Cass. Sez. III sent.2637 del 20 gennaio 2006 (c.c. 13 ottobre 2005) Pres. Vitalone Est. Onorato Imp. Ziri Beni ambientali – Compatibilità paesaggistica e sequestro preventivo
La dichiarata compatibilità paesaggistica da parte dell’ente competente pur non esplicando effetti estintivi del reato esclude l’esigenza cautelare di cui al primo comma dell’articolo 321 c.p.p. New Page 1

Svolgimento del processo
1 - Con ordinanza del 27 giugno 2005 il tribunale di Foggia, in sede di riesame, ha confermato il decreto in data 25 maggio 2005 con cui il g.i.p. dello stesso tribunale aveva disposto il sequestro preventive di opere edilizie in corso di costruzione e del terreno interessato, di mq. 68.992, sito in Margherita di Savoia, località Foce dell'Ofanto, insula 33 CR6.
In sostanza, il tribunale ha ritenuto che sussisteva il fumus dei seguenti reati: a) artt. 146 e 163 D.Lgs. 490/1999 (oggi artt. 142 e 181 D.Lgs. 42/2004); b) artt. 44 lett. c) DPR 380/2001, nonché il periculum in mora richiesto dall'art. 321, comma 1, c.p.p..
Invero - secondo gli accertamenti effettuati dal Nucleo Operative Ecologico dei Carabinieri di Bari - nella suddetta insula CR6, il Gruppo edile Ziri s.r.l. stava eseguendo lavori di edificazione di tredici villette nell'ambito di un progetto di complesso turistico ricettivo, che comprendeva un albergo, un centro commerciale e un complessivo numero di trentaquattro villette. La zona si trovava in una fascia costiera di 300 metri dalla linea di battigia (la villetta più vicina era a circa 90 metri), e pertanto era soggetta a vincolo ambientale ex lege.
A chiarimento della complessa vicenda si deve precisare quanto segue.
La società costruttrice era titolare di una concessione edilizia del 23 gennaio 2003, ma era sprovvista della prescritta autorizzazione regionale paesaggistica.
In base a tali accertamenti, in data 17 dicembre 2003 si procedeva a sequestro preventivo dell'area e delle strutture edili.
In seguito pero:
- in data 13 aprile 2004 l'autorità preposta alla tutela del vincolo rilasciava autorizzazione in sanatoria;
- il 20 maggio 2004, su richiesta di parte fondata sulla sopravvenuta autorizzazione, il g.i.p. del tribunale foggiano dissequestrava il complesso immobiliare e ne ordinava la restituzione al legittimo proprietario;
- in esito a consulenza tecnica da lui disposta ex art. 359 c.p.p. il pubblico ministero, in data 29 marzo 2005, presentava istanza per un nuovo sequestro preventivo, mettendo in evidenza: a) che la predetta autorizzazione in sanatoria non poteva essere rilasciata, in quanto espressamente vietata dall'art. 146, comma 10, lett. b) D.Lgs. 42/2004, che esclude il rilascio dell'autorizzazione in sanatoria dopo la realizzazione, anche parziale, dell'intervento edilizio; c) che non era applicabile nel caso di specie l'ipotesi di deroga alla necessità dell'autorizzazione di cui all'art. 146, comma 2. D.Lgs. 490/1999; d) che la predetta concessione edilizia n. 2/2003 era stata rilasciata sulla base di una variante integrativa al piano particolareggiato del litorale ITTA, adottata dal comune di S. Margherita di Savoia, ma non approvata dalla Regione; e) che infine lo stesso piano particolareggiato ITTA era stato approvato con prescrizioni, poi divenute raccomandazioni, mai rispettate, che imponevano l’urbanizzazione del 70% delle restanti insule del piano particolareggiato, più vicine al centro abitato, prima di edificare nella insula 33 CR6;
- con provvedimento del 20 maggio 2005, il g.i.p. ha accolto l'istanza del p.m. e ha disposto nuovamente il sequestro preventivo del cantiere.
Orbene, in sede di riesame contro quest'ultimo sequestro, il tribunale di Foggia ha ritenuto di non poter disattendere le risultanze della consulenza tecnica del p.m., pur dando atto che il consulente tecnico del difensore era pervenuto a conclusioni opposte. Ha pertanto respinto le dieci doglianze sollevate dalla difesa.
2 - Avverso l'ordinanza del tribunale di riesame il difensore della indagata Filomena Ziri, rappresentante legale della società costruttrice, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo otto motivi a sostegno.
