Consiglio di Stato Sez. IV n. 5945 del17 ottobre 2018
Beni Ambientali.Demolizione di immobili vincolati

La mancanza dell’autorizzazione paesaggistica in ordine all’intervento di demolizione determina l’illegittimità derivata di quella adottata con riferimento all’intervento di ricostruzione, nonché del permesso di costruire, in quanto rilasciato sulla base di un presupposto errato


Pubblicato il 17/10/2018

N. 05945/2018REG.PROV.COLL.

N. 08226/2014 REG.RIC.

N. 02061/2017 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8226 del 2014, proposto dai signori Ornella Vaccaro, Maria Teresa Besaccia, Maurizio Soracco e Luciano Soracco, rappresentati e difesi dagli avvocati Federico Tedeschini e Daniele Granara, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, largo Messico, 7;

contro

Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Liguria, Comune di Rapallo non costituiti in giudizio;

nei confronti

Società Immobiliare san Paolo S.r.l., non costituita in giudizio;


sul ricorso numero di registro generale 2061 del 2017, proposto dai signori Ornella Vaccaro, Maria Teresa Besaccia, Maurizio Soracco, Luciano Soracco, Elisabetta Soracco, rappresentati e difesi dagli avvocati prof. Daniele Granara e Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, largo Messico 7;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Rapallo non costituito in giudizio;

nei confronti

Società Immobiliare San Paolo s.r.l., già rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Gerbi e Silvia Villani, e quindi dagli avvocati Andrea Masetti e Gabriele Pafundi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale Giulio Cesare 14;
Regione Liguria, n.c.;

quanto al ricorso n. 8226 del 2014:

per la riforma

della sentenza del TAR per la Liguria, Sezione I^, n. 1002 del 25 giugno 2014;

quanto al ricorso n. 2061 del 2017:

per la riforma

della sentenza del TAR per la Liguria, Sezione 1^, n. 63 del 2 febbraio 2017.


Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Immobiliare San Paolo a r.l. e delle amministrazioni statali intimate;

Visti gli atti tutti delle cause;

Relatore all’udienza pubblica del giorno 27 settembre 2018 il Cons. Silvia Martino;

Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Granara e Masetti e l’avv. dello Stato Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I. Appello R.G. n. 8226/2014.

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r per la Liguria, gli odierni appellanti impugnavano il parere della competente Soprintendenza, unitamente all’l’autorizzazione paesaggistica regionale, relativi all’intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio eseguito dalla società controinteressata, odierna appellata.

Rappresentavano di essere proprietari d’immobili siti in località “Case di Noè” nella circoscrizione del Comune di Rapallo allocati nelle vicinanze dell’area di sedime dell’intervento, consistente nella demolizione di un vetusto manufatto e nella sua ricostruzione in area limitrofa.

La località si caratterizza per essere testimonianza di un nucleo abitativo collinare, tipica espressione dell’attività rurale ligure che l’esecuzione delle opere autorizzate avrebbe irreparabilmente pregiudicato.

In sede di conferenza di servizi indetta dal Comune di Rapallo, stante il vincolo paesaggistico gravante sull’area di nuova edificazione, veniva riscontrata la necessità d’acquisire il parere della Regione.

La Regione esprimeva parere favorevole, il quale veniva poi sostanzialmente avallato dalla Soprintendenza.

Infine, il Dirigente del Dipartimento della Regione assentiva l’intervento, con prescrizioni.

L’impugnazione era affidata ai seguenti motivi:

1) Plurima e concorrente violazione degli artt. 136, 142 e 146 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42. Violazione degli artt. 1 e 6 l. n. 241/90. Eccesso di potere sotto vari profili. Violazione degli artt. 1 e 7 l.r. 21 settembre 1991 n. 20 come modificata dall’art. 1 l.r. 9 settembre 1998 n. 29.

L’autorizzazione paesaggistica, oltre a non essere motivata, non avrebbe tenuto conto del pregio paesaggistico dell’area d’intervento tanto che sarebbe stata omessa la verifica di compatibilità del progetto con la tutela del vincolo. Inoltre, la Regione non avrebbe competenza in materia, essendo stata la tutela del paesaggio, in forza dell’art. 1 lett. a) n. 3 della legge della Regione Liguria n. 20 del 1991, subdelegata agli enti locali.

Il manufatto preesistente non aveva avuto affatto destinazione residenziale, sicché non avrebbe potuto trovare applicazione l’art.6 della l.r. n. 49/2009 laddove presuppone l’uso prevalentemente residenziale per eseguire l’intervento di ricostruzione per cui è causa.

Con motivi aggiunti, i ricorrenti impugnavano altresì il permesso di costruire, conclusivo del procedimento, deducendo, oltre le censure già proposte nell’originaria impugnazione, la violazione degli artt. 142, 146 e 167 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, argomentata sull’assunto che non era stato richiesto e ottenuto il nulla osta necessario per demolire la preesistente costruzione, insistente su area gravata da vincolo paesaggistico.

L’area interessata dall’intervento si colloca infatti ad una distanza inferiore a 150 mt. dal corso dei Torrenti Piscio e Chiappe senza che, ratione temporis, possa trovare applicazione l’esclusione dal vincolo per le zone territoriali omogenee A e B di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444.

2. Nella resistenza del Ministero e della società controinteressata il TAR, con la sentenza n. 1002 del 25 giugno 2014:

- respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire;

- respingeva il ricorso e i motivi aggiunti nel merito.

3. La sentenza è stata appellata da alcuni degli originari ricorrenti, rimasti soccombenti, i quali deducono:

1) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 142, 146 e 147 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche in relazione all’art. 3 della l. n. 241/90. Violazione dell’art. 9 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà intrinseca ed illogicità manifeste.

Gli appellanti sostengono che, erroneamente, il primo giudice, nel respingere i motivi aggiunti, abbia dato rilievo all’adozione nel 1982 del PRG del Comune di Rapallo senza considerare che, alla data di imposizione del vincolo ex lege n. 431 del 1985 (6 settembre 1985) esso non era stato ancora approvato. Lo strumento urbanistico vigente era, all’epoca, ancora quello adottato nel 1957, il quale, pacificamente, non classificava la zone di casa di Noè quale zona A o B.

Alle norme solo adottate non potrebbe attribuirsi, in contrasto con la funzione delle misure di salvaguardia, una cogenza tale da consentire una minor tutela o una modificazione permanente dell’area

A tale riguardo, richiamano giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui la possibilità di deroga al vincolo paesaggistico riguarda soltanto le aree comprese in previsioni urbanistiche già approvate alla data di entrata in vigore della legge.

