Cass.Sez. III n. 12346 del 17 marzo 2014 (Ud 4 mar 2014)
Pres.Squassoni Est.Ramacci Ric.Chen
Alimenti.Prova del cattivo stato di conservazione
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 5, lett. b), della legge n. 283 del 1962, il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica (verbale ispettivo, documentazione fotografica, o altro) e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, ed è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione. (Fattispecie in cui è stata ritenuta corretta la decisione impugnata che aveva affermato la sussistenza del reato con riferimento a prodotti alimentari - tra cui carni, pasta ripiena e dolci - congelati in proprio conservati in promiscuità con scarti di lavorazione ed alimenti scaduti in recipienti inidonei, all'interno di elettrodomestici sporchi e, in un caso, con guarnizioni difettose).
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza del 22.10.2012, emessa a seguito di giudizio conseguente ad opposizione a decreto penale di condanna, ha affermato la responsabilità penale di C.L.M., che ha condannato alla pena dell'ammenda, con riferimento al reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b) perchè, quale titolare del un ristorante con insegna "LIMIN", deteneva per la successiva somministrazione agli avventori alimenti in cattivo stato di conservazione (in (OMISSIS)).
Avverso tale pronuncia il predetto, tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione in quanto rivolto verso decisione inappellabile.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che la norma applicata sarebbe stata male interpretata dal giudice del merito, il quale avrebbe ritenuto sufficiente, ai fini dell'integrazione della fattispecie contravvenzionale contestata, la mera inosservanza di precauzioni per la corretta conservazione delle sostanze alimentari, mentre sarebbe necessario, al contrario, un rigoroso accertamento della situazione di fatto che, nel caso in esame, sarebbe del tutto carente, non avendo l'autorità giudiziaria procedente provveduto ad analisi batteriologiche o altri esami di laboratorio sugli alimenti, fondando quindi la decisione su meri elementi indicativi.
3. Con un secondo motivo di ricorso rileva che non risulterebbe fornita la prova della destinazione delle sostanze alimentari alla somministrazione agli avventori del ristorante, avendo peraltro lo stesso imputato riferito, in sede di esame, che parte delle derrate rinvenute in sede di controllo sarebbero state, in realtà, destinate al consumo personale o al successivo smaltimento come rifiuto.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta, infine, l'eccessività della pena irrogata.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato.
Con riferimento al primo motivo di ricorso va ricordato che, come è noto, la contravvenzione in esame vieta l'impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione o, comunque, la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (SS.UU. n. 443, 9 gennaio 2002) si tratta di un reato di danno, perchè la disposizione è finalizzata non tanto a prevenire mutazioni che, nelle altre parti della L. n. 283 del 1962, art. 5, sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all'interesse del consumatore affinchè il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. Conseguentemente, si è escluso che la contravvenzione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate dalla citata Legge, art. 5, perchè, rispetto ad essi, è figura autonoma di reato, cosicchè, ove ne ricorrano le condizioni, può anche configurarsi il concorso (in senso conforme, Sez. 3, n. 35234, 21 settembre 2007; difforme Sez. 3, n. 2649, 27 gennaio 2004).
Le Sezioni Unite, sempre nella decisione in precedenza richiamata, hanno anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (conf. Sez. 3, n. 15094, 20 aprile 2010; Sez. 3, n. 35234, 21 settembre 2007, cit.; Sez. 3, n. 26108, 10 giugno 2004; Sez. 3, n.123124, 24 marzo 2003; Sez. 4, n. 38513, 18 novembre 2002; Sez. 3, n. 37568, 8 novembre 2002; Sez. 3, n. 5, 3 gennaio 2002).
Conformandosi al primo dei principi appena ricordati, altra pronuncia (Sez. 3, n. 35828, 2 settembre 2004, citata anche nella sentenza impugnata) ha successivamente chiarito che la natura di reato di danno attribuita dalle Sezioni Unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poichè l'interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura.
