Consiglio di Stato Sez. VI n. 61 del 7 gennaio 2022
Urbanistica.Istanza di sanatoria e onere della prova sulla consistenza delle opere

In caso di istanza di sanatoria ricade sull'istante l'onere della prova dell'esistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria. In tema di sanatoria edilizia, la prova circa la consistenza delle opere è nella disponibilità dell'interessato e non della P.A., dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (nella fattispecie l'onere della prova non è stato ritenuto assolto ritenendo a tal fine non sufficienti due cartoline storiche del 1906 e 1941, depositate in giudizio solo in sede di appello).


Pubblicato il 07/01/2022

N. 00061/2022REG.PROV.COLL.

N. 05632/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Corrado Mauceri, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;

contro

Comune di Mignanego, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Damonte, Silvia Villani, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio Silvia Villani in Roma, via Asiago 8;
Città Metropolitana di Genova (Ex Provincia di Genova), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Pafundi, Carlo Scaglia, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;
Città Metropolitana di Genova, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti, concernente ordinanza di demolizione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Mignanego e di Città Metropolitana di Genova (Ex Provincia di Genova);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’appellante impugna la sentenza del T.A.R. Liguria n. -OMISSIS-/2014, che ha dichiarato in parte inammissibile e in parte ha rigettato il ricorso avverso l’ordinanza del Comune di Mignanego del 5 marzo 1988, n. 6/98, recante l’ingiunzione di demolizione di opere abusive consistenti nella demolizione e ricostruzione di un magazzino per attrezzi agricoli, nonché il presupposto provvedimento dirigenziale della Provincia di Genova 13.1.1998, n. 3, di diniego dell’istanza di sanatoria ex art. 15 della legge 29.6.1939, n. 1497, per il mantenimento del magazzino agricolo.

Il provvedimento provinciale di diniego della sanatoria paesaggistica del manufatto ha fatto seguito al diniego espresso con atto 15.12.1994, n. 417 – rimasto inoppugnato – sulla domanda di autorizzazione preventiva ex art. 7 L. n. 1497/1939.

In particolare, la sentenza gravata è basata sull’erroneità dell’assunto dell’originario ricorrente, secondo cui per l’esecuzione dell’intervento di demolizione e ricostruzione del magazzino agricolo in questione non fosse necessario munirsi della preventiva autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497/1939, posto che l’art. 82 comma 12 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616, la esclude per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo “che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici”.

La medesima sentenza rileva come sia stato lo stesso ricorrente – che, dunque, contravvenendo al principio di buona fede e al divieto di venire contra factum proprium - a chiedere l’autorizzazione preventiva ed a qualificare l’intervento come “ristrutturazione” e, inoltre, che lo stesso ricorrente non ha escluso l’alterazione dell'aspetto esteriore dell’edificio.

Una volta chiarito che l’autorizzazione paesaggistica era necessaria, il ricorso si palesa inammissibile per quanto riguarda l’impugnativa del rigetto dell’istanza di sanatoria ex art. 15 L. 29.6.1939, n. 1497 per il mantenimento del magazzino agricolo, in quanto il relativo provvedimento provinciale 13.1.1998, n. 3, si configura come un tipico atto plurimotivato e il diniego è stato fondato sia sulla valutazione circa l’inadeguatezza della collocazione del manufatto nell’ambito del lotto di terreno (valutazione già espressa con il provvedimento di diniego dell’autorizzazione paesaggistica 15.12.1994, n. 417), sia sul contrasto con la disciplina paesistica espressa dall’art. 46 delle norme di attuazione del P.T.C.P. per le zone ID MO-A, con specifico riferimento alla necessaria elaborazione di uno studio organico di insieme per gli interventi di nuova edificazione o comunque incidenti in misura rilevante sull'assetto della zona.

Nulla il ricorrente avrebbe dedotto nei motivi di ricorso rispetto al rilevato contrasto dell’istanza di sanatoria paesaggistica con l’art. 46 delle N.A. del P.T.C.P. e alla ritenuta necessità della elaborazione di uno studio organico di insieme in vista del miglior inserimento del manufatto nel contesto ambientale.

Quest’ultima argomentazione è stata ritenuta sufficiente di per sé a motivare il diniego dell’istanza.