Nello stesso senso depone anche l’attuale testo dell’art. 142 comma 2, del t.u. n. 42 del 2004.

In ogni caso, proseguono gli appellanti, l’area non era fortemente urbanizzata e/o antropizzata, come reso evidente, ad esempio, dalla delibera del Comune di Rapallo (C.C. n. 188 del 29.12.2009), con la quale la zona in cui si inserisce l’intervento in esame è stata esclusa dall’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 3 e 4 della l.r. n. 49 del 3.11.2009 in relazione al suo carattere di pregio.

Analogamente la zona è stata esclusa, con delibera n. 421/2002, dall’applicabilità della disciplina sul recupero a fini abitativi dei sottotetti;

2) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 142, 146 e 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione all’art. 17.01 delle NTA del PRG del Comune di Rapallo approvato con DPGR n. 1216 del 7.10. 1986. Violazione dell’art. 9 Cost.Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto di istruttoria e di motivazione nonché per contraddittorietà intrinseca ed illogicità manifeste.

In ogni caso l’art. 17.01 della NTA del PRG approvato nel 1986 escludeva dalla disciplina delle zone B, tra gli altri, propri le case di “Norero (Noè)”.

A riprova della sussistenza del vincolo sostengono che gli interventi realizzati nell’abitato di Case di Noè sono stati sempre assoggettati dal Comune di Rapallo e dalla Soprintendenza a previa autorizzazione paesaggistica. Significativo sarebbe altresì il fatto che, con nota del novembre 2011, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici avesse anticipato il proprio parere negativo in ordine alla demolizione del manufatto;

3) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 142, 146 e 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione all’art. 17.01 delle NTA del PRG del Comune di Rapallo approvato con PPGR n. 1216 del 7.10.1986. Violazione dell’art. 9 Cost.. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà intrinseca ed illogicità manifesta.

Quanto all’autorizzazione paesaggistica rilasciata per il solo manufatto in costruzione, il T.a.r. ha omesso di rilevare che in realtà, non vengono fornite compiute motivazioni in ordine alla sostanziale compatibilità dell’intervento con la peculiarità della zona;

4) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 142 e 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione alla violazione e falsa applicazione del R.D.L. 3 aprile 1939, n. 652. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e per illogicità e contraddittorietà manifesta.

L’immobile, fin dalla sua edificazione, ha sempre avuto una destinazione a fienile o stalla e non ha mai avuto un uso residenziale, così come dimostrato dalla sua classificazione storica quale edificio rurale censito al Catasto terreni al foglio 13 mappale 93. In tal senso richiamano altresì, la loro diretta esperienza, la relazione del geometra comunale Porzia del 3 ottobre 2012 nonché il fatto che lo stesso Comune, con comunicazione dell’8.10.2012, prot. n. 45862 abbia messo in dubbio l’uso abitativo dell’edificio;

5) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 della l.r. n. 21 settembre 1991, n. 20, come modificata dall’art. 1 della l.r. 9 settembre 1998, n 29, in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 136, 142 e 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Mancata rilevazione dell’incompetenza.

La Regione Liguria ha ritenuto sussistere la propria competenza in virtù dell’art. 7, comma 1, lett. a) punto 2 della l.r. 21 agosto 1991, n. 20.

Tuttavia, come indicato nella rubrica dell’art. 7, detta norma costituisce una “disciplina transitoria” che trova applicazione fino all’attivazione della subdelega di cui all’art. 1, primo comma lett. a).

Secondo l’art. 1, comma 1, lett. a), la subdelega è operativa per i Comuni dotati della disciplina paesistica di cui all’art. 8 della l.r. n. 6 del 1991 a far data dall’approvazione della relativa variante integrale o settoriale allo strumento urbanistico ovvero di integrazione dello stesso.

L’ “integrazione” della disciplina urbanistica è stata fatta dal Comune di Rapallo con la delibera consiliare n. 181/2009, con ciò radicando, secondo gli appellanti, la competenza comunale al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

4. Si è costituita, per resistere, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Regione Liguria, significando che, a suo parere, tutte le doglianze mosse nel ricorso con riguardo all’intervento di demolizione non coinvolgono il suo operato, in quanto l’intervento medesimo non è stato sottoposto al suo esame.

Per quanto riguarda l’intervento di ricostruzione, sottolinea invece di avere accuratamente vagliato tutta la documentazione progettuale versata in atti dall’odierna controinteressata, così come sarebbe confermato dalla circostanza che, con la nota n.10123 del 3 aprile 2012, sono state previste numerose prescrizioni, tali da rendere l’opera compatibile con l’esigenza di tutela del paesaggio.

5. Gli appellanti, hanno depositato una memoria conclusionale, con la quale hanno in particolare evidenziato:

- che, come si evince dalla documentazione versata in atti (doc. n. 7) nel ricorso in appello recante R.G. n. 2061/2017, secondo il P.R.G. del 1957 l’immobile in questione era ricompreso in zona “G-rurale”;

- che il rilascio dei titoli impugnati si è basato sull’errato presupposto che l’immobile in questione fosse adibito, nel passato, ad edificio di civile abitazione. Detta affermazione stride palesemente con lo stato dei luoghi, nonché con le argomentazioni contenute nella nota del 15 dicembre 2014 prot. PG/2014/237505 a firma del Direttore generale del Dipartimento Pianificazione Territoriale Urbanistica della Regione Liguria, nella quale si fa riferimento alla “relazione di accertamento delle planimetrie del progetto rubricato al n. provvisorio 99/2011 relativo alla demolizione e ricostruzione dell'immobile sito in Località Case di Noè 31 – Richiedente Immobiliare San Paolo srl” in data 3 ottobre 2012 redatta dall’Istruttore Direttivo Tecnico Geom. Vincenzo Porzia antecedentemente alla Conferenza dei Servizi deliberante del 10.05.2013.

In tale relazione si afferma che l’immobile di cui al civ. 31 è stato classificato come «rustico ed inserito nei numeri non destinati ad uso abitativo» e che, a seguito del sopralluogo svolto in data 25 settembre 2012, «questo ed altri elementi oggettivi (vedere le fotografie allegate) inducono ad escludere all’ipotesi di un uso abitativo delle stesso seppure in epoca anche precedente; è ipotizzabile un uso a cantina oppure a stalla; la porzione di corpo aggiunto sul lato a ponente ed indicato ad uso bagno non appare già destinato a tale uso».

