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Cass. Sez. III n. 9631 del 21 marzo 2006 (C.c. 25 ottobre 2005)
Pres. Vitalone Est. Franco Ric. Trigili ed altri
Elettrosmog – Installazione impianti (rapporti tra TUE e CCE). Disciplina delle autorizzazioni rilasciate ai sensi della normativa previgente)

Il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denuncia dell’attività previsti dall’articolo 87 del D.Lv. 259-2003, hanno come contenuto imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento e non è richiesta, pertanto, la necessità di un distinto titolo abilitativo a fini edilizi in quanto il Codice delle Comunicazioni deroga al T.U. edilizia.
Non risulta influenzato, in ogni caso, il regime sanzionatoria penale di cui all’articolo 44 del T.U. 380-2001 e le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate al comma 1 dell’articolo 87 del D.Lv. 259-2003 restano sottoposte, pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire (la decisione prende in esame anche gli aspetti riguardanti la validità delle autorizzazioni rilasciate ai sensi della normativa previgente.

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 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 25/10/2005
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 1141
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 25685/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Trigili Michele, nato a Palermo il 24 agosto 1953;
Vodafone Omnitel NV;
avverso l'ordinanza emessa il 31 marzo 2005 dal tribunale di Catania, quale giudice del riesame;
udita nella udienza in Camera di consiglio del 25 ottobre 2005 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata;
udito per il Trigili il difensore avv. ZAMPARDI Armando;
udito per la soc. Omnitel Vodafone il difensore avv. Libertini Mario. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ordinanza del 31 marzo 2005 il tribunale del riesame di Catania confermò il decreto in data 24 febbraio 2005, con il quale il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania aveva disposto, nei confronti della Vodafone Omnitel NV e del suo procuratore Trigili Michele, il sequestro preventivo, in relazione al reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b), di un'antenna per servizi di telecomunicazione collocata su un traliccio alto trenta metri posto su un basamento di calcestruzzo. Espose il tribunale che l'opera aveva avuto inizio sulla base di due autorizzazioni (del 17/06/2003, per l'installazione dell'impianto, e del 6/03/2004, per l'implementazione del ponte radio) per la realizzazione di stazioni radio base a servizio di telefonia mobile cellulare, la prima delle quali era stata rilasciata ai sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, art. 13. Quest'ultimo era stato però dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Cost. con sent. n. 303 del 2003 per eccesso di delega rispetto alla L. di delegazione n. 443 del 2001. A seguito della pronuncia di incostituzionalità la prima autorizzazione doveva ritenersi automaticamente caducata perché alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale erano ancora pendenti i termini per il ricorso giurisdizionale. Da ciò derivava anche l'invalidità della seconda autorizzazione all'implementazione dell'impianto, la quale presupponeva una valida autorizzazione alla installazione. Rilevò poi il tribunale che non era applicabile il D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5 (secondo il quale i procedimenti di rilascio di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazioni elettroniche iniziati ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2002, ed in corso alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Cost. n. 303 del 2003, sono disciplinati dal D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259), perché tale disposizione riguardava solo i casi in cui il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso con il provvedimento dirigenziale alla data di pubblicazione della sentenza di incostituzionalità, e non anche i provvedimenti già emessi per i quali pendeva ancora il termine per l'impugnazione. L'opera doveva quindi ritenersi non assistita da alcun valido titolo abilitativo.
Osservò quindi il tribunale che comunque non condivideva la tesi secondo cui, ai sensi del D.Lgs. n. 315 del 2003, art. 4 citato, dovevano applicarsi le norme di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, con la conseguenza che per gli impianti di telecomunicazione quali quello in questione non era necessario il permesso di costruire a norma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto le valutazioni urbanistico-edilizie restavano assorbite nel procedimento di cui all'art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche. E ciò perché il D.Lgs. n. 259 del 2003, non contiene alcuna abrogazione, nè espressa ne' tacita, delle specifiche previsioni del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e3) ed e4), le quali assoggettano al permesso di costruire anche le infrastrutture e gli impianti per pubblici servizi e le installazioni di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti. Difatti, non vi è identità di materia ed inoltre la finalità perseguita dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 87 non riguarda la tutela dell'assetto del territorio, alla quale quindi rimangono preposte le procedure previste dal D.P.R. n. 380 del 2001. Anzi, il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 86, comma 3, che assimila ad ogni effetto le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui ai successivi artt. 87 e 88, alle opere di urbanizzazione primaria di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 16, comma 7, statuendo che ad esse si applica la normativa vigente in materia, implicitamente richiama il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, che al comma 1, lett. e2), contempla, tra gli interventi di nuova costruzione soggetti a permesso di costruire, quelli di urbanizzazione primaria e secondaria, realizzati da soggetti diversi dal comune.
Osservò infine il tribunale del riesame che l'interpretazione adottata non vanificava la ratio, sottesa al codice delle comunicazioni elettroniche, della previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture, di riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi e di loro regolazione uniforme in conformità ai principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241 (art. 41, comma 2, n. 3) e 4), L. n. 166 del 2002) e ciò perché le esigenze di tempestività non sono estranee alla disciplina del D.P.R. n. 380 del 2001, e perché questa non implica una compressione delle esigenze dettate dalla citata legge di delegazione. 2. Propongono separati ricorsi per cassazione Trigili Michele e la società Vodafone Omnitel NV.
2.1. Il Trigili osserva che il tribunale del riesame ha sì considerato che la realizzazione dell'impianto è stata assentita con autorizzazione rilasciata ai sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, con il quale, per favorire la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, era stata introdotta una disciplina speciale secondo cui era sufficiente un'autorizzazione o una denunzia di inizio attività per la realizzazione di un impianto di telefonia mobile da parte delle società licenziatarie del ministero delle comunicazioni. Ha tuttavia ritenuto che la dichiarata incostituzionalità del D.Lgs. n. 198 del 2002, avrebbe travolto anche le autorizzazioni in precedenza rilasciate, senza però considerare che nel frattempo era intervenuto il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, il quale, agli artt. 86 e 87 ha sostanzialmente riprodotto gli artt. 4 e 5 del precedente decreto, ed ha erroneamente ritenuto che non fosse applicabile nel caso in esame il D.L. n. 315 del 2003.
Rileva quindi il ricorrente che la società Vodafone Omnitel ha agito legittimamente sulla base delle due autorizzazioni rilasciate dal comune di Catania il 17/06/2003 ed il 6/03/2004.