Le censure avverso il provvedimento di demolizione sarebbero, invece, infondate in quanto:

- all’atto dell’emanazione del provvedimento comunale impugnato (5.3.1998), la competenza ad adottare l’ordinanza di demolizione era attribuita al sindaco (e, per esso, all’assessore delegato) dall’art. 7 della legge 28.2.1985, n. 47;

- l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive, in ragione del suo carattere di atto dovuto e vincolato, non deve essere fatta precedere dalla comunicazione di avvio del procedimento;

- l'ordine di demolizione di una costruzione abusiva costituisce atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione;

- l'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è infatti sufficientemente motivato con l'affermazione dell'abusività del manufatto;

- all’atto dell’emanazione dell’ordine di demolizione 5.3.1998, si era ampiamente formato – ex art. 13 comma 2 L. n. 47/1985 - il silenzio-rigetto sull’istanza di accertamento di conformità presentata in data 9.8.1995.

- l’intervento edilizio de quo esorbita dai limiti del restauro e del risanamento conservativo: donde l’ineluttabilità – ex artt. 9 comma 3 L. 47/1985 e 15 L. n. 1497/1939 (stante l’intervenuto diniego di accertamento della compatibilità paesaggistica) dell’ordine di riduzione in pristino;

- anche qualora dovesse ritenersi applicabile l’art. 9 comma 2 L. n. 47/1985, spetterebbe piuttosto all’interessato - non certo all’amministrazione – la deduzione e la prova circa l’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.

Parte appellante ha impugnato la sentenza del T.A.R. ligure formulando i seguenti motivi di appello:

I° motivo di appello.

Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 e dell'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e s.m.i.

Violazione e falsa applicazione dell'art. 82, comma 12, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Erroneità della sentenza per travisamento (ed errore sul) del fatto. Erroneità dalle sentenza per omessa e contraddittoria motivazione, per vizio di ultrapetizione e/o extrapetizione.

In particolare, la parte appellante lamenta che l’intervento in questione non fosse riconducibile in alcun modo a quelli soggetti ad autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art.7 della legge n. 1497/1939, posto che l’art. 82, comma 12, del D.P.R. n. 616/1977 la esclude per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo “che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.

La sentenza avrebbe errato nel ritenere che l’intervento effettuato abbia comportato un’alterazione dell’aspetto esteriore dell’edificio.

La parte appellante rileva che, come si evincerebbe dal progetto presentato in sede di istanza di sanatoria, il manufatto consiste in un deposito agricolo con tetto a falde e collocato lungo la Strada Statale n. -OMISSIS-

Inoltre, successivamente al deposito della sentenza impugnata, l’appellante è entrato in possesso di una cartolina storica raffigurante l'area in cui insiste il manufatto nel 1906, della quale ha chiesto l’ammissione in giudizio, in cui il Comune di Mignanego era noto per i suoi stabilimenti idroterapici climatici.

Nel documento fotografico, in basso a destra, si può notare, tra la vegetazione, proprio il deposito attrezzi oggetto del presente giudizio caratterizzato dal tetto a falde, come del resto tutte le costruzioni del luogo.

L'odierno appellante è, inoltre, entrato in possesso di un'ulteriore cartolina, viaggiata nel 1941, raffigurante la medesima area, ma da un punto di ripresa differente e in un periodo in cui il manufatto non aveva la copertura tipica.

Da quest'ulteriore documento è facile rendersi conto che il manufatto oggetto del presente giudizio si trova nella stessa collocazione di quella attuale e, inoltre, è possibile osservare che sul tamponamento laterale è presente la porta di accesso ripristinata in sede di demolizione ricostruzione oggetto della sanatoria illegittimamente respinta.

Si tratterebbe di documentazioni decisive in grado di provare che non vi è stata alcuna modificazione dell'aspetto esteriore del manufatto, né tanto meno dello stato dei luoghi in cui questo è collocato.

Di talché l'intervento non necessiterebbe di autorizzazione paesaggistica ex art. 7 1. n. 1497/1939, difettanno i presupposti per la sua applicabilità previsti dall'art. 82 comma 12 del D.P.R. n. 616/1977.

Secondo l’appellante, inoltre, le considerazioni svolte dal TAR Liguria con riferimento all'assoggettabilità dell'intervento dell’attuale appellante all'autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della 1. n. 1497/1939 appaiono meritevoli di annullamento, in quanto fondate su un errore di fatto.