La Regione ha osservato che negli atti della conferenza di servizi deliberante del 10 maggio 2013, non viene fatto alcun riferimento alla effettiva destinazione d’uso residenziale del fabbricato oggetto della demolizione per la successiva ricostruzione al fine della legittima applicazione dell'art.6 della L.R. 49/2009 e s.m..

II. Appello R.G. n. 2061 del 2017.

6. Nelle more della definizione del ricorso R.G. n. 1033 del 2012 del TAR per la Liguria, il titolo edilizio impugnato, unitamente agli atti presupposti, decadeva per il decorso del termine di inizio dei lavori.

Nonostante le problematiche emerse - previo parere favorevole, a maggioranza, della Commissione edilizia comunale - il Comune di Rapallo procedeva al rilascio del permesso di costruire n. 4325/2016.

Anche tale provvedimento veniva impugnato dagli odierni appellanti innanzi al TAR per la Liguria, reiterando sostanzialmente i motivi già in precedenza articolati avverso il permesso decaduto.

In particolare:

- l’assunto del Comune di Rapallo, secondo cui l’area in questione non è soggetta al vincolo paesaggistico in quanto classificata come zona B dal Piano regolatore generale adottato nel 1982 ed approvato in data 7 ottobre 1986, contrasta con l’art. 142, comma del d.lgs. n. 42 del 2004, poiché, alla data del 6.9.1985, il piano vigente, ovvero quello approvato nel 1957, non classifica la zona coma A o B.

- ad ogni buon conto, anche la pianificazione urbanistica adottata nel 1982, non classifica la zona in questione come zona B;

- non sussistevano, comunque, i presupposti per fare applicazione dell’art. 6 della l.r. n. 49/2009. In tal senso, i ricorrenti valorizzavano che, fino al 2010, l’immobile era accatastato come edificio rurale, oltre al fatto che il sopralluogo espletato dal tecnico comunale il 25.9.2012 aveva accertato l’errata rappresentazione dei vani nel progetto depositato, ed, in particolare, l’assenza dei vani adibiti a servizi igienici, unitamente al fatto che, nel 1993, era stato attribuito un numero civico per uso non residenziale. A ciò, si aggiungeva la memoria storica degli stessi ricorrenti.

Anche la Regione Liguria, con nota del 20.10.2015, aveva rilevato la lacunosità del progetto con riferimento al presupposto della destinazione d’uso residenziale. Secondo i ricorrenti, inoltre, non sussisteva alcuna necessità di riqualificazione urbanistica atteso che l’edificio, dato il suo valore testimoniale, avrebbe dovuto semmai essere restaurato e non demolito;

- dal punto di vista paesaggistico, richiamavano poi i molteplici vizi che avrebbero inficiato il provvedimento di autorizzazione reso nel 2012, dalla Regione Liguria, con l’assenso della Soprintendenza;

- in ogni caso, la Commissione edilizia aveva del tutto omesso di motivare in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento, in un’area di pregio, così come rappresentato dalle perizie a firma dell’arch. Prof. Duilio Citi, sia nel 2013 che nel 2015.

I ricorrenti articolavano, altresì, una domanda di risarcimento del danno.

7. Nella resistenza della Soprintendenza e della società controinteressata il TAR, con la sentenza n. 63 del 18 gennaio 2017 - respingeva il ricorso, anche sulla scorta di un accertamento istruttorio circa lo stato dei luoghi.

8. La sentenza n. 63 del 2017 è stata appellata dagli originari ricorrenti, rimasti soccombenti, i quali hanno riproposto criticamente le proprie doglianze, nonché riproposto la domanda di risarcimento del danno.

Hanno in particolare dedotto:

1) Erroneità della sentenza per difetto assoluto dei presupposti e per erronea motivazione. Ingiustizia manifesta. Travisamento. Mancata individuazione della violazione e falsa applicazione degli artt. 142, 146 e 167 del d.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42 anche in relazione alla violazione dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990. n. 241. Violazione dell’art. 9 Cost. Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà intrinseca ed illogicità manifeste. Perplessità.

La classificazione contenuta nella pianificazione urbanistica del 1986 doveva ritenersi assolutamente non influente ai fini della disapplicazione del vincolo, essendo stata approvata solo successivamente al 6 settembre 1985. Diversamente opinando, si giungerebbe ad affermare la possibilità che alla disciplina pianificatoria solo adottata sia attribuita cogenza tale da porre nel nulla il vincolo paesistico altrimenti gravante sull’area. Ciò, in aperta difformità della ratio sottesa all’applicazione del piano adottato in regime di salvaguardia, finalizzato a garantire che l’area oggetto di due successive discipline pianificatorie (l’una approvata e l’altra solo adottata), venga preservata (salvaguardata appunto) in vista dell’approvazione del nuovo piano.

Il giudice di primo grado non ha nemmeno tenuto in considerazione gli elementi forniti dai ricorrenti a riprova del permanere delle caratteristiche di assoluto pregio dell’area, come la deliberazione del Consiglio Comunale di Rapallo n. 188 del 29.12.2009, a mezzo della quale si è ritenuto di escludere la zona oggetto dell’intervento prospettato, dall’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 3 e 4 della L.R. 3 novembre 2009, n. 49.

E’ stata la stessa amministrazione comunale, infatti, a confermare il permanere dei caratteri di assoluto pregio dell’area in questione, dichiarando i nuclei collinari di carattere agricolo rurale ubicati nelle località di Chignero e Case di Noè come «suggestive porzioni di nuclei collinari, peraltro presenti sul territorio in misura quantitativamente contenuta […] in quanto insediamenti di particolare pregio e valore storico e rappresentativi di un modello aggregativo di sistema insediativo agricolo rurale nella cui strutturazione formale e d’immagine, episodi di accorpamento ed integrazione volumetrica potrebbero inserire elementi di incongruità e discontinuità tali da compromettere l’unitarietà percettiva. Peraltro anche nel caso di che trattasi la relativa disciplina urbanistica prevista già dal progetto preliminare del PUC, e confermata dal progetto definitivo di cui è ormai prossima l’adozione, appare particolarmente restrittiva laddove, a rafforzamento di quanto sopra rappresentato, inibisce qualsiasi potenzialità edificatoria non prevedendo alcun indice di utilizzazione insediativa e non consente alcun incremento volumetrico sugli edifici esistenti».