Lamenta infine che il tribunale ha erroneamente disatteso la prevalente e costante giurisprudenza amministrativa, che, per una serie di considerazioni di ordine teleologico e testuale, segue una interpretazione secondo la quale per gli impianti de quibus non occorre il permesso di costruire, ma la semplice autorizzazione o comunicazione di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 87 il cui procedimento contiene ed assorbe anche la verifica della compatibilità urbanistica ed edilizia.
2.2. La società Vodafone Omnitel NV premette di essere licenziataria del mistero delle comunicazioni per l'espletamento del servizio pubblico radiomobile di comunicazione e di avere ottenuto, per la realizzazione della stazione radio base in questione, due provvedimenti autorizzativi, il primo rilasciato il 17/06/2003 a seguito di conferenza di servizi, sulla base dell'allora vigente D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, ed il secondo rilasciato il 30/01/2004 sulla base del sopravvenuto D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259. Ciò premesso, la ricorrente deduce:
a) violazione ed inosservanza del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 ed erronea applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Sottolinea che per tutta una serie di ragioni, di ordine teleologico, sistematico e testuale, l'autorizzazione prescritta dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 87 non è un titolo che si aggiunge al permesso di costruire prescritto dal t.u. dell'edilizia, bensì un titolo sostitutivo, che è sufficiente a consentire l'installazione degli impianti di radio base per reti di telecomunicazioni elettroniche mobili;
b) violazione degli artt. 25 Cost. e 2 c.p. e violazione ed erronea applicazione del D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5; violazione dei principi in materia di invalidità derivata dei provvedimenti amministrativi; manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che il tribunale del riesame ha errato sia nel ritenere che, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, sarebbe stato automaticamente caducato il provvedimento di autorizzazione e sia nel ritenere non applicabile il D.L. n. 315/2003, art. 4. Osserva poi che, in forza dell'art. 25 Cost. e art. 2 c.p., nella specie non sarebbe comunque configurabile il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), in quanto dovrebbe ugualmente applicarsi la legge dichiarata invalida perché più favorevole al reo.
c) violazione ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p.. Lamenta che l'ordinanza impugnata è erronea in ordine alle esigenze cautelari, perché al momento del sequestro l'impianto era già completo, perfezionato e funzionante, e quindi non vi era il pericolo che la sua disponibilità potesse protrarre od agevolare le conseguenze del reato. Nè potrebbe applicarsi la giurisprudenza che ritiene legittimo il sequestro preventivo di un edificio già ultimato, perché nella specie si tratta di un'antenna, che non sviluppa volumetria e non determina un ingombro visivo e un impatto sul territorio paragonabili a quelli delle costruzioni. 2.3. Nell'imminenza dell'udienza i difensori della società Vodafone hanno depositato ampia memoria, con annessa documentazione. MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono pienamente fondati e vanno pertanto accolti. 1. La principale questione di diritto sottoposta all'esame di questa Suprema Corte riguarda il problema se, per l'installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili, l'autorizzazione prescritta dal codice delle comunicazioni elettroniche costituisca un titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dal testo unico dell'edilizia, ossia se permanga la necessità di un autonomo titolo abilitativo, secondo le procedure previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ovvero sia sufficiente, anche sotto il profilo urbanistico edilizio, l'autorizzazione prevista dal codice delle comunicazioni elettroniche. In particolare, si deve stabilire se, per l'installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili, l'autorizzazione prescritta D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche: d'ora in poi CCE) costituisca un titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell'edilizia: d'ora in poi TUE), ossia se permanga la necessità di un autonomo titolo abilitativo, secondo le procedure previste dal TUE, ovvero sia sufficiente, anche sotto il profilo urbanistico edilizio, l'autorizzazione prevista dal CCE.
Il problema coinvolge quindi il rapporto tra le discipline dettate dal CCE e dal TUE.
Per il CCE, vengono soprattutto in rilievo l'art. 87, il quale subordina "l'installazione ... di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS" al rilascio da parte dell'ente locale territorialmente interessato di apposita autorizzazione; e l'art. 86, comma 3, il quale dispone che "le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria" di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 16, comma 7, e che "ad esse si applica la normativa vigente in materia". Per il TUE, viene in rilievo l'art. 3, comma 1, lett. e), il quale comprende espressamente tra gli "interventi di nuova costruzione" - come tali assoggettati a permesso di costruire, ai sensi del successivo art. 10 - "gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune" (lett. e.2) nonché "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio- ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione" (lett. e.4).
Occorre quindi verificare se il procedimento previsto dall'art. 87 del CCE sia unico, contenendo ed assorbendo anche la verifica della compatibilità urbanistico edilizia dell'intervento, o se debba invece essere doppiato dal procedimento per il rilascio del titolo abilitativo a fini edilizi.
2. Il tribunale del riesame, con l'ordinanza impugnata, ha ritenuto che persisterebbe la necessità del distinto titolo edilizio, per la ragione che il CCE non contiene alcuna abrogazione espressa delle specifiche previsioni dell'art. 3, comma 1, lett. e.3) ed e.4), del TUE, ne' una abrogazione tacita (mancando il presupposto della incompatibilità tra le norme) ne' una abrogazione per nuova regolamentazione dell'intera materia.
Si tratta però di una argomentazione chiaramente inconferente, perché l'istituto che viene in considerazione non è quello della abrogazione, bensì quello ben diverso della deroga. Non si tratta cioè di stabilire se, per effetto dell'entrata in vigore del CCE, si sia verificata abrogazione di alcune norme poste dal TUE, ma se la disciplina dettata dal CCE abbia derogato in alcuni punti alla normativa del testo unico dell'edilizia.
3. Come è noto, a disciplinare la materia era in precedenza intervenuto il D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (cd. decreto Gasparri), il quale all'art. 3 conteneva una "clausola di esclusività", poiché al comma 1 stabiliva che "le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ... sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto ...", ed al secondo comma che le installazioni in questione dovevano ritenersi compatibili "con qualsiasi destinazione urbanistica" (di modo che non vi era necessità di alcuna verifica in concreto della compatibilità) ed erano "realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento", con eccezione prevista solo per alcuni manufatti di particolare consistenza, quali torri o tralicci, relativi alle reti di televisione digitale terrestre. Sulla base di questa normativa, pertanto, questa Corte Suprema aveva affermato che "l'installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile non necessita più - dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 198 del 2002 - della preventiva concessione edilizia, in quanto costituisce infrastruttura di telecomunicazione ritenuta, dalla legge stessa, compatibile con qualsiasi destinazione urbanistica e realizzabile in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento" (Sez. 3^, 4 marzo 2003, Minervini, m. 224.845; Sez. 3^, 11 marzo 2003, Cassisa, m. 225.768). Con la sentenza n. 303 del 2003, però, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'intero D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, per eccesso di delega rispetto alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. legge obiettivo), e ciò per il motivo che il decreto legislativo, nel realizzare la delega contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge di delegazione, per l'individuazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale, non aveva introdotto il previsto programma da formularsi su proposta dei ministri competenti, sentite le regioni interessate, ovvero su proposta delle regioni, sentiti i ministri competenti.