In particolare, denuncia:
2.1 - violazione del principio del giudicato cautelare, giacché nessun nuovo elemento era stato posto a fondamento del sequestro rispetto al precedente dissequestro del 20 maggio 2004;
2.2 - violazione del principio della irretroattività della norma penale, giacché la norma dell'art. 146, comma 10 lett. b) D.Lgs. 42/2004, utilizzata dal giudice per ritenere illegittima e disapplicare l'autorizzazione in sanatoria, era entrata in vigore solo il 1 maggio 2004 e quindi successivamente al rilascio della stessa autorizzazione (avvenuto il 13 aprile 2004);
2.3 - conseguente validità ed efficacia della autorizzazione in sanatoria;
2.4 - violazione dell'art. 146, comma 2, lett. b) D.Lgs. 490/1999, laddove stabilisce che l'autorizzazione paesaggistica non è prescritta per le aree ricomprese nei piani pluriennali di attuazione delimitate dagli strumenti urbanistici come zone del centro urbano;
2.5 - violazione del principio di inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, giacché la relazione del consulente tecnico del p.m., Riccio, posta a base del sequestro preventivo, era stata depositata il 4 febbraio 2005, quando il termine suddetto era abbondantemente scaduto;
2.6 - mancanza di motivazione, giacché né il decreto di sequestro, che richiamava la richiesta del p.m., facendola propria, senza pero allegarla al decreto stesso, né l'ordinanza impugnata, che pure ha fatto riferimento alla menzionata consulenza Riccio, ne hanno esplicitato le motivazioni;
2.7 - violazione di legge, atteso che mancavano i presupposti per la disapplicazione dell'atto amministrativo, e cioè la illiceità o la macroscopica illegittimità della variante integrativa al piano particolareggiato del litorale di Margherita di Savoia - ITTA, oltre tutto adottata nel lontano 1985, circa vent'anni prima della richiesta concessione edilizia;
2.8 - violazione del principio di valutazione di tutti gli atti prodotti dalla difesa, atteso che l’ordinanza impugnata ha omesso di confutare le conclusioni del consulente tecnico della difesa, pur avendone dato atto.
Con successiva memoria scritta il difensore ha insistito nel ricorso, lamentando il carattere "giustizialista" del nuovo provvedimento di sequestro.

Motivi della decisione
3 - Il ricorso è fondato sotto molti profili.
Secondo la giurisprudenza costante, il provvedimento del g.i.p. che revoca un sequestro preventivo per mancanza sopravvenuta dei suoi presupposti di legge, se non impugnato, acquista una sia pur limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale (c.d. giudicato cautelare), fondata sul principio ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p., tale che la misura cautelare non può essere reiterata se non in seguito alla sopravvenienza di un fatto nuovo (cfr. per tutte Sez. Un. n. 11 del 1 luglio 1992, Grazioso, rv. 191183; Sez. Un. n. 20 del 12 ottobre 1993, Durante, 195354; Sez. Un. n. 26 del 12 novembre 1993, dep. 27 gennaio 1994, Galluccio, rv. 195806).
Questa era la situazione nel caso di specie dopo che il g.i.p. del tribunale di Foggia, col provvedimento del 20 maggio 2004, aveva dissequestrato il complesso immobiliare di cui trattasi, avendo rilevato che l'attività edilizia era legittimata, oltre che dalla concessione edilizia preventivamente rilasciata il 23 gennaio 2003, anche dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata in sanatoria dalla competente autorità regionale in data 13 aprile 2004.
Tuttavia, in seguito a una nuova consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, il sequestro preventivo, su istanza dello stesso p.m., è stato reiterate dal giudice con decreto del 20 maggio 2005, poi confermato dal tribunale del riesame con l’ordinanza impugnata.
Orbene, contrariamente alla opinione espressa dal pubblico ministero in sede, non può dirsi che la predetta consulenza tecnica configuri per se stessa un "fatto nuovo", tale da giustificare la reiterazione del sequestro, essendosi essa limitata a offrire una nuova e più approfondita valutazione giuridica di atti amministrativi preesistenti. Il fatto nuovo per il fine di cui si tratta non può consistere in una nuova valutazione di fatti già conosciuti.
4 - Inoltre, se è vero quel che ha dedotto il difensore ricorrente (v. n. 2.5, su cui gli atti a disposizione di questo collegio non consentono un controllo), l'espletamento e il deposito della relazione del consulente avvenuti dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari rendono inutilizzabile la consulenza stessa ai sensi dell'art. 407, comma 3, c.p.p..
Infatti, nonostante qualche oscillazione giurisprudenziale sul punto, bisogna ritenere che questa norma sancisca l'inutilizzabilità degli atti investigativi tardivi non solo per la fase dibattimentale, ma per ogni stato e grado del procedimento (così come espressamente disposto dalla norma generale dell'art. 191 c.p.p.), e quindi anche per la fase delle indagini preliminari e per il procedimento cautelare. Questa tesi è era avvalorata dal nuovo testo dell'art. 438 c.p.p. (come sostituito dall'art. 27 legge 16 dicembre 1999 n. 479), che, nel quinto comma, prescrive al giudice, che debba valutare l'ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato condizionato all'acquisizione di ulteriori prove, di tenere conto anche "degli atti già acquisiti ed utilizzabili". Il che significa che nella fase delle indagini preliminari possono rinvenirsi atti non utilizzabili, come quelli appunto compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini stesse.
5 - Ma quel che più conta è che erroneamente i giudici cautelari, seguendo la prospettazione del pubblico ministero, hanno ritenuto illegittima 1'autorizzazione paesaggistica postuma, sul rilievo che l’art. 146, comma 10, lett. c) D.Lgs. 20 gennaio 2004 n. 42 vieta di rilasciare l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale degli interventi.
Ora, è vero che la menzionata autorizzazione regionale del 13 aprile 2004 è stata rilasciata dopo che i lavori edilizi de quibus erano stati gia iniziati; ma è anche vero che la norma dell'art. 146, innovativa sul punto rispetto alla precedente disciplina di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, è entrata in vigore (come tutto il c.d. codice Urbani) solo il 1 maggio 2004, e quindi dopo che l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria era stata rilasciata: sicché la nuova norma non poteva avere efficacia retroattiva sul precedente atto amministrativo in forza dell’art. 11 delle preleggi.
Sul punto, il procuratore generale, nella discussione orale, ha osservato che l'autorizzazione in sanatoria non estingue il reato. L'osservazione è esatta, anche perchè nel caso di specie non risultano integrati i presupposti per l’applicazione del c.d. minicondono ambientale di cui alla recente legge 15 dicembre 2005 n. 308: più precisamente non é applicabile né 1'art. 36, laddove ha modificato 1'art. 181 D.Lgs. 42/2004, introducendo la non punibilità del reato ambientale quando intervenga un accertamento amministrativo postumo di compatibilità paesaggistica; né l'art. 37, che ha introdotto il "minicondono ambientale" per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004.
Tuttavia, se 1'autorizzazione postuma non estingue il reato, essa è indubbiamente idonea a escludere l’esigenza cautelare di cui al primo comma dell'art. 321 c.p.p., atteso che l'accertamento amministrativo della compatibilità paesaggistica dell'intervento compiuto sul territorio in assenza della preventiva autorizzazione fa venir meno il pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato. Le conseguenze del reato ambientale, intese come offesa all'equilibrio paesaggistico, infatti, sono positivamente escluse dal provvedimento amministrativo dell'autorità preposta alla tutela di quell'equilibrio.
Viene meno così un presupposto essenziale di legittimità del sequestro preventivo in relazione al reato ambientale.
6 - Resterebbe il sequestro preventivo in ordine al contestato reato urbanistico.
Ma anche a questo riguardo opera la suddetta efficacia preclusiva derivante dalla revoca del sequestro disposta dal g.i.p. col provvedimento del 20 maggio 2004, che aveva escluso il fumus del reato urbanistico in considerazione della concessione edilizia preventivamente ottenuta in data 23 gennaio 2003.
Nella sua richiesta di nuovo sequestro preventivo, il pubblico ministero procedente, in base alla relazione del suo consulente tecnico Riccio, aveva sostenuto la illegittimità della predetta concessione edilizia perchè fondata su una variante integrativa al piano particolareggiato del litorale ITTA non ancora approvata e poi approvata con raccomandazioni mai rispettate. II tribunale del riesame ha poi confermato il sequestro sulla semplice considerazione che la tesi del consulente Riccio, seppure contrastata dal consulente della difesa, bastava a integrare il fumus delicti: con ciò indubbiamente violando il suo obbligo di motivazione e impedendo al giudice di legittimità di esercitare il suo sindacato al riguardo.
Ma sul punto è dirimente la considerazione che, anche adottando la prospettazione della pubblica accusa sulla irregolarità della suddetta variante al piano particolareggiato, non si tratterebbe comunque di una illegittimità macroscopica della concessione edilizia, tale da renderne possibile la disapplicazione da parte del giudice penale, secondo i parametri più permissivi che sul tema sono stati elaborati dalla nota giurisprudenza più recente di questa corte.
7 - In conclusione, risultano fondati i motivi di ricorso nn. 2.1, 2.2, 2.3, 2.5 e 2.7, mentre tutti gli altri motivi restano assorbiti.
Per conseguenza si deve ritenere che allo stato degli atti manca il fumus del reato urbanistico e non permangono le esigenze cautelari per il reato ambientale.
Il sequestro preventivo va quindi annullato.