Gli appellanti sottolineano poi come la reale destinazione dell’area possa evincersi dal provvedimento in data 17.06.2016 a firma dell’Ing. Giorgio Ottonello in cui si dichiara che «dalla lettura della tavola 3 con la relativa legenda si evince che l’immobile in questione, secondo il Piano regolatore approvato nel 1961, era ricompreso in zona “G” rurale” priva di qualsivoglia resinatura e/o campitura».

Sarebbe dunque evidente la piena sottoposizione a vincolo dell’area in questione, così come classificata dal piano regolatore vigente alla data del 6 settembre 1985;

2) Erroneità della sentenza per difetto assoluto dei presupposti e per erronea motivazione. Ingiustizia manifesta. Travisamento. Mancata individuazione della violazione e falsa applicazione degli artt. 142, 146 e 167 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione

all’art. 17.01 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rapallo approvato con P.P.G.R. n. 1216 del 7.10.1986. Violazione dell’art. 9 Cost. Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà intrinseca ed illogicità manifeste.

L’art. 17 delle N.T.A. del Piano regolatore generale del 1986 (adottato nel 1982), precisa espressamente, al punto 01, che l’area omogenea comprende «le zone del territorio comunale connotate da insediamenti già formati in quanto totalmente o prevalentemente edificati, con esclusione di quelli compresi nelle aree sub A, PA, PV1, PV2 come i nuclei frazionali di S. Massimo, S. Martino di Noceto, Arbocò, S. Maurizio in Monte e case di Norero (Noè)».

E’ quindi la stessa disciplina urbanistica ad escludere espressamente l’abitato di case di Noè dalla classificazione B. In tal senso sarebbe significativa la nota della Regione Liguria, in data 15.12.2014, prot. n. 237505, indirizzata al Comune di Rapallo (produzione n. 5 dei documenti depositati dalla controinteressata in primo grado) con la quale l’amministrazione regionale ha preso atto che «il nucleo frazionale di Case Noè è escluso dalla classificazione di zona B e, quindi contrariamente a quanto affermato da codesto Comune con la nota sopra richiamata, soggetto al vincolo paesaggistico, peraltro con una contraddittoria classificazione urbanistica di tipo Bf»;

3) Erroneità della sentenza per difetto assoluto dei presupposti e per erronea motivazione. Ingiustizia manifesta. Travisamento. Mancata individuazione della violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della L.R. 3 novembre 2009, n. 49, in relazione alla violazione dell’art. 12 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e per illogicità e contraddittorietà manifeste.

Il rilascio del titolo impugnato si è basato sull’errato presupposto che l’immobile in questione fosse stato adibito, nel passato, ad edificio di civile abitazione. Al contrario, l’immobile de quo possiede, fin dalla sua edificazione, una funzione ed un uso esclusivamente rurale (fienile o stalla) e non è mai stato soggetto ad un uso residenziale. Quanto sopra è confermato dalla sua classificazione storica quale edificio rurale censito al catasto terreni foglio 13 mappale n. 93. Solo nel corso dell’anno 2010 l’immobile in questione è stato censito al Catasto edilizio Urbano, al foglio 13, mappale n. 1003 ed a seguito del nuovo accatastamento l’immobile è stato classificato come ricadente in categoria A3. Tale classificazione abitativa, necessaria ai fini di poter realizzare l’intervento in questione, non trova in realtà alcuna conferma nelle caratteristiche dell’immobile, da sempre adibito esclusivamente a fienile e mai adibito a civile abitazione come confermato anche dall’Amministrazione comunale con certificato in data 11.05.2015 con il quale è stato attestato che «il civico posto in Località Case di Noè 31 risulta assegnato ad immobile non destinato ad abitazione».

Lo stesso Comune di Rapallo, con comunicazione in data 8.10.2012, prot. n. 45862, ha posto in dubbio l’uso abitativo dell’edificio in questione.

Per quanto poi concerne l’istruttoria svolta in primo grado, gli appellanti stigmatizzano il fatto che il TAR abbia presunto la destinazione abitativa essenzialmente sulla base della «conformazione del bene, troppo grande per essere servente ad una sola stalla con fienile» nonché per la «presenza di porte di accesso e di intonaci alle pareti».

Essi si richiamano, per contro, alla relazione redatta dal proprio consulente di parte, Geom. Andrea Giorgi, allegata alla memoria difensiva depositata dinanzi al TAR in data 17.12.2016, nella quale si mette in evidenza come nessuna delle caratteristiche asseritamente abitative dell’immobile, risultanti dall’elaborato progettuale, abbia trovato oggettivo riscontro in sede di verifica in contraddittorio.

In particolare:

a) all’età dell’insediamento, ultrasecolare, nemmeno nelle case nobiliari era presente un “bagno”; il fabbricato, inoltre, è privo di qualsivoglia traccia di impianto elettrico, idrico o fognario e, stante anche le dimensioni del medesimo, è impossibile che fosse dotato di locale igienico;

b) la stessa disposizione delle bucature è tipica degli insediamenti produttivi connessi alla conduzione del fondo agricolo e non, invece, della destinazione residenziale abitativa. Notoriamente, nelle case di abitazione il numero delle bucature, come pure le loro dimensioni, venivano ridotti al minimo per contenere il calore all’interno. Ogni bucatura rappresentava una inevitabile dispersione di calore e, pertanto un numero di bucature elevato come quello del fabbricato in discorso, sarebbe indicativo che il medesimo fosse esclusivamente adibito e strumentale alla coltivazione del fondo. In sostanza, si può ipotizzare che la ventilazione assicurata dalle bucature fosse voluta per garantire la conservazione delle merci stipate quali patate, fieno e sementi;

c) la destinazione abitativa è poi esclusa dalle situazioni di insalubrità degli ambienti, i quali si presentano privi di pavimentazione, di intercapedine con la copertura dell’edificio nonché ubicati direttamente contro il terrapieno; al loro interno affiora la roccia viva per tutto il perimetro;

d) anche le caratteristiche delle murature in pietrame a vista, prive di qualsiasi finitura, escluderebbero l’utilizzo abitativo del manufatto. Le “tracce di intonaco” valorizzate dal TAR, sarebbero poi frutto di interventi successivi utili a consolidarne la consistenza e non, di certo, residui di stuccature integrali;

e) il solo asserito vano “soggiorno”, per la propria conformazione, era adibito a fienile e stalla così come il vano “cucina” che, a conferma della destinazione non abitativa del fabbricato, non era altro che una stanza indipendente dotata di un portone dall’esterno e non comunicante con il resto del fabbricato.