Per quanto concerne le competenze normative in materia, va anche ricordato che la L. 22 febbraio 2001, n. 36 {Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) affida agli enti locali minori la determinazione di criteri di localizzazione ottimale degli impianti in questione, con finalità di massima restrizione dell'inquinamento elettromagnetico ma anche di "corretto insediamento urbanistico e territoriale" degli impianti stessi.
E va altresì ricordata, sempre in materia di riparto delle competenze nella disciplina del settore, la sentenza n. 307 del 2003 della Corte costituzionale, secondo la quale rientra nella competenza esclusiva dello Stato la determinazione degli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico, con la fissazione di valori- soglia non derogabili dalle regioni nemmeno in senso più restrittivo; spetta alla competenza concorrente il trasporto dell'energia e l'ordinamento della comunicazione vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato; mentre è rimessa alle regioni ed agli enti locali minori la localizzazione degli impianti, come questione attinente alla disciplina d'uso del territorio, purché le relative previsioni di pianificazione non siano tali "da impedire o da ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli impianti stessi" (v. anche le successive sentt. n. 331 del 2003 e n. 336 del 2005).
È quindi intervenuto il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (CCE), che, all'art. 87, prevede il rilascio di una autorizzazione unitaria da parte del comune con l'intervento, però, anche delle amministrazioni portatoci degli altri interessi pubblici coinvolti. In particolare, l'art. 87 cit., comma 1, prevede che l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radiotrasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, sono autorizzate dagli enti locali, previo accertamento, da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, ossia l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA), della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità. 4.1. Nel primo dibattito sviluppatosi all'indomani dell'entrata in vigore del CCE sono emerse in giurisprudenza e dottrina tesi contrapposte, tra cui anche quella (v., ad es., TAR Veneto, sez. 2^, 8 gennaio 2004, n. 1) volta a sostenere la persistente necessità di un autonomo e distinto titolo abilitativo edilizio. A conforto di tale tesi sono state addotte differenti ragioni, tra cui in particolare:
1) l'espressa assimilazione, compiuta dall'art. 86 del CCE, delle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui ai successivi artt. 88 e 89, alle opere di urbanizzazione primaria, alle quali deve applicarsi "la normativa vigente in materia", e quindi anche l'art. 3, comma 1, lett. e.2), del TUE, laddove indica espressamente gli "interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune" tra quelli assoggettati a permesso di costruire;
2) il fatto che il CCE non contiene (a differenza del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198) una "clausola di esclusività", rivolta a consentire la realizzabilità delle infrastrutture in esso contemplate sulla sola base delle procedure da esso codice definite;
3) il fatto che il medesimo codice non contiene nemmeno disposizioni dirette a modificare espressamente il TUE.
4.2. Tralasciando la tesi più radicale, secondo la quale la verifica edilizia dovrebbe considerarsi superflua, stante la mancata menzione espressa dei profili edilizi nel codice delle comunicazioni elettroniche, l'orientamento interpretativo ormai assolutamente prevalente nella giurisprudenza amministrativa riconosce invece (sia pure con argomentazioni non sempre coincidenti) carattere onnicomprensivo alla autorizzazione prevista dal D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, esteso a tutti i profili connessi alla realizzazione ed alla attivazione degli impianti di telefonia cellulare, inclusi quelli edilizi ed urbanistici (cfr., ad esempio, TAR Campania, Napoli, sez. 7^, 6 aprile 2005, n. 4528; Id., 6 aprile 2005, n. 4539;
TAR Campania, Napoli, Sez. 1^, 14 gennaio 2005, n. 123; Id., 5 aprile 2004, n. 4043; Id., 24 marzo 2004 n. 4041; Id., 24 marzo 2004, n. 2997; TAR Veneto, Sez. 2^, 11 febbraio 2005, n. 658; Id., 1 dicembre 2004 n. 4234; Id., 8 settembre 2004 n. 3296; Id., 13 settembre 2004, n. 3295; Id., 30 luglio 2004, n. 2579; Id., 28 luglio 2004, n. 2555;
Id., 28 luglio 2004, n. 2561; TAR Puglia, Bari, sez. 3^, 13 maggio 2005, n. 2143; Id., 22 luglio 2004, n. 3217; TAR Puglia, Lecce, 8 aprile 2004, n. 3217; 7 aprile 2004, n. 2516; TAR Sicilia, Catania, Sez. 2^, 30 dicembre 2004, n. 4066; Id., 18 novembre 2004, n. 1869;
TAR Umbria, 31 agosto 2004, n. 493; TAR Piemonte, sez. 1^, 22 luglio 2004, n. 1453; Id., 7 luglio 2004, n. 1295; Id., 23 giugno 2004, n. 1176; TAR Lazio, Roma, sez. 2^I bis, 24 giugno 2004, n. 3492; Id., 20 maggio 2004, n. 2794; TAR Lombardia, Milano, sez. 1^, 10 giugno 2004, n. 2430; Id., 19 maggio 2004, n. 1353; TAR Lombardia, Brescia, sez. 1^, 21 settembre 2004, n. 1547; Id., 23 luglio 2004, n. 1271; Id., 30 gennaio 2004, n. 169).
Orientamento questo che ormai viene solitamente seguito anche dalla giurisprudenza penale di merito (cfr. Trib. Pescara, 1 ottobre 2004, Vodafone Omnitel NV; Trib. Frosinone, 14 marzo 2005, Vodafone Omnitel NV; Trib. Palermo, 13 aprile 2005, Trigili).
5. Questo orientamento è stato fatto proprio sia dal Consiglio di Stato, sez. 6^, con le decisioni 5 agosto 2005, n. 4159; 15 marzo 2005, n. 4000; 15 marzo 2005, n. 3200; 25 gennaio 2005, n. 3040; 11 gennaio 2005, n. 100; 22 ottobre 2004, n. 6910 (dopo le contrarie decisioni 26 settembre 2003, n. 5502 e 18 maggio 2004, n. 3193) sia da questa Suprema Corte con la sent. della Sez. 3^, 8 luglio 2005, n. 33735, Vodafone Omnitel N.V., sia infine anche dalla Corte costituzionale con la sent. n. 336 del 2005 (che ha ritenuto non fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale dell'art. 87 del CCE).
