Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1851, del 29 marzo 2013
Beni Ambientali-Un insieme di 268 piante di pino domestico, messe a dimora a filari paralleli dopo il 1980, non costituiscono un bosco ai fini dell’art. 142 del D.Lgs 42/2004.

Per riconoscere ai fini dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio la presenza di un bosco occorre un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione forestale arborea” e, tendenzialmente almeno, da arbusti, sottobosco ed erbe. Questa copertura, per rispondere ai detti caratteri, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta (come ad es. se a filari). Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola, ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto di “densità piena”, dove la “pienezza” della massa boschiva sta non solo a significare il livello di copertura del suolo, ma anche ad evocare la naturale capacità di rigenerazione o rinnovazione. Il bosco è un complesso organismo vivente, nel quale le nuove risorse sono in grado di sostituire spontaneamente quelle in via di esaurimento. Non è quindi sufficiente la presenza di piante, quand’anche numerose, ma non strutturate fino a sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01851/2013REG.PROV.COLL.

N. 08001/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8001 del 2012, proposto da: 
Bagnolifutura s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Marcello Clarich, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 32;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Napoli in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Dardo, Anna Pulcini, Bruno Crimaldi, Antonio Andreottola, Annalisa Cuomo, Giacomo Pizza, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, Bruno Ricci, Anna Ivana Furnari, Gabriele Romano, Eleonora Carpentieri, con domicilio eletto presso E Associati s.r.l. Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 1348/2012, resa tra le parti, concernente diniego accertamento di compatibilità paesaggistica



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero intimato e del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti l’avvocato Clarich, l’avvocato dello Stato Sclafani e l’avvocato Buccellato per delega dell’avvocato Dardo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

La Bagnolifutura s.p.a., costituita nel 2002 dal Comune di Napoli, dalla Regione Campania e dalla Provincia di Napoli al fine di realizzare interventi di riqualificazione urbana nel quartiere di Bagnoli del comune di Napoli, dove era collocato l’impianto industriale dell’Ilva/Italsider, oggi dismesso, chiede la riforma della sentenza 20 marzo 2012, n. 1348, con la quale il Tribunale amministrativo della Campania ha respinto il ricorso proposto avverso gli atti del 2010, del Comune e della Soprintendenza,con i quali è stato negato l'accertamento di compatibilità paesaggistica circa l’avvenuto parziale abbattimento di 268 piante nell’area tematica 4 del Piano urbanistico esecutivo (PUE) di Bagnoli,

I) Espone la società appellante:

- di essere proprietaria del suolo sito in detta località, compreso nel PUE approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 40 del 16 maggio 2005;

- che il 6 novembre 2007 il Comune di Napoli, la Provincia di Napoli, la Regione Campania, la Camera di commercio di Napoli e la società Bagnolifutura hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la definizione delle procedure tese alla realizzazione in una zona ricadente nella predetta area tematica di un complesso produttivo, denominato polo tecnologico dell’ambiente, destinato ad accogliere imprese ed enti pubblici e privati operanti nel settore dei servizi per l’ambiente;

- di essersi obbligata, con contratto preliminare stipulato il 19 marzo 2010, a vendere il terreno necessario per la realizzazione di detto progetto, avente estensione di 68.000 mq., alla società Polo tecnologico per l’ambiente e che detto terreno ha sempre avuto destinazione industriale, essendo stato occupato fino alla metà degli anni ’80 da binari e spazi per lo stoccaggio, per mitigare il cui impatto tra il 1984 e il 1986 è stata creata una cortina di verde mediante la piantumazione di alberi;

- che per realizzare la capacità edificatoria prevista in detto contratto preliminare, il terreno in questione avrebbe dovuto essere completamente libero e che perciò si è proceduto all’abbattimento di tali alberi;

- che, comunque, nell’ambito della pianificazione di dettaglio prevista nel progetto l’area verde sarebbe stata trasferita altrove, in una zona più vasta destinata a parco urbano;

- che nel corso dei lavori di taglio il Corpo forestale dello Stato ha disposto il sequestro preventivo dell’area, sul presupposto che, trattandosi di un “bosco” ai sensi dell’art. 14 della legge della Regione Campania 7 maggio 1996, n. 11, sarebbe stata necessaria l’autorizzazione regionale al taglio dei boschi prevista dal successivo art. 17 e che per le stesse ragioni è stata irrogata la sanzione amministrativa prevista dall’art. 25, comma 1, della medesima legge regionale;

- che in data 4 maggio 2010 il Polo tecnologico dell’ambiente ha presentato istanza di rilascio di permesso di costruire per la realizzazione dell’intervento previsto, e che il Comune di Napoli, con nota del 25 maggio 2010, ha comunicato che il rilascio del permesso era subordinato all’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria ex art. 167 (ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e di quella forestale, sia per gli alberi abbattuti sia per quelli ancora da abbattere;

- che in data 21 giugno 2010 la società Bagnolifutura ha presentato al Comune istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica ex art. 167 cit., richiedendo la sanatoria per l’abbattimento degli alberi e che il Comune, dopo che la commissione edilizia integrata aveva espresso parere favorevole, ha proposto alla Soprintendenza di rilasciare l’accertamento di compatibilità paesaggistica;

- che, invece, la Soprintendenza di Napoli ha espresso, con atto del 22 settembre 2010, parere negativo al rilascio dell’autorizzazione e ha invitato il Comune a provvedere di conseguenza;

- che, quindi, dopo aver comunicato il preavviso di diniego a seguito del quale la società interessata ha proposto le proprie osservazioni, considerate non risolutive dalla Soprintendenza, il coordinatore del dipartimento ambiente del Comune ha negato, con provvedimento del 9 dicembre 2010, l’accertamento di conformità richiesto.

II) La sentenza con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso i provvedimenti sopra indicati ha rilevato, anche sulla scorta della verificazione disposta con l’ordinanza n. 3687 del 2011 “al fine di appurare se l’area in questione possa o meno considerarsi “bosco” ai sensi della legge reg. Campania n. 11/1996”, che la densità arborea evidenziava la presenza di un vero e proprio bosco, secondo la definizione dell’art. 14 della medesima legge regionale, e non di un parco o giardino, come definito dal successivo art. 15, comma 1. Di conseguenza, secondo il primo giudice, non può essere rilasciata l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, dato che l’eccezione prevista al generale divieto posto dall’art. 146, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 è superabile solo in caso di abusi minori, e tale non è il taglio in questione, che incide in maniera rilevante sul paesaggio e che non può essere compensato dalle previste misure compensative. Neppure sussiste, secondo il Tribunale amministrativo, la violazione dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, dato che il carattere vincolato della non ammissibilità della sanatoria renderebbe applicabile l’art. 21-octies, comma 2, della suddetta legge.

III) La sentenza, ritiene il Collegio, merita la riforma chiesta con l’appello.

Questione centrale della controversia in esame è se – come afferma la sentenza impugnata - l’area arborata per cui è causa possa o meno definirsi “bosco” ai sensi dell’art. 14 (Definizione di bosco e di pascolo montano) della legge regionale della Campania 7 maggio 1996, n. 11- Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 28 febbraio 1987, n. 13, concernente la delega in materia di economia, bonifica montana e difesa del suolo (e, prima ancora, secondo la nozione comune).

La presenza di un tale bosco, secondo il primo giudice, avrebbe reso necessaria la previa autorizzazione paesaggistica per procedere al taglio degli alberi, non essendo – dato che non si tratta di intervento a carattere edilizio - possibile la domandata successiva sanatoria, a ciò ostando l’art. 146, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) sul divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, sugli abusi minori a carattere edilizio.

Preliminarmente si deve osservare che è corretto quest’ultimo assunto sul necessario, ma qui difettante, carattere edilizio dell’intervento per ammetterne l’eccezionale sanabilità successiva. Infatti i tassativi casi contemplati dalle norme appena ricordate si riferiscono tutti a lavori inerenti fabbricati. Sicché non si può far luogo all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nel caso di interventi non edilizi di alterazione di territori coperti da foreste e da boschi.

Il tema da decidere si concentra così sulla questione se sussistevano i presupposti del (violato) obbligo di autorizzazione paesaggistica: vale a dire se nella specie sussisteva il vincolo paesaggistico ex lege dell’art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004, che riguarda “i territori coperti da foreste e da boschi […] come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227”.

Si tratta dunque di verificare, alla luce degli espletati accertamenti in fatto, se qui si era in presenza di un vero e proprio “bosco”.

Premesso che si tratta di una nozione di ordine sostanziale, per la cui operatività in concreto non è necessario un previo atto amministrativo di ricognizione e perimetrazione, va rilevato che la nozione di “bosco” richiamata ai fini della tutela paesaggistica dall’art. 142 è in principio normativa, perché fa espresso rinvio alla “definizione di bosco” dell’art. 2 d.lgs. 18 maggio 2001, n. 227 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), che (comma 2) demanda alle regioni di stabilire la definizione stessa e che (comma 6) nelle more, “ove non diversamente già definito dalle regioni stesse”, prevede cosa si debba considerare per “bosco”.

L’art. 14, comma 1, della ricordata legge regionale campana n. 11 del 1996, che non appare in contrasto con questa successiva legge statale e che comunque va, anche per esigenze di omogeneità nazionale, a questa rapportata, considera “boschi” “i terreni sui quali esista o venga comunque a costituirsi, per via naturale o artificiale, un popolamento di specie legnose forestali arboree od arbustive a densità piena, a qualsiasi stadio di sviluppo si trovino, dalle quali si possono trarre, come principale utilità, prodotti comunemente ritenuti forestali, anche se non legnosi, nonché benefici di natura ambientale riferibili particolarmente alla protezione del suolo ed al miglioramento della qualità della vita e, inoltre, attività plurime di tipo zootecnico”.

Nella fattispecie in esame il terreno era coperto da un insieme di 268 piante, prevalentemente di pino domestico, messe a dimora a filari paralleli negli anni ’80 del secolo scorso.

A giudizio del Collegio, questo insieme non corrisponde alla nozione di “bosco”: né alla luce della detta disposizione regionale, né alla luce della nozione generale stabilita dall’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 227 del 2001, né alla luce, comunque, del comune significato proprio della parola.

Poiché qui si verte di tutela del paesaggio, è essenziale considerare che il rinvio alla definizione normativa, che è propria del distinto ordinamento del settore forestale, è sottoposto all’insuperabile limite di ragionevolezza e di proporzionalità rispetto alla finalità propria di questa tutela (diversamente, l’apparato autorizzatorio e sanzionatorio del paesaggio verrebbe incongruamente traslato ad apparato autorizzatorio e sanzionatorio dell’interesse forestale: così in particolare dicasi per gli interventi di distruzione o di “modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” ai sensi dell’art. 146). Come altri vincoli “morfologici” del medesimo art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004, questo vincolo per categoria legale muove dalla considerazione che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” (art. 131) (cfr. Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951). Per questa ragione ne sono esclusi gli insiemi arborati che non costituiscono elementi propri e tendenzialmente stabili della forma del territorio, quand’anche di imboschimento artificiale; ma che rispetto ad essa costituiscono inserti artefatti o naturalmente precari.

Al tempo stesso, va considerato che “foreste e boschi” sono a questi propositi evidentemente altro da “i giardini e i parchi […] che si distinguono per la loro non comune bellezza” e non tutelati come beni culturali individui, di cui parla il precedente e contestuale art. 136, comma 1, lett. b), a proposito dei beni paesaggistici che possono essere vincolati in via amministrativa (non vi sarebbe ragione di un vincolo in via amministrativa se già vi fosse il vincolo ex lege).

Perciò, in coerenza con queste distinzioni, per riconoscere ai fini dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio la presenza di un bosco occorre un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione forestale arborea” e - tendenzialmente almeno - da arbusti, sottobosco ed erbe. Questa copertura, per rispondere ai detti caratteri, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta (come ad es. se a filari). Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola, ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto di “densità piena”, dove la “pienezza” della massa boschiva sta non solo a significare il livello di copertura del suolo, ma anche ad evocare la naturale capacità di rigenerazione o rinnovazione. Il bosco è un complesso organismo vivente, nel quale le nuove risorse sono in grado di sostituire spontaneamente quelle in via di esaurimento. Non è quindi sufficiente la presenza di piante, quand’anche numerose, ma non strutturate fino a sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi.

Nel caso in esame, i risultati della verificazione disposta dal primo giudice evidenziano la presenza di una copertura arborea artificiale con carattere quasi integrale di monocultura (pino domestico), disposta per filari paralleli (cioè in modo innaturale), priva di strato arbustivo ed erbaceo; e nella quale lo stato fitosanitario degli elementi arborei è del tutto scadente, con chioma rarefatta, con visibile presenza di miceli di parassiti fungini.

In base a tale accertamento, secondo il Collegio deve escludersi che all’insediamento in questione possa attagliarsi, ai fini paesaggistici che qui interessano, la definizione di bosco, difettandone la morfologia, la complessità e la vitalità endogena e compiuta.

La mancanza del valore paesaggistico presunto dall’art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004 esclude quindi che il terreno in questione - per di più ricadente in zona definita nella strumentazione urbanistica comunale dapprima come industriale e, successivamente, di riqualificazione urbanistica compresa nella superficie fondiaria edificabile - possa essere considerato tra quelli sottoposti a tutela paesaggistica ex lege ai sensi dello stesso art. 142, e per le cui trasformazioni il successivo art. 146 e l’art. 17 della detta legge regionale campana n. 11 del 1996 rendono necessarie, rispettivamente, l’autorizzazione paesistica e quella forestale.

Questa conclusione è corroborata dalla considerazione che oggetto della tutela del Codice non è, in generale, la cosa in quanto tale, ma il valore paesaggistico del quale essa è portatrice.

Le considerazioni che precedono, riferite al dato sostanziale della tutela del paesaggio, consentono di prescindere dall’indagine sul dato formale forestale, se cioè questo insieme arboreo vada escluso da quella stretta nozione di “bosco” in virtù dell’art. 15 (Colture ed apprezzamenti non considerati boschi), commi 1 e 2, della stessa l.r. Campania n. 11 del 1996, perché qualificabile tra le “piantagioni arboree dei giardini e parchi urbani”: distinzione che comunque riflette, ai fini paesaggistici, quella esplicitata dal confronto dell’art. 142 comma 1, lett. g) con il ricordato art. 136, comma 1, lett. b), del Codice.

In questo quadro, non è poi fuor di luogo considerare, nel caso di specie, la circostanza che la pianificazione di dettaglio di cui al progetto oggetto del protocollo d’intesa del 6 novembre 2007 postuli la creazione di un’area verde ben più ampia di questa.

IV) In conclusione, l’appello è fondato sotto l’aspetto dirimente sopra esaminato, che esclude l’esistenza stessa, per il terreno in questione, dei presupposti di fatto del detto vincolo legale paesaggistico. La rilevata fondatezza di tale aspetto esime il Collegio dall’esaminare le ulteriori censure sollevate dalla ricorrente, presidiate da un interesse evidentemente subordinato.

V) Le spese del giudizio possono, anche per questo secondo grado, essere compensate tra le parti, per giustificate ragioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla i provvedimenti che ne sono oggetto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)