato membro né chiaramente affidato ad una specifica autorità di quest’ultimo.

65 In proposito, in primo luogo, occorre ricordare che, come già detto al punto 26 di questa sentenza, l’obbligo di sorveglianza è essenziale affinché la direttiva habitat produca i propri effetti e che esso deve essere recepito in maniera dettagliata, chiara e precisa.

66 Orbene, non si può non constatare che, alla scadenza del termine impartito nel parere motivato non vi era nessuna disposizione di diritto interno che imponesse un obbligo di sorveglianza delle specie e degli habitat naturali alle autorità nazionali.

67 In secondo luogo, non può essere accolto l’argomento del Regno Unito secondo cui l’elenco delle attività di sorveglianza svolte dimostrerebbe che viene garantita una sorveglianza efficace. Infatti, come già dichiarato dalla Corte, la conformità di una prassi, ritenuta consolidata, alle norme imperative di tutela dettate da una direttiva non dispensa dall’obbligo di recepire la direttiva stessa nell’ordinamento interno dello Stato membro interessato (v., in questo senso, sentenza 30 maggio 1991, Commissione/Germania, cit., punto 24).

68 Pertanto, posto che è pacifico che il diritto interno del Regno Unito non contiene nessun obbligo di legge che imponga alle autorità nazionali di sorvegliare lo stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali, esso presenta un elemento di incertezza giuridica. Di conseguenza, non viene garantita una sorveglianza sistematica e permanente del detto stato di conservazione.

69 Ne discende che gli artt. 11 e 14, n. 2, della direttiva habitat non sono stati recepiti in maniera completa, precisa e chiara nel Regno Unito.

70 Pertanto, la censura vertente sul mancato recepimento degli artt. 11 e 14, n. 2, della direttiva habitat deve essere giudicata giudicata fondata.

Sulla censura relativa all’errato recepimento dell’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva habitat

71 La Commissione sostiene che il Regno Unito non ha recepito correttamente l’obbligo di adottare i provvedimenti necessari ad istituire un regime di rigorosa tutela di talune specie animali, vietando il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo di esse. La normativa nazionale utilizzerebbe il verbo «danneggiare» («to damage») invece del termine «deterioration», utilizzato all’art. 12, n. 1, lett. d), della versione inglese della direttiva habitat.

72 Ora, in primo luogo, la Commissione afferma che l’uso del verbo «to damage» implica che gli effetti di un deterioramento derivante dalla negligenza o dall’inerzia delle autorità competenti non sono coperti. Tuttavia, nella replica, la Commissione è tornata su tale argomento, riconoscendo che la detta disposizione non richiede che i siti di riproduzione e le aree di riposo in questione siano tutelati dal deterioramento dovuto alla negligenza o all’inerzia delle dette autorità. Pertanto non occorre più pronunciarsi su questo punto.

73 In secondo luogo, la Commissione afferma che, limitandosi a qualificare come infrazione gli atti che hanno l’effetto di danneggiare o deteriorare i siti di riproduzione o le aree di riposo delle specie in questione, senza vietare il deterioramento di essi, i provvedimenti di recepimento della direttiva habitat introducono una condizione legata all’intenzionalità dell’atto pregiudizievole non prevista dall’art. 12, n. 1, lett. d), di essa.

74 Il Regno Unito non contesta che l’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva habitat esige il divieto delle attività che porterebbero al deterioramento o alla distruzione dei siti interessati. Esso contesta invece l’interpretazione che la Commissione fa della normativa nazionale secondo cui il recepimento nel Regno Unito, ad esclusione di Gibilterra, di tale direttiva si limita agli atti deliberati o intenzionali.

75 In proposito, da una costante giurisprudenza risulta che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare l’asserito inadempimento, senza che quest’ultima possa basarsi su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6, e 29 aprile 2004, causa C‑194/01, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑4579, punto 34).

76 Di conseguenza, dato che il Regno Unito fa valere che il suo diritto interno vigente è conforme all’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva habitat, spetta alla Commissione, per dimostrare la mancanza di recepimento completo di tale disposizione, fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento.