Si è inoltre affermato come sia comunque necessario accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze (Sez. 3, n. 439, 11 gennaio 2012, citata anche nella sentenza impugnata; Sez. 3, n. 15049, 13 aprile 2007) escludendo, tuttavia, la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione (Sez. 3, n. 35234, 21 settembre 2007, cit.) ed affermando che il cattivo stato di conservazione dell'alimento può assumere rilievo anche per il solo fatto dell'obiettivo insudiciamento della sola confezione, conseguente alla sua custodia in locali sporchi e, quindi, igienicamente inidonei alla conservazione (Sez. 3, n.9477, 10 marzo 2005) ed è configurabile anche nel caso di detenzione in condizioni igieniche precarie (Sez. 3, n.41074, 11 novembre 2011).
Tali principi sono stati successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 6108, 10 febbraio 2014, non massimata).
6. Ciò posto, va rilevato che, nella fattispecie, il giudice del merito risulta aver correttamente applicato la disposizione in esame tenendo opportunamente conto dei condivisibili principi dianzi richiamati.
Invero, con accertamento in fatto immune da vizi logici o manifeste contraddizioni e, in quanto tale, non censurabile in questa sede di legittimità, si è posto in evidenza, nella impugnata sentenza, che le condizioni di cattivo stato di conservazione degli alimenti, poi sottoposti a sequestro, era documentata in atti dal verbale ispettivo e da quello relativo al sequestro penale, nonchè dalle fotografie dei freezer in cui le derrate erano conservate.
Precisa il giudice del merito come, all'esito della verifica, fosse emerso che gli elettrodomestici erano sporchi ed i prodotti alimentari contenuti all'interno (carne avicola e suina, prodotti ittici, pasta ripiena e dolci) risultavano conservati in promiscuità e congelati in proprio, dunque senza alcuna tracciabilità, all'interno di sacchetti non idonei perchè non destinati alle sostanze alimentari. Uno dei congelatori, inoltre, presentava guarnizioni difettose oltre a contenere una confezione di ali di pollo scadute e scarto di lavorazione.
Si tratta di argomentazioni del tutto coerenti, che evidenziano appieno condizioni di conservazione degli alimenti non corrette e tali da configurare la contravvenzione contestata, senza necessità alcuna di analisi di laboratorio o di altre verifiche tecniche come ipotizzato in ricorso, essendo più che sufficienti gli elementi fattuali ben valorizzati dal giudice del merito.
7. Va conseguentemente ribadito che ai fini della configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), il cattivo stato di conservazione degli alimenti, che può essere accertato dal giudice del merito senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica (verbale ispettivo, documentazione fotografica etc.) e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione.
8. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato.
Il giudice del merito ha dato infatti compiutamente atto, contrariamente a quanto sostenuto nell'impugnazione, degli elementi significativi che consentivano di ritenere gli alimenti sequestrati effettivamente destinati ai clienti del ristorante.
Osserva infatti il Tribunale che le derrate erano conservate nei diversi congelatori ubicati all'interno di un locale debitamente autorizzato come deposito e che gli elettrodomestici contenevano tutti gli stessi alimenti.
Si trattava, dunque, di generi alimentari che erano nella materiale disponibilità dell'imputato evidentemente per la preparazione delle pietanze poi servite nel ristorante e, dunque, correttamente il giudice del merito ha ritenuto la detenzione correlata alla successiva somministrazione, non risultando, peraltro, dati significativi deponenti in senso contrario, a nulla rilevando le dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame che, per quanto è dato rilevare dal tenore del ricorso e della sentenza impugnata, riguardavano solo una parte degli alimenti rinvenuti (quelli che l'imputato stesso indica come destinati al consumo personale e come rifiuti destinati allo smaltimento) e conservati in uno soltanto dei congelatori.
9. Per ciò che concerne, infine, il terzo motivo di ricorso, non si ravvisa, nella sentenza impugnata, nessuna ragione di censura in punto di determinazione della pena, che il giudice del merito risulta aver effettuato con un corretto esercizio del potere discrezionale attribuitogli dalla legge.
Viene infatti esclusa in sentenza la sussistenza di positivi elementi di giudizio per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che, come è noto, non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi e, nel contempo, viene considerata la modestia dell'addebito per irrogare la sola pena pecuniaria.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di motivazione adeguata e giuridicamente corretta, non essendo richiesto al giudice del merito di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato ai fini della quantificazione della pena, ben potendo assolvere adeguatamente all'obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749, 26 marzo 2008).
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2014.