Ad esso questo Collegio ritiene di dover aderire perché effettivamente sussiste una pluralità di parametri ermeneutici, di tipo non solo teleologico, ma anche testuale e sistematico, dai quali si desume che con gli artt. 86 e 87 del CCE è stato disciplinato un procedimento autorizzatorio nel quale confluiscono, in uno alle valutazioni tipicamente radioprotezionistiche, anche quelle relative alla compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento. 5.1. Innanzitutto, sotto il profilo teleologico, nel valutare la ratio sottostante all'intero codice delle comunicazioni elettroniche, va ricordato che con esso l'Italia ha recepito le direttive quadro sulle comunicazioni elettroniche del 7 marzo 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio: direttiva 2002/19/CE (Direttiva accesso), relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime; direttiva 2002/20/CE (Direttiva autorizzazioni), relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione; direttiva 2002/21/CE (Direttiva quadro), che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/22/CE (Direttiva servizio universale), relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione.
Occorre quindi considerare i principi imposti dalle dette direttive comunitarie e recepiti e ribaditi nel nostro ordinamento dalla L. 1 ottobre 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), art. 41, contenente la delega in base alla quale è stato emanato il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259.
La finalità perseguita con tali direttive è il superamento delle situazioni di monopolio del settore, mediante la progressiva diminuzione dell'intervento gestorio delle autorità pubbliche e l'incentivazione di un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione (cfr. quinto considerando della direttiva 2002/21/CE), secondo le linee di un ampio disegno europeo tendente ad investire l'intera area dei servizi pubblici (cfr. Corte Cost., sent. n. 336 del 2005). Le disposizioni introdotte prevedono, infatti, una serie di misure regolatorie destinate ad incidere sul comportamento delle imprese e che dovrebbero condurre ad una completa operatività delle regole della concorrenza. A tali fini, le citate direttive regolamentano "i servizi" e le "reti" di comunicazione elettronica e cioè in generale "i mezzi di trasmissione".
Interessa qui, in particolare, la normativa inerente alle "reti di comunicazione elettronica", la cui definizione è contenuta nell'art. 2, par. 1, lett. a) della citata direttiva 2002/21/CE, secondo cui per rete devono intendersi: "i sistemi di trasmissione e, se del caso, le apparecchiature di commutazione o di instradamento e altre risorse che consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse (a commutazione di circuito e a commutazione di pacchetto, compresa Internet), le reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, i sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui siano utilizzati per trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo di informazione trasportato" (tale definizione è stata integralmente trasposta, a livello interno, nell'art. 1, comma 1, lett. dd, del Codice). L'obiettivo perseguito dal legislatore comunitario è quello di realizzare un mercato interno unico delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica dettando una disciplina organica del settore mediante l'armonizzazione e la semplificazione delle norme e delle condizioni di autorizzazione alfine di agevolarne la fornitura in tutta la Comunità (art. 1, Dir. 2002/20/CE).
L'art. 4 della direttiva 2002/20/CE riconosce alle imprese autorizzate ai sensi dell'art. 3 il diritto di: a) fornire reti e servizi di comunicazione elettronica; b) far sì che si esamini la loro domanda per la concessione dei necessari diritti di installare strutture in conformità all'art. 11 della direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro).
Quest'ultima direttiva prescrive che le procedure "previste per la concessione del diritto di installare" le predette infrastrutture di comunicazione elettronica debbano essere "tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva" e che gli Stati membri, nell'esaminare una domanda per la concessione del diritto di installare strutture su proprietà pubbliche o private, richiesta da un'impresa autorizzata a fornire reti di comunicazione elettronica, assicurino che l'autorità competente "agisca in base a procedure trasparenti e pubbliche, applicate senza discriminazioni nè ritardi; e rispetti i principi di trasparenza e non discriminazione nel prevedere condizioni per l'esercizio di tali diritti" (art. 11, par. 1).
I criteri stabiliti dal legislatore comunitario ai quali dovevano attenersi gli Stati membri nel dettare le norme procedurali destinate a regolare l'installazione degli impianti di comunicazione, sono dunque quelli della semplificazione, trasparenza, non discriminazione e tempestività. Esiste cioè un "preciso vincolo comunitario ad attuare un vasto processo di liberalizzazione del settore, armonizzando le procedure amministrative ed evitando ritardi nella realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica" (Corte Cost. sent. n. 336 del 2005, punto 4.1).
Il codice delle comunicazioni elettroniche è stato emanato appunto in attuazione delle ricordate direttive comunitarie in materia. Ne deriva che le relative disposizioni devono essere interpretate in coerenza con i principi del diritto comunitario, secondo un criterio ermeneutico imposto dall'art. 117 Cost., comma 1, nel testo modificato dalla riforma del 2001. Tanto più che, come subito si dirà, gli stessi principi sono stati espressamente e testualmente confermati dal legislatore nazionale nel fissare i criteri di delega. 5.2. Ai principi e criteri enunciati dalle direttive comunitarie si è invero ispirato il legislatore nazionale.
La L. 1 agosto 2002 n. 166, art. 41 ha, infatti, espressamente previsto, tra i principi e criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto seguire nell'esercizio della delega conferita, la "previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture, anche con riferimento, ove compatibili, ai principi della L. 21 dicembre 2001, n. 443" (comma 2, n. 3); e la "riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per la installazione delle infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241" (comma 2, n. 4). Inoltre, tra i "principi della L. 21 dicembre 2001, n. 443", espressamente richiamati, è compreso anche quello della "definizione delle procedure da seguire in sostituzione di quelle previste per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie".
Il CCE, che nel quarto e nel quinto punto della sua premessa richiama le suddette direttive comunitarie, si è quindi posto, in linea con i dettami comunitari, "l'obiettivo della liberalizzazione e semplificazione delle procedure anche al fine di garantire l'attuazione delle regole della concorrenza" (Corte Cost., sent. n. 336 del 2005, cit).
Ed ai suddetti principi si è ispirato il procedimento autorizzatorio previsto dall'art. 87 del CCE, chiaramente finalizzato alla esigenza di semplificazione e concentrazione dei procedimenti amministrativi, per la salvaguardia della tempestività degli stessi. 5.3. Orbene, i principi ed i criteri anzidetti, e specialmente quelli della previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture, della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché della regolazione uniforme dei medesimi procedimenti, risulterebbero irrimediabilmente vanificati se il procedimento autorizzatorio previsto dal CCE fosse destinato non a sostituire ma ad abbinarsi, peraltro in modo non coordinato sotto il profilo temporale, a quello previsto dal TUE.