f) a riprova che il fabbricato de quo non abbia mai avuto destinazione abitativa depone altresì la mancanza di qualsivoglia traccia di focolare o canna fumaria quando l’eventuale utilizzo abitativo ne avrebbe sicuramente richiesto l’utilizzo. Ed, infatti, la stessa amministrazione afferma che «non sono state riscontrate né nella parte interna che è stato possibile verificare che sull’esterno dell’immobile né su quello che residua della copertura tracce della presenza di camini, canne fumarie o focolai»;

g) infine, all’Anagrafe comunale non risulta storicamente censito alcun nucleo familiare per l’edificio in questione;

4) Erroneità della sentenza per difetto assoluto dei presupposti e per erronea motivazione. Illogicità. Ingiustizia manifesta. Travisamento. Mancata individuazione della violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e degli artt. 142 e 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, in relazione alla violazione dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 5 del Regolamento del Comune di Rapallo. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. Sviamento. Incompetenza.

Gli appellanti ribadiscono che, sull’errato presupposto che l’area su cui ricade il fabbricato da demolire non fosse sottoposta al vincolo paesistico, non vi è stata alcuna analisi della compatibilità tra l’intervento assentito, che comporta lo snaturamento delle caratteristiche di pregio dell’area e la realizzazione dell’intervento in progetto. Inoltre i pareri rilasciati per gli interventi edilizi in Loc. Case di Noè sono sempre stati espressi – salvo, in modo incomprensibile, quello del caso di specie – dalla commissione edilizia Integrata (oggi commissione locale per il paesaggio). Ne conseguirebbe anche l’incompetenza della commissione edilizia ad esprimersi sul punto.

Nel caso di specie, l’obbligo motivazionale non poteva essere integrato dal semplice richiamo, operato dalla Soprintendenza e dalla Regione Liguria, alla disciplina del P.T.C.P., o dell’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004.

9. Gli appellanti, infine, hanno riproposto la domanda di risarcimento dei danni asseritamente patiti in conseguenza «degli illegittimi atti impugnati, riconducibili all’incremento del carico insediativo, con conseguente aumento delle loro difficoltà abitative in una zona sprovvista di adeguate opere di urbanizzazione e caratterizzata da un accesso palesemente insufficiente, nonché alla diminuzione di valore che gli immobili di loro proprietà subiranno a seguito della perdita delle qualità e del pregio paesistico dell’area ove sono ubicati».

10. Anche in questo appello si è costituito per resistere il Mibac (con comparsa di stile).

11. In data 5.7.2017 si è costituita la società controinteressata.

In data 13.12.2017 ha depositato una memoria difensiva, rappresentando quanto segue:

In primo luogo, relativamente alla deduzione secondo cui la zona nella quale si trova l’edificio da demolire non era una zona B, sicché non avrebbe operato l’esclusione dal vincolo disposta dall'art. 142 per le zone A e B, ha richiamato le argomentazioni contenute nella sentenza del TAR per la Liguria n. 1002 del 2004.

Ha soggiunto, al riguardo, che l’area è inclusa nel Piano paesistico ligure approvato dalla Regione nel 1990 nell’ambito NI.CO («nuclei il cui impianto urbano risulti incompiuto o che presentino discontinuità e/o eterogeneità del tessuto edilizio» - art. 41 delle relative Norme) nel quale «sono consentiti interventi di nuova edificazione e di urbanizzazione nonché di integrazione ed eventuale sostituzione delle preesistenze atti a completare l'impianto urbano e a omogeneizzare il tessuto edilizio in forme e modi coerenti con i caratteri predetti».

L'ambito avrebbe dunque i caratteri oggettivi di una zona B.

Ha poi sostenuto che, ai sensi del d.m. 2 aprile 1968 la localizzazione delle zone A e B sarebbe il risultato di una operazione sostanzialmente ricognitiva, dovendosi dare rilievo ai caratteri oggettivi della zona, mentre la localizzazione e delimitazione delle zone C, D, E ed F, è il risultato di una operazione di discrezionalità amministrativa (o di politica urbanistica).

Nel caso di specie, in cui il PRG di Rapallo vigente nel 1985 era stato approvato nel 1961 (e cioè quando non era stata ancora introdotta la zonizzazione di cui al D.M. 2 aprile 1968) dovrebbe quindi equipararsi il nucleo di Case di Noé ad una zona B.

Sulla possibilità di operazioni di equiparazione o di valutazione di equipollenza tra zone omogenee non sarebbe più possibile dubitare dopo che l’art. 30 del d.l. n. 69/2013, al comma 4, ha disciplinato le zone omogenee A e «quelle equipollenti secondo la eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali …».

Né ad escludere il carattere di zona urbanizzata varrebbe la delibera del Consiglio Comunale di Rapallo n. 188/2009 invocata dai ricorrenti la quale non riguarda specificamente l’art. 6 della l.r. n. 49/2009, qui in rilievo, come pure sarebbe irrilevante il fatto che la zona sia stata esclusa dall’applicazione della legge sul recupero dei sottotetti.

La relazione del geom. Giorgi, prodotta in primo grado il 17.12.2016 e quindi fuori termine, non sarebbe di alcun rilievo e, comunque, non potrebbe essere ammessa in appello in quanto trattasi di documento nuovo.

Né alcuna valenza probatoria avrebbe il certificato dell’Ufficiale d’Anagrafe in data 11 maggio 2015 (pur esso inammissibilmente esibito solo in appello) relativo al fatto che il civico 31 sarebbe stato assegnato “ad immobile non destinato ad abitazione”.

Sulla corretta interpretazione dell’art. 17 del PRG in itinere alla data di entrata in vigore della l. n. 431 del 19825 ha poi rinviato ai chiarimenti forniti dal Comune di cui ai documenti 7, 10 e 11 della produzione in primo grado.

Sulla destinazione abitativa dell’immobile ha rinviato, altresì, alla relazione prodotta dal Comune al TAR il 31 ottobre 2016.

