Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 738, del 30 gennaio 2019.
Beni ambientali.Stabilimento balneare e legittimità autorizzazione paesaggistica con obbligo di rimozione dei manufatti al termine di ogni stagione estiva.

L'esistenza di un’autorizzazione paesaggistica per interventi (servizi igienico-sanitari, docce, chiosco bar, direzione) per il solo periodo estivo non implica che la stessa debba necessariamente essere concessa anche per il periodo invernale. Risponde infatti ad un criterio tecnico del tutto logico, o comunque non irragionevole, che la valutazione dell’impatto paesaggistico di uno stabilimento balneare abbia riguardo alla differenza dei contesti, estivo e invernale, nonché al fatto che la concessione per tale ultimo periodo si giustifica anche alla luce di un complessivo bilanciamento degli interessi in gioco. La condizione della temporaneità apposta ai titoli abilitativi si fonda sulla ragionevole necessità di limitare allo stretto necessario il danno che l’ambito paesaggistico subirebbe per effetto di tali strutture. Si tratta di un valutazione tecnica che, in definitiva, non viola il principio di ragionevolezza e rientra nell’ambito riservato all’autorità preposta alla tutela del vincolo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)


Pubblicato il 30/01/2019
N. 00738/2019REG.PROV.COLL.
N. 09115/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9115 del 2017, proposto da
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Signora Sonia Calò, in proprio e quale titolare della ditta Lido Pevero Beach di Calò Sonia, rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Pepe e prof. Pier Luigi Portaluri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Pecorilla in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
nei confronti
Comune di Lecce, rappresentato e difeso dall’avvocato Laura Astuto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Baldassarre in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 00771/2017.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Lecce e della signora Sonia Calò;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 11 ottobre 2018 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato dello Stato Barbara Tidore e gli avvocati Pier Luigi Portaluri e Angelo Vantaggiato (quest’ultimo su delega dell’avvocato Laura Astuto);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi alla Sezione staccata di Lecce del TAR per la Puglia, l’odierna appellata, signora Sonia Calò, impugnava il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica relativi ad un intervento (servizi igienico-sanitari, docce, chiosco bar, direzione) finalizzato alla gestione di uno stabilimento balneare, da realizzarsi nel Comune di Lecce, località San Cataldo, nella parte in cui era stata imposta la prescrizione di rimuovere i manufatti al termine di ogni stagione estiva.
La ricorrente censurava tale previsione in quanto, a suo dire, ai sensi dell’art. 8 comma 5 della legge della Regione Puglia n. 17 del 2015, tale limitazione sarebbe possibile solo in presenza di specifiche esigenze di protezione dell’ambiente, espressamente menzionate nei provvedimenti autorizzativi; deduceva altresì la violazione dell’art. 10 - bis della legge n. 241 del 1990, in quanto non le era stato consentito di interloquire sul punto; relativamente al solo permesso di costruire, sosteneva infine che il Comune avesse violato la cit. l.r. n. 17 del 2015, stabilendo la validità di tale titolo solo fino al 31 ottobre 2016, anziché estenderne l’efficacia sino al 31 dicembre 2020, data di scadenza naturale della concessione demaniale marittima n. 2 del 2011.
2. Il TAR ha accolto il ricorso ritenendo fondata la censura riguardante la previsione contenuta negli atti impugnati di temporaneità dei manufatti autorizzati.
Relativamente all’interpretazione delle citate disposizioni regionali – le quali prevedono espressamente che le opere di facile amovibilità finalizzate all’esercizio dell’attività balneare possono essere mantenute per l’intero anno solare – ha richiamato il proprio orientamento secondo cui, tenuto conto che neppure le disposizioni del nuovo PPTR contengono previsioni che impongono l’onere generale per gli esercenti degli stabilimenti balneari di rimuovere annualmente tutti i manufatti, laddove gli Enti competenti intendano determinarsi in tal senso, devono indicare ragioni di protezione dell’ambiente diverse ed ulteriori rispetto a quelle ritenute compatibili con l’esistenza dell’impianto nel periodo balneare.
Quanto, invece, all’asserita validità del permesso di costruire solo fino al 31 ottobre 2016, il TAR ha osservato che dalla lettura complessiva del permesso di costruire (nelle condizioni si parla, infatti, di “stagione estiva di ogni anno”) si evince che tale limitazione è stata affermata dal Comune solo con riguardo alla temporaneità dei manufatti, ferma restando quindi la possibilità per il gestore dello stabilimento di utilizzare i manufatti per tutte le stagioni balneari comprese nell’ambito del periodo di validità della concessione demaniale marittima n. 2 del 2011, espressamente menzionata nell’atto in questione per l’intero periodo di efficacia (fino alla data del 31.12.2020 o diversa scadenza stabilita dalla legge).
3. La sentenza è stata impugnata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alla stregua dei motivi che possono essere così sintetizzati:
I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della l.r. Puglia n. 17/2015; art. 9 Cost.; artt. 142, 146 e 149 del d.lgs. n. 42/2004 e dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, n. 232 del 2008.
La disposizione regionale in epigrafe prevede la possibilità che le strutture finalizzate all’esercizio dell’attività balneare, purché facilmente amovibili, siano mantenute per l’intero anno. Da tale formulazione deriva che è il mantenimento annuale di tali manufatti a dovere essere adeguatamente motivato, e non il contrario. Inoltre, la lettura sistematica del complessivo sistema normativo, disciplinante la materia in esame, non enuncia alcun favor per il mantenimento annuale di strutture funzionali all’esercizio dell’attività di balneazione.
Tale assunto trova conforto nella disamina della sentenza n. 232 del 2008, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 4-bis dell’art. 11 della legge della Regione Puglia n. 17 del 2006, introdotto dall’art. 42 della legge della Regione Puglia n. 10 del 2007, nella parte in cui prevedeva che «il mantenimento per l’intero anno delle strutture precarie e amovibili di facile rimozione, funzionali all’attività turistico-ricreativa e già autorizzate per il mantenimento stagionale, è consentito anche in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela territoriale, paesaggistica, ambientale e idrogeologica».
Pertanto il legislatore regionale, nel prescrivere all’art. 8, comma 5, della legge regionale n. 17 del 2015 che «Ai fini demaniali marittimi, le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno solare», certamente non ha voluto riproporre una norma che si ponesse in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela ambientale.
Stante la preminenza del bene ambientale, non è poi lecito ammettere alcun favor per la permanenza annuale delle strutture in questione (Cons. St., Sez. VI, sentenza n. 2967 del 19.6.2017).
In tal senso la difesa erariale richiama giurisprudenza della VI Sezione di questo Consiglio (ex multis sez.VI, nn. 4759/2012; 2564/2013; 5293/2013; 2892/2015) nonché il fatto che i territori costieri sono soggetti a vincolo paesaggistico ex lege.
Il modus operandi del Comune di Lecce, allorché nel rilasciare l’autorizzazione paesaggistica ha richiamato “casi analoghi” in cui la Soprintendenza ha subordinato il proprio parere favorevole a che le strutture fossero rimosse al termine della stagione estiva, non è carente dal punto di vista motivazionale. Ciò, in quanto, sussiste un consolidato e notorio orientamento della competente Soprintendenza, richiamato nel provvedimento impugnato, di limitare alla stagione estiva la permanenza delle strutture. Tale orientamento si fonda sulla circostanza che le esigenze turistiche e quelle imprenditoriali dei gestori sono idoneamente garantite nella stagione estiva – i cui limiti temporali oltretutto sono stati dilatati da maggio a ottobre, proprio in considerazione dei tempi necessari per il montaggio e lo smontaggio delle strutture – periodo in cui è notoriamente maggiore l’afflusso turistico. La permanenza nei mesi invernali dei manufatti nella zona costiera interessata, invocata dai più per ragioni di destagionalizzazione, di iodioterapia e similari – ragioni queste che, nel caso di specie, la ricorrente non ha neanche latamente posto a fondamento della propria istanza - non trova riscontro concreto né in termini di effettive domande provenienti dal flusso turistico, né in termini di effettiva garanzia della fruibilità di tali servizi da parte delle strutture poste in essere.
Il suddetto orientamento, peraltro, trova supporto e conferma nella consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, proprio con riferimento a fattispecie relative al medesimo contesto territoriale.
Il richiamo “ai casi analoghi” effettuato dal Comune, era quindi teso a ribadire le determinazioni più volte espresse dall’amministrazione circa il fatto che la permanenza dei manufatti limitata alla stagione estiva consente il contemperamento delle esigenze della tutela del territorio con quelle degli operatori turistici.