L'interpretazione seguita dalla ordinanza impugnata risulta dunque incompatibile con i principi e criteri in esame perché, se essa fosse esatta, la disciplina dettata dal CCE avrebbe comportato, anziché uno snellimento, un appesantimento delle procedure per l'ottenimento del titolo abilitativo per l'installazione degli impianti, giacché ai titoli abilitativi richiesti in precedenza dalla normativa urbanistico edilizia si sarebbe aggiunto un nuovo titolo abilitativo. Il legislatore italiano, perciò, nel recepire le direttive comunitarie, anziché rendere più rapide e trasparenti, rispetto al passato, le procedure per l'ottenimento dei titoli abilitativi, le avrebbe appesantite. Ciò comporta che, quand'anche vi fosse un dubbio nella interpretazione delle disposizioni del CCE, sarebbe doveroso per l'interprete scegliere l'interpretazione filocomunitaria dei testi in questione.
Può ritenersi, quindi, che al legislatore delegato sia stato assegnato il compito di delineare procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione tendenzialmente destinati ad assorbire ogni altro procedimento, anche di natura edilizia. 5.4. In secondo luogo, sussistono plurimi elementi testuali dai quali è consentito desumere che il legislatore delegato si sia attenuto a tali criteri di delega, disciplinando agli artt. 86 e 87 del CCE un unico procedimento autorizzatorio nel quale confluiscono, in uno alle valutazioni tipicamente radioprotezionistiche, anche quelle relative alla compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento. E difatti:
- l'art. 4 del CCE ribadisce che fra gli obiettivi generali della disciplina delle reti e servizi di comunicazione elettronica, vi sono quelli di: "a) promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica; b) garantire la trasparenza, pubblicità e tempestività delle procedure per la concessione dei diritti di passaggio e di installazione delle reti di comunicazione elettronica sulle proprietà pubbliche e private", (comma 3): già nel fissare le linee guida dell'intervento di riforma del settore, quindi, il CCE fa espresso riferimento alla semplificazione dei procedimenti ed all'esigenza che gli stessi risultino tempestivi;
- l'art. 87, comma 1, non discrimina alcun tipo di struttura, prevedendo uniformemente per tutti gli impianti elencati la sola autorizzazione (sufficiente, in materia, anche ai fini della "installazione di torri e tralicci") sicché il criterio utilizzato dal legislatore è evidentemente di carattere funzionale e non già strutturale;
- l'oggetto dei provvedimenti in esame è identificato nell'"installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici", che costituisce proprio il momento trasformativo sul piano materiale dell'assetto del territorio;
- il momento valutativo degli enti locali, in relazione alla sfera di attribuzioni sul controllo del territorio, è mantenuto distinto dagli accertamenti sulla compatibilità dell'impianto quanto ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità, che è riservato, in via preventiva, all'organismo competente ai sensi della L. n. 36 del 2001, art. 14;
- il quinto comma dell'art. 87 prevede che il responsabile del procedimento possa richiedere, per una sola volta, entro 15 giorni dalla ricezione dell'istanza, l'integrazione della documentazione prodotta: si tratta di facoltà al cui esercizio le amministrazioni comunali possono determinarsi proprio per ottenere le integrazioni istruttorie necessarie per approfondire eventuali aspetti di compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento;
- Il medesimo art. 87, commi 6 e 7, prevedono il ricorso all'istituto semplificante della "conferenza di servizi", alla cui convocazione il responsabile del procedimento è tenuto, entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda, in caso di motivato dissenso espresso da un'amministrazione interessata, stabilendo che la conferenza di servizi deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione e che l'approvazione, adottata a maggioranza dei presenti, "sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori". Qualora poi il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, sia espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, il comma 8 stabilisce che la decisione sia rimessa al Consiglio dei ministri e che trovino applicazione, in quanto compatibili con il codice, le disposizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 14 segg. che disciplinano, appunto, l'istituto della conferenza di servizi. La previsione del ricorso alla conferenza di servizi avvalora il carattere omnicomprensivo del procedimento quanto alla valutazione di tutti gli interessi di rilievo pubblico coinvolti dall'installazione della infrastruttura di telecomunicazione e prova che l'autorizzazione richiesta dal CCE non è il provvedimento conclusivo di una procedura speciale di accertamento dei soli livelli di emissioni elettromagnetiche, come tale accessoria rispetto a un procedimento amministrativo principale, sfociante nel permesso di costruire. Si tratta invece di una procedura unica nella quale il comune deve accertare la sussistenza di tutti i requisiti richiesti per la regolare installazione della infrastuttura.
5.5. L'unicità del procedimento trova ulteriore conferma nella disposizione dell'art. 87, comma 10, secondo la quale "le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio- assenso". Ciò dimostra per tabulas che i procedimenti autorizzatori ivi disciplinati esplicano piena efficacia abilitante con riguardo anche all'esercizio dello jus aedificandi. La disposizione, infatti, risulterebbe contradditoria allorché si aderisse alla tesi della necessità in tutti i casi, per la realizzazione delle opere, di un distinto titolo edilizio costituito dal permesso di costruire, che potrebbe intervenire in un tempo successivo ed al quale l'art. 15 del TUE connette la previsione di un termine diverso per la conclusione dei lavori. Quindi, l'assenza di una regolamentazione volta a coordinare sotto il profilo temporale il procedimento in esame con quello, in ipotesi necessario, previsto dal TUE, finirebbe per vanificare, in questa diversa e non condivisa prospettiva interpretativa, la previsione dell'art. 87, comma 10, del CCE. 5.6. L'art. 87 deve altresì essere interpretato sistematicamente in relazione al successivo art. 88, che disciplina la procedura abilitativa per l'installazione di impianti di telecomunicazioni non radioelettrici (cioè reti fisse), e anche in questo caso prevede un'unica autorizzazione. È evidente che in questo caso l'interesse pubblico da curare non può essere quello di prevenzione dall'inquinamento elettromagnetico, ma può riguardare, se non in via esclusiva almeno in prevalenza, il corretto inserimento degli impianti nel territorio di riferimento. Ne consegue che un'interpretazione quale quella seguita dalla ordinanza impugnata finirebbe, irrazionalmente, per attribuire alle due procedure parallele disciplinate dagli artt. 87 e 88 del CCE finalità completamente diverse. È invece certamente più razionale un'interpretazione per la quale anche la procedura ex art. 87 comprende la verifica dei profili urbanistico-edilizi, a cui fa capo la procedura ex art. 88, e in più richiede l'accertamento del rispetto dei parametri di inquinamento elettromagnetico. 5.7. Inoltre, la disposizione di cui al D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5 - che verrà in seguito esaminata - è chiarissima nel riservare in via esclusiva al CCE la disciplina dei procedimenti autorizzatori in materia di installazione di impianti di telecomunicazioni già iniziati ai sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (che, come ricordato, conteneva una espressa clausola di esclusività); e se tale riserva vale per i procedimenti che, alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003, erano già in corso, non si vede perché non debba valere anche per i procedimenti iniziati successivamente.