Il T.A.R. Liguria ha ritenuto di qualificare l'intervento come soggetto ad autorizzazione paesaggistica per il fatto che il ricorrente avrebbe considerato lo stesso non come manutenzione straordinaria, bensì come "ristrutturazione".

Il palese travisamento dei fatti compiuto dal Giudice di prime cure apparirebbe macroscopico atteso che, come si evincerebbe dalla documentazione depositata in primo grado dall'Amministrazione provinciale, la qualificazione dell'intervento come "ristrutturazione" riguardava la domanda di concessione edilizia formulata dal ricorrente con istanza del 15.6.1994, e non la domanda di sanatoria presentata l'anno successivo che, appunto, aveva a riguardo l'intervento di demolizione e ricostruzione del deposito attrezzi agricoli in seguito al crollo degli elementi strutturali avvenuto in pendenza della domanda di concessione e finalizzato al solo ripristino delle sue funzionalità, nel rispetto dei caratteri tipologici del manufatto e dell'area esistenti sin dall'inizio del Secolo scorso. Inoltre, la motivazione assunta dal Giudice di prime cure si presenterebbe come del tutto apodittica e meramente assertiva atteso che in nessuna parte della sentenza si rinvengono i presupposti di fatto sui quali il TAR ha potuto ritenere che l'intervento oggetto della domanda di sanatoria ha comportato "alterazione dell'aspetto esteriore dell'edificio".

II° motivo di appello.

Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 46 delle N.A. del P.T.C.P. della Regione Liguria. Erroneità della sentenza per travisamento (ed errore sul) del fatto. Errore di diritto. Erroneità dalla sentenza per omessa e contraddittoria motivazione, per vizio di ultrapetizione e/o extrapetizione.

Il T.A.R. Liguria ha dichiarato "inammissibile per difetto di interesse" il ricorso proposto dall’appellante, atteso che non sarebbe stata sollevata alcuna doglianza con riferimento alle considerazioni svolte dalla Provincia nel proprio diniego con riferimento all'ipotetica applicazione dell'art. 46 delle N.A. del P.T.C.P..

L’adito T.A.R. ha evidenziato come nella motivazione del diniego impugnato in primo grado si legge infatti che "...considerato che l'opportunità di una diversa collocazione della costruzione nell'ambito del lotto disponibile, tanto più trattandosi di un deposito per attrezzi agricoli e quindi non condizionato da particolari requisiti di funzionalità specie per quanto attiene all'immediata accessibilità dalla strada pubblica, al fine di mitigarne l'impatto visivo, sarebbe emersa se fosse stato debitamente elaborato lo Studio Organico d'insieme prescritto dalla disciplina del vigente P.T.C.P. sub art. 46 delle relative N. di A., di talchè risulta altresì violata la disciplina paesistica qui richiamata".

Parte appellante contesta l’assunto che si tratti di un atto plurimotivato, indicando come dalla lettura complessiva della motivazione del diniego emergerebbe che il riferimento all'art. 46 delle N.A. del P.T.C.P. non costituisce un'autonoma motivazione del provvedimento, ma al più si presenta come un mero inciso relativo a quella parte della motivazione in cui la Provincia si è avventurata in una serie di considerazioni circa l'asserita inadeguatezza della collocazione del manufatto che, come si è visto, è la stessa da ben oltre un secolo (documentazione fotografica depositata nel presente grado). Inoltre, le argomentazioni della Provincia relative alla mancata redazione del S.O.I. sono state oggetto di specifica contestazione in sede di deduzione del secondo motivo di ricorso, dove infatti sono state considerate come "assolutamente ultronee ed irrilevanti".

La declaratoria di parziale inammissibilità del ricorso proposto dall’odierno ricorrente sarebbe ulteriormente viziata in quanto fondata su un errore di diritto.

Al comma 3 dell'art. 46 delle N.A. del P.T.C.P. viene stabilito che "Gli interventi di urbanizzazione e di nuova edificazione o comunque incidenti in misura rilevante sull'assetto della zona devono pertanto essere riferiti a regole e schemi di organizzazione e riqualificazione ambientale dell'insediamento o di parti significative di esso, da definirsi mediante Studio Organico d’Insieme, ferma restando la conferma del suo carattere diffuso".

Dalla lettura dell'art.46 risulterebbe evidente che la redazione del S.O.I. viene prevista solo per gli interventi di "nuova edificazione" o "comunque incidenti in misura rilevante sull'assetto della zona" e le opere in questione non rientrano tra tali interventi.

Nello specifico il gravame proposto in primo grado si rifletteva in maniera decisiva anche sulle considerazioni della Provincia relative all'art. 46 delle N.A. del P.T.C.P. e, pertanto la declaratoria di inammissibilità parziale del ricorso si presenta, oltre che infondata, del tutto errata.

III° motivo di appello.

Violazione e falsa applicazione dell'artt. 9 e 10 della L. 28 febbraio 1985, n. 47.

Erroneità della sentenza per travisamento di fatto decisivo ed errore di diritto.

L’appellante afferma l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui rigetta le doglianze avverso l’ordine di demolizione affermando che l'intervento edilizio de quo esorbita dai limiti del restauro e del risanamento conservativo, donde l'ineluttabilità (stante l'intervenuto diniego di accertamento della compatibilità paesaggistica) dell'ordine di riduzione in pristino, non configurandosi l'intervento come una nuova costruzione modificativa dell'aspetto esteriore del manufatto.

L’Appellante contesta, altresì, l’assunto della sentenza gravata secondo cui, anche qualora dovesse ritenersi applicabile l'art. 9, comma 2, L n. 47/ 1985, spetterebbe piuttosto all'interessato - non certo all'amministrazione - la deduzione e la prova circa l'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi, in quanto spetterebbe alla PA procedere a un motivato accertamento circa il possibile ripristino dello stato dei luoghi.

Secondo parte appellante, inoltre, sarebbero infondate ed errate poi le considerazioni svolte dal T.A.R. Liguria con riguardo al sesto motivo di ricorso nella parte in cui, dichiarandolo inammissibile, ha ritenuto che "all'atto di emanazione dell'ordine di demolizione 5.3.1998, si era ampiamente formato - ex art. 13 comma 2 l. n. 47 /1985 - il silenzio-rigetto sull'istanza di accertamento di conformità presentata in data 9.8.1995".

Il T.A.R. Liguria, infatti, avrebbe omesso di considerare che successivamente alla presentazione dell'istanza di sanatoria era stata avviata la relativa istruttoria, tanto che erano stati acquisiti i pareri favorevoli dalla U.S.L. 3 Genovese e della Comunità Montana Alta Valpolcevera, rispettivamente per i profili igienico-sanitario e di tutela del vincolo idrogeologico. Non si può, dunque, in alcun modo ritenere sussistenti i presupposti per la formazione del silenzio-rigetto atteso che in questo caso non ci si trova di fronte a un'attività amministrativa avviata, peraltro in senso favorevole all'istante, e mai conclusa.

La parte ricorrente ha, infine, riproposto i motivi di ricorso formulati nel giudizio di primo grado, auspicando che gli stessi possano trovare accoglimento in sede di appello.

Con nota depositata in data 30/07/15, l’Avvocato Gabriele Pafundi, codifensore di parte appellante, ha dichiarato di rinunciare al mandato alle liti.

Si sono costituiti in giudizio la Città metropolitana di Genova e il Comune di Mignanego, resistendo al ricorso.

La Città metropolitana di Genova, il Comune di Mignanego e l’appellante hanno depositato memorie difensive, cui hanno fatto seguito memorie di replica da parte dell’appellante e del Comune di Mignanego.

L’appello è stato trattenuto in decisione dell’udienza pubblica del 9.12.2021.

DIRITTO

1) L’appello si palesa infondato.

2) Corretto si rivela quanto sostenuto dalla sentenza gravata secondo cui gli interventi oggetto della rigettata istanza di sanatoria e del conseguenziale provvedimento di demolizione erano soggetti all’obbligo del preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 1. n. 1497/1939.

Parte appellante, infatti, non ha dato idonea prova che le opere in esame rientrassero tra quelle che l’art. 82 comma 12 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616, esclude dal rilascio dell’autorizzazione in questione, ovverosia tra gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo “che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici”.

L’intervento posto in essere, di demolizione e ricostruzione di un immobile, non rientra tra quelli di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo.

La demolizione e ricostruzione, infatti, rientra quantomeno negli interventi di ristrutturazione, qualora la ricostruzione sia conferme all’originale.

Nel caso di specie, nella relazione accompagnatoria dell’istanza di sanatoria la parte appellante ha dichiarato di aver presentato il 16 giugno 1994 un progetto per ottenere la concessione edilizia per la ristrutturazione con demolizione e ricostruzione del magazzino per attrezzi agricoli (poi rigettata) in quanto il fabbricato si trovava in pessime condizioni.

Durante l’attesa dell’approvazione del progetto (non intervenuta) è sopravvenuto il crollo di maggior parte della muratura e che, di conseguenza, sempre secondo la dichiarazione del tecnico dell’appellante, la proprietà ha ricostruito il manufatto secondo il progetto presentato e non autorizzato, chiedendo successivamente un provvedimento in sanatoria.

Nel diniego del rilascio della concessione edilizia presentata il 16 giugno 1994 (rimasto inoppugnato) per l’intervento di ristrutturazione di demolizione e ricostruzione (su progetto che la stessa parte che dichiarato di aver seguito per la successiva realizzazione in assenza di concessione edilizia), l’opera è stata indicata come intervento di nuova costruzione, in quanto il manufatto dichiarato esistente risultava “costituito in larga misura da elementi precari e di eterogenea composizione “talchè non esistono le giuridiche condizioni per assimilare l’intervento in parola alla categoria delle ristrutturazione edilizia”.

Non vi è prova, quindi, che l’intervento rientri nella tipologia della manutenzione ordinaria, straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo, così come che lo stesso non abbia comportato un’alterazione dell’aspetto esteriore dell’edificio e, anzi le risultanze istruttorie depongono in senso contrario, né che l’opera in esame non dovesse considerarsi un intervento di nuova costruzione.

Nella fattispecie in esame si discute in ordine a un diniego di titolo abilitativo edilizio in sanatoria e, secondo giurisprudenza granitica, in caso di istanza di sanatoria ricade sull'istante l'onere della prova dell'esistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria (ex multis Cons. Stato Sez. VI, 15/11/2021, n. 7583).

In tema di sanatoria edilizia, la prova circa la consistenza delle opere è nella disponibilità dell'interessato e non della P.A., dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova

Onere che non è stato assolto dall’appellante.

A tal fine non sono sufficienti le due cartoline storiche del 1906 e 1941, depositate in giudizio solo in sede di appello.

Le stesse, infatti, per loro genericità della rappresentazione dello stato dei luoghi non sono certo idonee a comprovare con certezza che non vi siano stati dei mutamenti anche esteriori dell’immobile, né variazioni di localizzazione e, in ogni caso, non fanno venir meno la natura dell’intervento che in ogni caso non rientra tra le previsioni dell’art. 82 comma 12 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616.

Ciò anche senza considerare che questi ultimi documenti sono stati depositati solo in sede di appello e che l’ammissibilità di nuove prove in appello è fortemente limitata dall’art. 104, comma 2, del c.p.a., “ai sensi del quale “2. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.

Il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata al pari delle prove c.d. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado ovvero alla valutazione della loro indispensabilità (Cons. Stato Sez. IV, 19/03/2020, n. 1962; Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2111).

La parte appellante, infatti, non ha dimostrato l’impossibilità di loro produzione in primo grado, e a tal fine non pare possa essere sufficiente la presentata dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà inerente al rinvenimento delle suddette cartoline storiche, anche considerato l’orientamento giurisprudenziale in tema di valenza probatoria di questo tipo di dichiarazioni, che ritiene vada esclusa l'utilizzabilità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nell'ambito del processo amministrativo, in quanto questa, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può, al più, costituire soltanto un mero indizio (Cons. Stato Sez. II, 19/08/2021, n. 5939; Cons. Stato Sez. VI, 18/05/2021, n. 3853).

Alla luce di tali ragioni risulta, quindi, irrilevante che l’espressa qualificazione da parte dell’appellante come ristrutturazione dell’intervento edilizio sia stata formulata in sede di istanza di rilascio di permesso di costruire presentata nel 1994 (e peraltro smentita dall’Amministrazione nel provvedimento di diniego) e non nell’istanza di permesso di costruire in sanatoria, non essendo fondata su tale presupposto la decisione di rigetto del ricorso e, in ogni caso, avendo lo stesso tecnico del ricorrente dichiarato che l’opera è stata poi successivamente realizzata in modo conforme al progetto di cui era stato chiesto l’assenso.

3) Quanto al secondo motivo di ricorso, lo stesso è rivolto a contestare il capo di sentenza che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso di primo grado avverso il diniego di permesso di costruire in sanatoria, in quanto l’odierno appellante in sede di ricorso di primo grado non avrebbe formulato alcuna censura sui profili di rigetto dell’istanza motivati dal “rilevato contrasto dell’istanza di sanatoria paesaggistica con l’art. 46 delle N.A. del P.T.C.P. ed alla ritenuta necessità della elaborazione di uno studio organico di insieme in vista del miglior inserimento ambientale del manufatto nel contesto”.

In particolare, il provvedimento di diniego impugnato in primo grado ha fatto riferimento al precedente diniego del permesso di costruire in ragione di esigenze di tutela paesaggistica, evidenziando che “non sussistano sufficienti ragioni che giustifichino in questa sede una diversa valutazione dell'intervento rispetto a quella a suo tempo formulata con il provvedimento 417/94 ed anzi l'avvenuta realizzazione della costruzione conferma tale negativo giudizio, nel senso che il fabbricato si presenta inadeguatamente collocato nell'ambito del lotto di terreno a disposizione in quanto eccessivamente ravvicinato alla strada e quindi massimamente percepibile, senza alcuna debita schermatura tale da assicurare, sul lato verso valle, il mantenimento della configurazione prevalentemente vegetale.

Considerato infatti che l'opportunità di una diversa collocazione della costruzione nell'ambito del lotto disponibile, tanto più trattandosi di un deposito per attrezzi agricoli e quindi non condizionato da particolari requisiti di funzionalità specie per quanto attiene all’immediata accessibilità dalla strada pubblica, al fine di mitigarne l'impatto visivo, sarebbe emersa se fosse stato debitamente elaborato lo Studio Organico d'Insieme prescritto dalla disciplina del vigente P.T.C.P. sub art. 46 delle relative N. di A. talchè risulta altresì violata la disciplina paesistica qui richiamata.

Considerato che le stesse opere si pongono quindi in palese contrasto con le finalità della citata L.1497/1939 e s.m.i., atteso che determinano comunque uno stato di alterazione nella configurazione paesaggistico-ambientale del contesto d'ambito nel quale trovano in ragione dell'inadeguatezza della collocazione, dei caratteri compositivi, della tecnica costruttiva e dei materiali impiegati, talchè è nella fattispecie da riconoscersi la loro incompatibilità paesaggistica e quindi il conseguente danno ambientale anche con riferimento alla disciplina del vigente P.T.C.P.;

Ritenuto pertanto che le opere in oggetto non possano essere meritevoli di essere conservate arrecando pregiudizio al paesaggio, è da invitarsi la competente Autorità Comunale all'irrogazione della conseguente sanzione demolitoria ai sensi dell'art.15 della L.1497/ 39, tenuto di ciò debito conto, in ragione dei suoi effetti ripristinatori, anche in sede di esperimento o di definizione del correlativo procedimento di accertamento di conformità ai sensi dell'art.13 L.47/85 eventualmente attivato, essendone venuto meno l'oggetto, riscontrato peraltro che lo stesso procedimento di sanatoria urbanistico-edilizia non avrebbe potuto concludersi con esito favorevole atteso che la nuova costruzione realizzata a seguito della demolizione del precedente manufatto non rispetta le distanze dalla strada prescritte dal D.M. 1.4.1968 da applicarsi nella fattispecie, nè quella della distanza minima dai limiti del lotto prescritta dall'art. 30 delle N. di A. del vigente P.R.G. dí Mignanego”.

A fronte di tale complessa e pluriarticolata motivazione, contente diversi profili idonei autonomamente idonei a giustificare il rigetto, quali quelli - come risulta dalla lettura della motivazione del provvedimento gravato in sede di prime cure - inerenti all'opportunità di una diversa collocazione della costruzione nell'ambito del lotto disponibile, all’omesso Studio Organico d'Insieme prescritto dalla disciplina del vigente P.T.C.P. sub art. 46 delle relative N. di A. e alla risultante violazione della disciplina paesistica, il ricorrente non ha articolato specifiche censure avverso il capo motivazionale inerente al posizionamento e alla mancata elaborazione dello Studio Organico d'Insieme, limitandosi a lamentare il difetto di motivazione e l’irrilevanza della collocazione in quanto si tratta di un’opera già realizzata in relazione alla quale era pendente.

Nulla di specifico è stato articolato nei confronti della motivazione dell’incompatibilità paesaggistica degli interventi che non ne consente il mantenimento e, in ogni caso, al riguardo non avrebbe pregio il profilo dedotto realtivo alla circostanza che l’intervento è stato già realizzato, in quanto trattandosi di richiesta di sanatoria la valutazione della compatibilità paesaggistica è funzionale al mantenimento dell’opera.

Né ha pregio la censura di difetto di motivazione in quanto l’atto gravato, di cui è stato riportato il relativo passaggio motivazionale, espone congruamente le ragioni del rigetto sul punto dell’incompatibilità dei valori e della normativa paesaggistica.

4) Da disattendere sono i motivi di ricorso proposti nei confronti della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha rigettato le doglianze avverso l’ordine di demolizione.

L’intervento in esame esula, per le ragioni suindicate, dai limiti del restauro e del risanamento conservativo, e, pertanto, legittimo si palesa l’ordine di riduzione in pristino, che si presenta come atto vincolato e, in quanto tale, non è nemmeno soggetto all’obbligo della preventiva comunicazione di avvio del procedimento.

Quanto all’applicazione dell'art. 9, comma 2, L n. 47/ 1985, il Collegio rileva come parte appellante non abbia nemmeno dimostrato sussistano i presupposti per ritenere l’intervento di ristrutturazione e non di nuova costruzione e, pertanto, i presupposti per l’applicazione della norma invocata.

In ogni caso risulta corretta la motivazione della sentenza gravata secondo cui in spetta all'interessato, e non all'amministrazione, la deduzione e la prova circa l'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.

Inoltre, l'impossibilità tecnica di demolire il manufatto non incide sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, per cui la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive (quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime) costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.

La valutazione della possibilità o meno del ripristino deve essere compiuta, ad opera dell’ufficio tecnico comunale, in sede di esecuzione dell’ingiunzione di demolizione e pertanto la sua assenza (come pure l’eventuale presenza del presupposto dell’impossibilità di demolire) non può costituire vizio dell’ordine di riduzione in pristino.

Infondata è, altresì, la censura che contesta l’assunto secondo cui all'atto di emanazione dell'ordine di demolizione 5.3.1998, si era formato - ex art. 13 comma 2 l. n. 47 /1985 - il silenzio-rigetto sull'istanza di accertamento di conformità presentata in data 9.8.1995.

La circostanza, dedotta dall’appellante, che l’Amministrazione abbia attivato un’istruttoria sull’istanza di sanatoria non impedisce la formazione del silenzio-rigetto, che si perfeziona anche qualora il relativo procedimento sia pendente, per essere stato aperto e mai concluso da un provvedimento espresso che superi tale intervenuto espresso diniego non potendosi attribuire alla mera pendenza del procedimento alcun valore di atto tacito di revoca del silenzio diniego che invece si verifica con la pronuncia (non intervenuta) di accoglimento della sanatoria (ed arg. ex. Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 28-03-1994, n. 86 secondo cui se l'autorità adita con ricorso gerarchico adotta una decisione esplicita di accoglimento, dopo la scadenza del termine di novanta giorni, tale decisione si configura come revoca di quella tacita di rigetto e conseguentemente, ove non vi siano controinteressati che possano fare la legittimità di una tale decisione, può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere nel ricorso giurisdizionale eventualmente proposto contro il silenzio-rigetto).

5) Inammissibile è, infine, la mera riproposizione operata dall’appellante delle censure formulate in primo grado da parte ricorrente in quanto, l'art. 101, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010, non consente una generica riproposizione dei motivi di ricorso respinti dal giudice di primo grado, ma richiede la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo sul quale si fonda la decisione appellata, poiché l'oggetto del giudizio di appello è costituito dalla decisione appellata e non dal provvedimento gravato in primo grado (Cons. Stato Sez. II, 19/08/2021, n. 5939).

L'effetto devolutivo dell'appello, infatti, non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo l'appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (Cons. Stato Sez. IV, 26/07/2021, n. 5534; Cons. Stato Sez. II, 21/07/2021, n. 5504).

6) Per le suesposte ragioni l’appello deve essere rigettato.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Stante le specifiche circostanze inerenti al ricorso, il Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese di lite di appello tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. -OMISSIS-/2014.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore