Cass.Sez. III n. 37337 del 12 settembre 2013 (Ud 16 apr 2013)
Pres.Squassoni Est.Franco Ric.Ciacci e altri.
Beni Ambientali.Cause di non punibilità

La punibilità del reato di pericolo previsto dall'art. 181, comma primo, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è esclusa nell'ipotesi di interventi di "minima entità", e cioè di quelli inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggistico - ambientale. (Fattispecie nella quale la Corte ha accolto il ricorso contro la sentenza di condanna, ritenendo - conformemente al parere già espresso nella vicenda dalla competente commissione per il paesaggio, in ragione delle caratteristiche costruttive e dei materiali adoperati - la astratta inidoneità alla compromissione del paesaggio di interventi consistiti nella demolizione e rifacimento di tre dei sei muri perimetrali e di parti interne di una rimessa deposito dell'abitazione principale).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 16/04/2013
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 1147
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - N. 13348/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ciacci Andrea, nato a Firenze il 5.3.1977;
Ciacci Letizia, nata a Firenze il 15.2.1967;
Gatti Ermanno, nato a Prato il 29.10.1926;
e da Mungai Giovanni, nato a Prato il 12.2.1959;
avverso la sentenza emessa il 28 febbraio 2011 dalla corte d'appello di Firenze;
udita nella pubblica udienza del 16 aprile 2013 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. Altieri Giorgio, in sostituzione degli avv. Ravone Vincenzo e Campagni Franco Bruno.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 2.2.2009 il giudice del tribunale di Firenze dichiarò Gatti Ermanno, quale committente, Mungai Giovanni, quale direttore dei lavori, Ciacci Andrea e Ciacci Letizia, quali esecutori, colpevoli dei reati di cui: A) al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), per avere ristrutturato un manufatto preesistente destinato a rimessa previa demolizione, senza permesso di costruire ma con sola DIA, da ritenersi nulla e quindi inefficace; B) al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, per avere realizzato dette opere senza autorizzazione paesaggistica in una zona soggetta a vincolo paesaggistico ed ambientale in area di notevole interesse pubblico, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia, con la sospensione condizionale della pena e l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mentre li assolse dal reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95, perché estinto per prescrizione.
La corte d'appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, dichiarò estinto per prescrizione il reato edilizio di cui al capo A), e confermò la condanna per il reato di cui al capo B), riducendo la pena a mesi otto di reclusione e confermando nel resto. Mungai Giovanni, a mezzo dell'avv. Franco Bruno Campagni, propone ricorso per cassazione esponendo preliminarmente che con provvedimento in data 18 maggio 2011 l'autorità competente ha stabilito che gli interventi realizzati non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica, in quanto, per la loro minima entità, per le caratteristiche costruttive e per i materiali usati, non recano alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore dell'edificio e, risultando quindi compatibili con il contesto paesaggistico, sono riconducigli alla fattispecie di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 149, comma 1. Ciò premesso deduce:
1) inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 181 e 146 nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, perché la corte d'appello ha dato illogicamente rilievo al fatto che si trattava di lavori a rilevanza esterna in area di particolare pregio, omettendo di accertare e di considerare che gli interventi non avevano apportato modificazioni che potessero recare pregiudizio ai valori paesaggistici.
2) inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 181 e 149 e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, perché la corte non ha tenuto conto della tipologia delle opere e delle caratteristiche costruttive ne' della circostanza che per la minima entità e i materiali usati i lavori non avevano apportato alterazioni dello stato dei luoghi e dell'aspetto esterno ed erano compatibili con il paesaggio, sicché erano riconducibili alla fattispecie dell'art. 149 e non erano soggetti ad autorizzazione paesaggistica.
3) mancata assunzione di una prova decisiva richiesta dalla difesa, ed in particolare di una perizia d'ufficio.
4) inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 de mancanza di motivazione sullo elemento soggettivo del reato. Osserva che illogicamente la corte ha fatto riferimento al fatto che si trattava di operatori esperti del settore, giacché proprio questa qualifica dimostra la loro assoluta buona fede per la convinzione che le opere di recupero non necessitavano di autorizzazione paesaggistica, come poi riconosciuto dalla autorità competente.
5) inosservanza del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 e dell'art. 49 c.p. perché nella specie è del tutto mancata la valutazione della presenza di offensività al valore del paesaggio, trattandosi di opere volte al recupero di un manufatto preesistente. 6) inosservanza ed erronea applicazione di legge; carenza di motivazione sulla entità della pena inflitta ed erronea applicazione dei criteri di valutazione della gravità del reato agli effetti della pena.
Ciacci Andrea e Ciacci Letizia, a mezzo dell'avv. Franco Bruno Campagni, propongono ricorso per cassazione autonomo, ma identico a quello di Mangai Giovanni.
A sua volta, Gatti Ermanno, a mezzo dell'avv. Vicenzo Ravone, propone analogo ricorso per cassazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che i ricorsi siano fondati.
Ed invero - a prescindere dalla questione se sia stato o meno contestato il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, (e non invece quello di cui al comma 1) e dalla questione se si tratti di opere di risanamento conservativo o di ristrutturazione - il giudice del merito ha accertato che si trattava di lavori interessanti una rimessa deposito dell'abitazione principale, che non avevano portato alcun mutamento di destinazione d'uso, e che erano consistiti nella demolizione e rifacimento di tre dei sei muri perimetrali, del piano di calpestio, del vespaio, delle fondamenta, dei tramezzi interni e del tetto e nella creazione di nuove porte e finestre.
Esattamente, la corte d'appello ha richiamato il principio, più volte espresso da questa Corte, secondo cui "Il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 (ora sostituito dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 41, art. 181), così come antecedentemente quello di cui al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies, convertito in L. 8 agosto 1985, n. 431, ha natura di reato formale di pericolo che si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica, e prescinde dal verificarsi di un evento di danno e da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione del paesaggio, atteso che il vincolo posto su determinate parti del territorio nazionale ha una funzione prodomica al governo del territorio stesso;
peraltro tale reato non è configurabile quando si tratti di interventi di entità talmente minima che non siano neppure astrattamente idonei a porre in pericolo il paesaggio ed a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, ovvero si tratti di interventi ontologicamente estranei al paesaggio ed all'ambiente" (Sez. 3, 10.3.2004, n. 16713, Di Muzio, m. 227965); "Il reato di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1), ha natura di pericolo sicché, per la sua configurabilità, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici" (Sez. 3, 20.10.2009, n. 2903 del 2010, Soverini, m. 245908). Ed ha altresì richiamato il principio affermato dalla Corte costituzionale secondo cui anche per i reati di pericolo presunto o astratto, è pur sempre devoluto al giudice di accertare in concreto l'offensività specifica della singola condotta.
Nella specie, però, questo accertamento sulla mancanza di una astratta idoneità a porre in pericolo il paesaggio ed a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale in realtà non è stato compiuto dalla corte d'appello, la quale si è limitata all'affermazione che tale astratta idoneità discendeva automaticamente dal particolare pregio dell'area e dalla rilevanza esterna dei lavori. La sentenza impugnata ha invece omesso di considerare che gli imputati avevano documentato che il 18.5.2011, nel contesto della pratica edilizia n. 4088 del 2010 per il "ripristino di manufatto ad uso deposito-ripostiglio, Via del Monte alle Croci n. 21 - Zona sottoposta a vincolo paesaggistico" il dirigente del servizio competente del comune di Firenze aveva comunicato che la Commissione per il Paesaggio, nella seduta dell'11.5.2011, aveva espresso, ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 146, comma 7, ai fini della verifica dei presupposti per l'applicazione dell'art. 149, comma 1, il parere nel senso che "l'intervento proposto, non recando per la sua minima entità, per le caratteristiche costruttive e per i materiali usati - alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore dell'edificio, e risultando pertanto compatibile con il contesto paesaggistico di riferimento, sia riconducibile alle fattispecie di cui all'art. 149, comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica)". La commissione per il paesaggio quindi concludeva nel senso che "l'intervento proposto per l'esecuzione dei lavori descritti nella documentazione e negli elaborati tecnici allegati alla richiesta sopra descritta, non recando - per la minima entità, per le caratteristiche costruttive e per i materiali usati - alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore dell'edificio, e risultando pertanto compatibile con il contesto paesaggistico di riferimento, sia riconducibile alle fattispecie di cui all'art. 149 comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio: Interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica". In sostanza, per espressa e specifica valutazione della autorità amministrativa competente, era stato accertato che l'intervento in questione, in considerazione della sua minima entità, delle caratteristiche costruttive e dei materiali usati, non incideva sull'aspetto esteriore dell'edificio e sullo stato dei luoghi, sicché per lo stesso non era comunque richiesta l'autorizzazione paesaggistica ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 149, comma 1. Si trattava, in altri termini, di intervento di entità talmente minima che non era neppure astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio ed a pregiudicare il bene paesaggistico- ambientale.
Queste conclusioni non sono state in alcun modo contestate o contraddette dalla sentenza impugnata (se non con le generica affermazione dianzi riportata).
Ne deriva che nella specie non sussistevano gli elementi per la configurabilità del reato contestato al capo B). La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al residuo reato di cui al capo B) (D.Lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis) perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al residuo reato di cui al capo B) (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis) perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 16 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2013