6. Rispetto agli indicati argomenti appaiono, quindi, recessivi quelli addotti a sostegno della tesi contraria, fra cui quello diretto a rimarcare la mancata inclusione nel CCE di una "clausola di esclusività" e di una espressa previsione di deroga alla disciplina posta dall'art. 10 del previgente TUE.
D'altra parte, lo stesso TUE, nel fissare l'ambito della propria applicazione, stabilisce che "restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia" (art. 1, comma 2, TUE).
Di conseguenza, in base a questa disposizione di ordine sistematico, è escluso dalla applicazione del testo unico quanto, pur avendo incidenza in materia edilizia, rimane disciplinato dalle diverse normative speciali di settore, tra le quali rientra certamente la disciplina speciale del settore inerente agli impianti di comunicazione elettronica (fissa e mobile).
Proprio perché si tratta di deroga e non di abrogazione, è poi irrilevante che l'art. 41, comma 2, lett. d), della L. di delega n. 166 del 2002 imponga formalmente la "abrogazione espressa" di tutte le norme incompatibili.
Del resto l'art. 87 del CCE non esclude che gli impianti in esso previsti debbano considerarsi "nuova costruzione", ai sensi dell'art. 3, lett. e.2) ed e.4), del TUE, e pone una deroga esclusivamente procedimentale alle generali previsioni dell'art. 10 del TUE, in quanto non mette in discussione la necessità di una valutazione dell'intervento alla stregua della vigente normativa urbanistico- edilizia e delle prescrizioni degli strumenti di pianificazione. Non ha infine valore decisivo la circostanza per cui i moduli di cui all'allegato 13 del CCE (da utilizzare in sede di compilazione dell'istanza ex art. 87) sembrano far riferimento alle sole caratteristiche degli impianti sotto il profilo delle emissioni elettromagnetiche previste. E ciò sia perché, come risulta dall'art. 87, comma 9, all'istanza va anche allegato il progetto dell'impianto; sia perché è espressamente prevista la facoltà del responsabile del procedimento di disporre l'integrazione documentale. In conclusione, la volontà del legislatore è chiaramente nel senso di sottoporre la realizzazione degli impianti de quibus ad una disciplina autorizzatoria unitaria, semplificata e speciale, che li sottrae al regime concessorio previsto inizialmente dal testo unico dell'edilizia.
7. L'individuazione di un'autorizzazione unitaria, rilasciata dal comune con l'intervento delle amministrazioni portatrici degli altri interessi pubblici coinvolti, porta poi a ritenere che nel procedimento autorizzatorio debbano confluire tutti i procedimenti, in precedenza autonomi, necessari per la completa valutazione degli interessi sottostanti all'atto che autorizza già la "installazione", e non la sola attivazione, dell'impianto (una particolare disciplina è comunque prevista nel caso di dissenso motivato espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico). Ne deriva che le singole valutazioni, che in precedenza erano autonome, non sono eliminate ma unificate sul piano procedimentale e di esse deve essere dato conto in sede di motivazione del provvedimento finale.
8. Questa ricostruzione interpretativa appare anche conforme ai principi fondamentali in materia urbanistico-edilizia enunciati dalla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, secondo i quali "la legislazione regionale e le funzioni amministrative in questa materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione"; mentre la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi per l'edificazione preventivi ed espressi (la concessione, il permesso di costruire, l'autorizzazione) e taciti, quale è la denunzia di inizio attività, è "considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo". E può anche ricordarsi che la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 336 del 2005, ha osservato che "nella fase di attuazione del diritto comunitario la definizione del riparto interno di competenze tra Stato e Regioni in materie di legislazione concorrente e, dunque, la stessa individuazione dei principi fondamentali, non può prescindere dall'analisi dello specifico contenuto e delle stesse finalità ed esigenze perseguite a livello comunitario. In altri termini, gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle modalità di ripartizione delle competenze, possono di fatto richiedere una peculiare articolazione del rapporto norme di principio-norme di dettaglio. Nella specie, la puntuale attuazione delle prescrizioni comunitarie, secondo cui le procedure di rilascio del titolo abilitativo per l'installazione degli impianti devono essere improntate al rispetto dei canoni della tempestività e della non discriminazione, richiede di regola un intervento del legislatore statale che garantisca l'esistenza di un unitario procedimento sull'intero territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da regole che ne consentano una conclusione in tempi brevi". 9. La ricordata sentenza di questa Sezione n. 33735/2005 ha altresì evidenziato come la sostituibilità del permesso di costruire con la decisione finale assunta in sede di conferenza di servizi non sia un istituto nuovo nel nostro ordinamento, dal momento che la L. n. 241 del 1990, art. 14 ter, comma 9, come modificato dalla L. n. 340 del 2000, disponeva espressamente, con una previsione di carattere generale, che "il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta conferenza" (attualmente la disposizione, dopo le modifiche apportate dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 10, comma 1, lett. h), prevede che "il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza").
Del resto, nel nostro ordinamento l'istituto della conferenza dei servizi costituisce, in via generale, uno strumento di semplificazione procedimentale e di snellimento dell'azione amministrativa (cfr. le sentenze della Corte costituzionale n. 348 e n. 62 del 1993; n. 37 del 1991; n. 79 del 1996). E, nella citata sentenza n. 336 del 2005 (punto 11.1), la Corte costituzionale ha rilevato come "tale funzione, nel contesto dello specifico procedimento in esame e degli interessi allo stesso sottesi, consente di ritenere che la previsione contenuta nella disposizione censurata sia espressione di un principio fondamentale della legislazione". 10. Va pertanto ribadita la conclusione che, per quanto concerne le infrastrutture in questione, la disciplina procedimentale dettata dal CCE deroga a quella posta in via generale dal previgente TUE, e che il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denunzia di inizio dell'attività previsti dall'art. 87 del CCE, per l'autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, contengono imprescindibilmente anche la verifica della compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento e pertanto non è richiesta la necessità di un distinto titolo abilitativo a fini edilizi, ed in particolare non è richiesto il rilascio del permesso di costruire ai sensi del TUE.
11.1. Si pone però il problema se, nel caso di mancanza del provvedimento di autorizzazione (o della procedura di denunzia di inizio attività) di cui all'art. 87 del CCE, sia o meno configurabile il reato di cui all'art. 44 del TUE.
A tale quesito questa Corte ha finora dato due diverse soluzioni. Ed infatti:
- secondo l'interpretazione seguita da Sez. 3^, 4 marzo 2003, n. 19795, Minervini - emessa peraltro in riferimento alla analoga disciplina posta dal D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 - il fatto che per l'installazione di stazioni radio base per reti di comunicazione elettroniche mobili non fosse più necessaria la concessione edilizia determinava anche la conseguenza della impossibilità di configurare comunque il reato di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. b). Secondo questa decisione, quindi, nell'ipotesi in cui non fosse stata rilasciata l'autorizzazione prevista dalla disciplina speciale, "potrebbero, eventualmente, essere ravvisati altri illeciti e di diversa natura, ma non certo" il reato previsto dalla normativa edilizia per la mancanza di concessione edilizia (o di permesso di costruire).
- secondo l'interpretazione seguita più di recente dalla richiamata decisione della Sez. 3^, 24 marzo 2005, n. 33735, Vodafone Omnitel N.V, invece, il fatto che per le infrastrutture di comunicazione elettronica in questione sia sufficiente l'autorizzazione di cui all'art. 87 del CCE, non incide sul regime sanzionatorio penale di cui all'art. 44 del TUE, di modo che, in mancanza della autorizzazione prevista dalla legge speciale, le dette infrastrutture restano pur sempre sottoposte alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire.
11.2. Questo Collegio condivide questa seconda interpretazione, poiché essa discende logicamente dal presupposto cui dianzi si è giunti, e cioè che la disciplina derogatoria dettata dal CCE non ha fatto venir meno la necessità di un titolo abilitativo ai fini edilizi per le infrastrutture di comunicazione elettroniche in esame, ma ha solo inglobato questo titolo edilizio nella autorizzazione prevista dall'art. 87 del CCE, la quale ha come suo proprio contenuto imprescindibile anche la verifica della compatibilità urbanistico- edilizia dell'intervento.
Poiché, quindi, non vi è stata un'eliminazione della necessità di un titolo abilitativo edilizio, ma soltanto un mutamento della disciplina procedimentale per l'abilitazione all'intervento edilizio, questo mutamento non incide sulla disciplina sanzionatoria penale, che non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento.
Deve quindi concludersi nel senso che qualora le infrastrutture in esame siano realizzate in mancanza della autorizzazione prevista dall'art. 87 del CCE resta configurabile il reato di cui all'art. 44 del TUE.
Può per completezza aggiungersi - condividendo anche sul punto le conclusioni della citata sent. sez. 3^, n. 33735/05 - che le disposizioni dell'art. 44 cit. si applicano altresì agli impianti "con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt" (di cui all'art. 87 cit., al comma 3, ultima parte,) - suscettibili di realizzazione mediante denunzia di inizio attività ai sensi della L. n. 241/1990, art. 19, come successivamente modificato - allorché siano eseguiti in assenza o in difformità della denunzia medesima. 12. Ciò posto sulla non necessità di un permesso di costruire rilasciato con le procedure disciplinate dal TUE, occorre stabilire se nel caso in esame l'infrastruttura realizzata dai ricorrenti era assistita da un valido titolo abilitativo, anche ai fini edilizi. È pacifico che l'antenna per servizi di telecomunicazione elettronica in questione nonché il relativo traliccio, il basamento in calcestruzzo e le ulteriori opere necessarie per il funzionamento dell'impianto avevano ottenuto due autorizzazioni: la prima in data 17 giugno 2003, avente ad oggetto l'installazione dell'impianto, e la seconda in data 6 marzo 2004, avente ad oggetto l'implementazione del ponte radio e del sistema punto-multi-punto dell'impianto stesso. Il tribunale del riesame ha però ritenuto queste autorizzazioni illegittime ed automaticamente caducate, con conseguente configurabilità del reato edilizio perché l'opera non avrebbe più potuto ritenersi assentita da un valido titolo abilitativo, ancorché avente anche valenza edilizia.
Più in particolare, secondo il tribunale del riesame, la prima autorizzazione del 17/06/2003 sarebbe illegittima per un duplice ordine di considerazioni:
- in primo luogo, perché questa autorizzazione era stata rilasciata ai sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198 (cd. decreto Gasparri), il quale però è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella sua interezza dalla sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003 per eccesso di delega rispetto alla L. di delegazione n. 443 del 2001. Ne deriverebbe che la dichiarazione di incostituzionalità, inficiando fin dall'origine la validità e l'efficacia della norma, salvo il limite delle situazioni consolidate (quali giudicato, prescrizione, decadenza, atto amministrativo non impugnabile), travolgerebbe anche l'autorizzazione in questione, la quale quindi dovrebbe ritenersi automaticamente caducata ed illegittima, e ciò per il motivo che alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, pur essendo stato emesso il provvedimento autorizzatorio, erano ancora pendenti i termini per il ricorso giurisdizionale.
- in secondo luogo, perché non potrebbe comunque trovare applicazione il D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5, il quale stabilisce che "iz procedimenti di rilascio di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazioni elettroniche iniziati ai sensi del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, ed in corso alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 1 ottobre 2003, sono disciplinati dal decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259". E ciò perché questa disposizione dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo, circoscrivendone l'applicazione alle sole ipotesi in cui il procedimento autorizzatorio, attivato sulla base del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, non si fosse ancora concluso con il previsto provvedimento dirigenziale di autorizzazione alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale, mentre non potrebbe trovare applicazione nei casi in cui il provvedimento di autorizzazione fosse stato oggetto di impugnazione giurisdizionale o per esso pendessero ancora i termini per la relativa impugnazione. Dall'illegittimità sopravvenuta dell'autorizzazione del 17/06/2003, deriverebbe poi, secondo il tribunale del riesame, l'illegittimità conseguenziale anche della seconda autorizzazione del 6/03/2004 all'implementazione dell'impianto, e ciò perché questa presupponeva comunque una valida autorizzazione all'installazione dell'impianto. 13. Le considerazioni svolte dall'ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta caducazione automatica delle due autorizzazioni sono palesemente erronee.
13.1. Ed invero, quanto alla prima argomentazione, va innanzitutto ricordato che la sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità per eccesso di delega dell'intero D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, per la ragione che la L. di delegazione n. 443 del 2001, art. 1, comma 1, aveva conferito al governo il potere di individuare infrastrutture pubbliche e private ed insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale a mezzo di un programma formulato su proposta dei ministri competenti, sentite le regioni interessate ovvero su proposta delle regioni sentiti i ministri competenti, mentre tale programma non era stato introdotto dal D. delegato n. 198 del 2002, il quale aveva invece previsto che i soggetti interessati all'installazione delle infrastrutture erano abilitati ad agire in assenza di un atto che identificasse previamente, con il concorso regionale, le opere da realizzare e sulla scorta di un mero piano di investimenti delle società concessionarie.
Non si è trattato quindi di un vizio sostanziale della disciplina del procedimento autorizzatorio, o di suoi singoli aspetti, prevista dal decreto delegato con qualche principio costituzionale o con le relative norme interposte, ma di un vizio in qualche modo assimilabile ad un vizio formale, relativo in via generale al procedimento di individuazione delle infrastrutture ed insediamenti strategici.
13.2. Va altresì evidenziato che il problema che rileva nel presente giudizio non è quello generale dello status del provvedimento amministrativo nel caso in cui l'atto normativo su cui si fonda sia stato dichiarato incostituzionale ma quello, più limitato, se tale provvedimento debba ritenersi automaticamente ed ipso iure caducato solo per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della norma legislativa che lo sorregge.
Ed a tale più limitato problema deve darsi risposta negativa. È infatti pacifico che il principio vigente nel nostro ordinamento è quello secondo cui il venir meno, a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale, del suo presupposto normativo non comporta la caducazione ipso iure del provvedimento di autorizzazione emesso sulla base della legge dichiarata incostituzionale, essendo invece necessario, affinché si verifichi un tale effetto caducatorio, o il successivo annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale o la sua rimozione in via di autotutela da parte della pubblica amministrazione (cfr. Cons. St., sez. 6^, 22 marzo 2001, n. 1695).
A tale fine è poi del tutto irrilevante la circostanza - invece erroneamente ritenuta decisiva dal tribunale del riesame - che al momento della pubblicazione della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale erano ancora pendenti i termini per proporre impugnazione avverso il provvedimento amministrativo. La pendenza dei termini per impugnare, infatti, comporta solo che il provvedimento non sia ancora divenuto inoppugnabile e che gli interessati possano appunto ancora impugnarlo per fare eventualmente valere la sua illegittimità derivata a seguito della declaratoria di incostituzionalità della norma presupposta. Ma non ha nulla a che vedere con la ritenuta automatica caducazione del provvedimento per il solo fatto dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale. Questa non "travolge" ipso ture il provvedimento, ma semmai ne determina l'illegittimità derivata che potrà eventualmente essere fatta valere dall'interessato, che non sia decaduto dalla facoltà di impugnarlo per scadenza dei termini, o dalla stessa pubblica amministrazione in via di autotela. Fermo restando che se l'interessato non impugna nei termini il provvedimento, questo diviene inoppugnabile. D'altra parte non si comprenderebbe perché, se davvero una dichiarazione di incostituzionalità della norma travolgesse automaticamente il provvedimento che su essa si fonda, la sua caducazione automatica dovrebbe ritenersi dipendente dal decorso dei termini (eventualmente differenti) concessi ai diversi singoli interessati per l'impugnazione del provvedimento stesso. In ogni caso, non risulta che ne' l'autorizzazione de qua sia stata annullata in via di autotutela dalla pubblica amministrazione ne' che sia stata impugnata in via giurisdizionale nei termini di decadenza, sicché al momento del sequestro il provvedimento era ormai divenuto inoppugnabile.
13.3. Come si è accennato, non rileva poi, ai fini del presente giudizio, la questione se un provvedimento amministrativo il cui presupposto normativo sia venuto successivamente meno per effetto di una dichiarazione di incostituzionalità e che però non sia stato annullato ne' in sede di autotutela ne' dal giudice competente a seguito di impugnazione proposta nei termini dagli interessati, possa in qualsiasi tempo essere disapplicato dal giudice ordinario, ed in particolare dal giudice penale. Ed infatti, anche nell'ipotesi che a tale problema si volesse dare risposta positiva, la circostanza sarebbe comunque irrilevante nel presente giudizio. Ed invero, posto che l'autorizzazione de qua non può sicuramente ritenersi caducata automaticamente per il solo effetto della pubblicazione della sentenza costituzionale n. 303 del 2003, la sua eventuale illegittimità derivante da questa declaratoria sarebbe stata comunque sanata, quanto meno, per effetto del D.L. 14 novembre 2003, n. 315, art. 4, convertito in L. 16 gennaio 2004, n. 5 (se non anche per effetto del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259). Con la conseguenza che in nessun caso il provvedimento stesso avrebbe potuto essere disapplicato dal giudice penale essendo ormai venuto meno, sotto questo aspetto, ogni profilo di illegittimità. 13.4. È infatti palesemente infondata anche la seconda delle argomentazioni svolte dal tribunale del riesame, non potendo accedersi ad un'interpretazione così restrittiva del D.L. n. 315/2003, art. 4, da escluderne l'applicazione alle autorizzazioni già emanate alla data di pubblicazione della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, ancorché fossero state oggetto di impugnazione giurisdizionale o fossero ancora pendenti i termini per le relative impugnazioni.
Tale opzione interpretativa, invero, oltre a non avere riscontro nella lettera dell'art. 4 cit., tradirebbe la ratio dell'intervento normativo d'urgenza, espressamente diretto a salvaguardare tutti i procedimenti autorizzatori svoltisi nella vigenza del D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198, senza distinzione alcuna tra procedimenti già conclusi e procedimenti in itinere, evitando essenzialmente qualsiasi vuoto normativo per le attività strategiche relative all'installazione degli impianti radioelettrici per le telecomunicazioni. Questa ratio legis, quindi, permette sicuramente una lettura ed un'interpretazione del dato testuale del citato art. 4 pienamente coerente con tale finalità indubbiamente perseguita dal legislatore (cfr. TAR Puglia, Lecce, 7 aprile 2004, n. 2516). Questa soluzione ermeneutica, del resto, è imposta anche dalla necessità di dare alla disposizione in esame un'interpretazione adeguatrice che escluda la possibilità di un suo contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Sarebbe invero manifestamente illogica ed ingiustificatamente discriminatoria la scelta del legislatore di "salvare" con decretazione di urgenza solo i procedimenti amministrativi non ancora formalmente conclusisi con il provvedimento dirigenziale alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Infatti, l'esigenza di tutelare i legittimi interessi dei gestori degli impianti per telefonia mobile che avevano correttamente seguito la procedura prevista dalle disposizioni legislative vigenti si pone non solo per le autorizzazioni ancora da rilasciare, ma con pari, se non maggior, forza anche per le autorizzazioni già rilasciate. D'altra parte, come dianzi