La finalità della prescrizione è quindi quella di consentire la fruizione del contesto naturalistico e costiero nella sua interezza senza impedimenti visivi per il restante periodo dell’anno; motivazione quest’ultima ritenuta dalla giurisprudenza amministrativa, «ragionevole e coerente per un litorale di dichiarata bellezza paesaggistica di cui si intende preservare l’aspetto naturale e inedificato, pur senza comprometterne la fruizione nel periodo estivo» (Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 2015, n. 2892).
L’amministrazione sottolinea inoltre che l’odierna appellata non ha motivato in alcun modo il proprio interesse a che strutture di facile amovibilità permangano per l’intero anno né ha fatto riferimento ad attività destinate a svolgersi nel periodo invernale.
4. Il Comune di Lecce si è costituito in adesione all’appello del Ministero mentre la signora Calò si è costituita per resistere.
5. In data 30.1.2018 la signora Calò ha depositato una memoria nella quale ha rappresentato, in primo luogo, che il mero riferimento a “casi analoghi” non può ritenersi una motivazione sufficiente e che, comunque, la più recente giurisprudenza di questo Consiglio (ad esempio, Sez. VI, sentenza n. 194 del 2108) ha sostenuto che la rimozione delle strutture balneari al termine della stagione estiva non è sempre necessitata, ragion per cui la relativa prescrizione deve essere adeguatamente motivata, pur tenendo conto dei principi costituzionali in materia ambientale.
In ogni caso, le ragioni che il Ministero surrettiziamente prova a collegare al contesto motivazionale del provvedimento impugnato non esistono nell’atto gravato.
Né l’amministrazione si è curata di indicare espressamente e rendere disponibile il diverso atto da cui potesse emergere il percorso motivazionale dalla stessa seguito, limitandosi invece ad un mero richiamo a non meglio specificati “orientamenti” provvedimentali della Soprintendenza o a “casi analoghi” che il privato non è affatto tenuto a conoscere.
L’appellata ha altresì depositato una memoria conclusionale nella quale, oltre ad illustrare gli sviluppi della vicenda per cui è causa, ha richiamato i più recenti arresti della giurisprudenza della VI^ Sezione di questo Consiglio (ad esempio le sentenze nn. 632, 633 e 634 del 2018) i quali hanno messo in luce che la complessiva disciplina regionale in tema di uso del demanio reca «un regime di favore per l’operatore turistico che agisce in regime di concessione demaniale, garantendogli la possibilità di mantenere le strutture funzionali alla balneazione per l’intero anno, a condizione che le stesse abbiano il requisito della “facile amovibilità”».
Ha inoltre ricordato, oltre all’art. 8, comma 5, della l. r. n. 17/2015, anche l’art. 6, comma 1, della medesima legge che demanda alla Regione le «funzioni amministrative che necessitano di unitario esercizio a livello regionale», tra le quali la norma individua quelle della «programmazione, indirizzo e coordinamento generale» e della «disciplina dell'utilizzazione delle aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, mediante ordinanze amministrative».
In esecuzione di questa norma, la Regione Puglia ha adottato le cc.dd. ordinanze balneari per il 2016, il 2017 e il 2018, in forza delle quali «la stagione balneare dura l’intero anno solare, per l’esercizio delle attività commerciali e di quelle accessorie delle strutture balneari».
Anche il piano regionale delle coste prevede esclusivamente la «facile amovibilità» delle predette strutture a servizio degli stabilimenti balneari e non anche la prescrizione di rimozione al termine dell’utilizzo stagionale.
L’appellata richiama poi il contenuto del PPTR che, all’art. 45, consente, nei territori costieri, senza alcuna limitazione temporale, la «realizzazione di attrezzature di facile amovibilità per la balneazione e altre attività connesse al tempo libero, che non compromettano gli elementi naturali e non riducano la fruibilità ed accessibilità dei territori costieri».
Sottolinea altresì che, ai sensi dell’art. 143, del d.lgs. n. 42/2004, il PPTR contiene (anche) la ricognizione dei beni paesaggistici, la loro delimitazione nonché la puntuale determinazione delle relative prescrizioni d’uso, con la conseguenza che le prescrizioni ivi contenute delimitano anche i margini di discrezionalità di cui dispongono la Soprintendenza e le amministrazioni interessate dal procedimento di rilascio degli assensi paesaggistici, nel rilascio dei titoli abilitativi di competenza.
In sostanza, ai sensi dell’art. 146, del cit. d.lgs. n. 42/2004, dette amministrazioni sono tenute esclusivamente a valutare la compatibilità/conformità del progetto proposto alle prescrizioni contenute nel suddetto piano.
6. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza dell’11 ottobre 2018.
7.1. Deve, in primo luogo, evidenziarsi che la sentenza del Tar non ha costituito oggetto di gravame, ed è pertanto passata in giudicato, in relazione al capo con cui dispone che “Quanto, invece, all’asserita validità del permesso di costruire solo fino al 31 ottobre 2016, va osservato che dalla lettura complessiva del permesso di costruire (nelle condizioni si parla, infatti, di “stagione estiva di ogni anno”) si evince che tale limitazione è stata affermata dal Comune solo con riguardo alla già discussa e ritenuta illegittima temporaneità dei manufatti, ferma restando quindi la possibilità per il gestore dello stabilimento di utilizzare i manufatti per tutte le stagioni balneari comprese nell’ambito del periodo di validità della concessione demaniale marittima n. 2 del 2011, espressamente menzionata nell’atto in questione per l’intero periodo di efficacia (fino alla data del 31.12.2020 o diversa scadenza stabilita dalla legge).”
7.2. Con riguardo, invece, al capo, oggetto del presente gravame, relativo all’obbligo di rimozione dei manufatti al termine della stagione estiva di ogni anno, giova sintetizzare, per una migliore comprensione della vicenda per cui è causa, il contenuto del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica, oggetto di impugnativa, nella parte di interesse.
I titoli abilitativi in esame riguardano la «realizzazione di uno stabilimento balneare con opere di facile rimozione, a carattere precario e temporaneo su area demaniale», concessa sino al 31.12.2020.
L’autorizzazione paesaggistica dà atto della effettuazione della “verifica di compatibilità” con il P.P.T.R., nella quale è stato evidenziato che «Tutte le strutture dovranno avere caratteristiche di montaggio aventi requisiti di reversibilità al fine di non costituire ingombro stabile sul territorio e consentire la godibilità del contesto libero da strutture temporanee» e che «tutte le strutture dovranno essere rimosse alla fine della stagione fissata al 31 ottobre di ogni anno».
L’area oggetto di intervento ricade, tra l’altro, nei contesti paesaggistici “territori costieri” - per i quali «si applicano le prescrizioni di cui all’art. 45 delle N.T.A.» - “cordoni dunari” - per i quali «si applicano le misura di salvaguardia ed utilizzazione di cui all’art. 56 delle N.T.A.» – “aree di rispetto dei boschi” - per le quali «si applicano le misure di salvaguardia e di utilizzazione di cui all’art. 63” delle N.T.A.».
Conseguentemente – dopo aver considerato che “in casi analoghi” la Soprintendenza «ha più volte subordinato il parere favorevole alla condizione che “tutte le strutture dovranno essere rimosse al termine della stagione estiva”» - il Comune ha “condizionato” il provvedimento alla temporaneità dei manufatti «per la sola stagione estiva» ed ha prescritto (sostanzialmente riproducendo gli artt. 45 e 63 della N.T.A. del P.P.T.R.) che «le strutture siano di facile amovibilità non compromettano gli elementi naturali e non riducano la fruibilità ed accessibilità dei territori costieri […]», ovvero «i caratteri dei luoghi».
7.3. Per quanto concerne il quadro normativo di riferimento, occorre ricordare che l’art. 11, comma 4-bis, della legge della Regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa) prevedeva che «il mantenimento per l’intero anno delle strutture precarie e amovibili di facile rimozione, funzionali all'attività turistico-ricreativa e già autorizzate per il mantenimento stagionale, è consentito anche in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela territoriale, paesaggistica, ambientale e idrogeologica».
La Corte costituzionale, con sentenza n. 232 del 2008, ha affermato che tale norma – consentendo il mantenimento delle opere precarie in questione, oltre la durata della stagione balneare, in mancanza della necessaria positiva valutazione di compatibilità paesaggistica – viola le competenze esclusive statali in materia di tutela ambientale e paesaggistica.
La disposizione regionale è stata, pertanto, dichiarata costituzionalmente illegittima.