77 Orbene, dal fascicolo non risulta che la Commissione abbia prodotto elementi atti a dimostrare che il recepimento della detta disposizione è limitato agli atti deliberati o intenzionali. Al contrario, risulta che il reato previsto dal diritto interno del Regno Unito, volto a reprimere gli atti che consistono nel danneggiare o distruggere un sito, è un reato materiale che non richiede affatto che il danno o la distruzione sia deliberata o intenzionale.

78 Quindi, posto che la Commissione non ha dimostrato che il Regno Unito, ad eccezione di quanto attiene a Gibilterra, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva habitat, questa parte della censura non può essere accolta.

79 Per quanto riguarda Gibilterra, è sufficiente constatare che il Regno Unito riconosce che, vietando solo il deterioramento o la distruzione intenzionale dei siti di riproduzione o delle aree di riposo delle specie interessate, la normativa applicabile a Gibilterra non soddisfa i requisiti posti dal detto art. 12, n. 1, lett. d). Pertanto, questa parte della censura va dichiarata fondata.

80 In terzo luogo, la Commissione osserva che la normativa del Regno Unito, nella versione attuale, tutelerebbe i siti di riproduzione e le aree di riposo solo contro le attività che hanno un’incidenza diretta su di essi, senza considerare i danni indiretti, come richiesto dall’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva habitat.

81 Tale argomento non può essere accolto. La Commissione, infatti, non ha fornito alcun elemento idoneo a dimostrare l’inadempimento del Regno Unito sotto questo profilo.

82 Da quanto precede risulta che la censura vertente sull’errato recepimento dell’art. 12, n. 1, lett. d), della direttiva habitat deve essere parzialmente accolta.

Sulla censura relativa al recepimento incompleto degli artt. 12, n. 2, e 13, n. 1, della direttiva habitat

83 La Commissione sostiene che i provvedimenti nazionali diretti a recepire il divieto di possedere, trasportare, vendere o scambiare esemplari di specie animali o vegetali non rispettano il limite temporale fissato da tali articoli.

84 In proposito, è sufficiente constatare che il Regno Unito ha riconosciuto, durante la fase scritta del procedimento e in sede di udienza, che le deroghe vigenti nel suo diritto interno sono più ampie di quelle previste dalla direttiva habitat e che, pertanto, le disposizioni in questione non sono state recepite correttamente in tale Stato membro.

85 Di conseguenza, la censura vertente sul recepimento incompleto degli artt. 12, n. 2, e 13, n. 1, della detta direttiva deve essere considerata fondata.

Sulla censura relativa all’errato recepimento dell’art. 12, n. 4, della direttiva habitat

86 La Commissione ritiene che i provvedimenti per il recepimento adottati dal Regno Unito non contengano alcuna disposizione che impone l’istituzione di un sistema di sorveglianza come quello previsto al detto art. 12, n. 4, per quanto riguarda le catture e le uccisioni accidentali di talune specie animali. In mancanza di informazioni più precise, la Commissione sostiene di non essere in grado di valutare se tale sorveglianza sia effettivamente garantita.

87 A tale riguardo, basta constatare che il Regno Unito, da una parte, ha riconosciuto che la normativa nazionale non contiene nessuna disposizione diretta ad instaurare siffatto sistema di sorveglianza e, dall’altra, ha ammesso, nella lettera 27 novembre 2001, che detta normativa andava modificata per permettere l’espressa istituzione di una tale sorveglianza.

88 In ogni caso, non risulta che un provvedimento del genere sia stato adottato entro il termine stabilito nel parere motivato.

89 La censura vertente sull’errato recepimento dell’art. 12, n. 4, della direttiva habitat deve quindi essere considerata fondata.

Sulla censura relativa all’errato recepimento dell’art. 15 della direttiva habitat

90 La Commissione contesta al Regno Unito di non essersi conformato agli obblighi ad esso incombenti ex art. 15 della direttiva habitat. In primo luogo, essa addebita a tale Stato membro di avere vietato solo i metodi espressamente previsti all’allegato VI, lett. a) e b), di tale direttiva, senza introdurre un divieto generale di utilizzo di mezzi non selettivi. In secondo luogo, la Commissione ritiene che gli artt. 1 e 10 della legge sulle foche si limitino a vietare l’utilizzo di due mezzi di uccisione istituendo, sotto forma di autorizzazioni rilasciate dal Secretary of State, deroghe che sembrano andare oltre quelle autorizzate dalla detta direttiva.

– Sull’assenza di un divieto generale di tutti i mezzi non selettivi

91 La Commissione afferma che la normativa del Regno Unito non contiene alcun divieto generale di utilizzare tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la sparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni delle specie di fauna selvatica in questione. Tale normativa nazionale non consentirebbe quindi di evitare il ricorso a mezzi ancora sconosciuti di cattura o di uccisione non selettivi.

92 Il Regno Unito sostiene che l’art. 15 della direttiva è stato recepito mediante gli artt. 41 del regolamento del 1994, 36, n. 2, del regolamento del 1995 e 17 V, n. 2, dell’ordinanza del 1991. Esso afferma che detti articoli contengono elenchi di tutti i mezzi non selettivi di cattura e di uccisione delle specie protette attualmente censiti in tale Stato membro e che tali elenchi sono oggetto di costanti verifiche per essere aggiornati qualora ciò risulti necessario.

93 Al riguardo occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 15 della direttiva habitat, per quanto riguarda la cattura o l’uccisione delle specie faunistiche selvatiche elencate nell’allegato V, lett. a), di tale direttiva, qualora deroghe conformi all’art. 16 di essa siano applicate per il prelievo, la cattura o l’uccisione delle specie di cui all’allegato IV, lett. a), gli Stati membri vietano tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la sparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di una specie.

94 Dalla formulazione stessa di tale disposizione risulta che essa prevede un obbligo generale volto a vietare l’utilizzo di tutti i mezzi non selettivi di cattura o di uccisione delle specie faunistiche in questione.

95 Ebbene, nel caso di specie non viene contestato che alla scadenza del termine impartito nel parere motivato il diritto interno non prevedeva siffatto divieto generale.

96 Inoltre occorre rilevare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 89 delle conclusioni, che la possibilità di aggiornare un elenco di metodi vietati è meno efficace di un divieto generale. Ritardi nell’aggiornamento determinerebbero infatti necessariamente proprio quelle lacune nella tutela che l’art. 15 della direttiva habitat mira ad evitare con un divieto generale. Tale interpretazione è a maggior ragione fondata dato che il diritto interno non contiene nessun obbligo di legge di rivedere i detti elenchi.

97 Pertanto non è affatto garantito che tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la sparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di specie protette siano vietati nel Regno Unito.

98 Di conseguenza occorre dichiarare che tale Stato membro non ha recepito correttamente l’art. 15 della direttiva habitat per quanto riguarda il divieto di tutti i mezzi non selettivi di cattura o di uccisione delle specie faunistiche in questione.

– Sulla legge sulle foche

99 In via preliminare va precisato che la Commissione, nella replica, ha rinunciato alla censura relativa alla legge sulle foche, fondandosi sul fatto che il Regno Unito, nel controricorso, si era impegnato ad adottare una normativa che modificasse questo punto. Tuttavia, nella controreplica, quest’ultimo ha ritenuto di dover informare la Commissione che esso intendeva attendere la conclusione del presente procedimento per apportare tale modifica. Di conseguenza la Commissione, in sede di udienza, ha preferito mantenere questa censura. Il Regno Unito non ha contestato tale comportamento.

100 La Commissione sostiene che la legge sulle foche, vietando solo due metodi di uccisione delle foche e consentendo il rilascio di autorizzazioni a condizioni che esulano dalle deroghe previste dalla direttiva habitat, non rispetta l’art. 15 di tale direttiva.

101 Secondo il Regno Unito, siffatta interpretazione della legge sulle foche è errata. Esso sostiene che tale legge si limita a completare l’art. 41 del regolamento del 1994, che recepisce l’art. 15 della detta direttiva, e che essa offre quindi una tutela supplementare alla differenti specie di foche.

102 A tale riguardo occorre in primo luogo ricordare che, come statuito al punto 98 di questa sentenza, l’art. 41 del regolamento del 1994 non costituisce un corretto recepimento dell’art. 15 della direttiva habitat. L’argomento del Regno Unito secondo cui la legge sulle foche completa l’art. 41 del regolamento del 1994 non può quindi essere accolto.

103 In secondo luogo, anche ammesso che la legge sulle foche completi il regolamento del 1994, essa potrebbe essere interpretata nel senso che sono vietati solamente i due metodi espressamente menzionati dalla detta legge.

104 In tali circostanze, la legge sulle foche contiene un elemento di incertezza giuridica in merito ai metodi di uccisione delle foche vietati nel Regno Unito e quindi non è idonea a garantire il corretto recepimento dell’art. 15 della direttiva habitat.

105 Da quanto precede risulta che la censura vertente sull’errato recepimento dell’art. 15 della direttiva habitat deve essere accolta.

Sulla censura relativa all’errato recepimento dell’art. 16 della direttiva habitat

106 In primo luogo, la Commissione è dell’avviso che il complesso delle disposizioni nazionali che introducono deroghe agli artt. 12-15, lett. a) e b), della direttiva habitat, elencate, in particolare, agli artt. 40 del regolamento del 1994, 35 del regolamento del 1995 e 17 U dell’ordinanza del 1991, non rispettino le due condizioni previste dall’art. 16 della detta direttiva. Essa ricorda che, ai sensi di quest’ultima disposizione, una deroga può essere concessa solo a condizione che non esista un’altra soluzione valida e che tale deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni delle specie interessate nelle loro area di ripartizione naturale.

107 A tale riguardo è sufficiente constatare che, da una parte, il Regno Unito ha riconosciuto come ogni deroga accordata in forza del detto art. 16 debba obbligatoriamente soddisfare le due suddette condizioni e che, dall’altra, pur se tale Stato membro ha ammesso che queste ultime non sono riprodotte nella normativa nazionale, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato non era stata introdotta alcuna modifica diretta ad ovviare a tale mancanza.

108 Pertanto, questa parte della censura deve essere accolta.

109 In secondo luogo, la Commissione considera che le deroghe specifiche elencate agli artt. 40, n. 3, lett. c), e 43, n. 4, del regolamento del 1994, nonché le disposizioni equivalenti del regolamento del 1995 e dell’ordinanza del 1991, esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 16 della direttiva habitat. A tale riguardo, essa afferma che i divieti stabiliti per recepire gli artt. 12, 13 e 16 di essa non sono applicabili quando l’atto in causa risulta da un’attività legale.

110 Secondo il Regno Unito, dato che esso ha recepito gli obblighi discendenti dagli artt. 12 e 13 della direttiva habitat, qualificando la loro violazione alla stregua di reato, occorre escludere l’applicazione di tale reato quando il soggetto agisca senza dolo.

111 Al riguardo, occorre constatare che l’art. 16 della direttiva habitat definisce in maniera precisa le condizioni alle quali gli Stati membri possono derogare agli artt. 12-15, lett. a) e b), di essa, di modo che tale art. 16 va interpretato restrittivamente.

112 Inoltre, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 113 delle conclusioni, gli artt. 12, 13 e 16 della direttiva habitat formano un complesso coerente di norme volte alla tutela delle popolazioni delle specie interessate, di modo che ogni deroga incompatibile con tale direttiva costituirebbe una violazione sia dei divieti posti dagli artt. 12 o 13 di essa, sia della norma secondo cui le deroghe possono essere consentite in conformità all’art. 16 della stessa direttiva.

113 Orbene, occorre constatare che la deroga in questione nella fattispecie autorizza gli atti che conducono all’uccisione di esemplari delle specie protette, al deterioramento o alla distruzione delle loro aree di riproduzione e di riposo, qualora tali atti siano legali. Di conseguenza, siffatta deroga, fondata sulla legittimità dell’atto, è contraria sia allo spirito e alla finalità della direttiva habitat che alla lettera del suo art. 16.

114 Tenuto conto di quanto precede, il ricorso va considerato fondato per quanto riguarda questo punto.

Sulla mancata applicazione della direttiva habitat oltre le acque territoriali del Regno Unito

115 La Commissione contesta al Regno Unito di avere limitato l’applicazione delle disposizioni che garantiscono il recepimento della direttiva habitat nell’ordinamento giuridico interno al solo territorio nazionale e alle acque territoriali di tale Stato membro. Essa sostiene che nella loro zona economica esclusiva gli Stati membri devono conformarsi al diritto comunitario nei settori in cui esercitano i loro diritti sovrani e che tale direttiva si applica quindi oltre le acque territoriali. In particolare, la Commissione addebita al Regno Unito di non avere rispettato, nella sua zona economica esclusiva, l’obbligo di designare ZSC in applicazione dell’art. 4 della detta direttiva né quello di garantire la tutela delle specie prevista dall’art. 12 di essa.

116 Il Regno Unito, senza contestare la fondatezza di questa censura, afferma, da una parte, di avere adottato nel 2001 una normativa adeguata per quanto riguarda l’industria petrolifera, vale a dire il regolamento del 2001 sulle attività petrolifere in mare [Offshore Petroleum Activities (Conservation of Habitats) Regulations 2001] e, dall’altra, di avere predisposto una normativa adeguata che estende l’ambito di applicazione delle prescrizioni della direttiva habitat alla zona marittima situata oltre le sue acque territoriali.

117 In proposito, come ha giustamente rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 131 e 132 delle conclusioni, è pacifico tra le parti che il Regno Unito esercita i diritti sovrani nella sua zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale e che la direttiva habitat è di conseguenza applicabile oltre le acque territoriali degli Stati membri. Ne consegue che quest’ultima deve essere attuata nella detta zona economica esclusiva.

118 Inoltre, è pacifico che la normativa cui fa riferimento il Regno Unito nella lettera 27 novembre 2001, che estende l’ambito di applicazione dei provvedimenti diretti a recepire le prescrizioni della direttiva habitat oltre le acque territoriali di tale Stato membro, non era stata ancora adottata alla scadenza del termine fissato nel parere motivato.

119 Conseguentemente, l’unica normativa nazionale vigente al momento della scadenza del detto termine era il regolamento del 2001 sulle attività petrolifere in mare. Orbene, è evidente che esso riguarda solo l’industria petrolifera e quindi, da solo, non è idoneo a garantire il recepimento della direttiva habitat oltre le acque territoriali del Regno Unito.

120 Pertanto, il ricorso della Commissione deve essere considerato fondato per quanto attiene a questo punto.

121 Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono occorre dichiarare che il Regno Unito, non avendo adottato, entro il termine prescritto, tutti i provvedimenti necessari a garantire un’attuazione completa e corretta delle prescrizioni della direttiva habitat e, in particolare:

– dell’art. 6, n. 2, limitatamente a Gibilterra;

– dell’art. 6, nn. 3 e 4, per quanto concerne i piani ed i progetti di prelievo di acqua nonché i piani regolatori;

– dell’art. 11;

– dell’art. 12, n. 1, lett. d), limitatamente a Gibilterra;

– dell’art. 12, n. 2;

– dell’art. 12, n. 4;

– dell’art. 13, n. 1;

– dell’art. 14, n. 2;

– dell’art. 15;

– dell’art. 16;

– dell’insieme della direttiva habitat oltre le sue acque territoriali,

è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza della detta direttiva.

Sulle spese

122 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno Unito, rimasto sostanzialmente soccombente, va condannato alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, non avendo adottato, entro il termine prescritto, tutti i provvedimenti necessari a garantire un’attuazione completa e corretta delle prescrizioni della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e in particolare:

– dell’art. 6, n. 2, limitatamente a Gibilterra;

– dell’art. 6, nn. 3 e 4, per quanto concerne i piani ed i progetti di prelievo di acqua e i piani regolatori;

– dell’art. 11;

– dell’art. 12, n. 1, lett. d), limitatamente a Gibilterra;

– dell’art. 12, n. 2;

– dell’art. 12, n. 4;

– dell’art. 13, n. 1;

– dell’art. 14, n. 2;

– dell’art. 15;

– dell’art. 16;

– dell’insieme della direttiva oltre le sue acque territoriali,

è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza della detta direttiva.

2) Per il resto, il ricorso è respinto.

3) Il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord è condannato alle spese.

Firme