In ogni caso ha sottolineato:

- che la classificazione catastale non ha valore probatorio;

- che non è vero che il Comune di Rapallo abbia certificato la destinazione non abitativa;

- che la relazione del geom. Giorgi era inammissibile perché tardiva e comunque non tale da superare la relazione valorizzata dal Tar);

- né il TAR né il Comune hanno sostenuto che nella costruzione vi era un “bagno” né, in un fabbricato pressoché per intero diruto, è rilevante l’attuale assenza di impianti a rete;

- non è vero che la disposizione delle bucature sia tipica dei fabbricati agricoli; in particolare la società contesta l’argomentazione secondo cui il numero elevato delle bucature sia indice di una destinazione non abitativa, essendo vero esattamente il contrario. Al riguardo, sarebbero indicative le fotografie del fabbricato dalle quali sarebbe agevole evincere come il piano elevato (primo) sia, anche per le bucature, tipicamente abitativo;

La società rinvia comunque alla puntuale analisi del geom. Copello di cui alla Relazione prodotta in primo grado come doc. n. 1.

Quanto all’aspetto paesaggistico, il permesso di costruire era comunque ampiamente motivato obrelationem.

11.1. Gli appellanti hanno depositato una ulteriore memoria in data 15.12.2017.

12. Con memoria del 22.12.2017, gli appellati hanno chiarito che il sequestro probatorio disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova, è allo stato venuto meno con conseguente dissequestro e con la restituzione della piena disponibilità del bene alla società proprietaria.

13. Con memoria di replica del 22.12.2017 gli appellanti hanno ribadito le proprie conclusioni

14. In data 16 gennaio 2018, con ordinanza n. 572 è stata disposta la trattazione congiunta degli appelli.

15. In data 13.6.2018 si sono costituiti, in sostituzione degli originari difensori della società appellata, gli avvocati Andrea Masetti e Gabriele Pafundi.

16 Le parti, hanno depositato ulteriori memorie, in vista dell’udienza pubblica di discussione del 27.9.2018 alla quale, infine, gli appelli sono stati trattenuti in decisione.

17. Gli appelli vanno riuniti per evidenti ragioni di connessione. Ciò posto, in via preliminare, vanno esaminate le eccezioni della società controinteressata, riferite alla non ammissibilità, nel presente grado di giudizio, sia della relazione peritale di parte ricorrente, depositata nel giudizio R.G. n. 352/2016 innanzi al TAR in data 17.12.2016, sia del certificato dell’Ufficiale d’Anagrafe in data 11 maggio 2015, depositato come documento 8 nell’appello n. 2061 del 2017.

Orbene, il primo documento risulta espressamente esaminato e ammesso dal TAR che, nella sentenza n. 63 del 2017, afferma di avere “letto” la relazione di sopralluogo dei tecnici comunali in maniera “integrata” anche con la relazione peritale di parte ricorrente “che risulta giustapposta alla memoria conclusionale versata nei termini di legge.”

Tale capo o, comunque, passaggio della sentenza avrebbe dovuto essere impugnato con appello incidentale sicché, oggi, non è più possibile discutere dell’ammissibilità di detta relazione.

Quanto, invece, al certificato dell’Ufficiale d’Anagrafe in data 11 maggio 2015, esso non fa che riprodurre quanto riferiva il 3 ottobre 2012 il geom. Porzia, nella relazione già esibita in primo grado, secondo cui da verifiche esperite presso l’Ufficio Anagrafe del Comune era risultato che in data 30.11.1993 il numero civico 31 era stato assegnato ad un immobile classificato come “rustico” ed “inserito nei numeri non destinati ad uso abitativo”.

Anche in questo caso, pertanto, il documento è pienamente ammissibile non rivestendo carattere di novità.

18. Nel merito, ai fini del decidere, riveste carattere logicamente pregiudiziale, come del resto messo in luce dallo stesso TAR per la Liguria nella sentenza n. 1002 del 25 giugno 2014, la questione relativa alla necessità dell’autorizzazione paesaggistica in ordine all’intervento di demolizione.

La mancanza di quest’ultima, ove effettivamente necessaria, appare infatti idonea a determinare l’illegittimità dell’intervento nel suo complesso, sia sotto il profilo edilizio che paesaggistico.

Al riguardo, le doglianze svolte dagli appellanti, appaiono manifestamente fondate.

18.1. Come noto, ai sensi dell’art. 1 del 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge con modificazioni, con l’art.1 della l. n. 431 del 1985 (che ha aggiunto 9 commi all’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977) «Sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497», tra gli altri, « c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna».

Tuttavia «Il vincolo di cui al precedente comma non si applica alle zone A, B e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell’art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865»

Tali disposizioni sono state poi riprodotte nell’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999 e quindi nell’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004 (così come sostituito dall'art. 12, comma 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, successivamente integrato e modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008), in particolare nel comma 2, secondo cui, «La disposizione di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), g), h), l), m), non si applica alle aree che alla data del 6 settembre 1985:

a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B;

b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate;

c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865».

Le specificazioni contenute in tali disposizioni, come noto, rappresentano la trasposizione dell’interpretazione delle norme originariamente contenute nella legge Galasso, quale consolidatasi nell’elaborazione giurisprudenziale.

La tesi sostenuta dalle parti resistenti in primo grado e avallata dal TAR è che ai fini dello sgravio dal vincolo, rileverebbe anche solo il piano adottato in quanto, da un lato, la delimitazione delle zone A e B avrebbe natura meramente “accertativa” delle zone antropiche ed urbanizzate, dall’altro «l’approvazione del PRG – oltretutto confermativa […] delle opzioni contenute nella delibera di adozione – nulla aggiunge in termini di delimitazione delle aree urbanizzate sottratte (per loro intrinseca caratteristica) al vincolo. In ogni caso, trattandosi d’accertamento dichiarativo, la delimitazione opera ex tunc: ossia, fin dall’adozione del P.R.G. cui faccia seguito l’approvazione».

E’ tuttavia destituita di fondamento, in primo luogo, l’argomentazione secondo cui, sia pure ai soli fini di cui trattasi, l’approvazione del P.R.G. abbia efficacia retroattiva.

Al contrario, è giurisprudenza del tutto pacifica quella secondo cui il piano regolatore (oggi variamente denominato nelle legislazioni regionali) è un atto complesso, il cui procedimento si conclude solo con l’approvazione da parte della Regione.

Gli unici effetti anticipati del piano adottato dal Consiglio comunale concernono le misure di salvaguardia le quali giustificano il diniego di concessioni difformi (cfr. Cons. St., Adunanza plenaria, n. 1 del 9 marzo 1983; cfr. anche cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6226, relativa a vicenda per certi versi speculare a quella qui in esame).

In secondo luogo, le previsioni del Piano regolatore non possono avere effetti “dichiarativi”, semplicemente perché la loro funzione è quella di disciplinare e ordinare gli usi e le trasformazioni del territorio.

Come, ancora da ultimo, ricordato da questo Consiglio, anche «la c.d. “zonizzazione” non postula e non presuppone solo l’individuazione di un territorio - ossia una operazione puramente ricognitiva - bensì la qualificazione di esso, e pertanto una valutazione, alla stregua delle categorie offerte dal legislatore» (Cons. Stato, Sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3987).

Per quanto poi specificamente concerne i vincoli paesistici ex lege, si è già accennato al fatto che, secondo la giurisprudenza amministrativa formatasi in merito alla legge Galasso, «la possibilità di deroga al vincolo paesaggistico riguarda soltanto le aree comprese in previsioni urbanistiche già approvate alla data di entrata in vigore della legge e non può essere estesa ai successivi atti programmatori» (Cons. St., Sez. V, 1 aprile 2011, n. 2015, che richiama Sez. VI, 4 dicembre 1996, n. 1679; id., 22 aprile 2004 , n. 2332, secondo cui la disciplina statale ancora l’esclusione dal vincolo paesaggistico predisposto per legge alla delimitazione dei terreni negli strumenti urbanistici come zone A e B ad una data determinata, e cioè al 6 settembre 1985, epoca di entrata in vigore della l. n. 431 del 1985).

Non appare poi inutile ricordare quale fosse la ragione della deroga ivi introdotta al regime ordinario di tutela paesistica.

Essa aveva infatti lo scopo di consentire la realizzazione di opere già avviate in esecuzione dei piani vigenti all’entrata in vigore della legge (Cons. Stato, Sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5072, con riferimento ai piani pluriennali di attuazione) nonché in relazione ad aree già urbanizzate o comunque «oggetto di una pianificazione che ha ritenuto maturo il tempo dell’esecuzione di interventi sul territorio» (Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 1997, n. 3882,; cfr. anche 30 marzo 1999, n. 5923).

Va ancora soggiunto, nel caso di specie, che - anche a volere operare una comparazione tra la disciplina del piano vigente nel Comune di Rapallo all’epoca per cui è causa e le classificazioni contenute nel d.m. 2 aprile 1968 relativamente alle zone territoriali omogenee - non vi è alcuna prova, in atti, che il borgo di Case di Noè, all’epoca di entrata in vigore della legge Galasso, fosse una zona già urbanizzata ovvero matura per l’edificazione (nei sensi cui di cui al suddetto d.m., alla stregua del quale le zone B sono «le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq»).

Semmai, vi è prova del contrario.

Dalla nota dell’Ufficio Gestione del Territorio del Comune di Rapallo in data 17.6.2016, prodotta dagli appellanti, si evince infatti che, alla stregua del P.R.G. approvato nel 1961, l’immobile oggetto dell’intervento all’odierno esame era «ricompreso in zona “G rurale”.

Al riguardo, è poi significativo che, ancora in una delibera comunale dell’anno 2009 (n. 188 del 29.12.2009) e quindi, in epoca ben successiva all’entrata in vigore della Legge Galasso, il borgo di Case di Noé venga descritto come un insediamento «di particolare pregio e valore storico» nonché rappresentativo «di un modello aggregativo del sistema insediativo agricolo rurale nella cui strutturazione formale e d'immagine, episodi di accorpamento ed integrazione volumetrica potrebbero inserire elementi di incongruità e discontinuità tali da comprometterne l'unitarietà percettiva».

Tali espressioni, invero, mal si attagliano ad una zona urbanizzata, quale ipotizzata dalle decisioni impugnate.

19. I rilievi che precedono appaiono invero assorbenti ai fini dell’accoglimento degli appelli, poiché la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica in ordine all’intervento di demolizione determina l’illegittimità derivata di quella adottata con riferimento all’intervento di ricostruzione, nonché del permesso di costruire, in quanto rilasciato sulla base di un presupposto errato (cfr., per una compiuta analisi del rapporto tra i due titoli abilitativi Cons. St., Sez. IV, 14 dicembre 2015, n. 5663).

Tuttavia, relativamente al profilo urbanistico – edilizio, appare opportuno esaminare anche le censure relative alla dedotta violazione dell’art. 6 della legge della Regione Liguria 3 novembre 2009, n. 49.

19.1. Secondo la disposizione testé richiamata, «I singoli edifici prevalentemente residenziali, o ad essi assimilabili quali residenze collettive, esistenti alla data del 30 giugno 2009 aventi una volumetria non superiore a 2.500 metri cubi e che necessitano di interventi di riqualificazione urbanistica, architettonica e/o ambientale, ai sensi dell'articolo 2, comma 1), lettera c), numeri 1) o 2) possono essere demoliti e ricostruiti con incremento fino al 35 per cento del volume esistente, anche mediante realizzazione di più edifici di volumetria complessiva pari a quella derivante dall’ampliamento del volume esistente dell'edificio da demolire. […]» (comma 1).

Al fine di dimostrare il carattere “prevalentemente residenziale” dell’ “edificio” oggetto dell’intervento di ricostruzione e demolizione in esame, il tecnico della società (geom. Copello), nonché quelli incaricati dal TAR, si sono profusi nell’analisi delle sue caratteristiche strutturali ed esteriori.

In appello, si è poi in particolare dibattuto in ordine alla funzione delle “bucature” presenti al primo piano.

Tuttavia, le conclusioni contenute in tali relazioni circa la destinazione “residenziale” sono il frutto di mere ipotesi laddove l’insuperabile dato reale che emerge dagli atti (in particolare dalla documentazione fotografica e dalle descrizioni contenute nella relazione di sopralluogo) è che quello in esame è semplicemente un edificio in rovina, abbandonato da tempo immemorabile (nel senso letterale del termine, ovvero di “tanto antico che se ne è perduta la memoria”).

Del resto sia la società appellata, nelle proprie difese, che il TAR nella sentenza impugnata, non hanno esitato a definirlo un “rudere”.

La distinzione tra edifici “diruti” ed edifici “suscettibili di riqualificazione” è contenuta nella stessa legge regionale n. 49/2009 che, all’art.2, comma 1, lett. b) definisce diruto «un edificio di cui parti, anche significative e strutturali, siano andate distrutte nel tempo ma di cui sia possibile documentare l’originario inviluppo volumetrico complessivo e la originaria configurazione tipologica, a fini della sua ricostruzione».