A seguito della predetta sentenza la legge della Regione Puglia 2 ottobre 2008, n. 24 ha introdotto nel testo dell’art. 11 della legge n. 17 del 2006 i seguenti commi: «a parziale modifica dell’articolo 3.07.4, punto 4.1, lettera b, del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT) paesaggio, approvato con Delib.G.R. 15 dicembre 2000, n. 1748 tutte le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno» (comma 4-ter);
«la rimozione delle strutture di cui al comma 4-ter avviene alla scadenza dell’atto concessorio, se non rinnovato, ovvero anche anticipatamente per sopravvenute esigenza di tutela ambientale» (comma 4-quater);
«i soggetti interessati devono munirsi preventivamente del nulla-osta dell’autorità competente in materia» (comma 4-quinquies).
Successivamente la legge regionale n. 17 del 2015, all’art. 8, comma 5, ha stabilito che «Ai fini demaniali marittimi, le strutture funzionali all'attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l'intero anno solare».
La normativa regionale pugliese consente dunque, ancora oggi, che vengano rilasciati titoli abilitativi che non prescrivono la rimozione delle strutture funzionali all’attività al termine della stagione estiva.
Tuttavia, tali disposizioni debbono essere coordinate con la disciplina relativa all’autorizzazione paesaggistica che viene rilasciata dal Comune previo parere vincolante della Soprintendenza (art. 146, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004), ovvero (come avvenuto nella fattispecie) indipendentemente dal rilascio di tale parere nel caso in cui la Soprintendenza non renda le valutazioni di sua competenza nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della documentazione (art. 146, comma 9, ult. decr. cit.).
7.4. Pure rilevante, nel caso di specie, è il Piano paesistico territoriale della Regione Puglia che, nella parte di interesse della presente controversia, dispone che, per i territori costieri, «Non sono ammissibili», tra gli altri, «piani, progetti e interventi» che comportino la «realizzazione di qualsiasi nuova opera edilizia, fatta eccezione per le opere finalizzate al recupero/ripristino dei valori paesistico – ambientali» (art. 45, comma 2, lett. a1), ivi comprese le «recinzioni che riducano l’accessibilità alla costa e la sua fruibilità visiva e l’apertura di nuovi accessi al mare che danneggino le formazioni naturali rocciose o dunali» (lett. a3).
Viceversa, ai sensi del comma 3, «Fatte salve le procedure di autorizzazione paesaggistica e le norme in materia di condono edilizio, nel rispetto degli obiettivi di qualità e delle normative d’uso di cui all’art. 37, nonché degli atti di governo del territorio vigenti ove più restrittivi, sono ammissibili» tra gli altri, gli interventi relativi alla «realizzazione di attrezzature di facile amovibilità per la balneazione e altre attività connesse al tempo libero che non compromettano gli elementi naturali e non riducano la fruibilità ed accessibilità dei territori costieri e di quelli contermini ai laghi, che siano realizzate con materiali ecocompatibili, senza utilizzo di materiali cementati di qualsiasi genere e fondazioni nel sottosuolo, nel rispetto delle specifiche norma di settore e purché siano installate senza alterale la morfologia dei luoghi» (lett. b3).
Analoghe prescrizioni riguardano le aree di rispetto dei boschi, in cui del pari, l’art. 63, vieta, tra le altre, le opere di nuova edificazione e consente invece, previa valutazione di compatibilità paesaggistica, la «realizzazione di strutture facilmente rimovibili di piccole dimensioni per attività connesse al tempo libero, realizzate in materiali ecocompatibili, che non compromettano i caratteri dei luoghi, non aumentino la frammentazione dei corridoi di connessione ecologica e non comportino l’aumento di superficie impermeabile, prevedendo idonee opera di mitigazione degli impatti» (comma 3, lett. b4).
8. Ciò posto, dalla lettura dei provvedimenti impugnati si evincono alcuni elementi dirimenti ai fini della presente controversia,
In primo luogo, l’oggetto del permesso di costruire riguarda, in conformità alla concessione demaniale, la «realizzazione di uno stabilimento balneare con opere di facile rimozione, a carattere precario e temporaneo» e nessun accenno viene fatto ad una specifica richiesta della signora Calò relativa alla necessità di utilizzare le suddette strutture anche nella stagione invernale.
L’autorizzazione paesaggistica attesta poi l’effettuazione della valutazione di compatibilità con il P.P.T.R., sull’assunto che le strutture, funzionali ad un intervento stagionale, non costituiscano «ingombro stabile sul territorio».
Pertanto, il successivo riferimento alla prescrizione usualmente imposta dalla Soprintendenza in «casi analoghi, attinenti alla realizzazione di strutture precarie, annesse agli stabilimenti balneari», deve essere letta in maniera complessiva e contestuale, ovvero come parte integrante della motivazione della compatibilità paesaggistica dell’intervento tout court e del suo impatto sul territorio, limitato alla stagione estiva.
In sostanza, l’autorizzazione in esame concerne una struttura intrinsecamente precaria e funzionale alla balneazione e la assente (anche) in quanto destinata ad essere rimossa nel periodo invernale, all’evidente scopo di consentire la fruizione del paesaggio in un contesto libero e non edificato.
Una specifica motivazione per la prescrizione di rimozione avrebbe quindi potuto essere richiesta solo nell’ipotesi in cui il progetto presentato avesse previsto (ab origine, o in virtù di successive modifiche), il mantenimento delle strutture nel periodo invernale, per oggettive esigenze di sfruttamento della concessione demaniale anche in tale periodo.
9. Il contenuto del Piano paesistico regionale depone poi in senso contrario a quanto preteso dalla parte appellata.
Ove, infatti, si ponga mente alle disposizioni delle NTA del P.P.T.R., in precedenza richiamate, ci si avvede che le stesse, negli ambiti territoriali per cui è causa, vietano in modo assoluto opere di nuova edificazione, ovvero manufatti che, indipendentemente dalle caratteristiche costruttive, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (cfr., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 150).
Gli interventi ammessi dal Piano nei territori costieri sono invece esclusivamente quelli che, da un lato, non ricadono nel divieto di edificazione e, dall’altro, non ne riducono la “fruibilità”.
In tale ottica, deve quindi condividersi l’argomentazione del Ministero appellante secondo cui la prescrizione della legge regionale n. 17 del 2015, avuto riguardo alla declaratoria di incostituzionalità della precedente normativa, va interpretata nel senso che, semmai, è il mantenimento delle strutture nel periodo invernale ad esigere una specifica motivazione, tenuto conto del maggiore impatto sul territorio.
Più in generale, va ricordato che, in tema di autorizzazioni paesaggistiche, il giudizio espresso dall’amministrazione preposta alla tutela della vincolo è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa.
Tale giudizio è sindacabile in sede giudiziale «esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione nonché sotto il profilo dell'adeguata motivazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile» (Cons. St., Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4466).
In relazione allo specifico tema di cui si controverte, questo Consiglio ha poi già espresso l’avviso che «l’esistenza di un’autorizzazione per il solo periodo estivo […] non implica che la stessa debba necessariamente essere concessa anche per il periodo invernale» (Cons. St., Sez. VI, 7 settembre 2012, n. 4762; id., 24 agosto 2018, n. 5049).
Risponde infatti ad un criterio tecnico del tutto logico, o comunque non irragionevole, che la valutazione dell’impatto paesaggistico di uno stabilimento balneare abbia riguardo alla differenza dei contesti, estivo e invernale, nonché al fatto che la concessione per tale ultimo periodo (ovvero, secondo l’id quod plerumque accidit), si giustifica anche alla luce di un complessivo bilanciamento degli interessi in gioco.
Anche nel caso di specie, la condizione della temporaneità apposta ai titoli abilitativi impugnati si fonda sulla ragionevole necessità di limitare allo stretto necessario il danno che l’ambito paesaggistico subirebbe per effetto di tali strutture.
Si tratta di un valutazione tecnica che, in definitiva, non viola il principio di ragionevolezza e rientra nell’ambito riservato (sia pure nel regime di cogestione con la Soprintendenza in precedenza delineato), all’autorità preposta alla tutela del vincolo.
10. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello merita accoglimento, con la conseguente reiezione, fatto salvo quanto precisato al capo 7.1., del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, respinge, fatto salvo quanto precisato al capo 7.1., il ricorso proposto in primo grado.
Condanna la signora Sonia Calò alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Comune di Lecce, da liquidarsi, per ciascuna delle parti appellate, in misura pari ad euro 2000,00 (duemila/00), oltre gli accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore