Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4079, del 5 agosto 2013
Beni Ambientali.Vincolo paesaggistico e opere nel sottosuolo

Alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli artt. 136 e segg. del d.lgs. n. 42/2004 con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione. Tale nozione ampia di paesaggio coincide, con la definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, secondo la quale il termine paesaggio designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Dalla predetta definizione di paesaggio deriva che il vincolo ambientale-paesaggistico si palesa operante anche con riferimento alle opere realizzate nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto, specie quando si tratti di opere di rilevante entità. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 04079/2013REG.PROV.COLL.

N. 08956/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8956 del 2009, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

la società Telios Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita nella presente fase di giudizio;

nei confronti di

il Comune di Zoagli, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito nel presente grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 1547/2008, resa tra le parti;



Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2013 il Cons. Claudio Boccia e udito per la parte appellante l’avvocato dello Stato Paolo Grasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso n. 630 del 2008, proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, la società Telios Immobiliare s.r.l. chiedeva l'annullamento, lamentandone l'illegittimità, del provvedimento n. 14041 del 26 maggio 2008, tramite il quale la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Liguria accoglieva in parte l'istanza presentata dalla società ricorrente, considerando sanabile soltanto il mero mantenimento delle opere strutturali realizzate nel sottosuolo del Comune di Zoagli - sottoposto a vincolo paesaggistico - e non il successivo, non autorizzato, progetto di completamento.

La società Telios Immobiliare s.r.l. chiedeva, inoltre, l'annullamento del provvedimento n. 9095 del 7 giugno 2008 - con il quale il Comune di Zoagli disponeva “la completa costipazione” delle opere interrate abusivamente realizzate dalla società istante - lamentandone l'illegittimità.

2. Con la sentenza n. 1547 del 2008 il Tar per la Liguria accoglieva il predetto ricorso, annullando gli atti impugnati.

3. Avverso detta sentenza il Ministero per i beni e le attività culturali ha proposto appello (ricorso n. 8956 del 2009).

4. All'udienza del 9 luglio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L'Amministrazione appellante ha lamentato l'erroneità dell'impugnata sentenza del Tar per la Liguria che non solo non ha fatto alcun riferimento al duplice contenuto del parere della soprintendenza (accoglimento della sanatoria delle opere strutturali originariamente realizzate, reinterro dei volumi abusivamente realizzati), ma, accogliendo il ricorso della società appellata, ha ritenuto che “la potestà di tutela paesaggistica ha riguardo solo ai beni naturali od ai manufatti che sono percepibili dall’occhio di un uomo posto sulla superficie della terra o che la sorvola”.

Secondo l’Amministrazione appellante tale pronuncia limiterebbe il potere di cui alle disposizioni della parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio ai “meri aspetti visivi”, ponendosi in contrasto con l’art. 2 del Codice medesimo: la definizione di paesaggio fatta propria dal d.lgs. n. 42 del 2004, infatti, non farebbe alcuna distinzione fra suolo e sottosuolo in quanto “il concetto di paesaggio (andrebbe) identificato non con riferimento al dato fisico della percepibilità alla vista, bensì con riferimento al dato culturale dell’interazione fra uomo e territorio”.

In tale prospettiva anche il sottosuolo si deve intendere, quindi, sottoposto alle previsioni relative alle aree vincolate “allorché se ne progettino usi incompatibili con la tutela” dei valori paesaggistico-ambientali.

5.1. Il motivo è fondato.

Come affermato dalla giurisprudenza, “non appare dubbio, invero, (che) alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta ….(negli artt. 136 e segg. del d.lgs. n. 42 del 2004) con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione” (Cass. Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128).

Tale nozione ampia di paesaggio coincide, peraltro, con la definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, secondo la quale il termine paesaggio “designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (Cass. Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128).

Osserva il Collegio che dalla predetta definizione di paesaggio deriva che il vincolo ambientale-paesaggistico si palesa operante anche con riferimento alle opere realizzate nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto, specie quando, come nel caso in esame, si tratti di opere di rilevante entità (Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2007, n. 7292).

Quanto esposto risulta confermato, in primo luogo, dal contenuto dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, che vieta l'esecuzione di lavori “di qualsiasi genere” su beni paesaggistici senza la necessaria autorizzazione o in difformità da essa ed, in secondo luogo, dalla giurisprudenza che – da un lato - ha ritenuto che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, siano essi interrati o meno (Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 1997, n. 102), e – dall’altro – che il vigente art. 167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004) preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura (anche ‘interrati’), pur quando ai fini urbanistici-edilizi non andrebbero ravvisati volumi in senso tecnico (Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578).

Ne deriva che la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Liguria doveva negare l’accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere realizzate dalla società appellata nel sottosuolo del Comune di Zoagli in difformità da quanto previsto dal permesso di costruire n. 9 del 2006, in quanto la disciplina di tutela prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio si estende anche alle opere interrate che non risultino immediatamente percepibili all’occhio umano.

La fondatezza del motivo presentato dall’Amministrazione appellante ed il suo conseguente accoglimento consente al Collegio di dichiarare assorbita l’ulteriore censura formulata avverso la sentenza impugnata, concernente l’erronea qualificazione che il giudice di primo grado avrebbe dato all’impugnato provvedimento soprintendentizio n. 14041 del 2008.

6. Per quanto sin qui esposto l’appello va accolto e, conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado n. 630 del 2008.

7. Il Collegio ritiene che le spese del doppio grado di giudizio debbano seguire il principio della soccombenza ed essere liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 8956 del 2009), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata respinge il ricorso di primo grado n. 630 del 2008.

Condanna la parte appellata al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari del doppio grado di giudizio che quantifica in euro 4000,00 (quattromila), oltre agli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/08/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)