Secondo la lett. c) della medesima disposizione, edifici «suscettibili di riqualificazione urbanistica, architettonica e/o ambientale» sono invece quelli che alternativamente:

«1) presentano una o più delle seguenti condizioni:

1.1. esposizione a rischio idraulico o idrogeologico in base ai vigenti piani di bacino;

1.2. accertate criticità statico-strutturali;

1.3. interferenza rispetto all’attuazione di interventi aventi ad oggetto infrastrutture od opere di pubblica utilità;

1.4. incompatibilità per contrasto della funzione insediata o della tipologia della costruzione o per degrado rispetto al contesto urbanistico;

2) ricadono in aree in cui i vigenti piani urbanistici comunali prevedano già la possibilità di interventi comportanti demolizione e ricostruzione con incremento della volumetria originaria […]».

Non dissimile è il testo originario della disposizione regionale che, definiva “incongrui” gli edifici «la cui presenza comporti rischi per la pubblica o privata incolumità o effetti di dequalificazione del contesto», distinguendoli comunque nettamente dagli edifici diruti.

Solo i primi possono formare oggetto degli interventi di demolizione e ricostruzione disciplinati dal successivo articolo 6.

Nel caso di specie, risulta poi evidente dalla relazione di sopralluogo fatta eseguire dal TAR, che “le piante dello stato attuale dei luoghi allegate al progetto” presentato dalla società odierna appellata, sono state utilizzate dai tecnici comunali semplicemente quale punto di riferimento con “valore puramente indicativo” giacché i due locali al piano “seminterrato” e i quattro locali al “piano primo” (soggiorno, camera, cucina e bagno) descritti negli atti allegati alla richiesta di permesso di costruire (doc. n. 10, allegato al ricorso al TAR n. 352/2016), non hanno alcun riscontro nella realtà.

Peraltro i tecnici comunali, per motivi di sicurezza, hanno potuto direttamente ispezionare solo una parte dei luoghi e hanno comunque concluso non già per una “prevalente destinazione residenziale” dell’edificio ma per un uso “promiscuo”, per di più “confermando pienamente quanto già sostenuto dall’Ufficio in occasione dei precedenti sopralluoghi svolti il 25.9.2012 e il 23.4.2015”.

Tuttavia, in esito al sopralluogo del 25.9.2012, il geometra comunale Porzia aveva raggiunto conclusioni opposte, in quanto escluse l’utilizzo abitativo ed ipotizzò per il locale “indicato al piano seminterrato” un uso a cantina oppure a stalla, e, per la porzione fuori terra, un uso come “magazzino agricolo”.

Sicché, quantomeno, il TAR avrebbe dovuto non già considerare superate «le allegazioni dei ricorrenti, che richiamano un atto comunale del 2012 ed uno della regione Liguria del 2015 che avevano posto in dubbio la possibilità di reperire tracce del pregresso utilizzo abitativo nel bene oggetto di lite» bensì interrogarsi sulle conclusioni contraddittorie cui gli uffici comunali erano pervenuti nel corso degli anni.

Il primo giudice ha poi del tutto svalutato una circostanza chiaramente emersa dal sopralluogo quale la mancanza di qualsivoglia traccia di “camini, canne fumarie o focolari”, ovvero un elemento presente in tutti gli insediamenti umani sin da epoca preistorica.

Il primo giudice ha così finito per desumere la “prevalente destinazione residenziale”, semplicemente dalla “conformazione del bene” in quanto “troppo grande per essere servente ad una sola stalla con fienile” ovvero dalla “presenza di porte di accesso e di intonaci alle pareti” elementi che l’hanno fatto “propendere” per la tesi fatta propria dai funzionari comunali incaricati del sopralluogo.

Si è già visto però che questi ultimi, al più, avevano ipotizzato un uso “promiscuo”.

Per la verità gli elementi allegati dagli appellanti (assenza di camino o focolare, gran numero di bucature, inesistenza di riscontri anagrafici etc.) depongono significativamente per un uso non residenziale dell’immobile.

In tale contesto sia le conclusioni del TAR che quelle del tecnico della società circa il “prevalente uso residenziale”, restano dunque mere ipotesi, non supportate da documentazione alcuna né da alcun valido elemento probatorio.

Per conseguenza, deve escludersi che un edificio in rovina, di cui non si ha nemmeno memoria dell’uso effettivo e del quale gli istanti non hanno comunque provato la pregressa destinazione prevalentemente residenziale, possa formare oggetto di “riqualificazione” ai sensi dell’art. 6 della legge regionale n. 49/2009.

20. Rimane da esaminare la domanda risarcitoria, espressamente riproposta in appello e dai ricorrenti rapportata “all’incremento del carico insediativo” e alla “diminuzione di valore” dei loro immobili.

Secondo quanto documentato dalla società appellata, l’edificio ha formato oggetto di sequestro in sede penale perlomeno fino al maggio del 2017.

Dal canto loro, gli appellanti non hanno fornito alcun elemento atto a dimostrare che l’intervento sia stato completato ovvero sia in corso di esecuzione.

Non essendovi alcuna prova dell’essersi l’evento dannoso effettivamente verificatosi, la domanda risarcitoria deve essere rigettata.

21. In definitiva, per quanto appena argomentato, gli appelli meritano accoglimento e con essi i ricorsi e i motivi aggiunti proposti in primo grado, con il conseguente annullamento dei seguenti atti:

- Decreto n. 1414, rilasciato dalla Regione Liguria in data 10.5.2012;

- Permesso di costruire n. 4325/2016 rilasciato dal Comune di Rapallo in data 22.3.2016.

La domanda di risarcimento del danno, invece, deve essere respinta.

22. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti di cui in premessa li accoglie, e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie i ricorsi e i motivi aggiunti di primo grado; per l’effetto così provvede:

1) annulla il decreto della Regione Liguria n. 1414 del 10.5.2012 e il permesso di costruire n. 4325/2016 rilasciato dal Comune di Rapallo;

2) respinge la domanda di risarcimento del danno;

3) condanna la società Immobiliare San Paolo a r.l., alla rifusione delle spese del doppio grado giudizio in favore degli appellanti, liquidandole complessivamente in euro 5.000 (cinquemila/00), oltre gli accessori, come per legge.

4) compensa le spese tra gli appellanti e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore