Cass. Sez. V sent. 27 giugno 2003, n. 27799
ric. Cavani ed altri
Incendi boschivi e vincolo di inedificabilità
si ringrazia il dott. N. GIRARDI per la segnalazione
Svolgimento
del processo
Il Tribunale del riesame della Spezia, con ordinanza del
19.12.2002, rigettava la richiesta di riesame proposta da Turri Enrica, Gussoni
Walter, Cavani Corrado, Cavani Cristiano e Della Zoppa Giovanni, avverso il
decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale della Spezia il
22.11.2002.
Il provvedimento era stato disposto nei confronti delle persone indicate, in
quanto indagate per i reati di cui all’articolo 323 Cp ed articolo 10 comma 1
e 4 legge 353/00, con riferimento al rilascio di una concessione edilizia in
violazione di norme di legge, in particolare, al divieto di realizzare, per il
termine di dieci anni, edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate agli
insediamenti civili nei soprassuoli delle zone boscate percorse dal fuoco.
Il sequestro ha avuto per oggetto le opere edilizie realizzate in una, zona
boscata di Levanto, località Vallesanta/Ponte delle streghe, già percorsa dal
fuoco in occasione di un incendio del 24-27.7.1999.
Hanno proposto ricorso Cavani Corrado e Cavani Cristiano sostenendo
l’illegittimità del provvedimento impugnato per non aver i giudici di merito
verificato l’applicabilità nel caso di specie della norma contenuta
nell’articolo 10 della legge 353/00, ed in particolare per non aver verificato
se la zona sottoposta a sequestro, costituiva prima dell’incendio “un
bosco”, secondo la definizione contenuta nelle leggi vigenti, ed inoltre per
non aver tenuto conto del fatto che non essendo stato effettuato dal comune il
censimento, tramite apposito catasto, dei soprassuoli già percorsi dal fuoco
nell’ultimo quinquennio, secondo quanto disposto dall’articolo10 comma 2
della legge citata, non poteva ritenersi vigente il regime di inedificabilità.
Con il secondo motivo hanno sostenuto che doveva considerarsi applicabile, non
già la legge nazionale, che costituisce una “legge quadro”, ma quella
regionale già vigente che stabilisce che per i terreni percorsi da incendio,
per il periodo di quindici anni non è possibile attribuire un regime normativo
che consenta un maggiore sfruttamento edificatorio rispetto a quello vigente al
momento dell’incendio.
Le censure sono infondate.
È opportuno premettere che a norma dell’articolo 325 Cpp in materia di misure
cautelari reali, il ricorso per Cassazione è ammesso soltanto per violazione di
legge e non anche per omessa o contraddittoria motivazione nell’esposizione
dei motivi della decisione. Inoltre, la verifica delle condizioni di legittimità
della misura cautelare, da parte del Tribunale del riesame e successivamente
della Corte di cassazione, non può tradursi in anticipata decisione della
questione di merito concernente la responsabilità delle persone sottoposte ad
indagine, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al
controllo di compatibilità fra la fattispecie concreta e quella legale,
rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di
colpevolezza ed alla gravità degli stessi (v. Cassazione Sezioni unite,
7/2000).
Nel caso in esame l’entrata in vigore della legge 353/00, ha profondamente
modificato il regime dei luoghi adibiti a “bosco”, stabilendo, in caso di
incendio, la assoluta inedificabilità per dieci anni sui terreni che hanno
subito la distruzione delle fiamme. Si tratta di una norma eccezionale, voluta
dal legislatore per prevenire l’attività di piromani, spinti alla distruzione
dei boschi, per sfruttare nuovi terreni a fini edilizi. Essa per la sua
peculiare caratteristica di eccezionalità prevale sulle norme preesistenti
nazionali e regionali, e produce delle conseguenze immediate anche sui terreni
già colpiti da incendio. Al fine di rendere possibile in concreto
l’applicazione del nuovo regime ai boschi già distrutti, all’articolo 10
comma 2 è stata prevista la ricognizione dei terreni boschivi già incendiati,
nei cinque anni antecedenti all’entrata in vigore della legge, con la
costituzione di un apposito catasto. È una norma che tende a rendere
applicabile il divieto, a tutti i terreni boschivi distrutti da incendi. ed a
tal fine, inserisce un preciso dovere di ricognizione, per gli amministratori
pubblici che abbiano nel loro territorio soprassuoli, che possano essere oggetto
del divieto. La mancata attuazione della ricognizione e della stesura
dell’apposito catasto, non è può essere confusa con la mancata realizzazione
di una condizione sospensiva dell’efficacia della legge, poiché non è
pensabile, senza contraddire con la lettera ed il fine della nuova norma, che la
sua attuazione, sia affidata alla solerzia di qualche funzionario.
Appare quindi evidente la vigenza e l’immediata operatività del divieto di
edificazione.
Le argomentazioni relative alla definizione, della nozione di “bosco”, ed
alla possibilità di applicarla in concreto al territorio oggetto
dell’insediamento edilizio, costituisce una valutazione di fatto che potrà
essere oggetto delle fasi di merito del procedimento penale, ma che non può
essere proposta in questa sede di legittimità.
Deve infine, osservarsi che essendo stata rilasciata la concessione edilizia il
31.7.2002, l’ipotesi, che tale atto sia stato posto in essere con abuso di
poteri consistenti nella violazione del divieto di edificazione precedentemente
stabilito dall’articolo 10 della citata legge 353/00, appare del tutto
compatibile con la situazione di fatto rappresentata nell’ordinanza. Ed il
sequestro ha la funzione di evitare che la libera disponibilità dei beni,
determini la prosecuzione dell’attività di edificazione, con aggravamento
dell’attuale stato dei luoghi.
Ciò è sufficiente per considerare il sequestro preventivo legittimamente
disposto. Sarà, successivamente il giudice del merito ad affrontare le altre
questioni proposte dalle parti in fatto, ed ad evidenziare le eventuali
responsabilità penali in ordine al reato contestato.
Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti in
solido al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione, sezione quinta penale,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese
del procedimento.