La nozione di deposito temporaneo e preliminare: ancora incertezze da parte della Cassazione.
di Vincenzo PAONE
ringraziano l'autore e l'editore
La sentenza "Tesolat" è in questo sito qui
In tema di deposito temporaneo [1], si deve registrare un’importante sentenza della Corte di Cassazione, la prima emessa successivamente all’entrata in vigore del t.u. ambientale: si tratta della decisione dell’11 ottobre 2006, Tesolat ed altro [2], destinata senz’altro a costituire un precedente in materia per l’approfondita esegesi della normativa relativamente all’inosservanza delle condizioni stabilite per aversi un deposito regolare.
L’art. 183 d.leg. 152/2006, lett. m), n. 2 e 3, stabilisce infatti, a seconda che i rifiuti siano pericolosi oppure no, che i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento, secondo le seguenti modalità alternative, a scelta del produttore:
Ø con cadenza almeno bimestrale/trimestrale, indipendentemente dalla quantità in deposito;
oppure
Ø quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunga i 10/20 metri cubi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi i 10/20 metri cubi, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
Ø limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno, indipendentemente dalle quantità.
La Cassazione, con una stringente analisi del testo, ha concluso che il produttore dei rifiuti può alternativamente e facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio quantitativo o a quello temporale, ovvero può conservare i rifiuti per due/tre mesi in qualsiasi quantità oppure conservarli per un anno purché la loro quantità non raggiunga i dieci/venti metri cubi.
In questo senso la sentenza si è posta consapevolmente in contrasto con la giurisprudenza precedente che, interpretando la corrispondente (ma non del tutto identica) disciplina di cui al d.leg. n. 22/1997, aveva ritenuto che il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi potesse essere mantenuto fino al termine massimo di un anno solo qualora in tutto questo arco temporale, e cioè complessivamente, non fosse superato il limite di dieci o venti metri cubi, assumendo autonomo rilievo la cadenza almeno bimestrale o trimestrale prevista nella prima parte della disposizione solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori al suddetto limite quantitativo e siano dunque avviati alle operazioni di recupero o smaltimento prima di raggiungere detto limite (v. Cass. 21 gennaio 2000, Rigotti, Riv. pen., 2000, 919; 29 ottobre 2002, Guarracino, in questa Rivista, 2003, 773; 11 febbraio 2003, Rofi, Ced Cass., rv. 223860; 25 marzo 2003, Mascheroni, ibid., 224485).
La tesi della Corte suprema è allineata al dettato letterale della norma e perciò va condivisa. Tuttavia, il risultato cui perviene, visto in funzione di una più serrata tutela ambientale, lascia alquanto perplessi sulla congruità della scelta legislativa.
Infatti, se con la norma che consente il deposito temporaneo di modesti quantitativi di rifiuti fino al massimo di un anno la legge si è fatta carico di venire incontro alle imprese che producano rifiuti in misura modesta, con la fissazione di un limite temporale inderogabile il legislatore ha voluto, in nome del principio di precauzione, scongiurare qualsiasi pericolo connesso ad un eccessivo stazionamento dei rifiuti in loco.
Giova ricordare che, non a caso, l’art. 2, lett. g) d.leg. 13 gennaio 2003 n. 36 stabilisce che si considera discarica «qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno» ([3]) il che ribadisce che per il legislatore il superamento di questo termine è assunto, quantomeno in via indiziaria, come sintomatico di una situazione capace di compromettere il bene ambientale.
E’ perciò privo di motivazione logica il fatto che la legge non si sia curata di introdurre un’analoga norma di “chiusura” e salvaguardia, diretta a prevenire i rischi dovuti ad eccessive quantità di rifiuti in stoccaggio, nel caso in cui l’impresa opti per il regime temporale: se infatti i dieci o venti metri cubi stoccati per oltre un anno sono “troppo” per l’ambiente, non si comprende come si possa restare indifferenti di fronte a quantitativi, magari ingentissimi, di rifiuti depositati per un bimestre o un trimestre!
Ma non è questa la sola stranezza del sistema.
Come abbiamo evidenziato in un nostro precedente contributo ([4]), il testo unico ha riprodotto acriticamente la precedente disciplina perdendo così un’occasione per colmare una clamorosa svista del d.leg n. 22 che sanzionava penalmente (art. 51, 6° comma) il deposito temporaneo dei rifiuti sanitari pericolosi attuato senza rispettare tutte le condizioni previste dall’art. 45, ma nulla diceva per il deposito dei rifiuti “ordinari” effettuato in violazione delle condizioni previste nell'art. 6, 1° comma, lett. m).
Come in passato, si tratta allora di verificare quale sanzione sia applicabile per reprimere le situazioni in cui il produttore tiene in deposito temporaneo i propri rifiuti senza rispettare i limiti temporali o quantitativi.
La Cassazione, in passato, con plurime sentenze ha sostenuto che allorché non sussistono le condizioni previste dall’art. 6, lett. m), d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22 si realizza un deposito irregolare, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 14 cit. d.leg., sanzionato dal successivo art. 51, 2º comma (da ultimo, v. Cass. 5 dicembre 2005, Cascone, Ced Cass., rv. 233019; 22 giugno 2004, Frassy, Foro it., 2005, II, 414).
Ebbene, la sentenza Tesolat è tornata nuovamente sulla questione ([5]) enunciando una tesi suscettibile di alcuni rilievi critici.
Un’occhiata al fatto
Prima di tutto però occorre dare conto del fatto concreto che la corte si è trovata a giudicare.
Dall’esposizione della sentenza risulta che, accogliendo l'impugnazione del p.m. contro una sentenza assolutoria, la corte di appello aveva dichiarato due soggetti, titolari di impresa edile (a quanto è dato capire), responsabili del reato di cui all'art. 51, comma 1 - così riqualificato il fatto contestato come violazione dell’art. 51, comma 2 – per aver (a titolo di concorso con i loro committenti) effettuato un deposito preliminare di rifiuti non pericolosi senza il dovuto titolo autorizzatorio.
Va detto, per miglior comprensione della vicenda, che:
Ø nell’area, dove gli imputati sono stati sorpresi a scaricare i rifiuti, erano in corso lavori edilizi a cura di altra impresa incaricata all’uopo dalla società proprietaria degli immobili ivi sorgenti;
Ø i rifiuti che gli imputati stavano provvedendo a trasportare e scaricare in tale area erano costituiti da materiale derivante dalla demolizione di un capannone ubicato nello stesso cantiere;
Ø i due imputati erano artigiani che avevano ricevuto l'incarico di demolire il capannone di che trattasi dall’impresa che aveva già in corso i lavori edilizi.
Non vi è dubbio quindi che gli imputati erano da qualificarsi produttori dei rifiuti ai sensi dell'art. 6, lett. b) d.leg. 22/97 (ora art. 183, lett. b), d.leg.. 152/06), in quanto avevano proceduto alla demolizione del capannone da cui erano derivati i rifiuti ([6]). Dal momento che il loro deposito avveniva pacificamente nello stesso luogo di produzione (cantiere edile), come ha giustamente osservato anche la Cassazione, sussistevano tutti gli elementi per ritenere, almeno in astratto, configurabile un deposito temporaneo. Si doveva perciò solo valutare se era stato rispettato il limite quantitativo o temporale fissato dalla legge per la regolarità del deposito.
Senonchè la Cassazione ha affrontato questo problema inserendolo in un contesto improprio e cioè all’interno della questione di quale differenza sussista tra il deposito preliminare e quello temporaneo.
In motivazione, infatti, i giudici scrivono che “non poteva però affermarsi, senza ulteriore istruzione probatoria e adeguata motivazione, che i due imputati, movimentando e raccogliendo i materiali di risulta nell'ambito dello stesso cantiere, avessero superato i limiti del deposito temporaneo, e quindi fossero responsabili (a titolo di concorso con i loro committenti) di avere effettuato uno smaltimento (deposito preliminare) senza il dovuto titolo autorizzatorio”.
Da questo passaggio si ricava un pensiero implicito seguito dalla corte e cioè che sia legittima la “trasformazione” del deposito temporaneo in preliminare in conseguenza del superamento dei detti limiti ([7]).
A questo riguardo, la Corte enuncia la seguente posizione: “quando il deposito esula dai confini di quello temporaneo, esso può integrare alternativamente: a) gli estremi del deposito incontrollato o abbandono, sanzionato a seconda dei casi come illecito amministrativo ai sensi dell'art. 50 D.Lgs. 22/1997 (ora 255 D.Lgs. 152/2006) o come reato contravvenzionale ai sensi dell'art. 51, comma 2, D.Lgs. 22/1997 (ora art. 256, comma 2, D.Lgs. 152/2006); b) gli estremi del deposito preliminare (o stoccaggio), che, essendo una forma di gestione dei rifiuti, in assenza della prescritta autorizzazione o comunicazione in procedura semplificata, è sanzionata come contravvenzione dall'art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997 (ora art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/2006); c) una messa in riserva (a stoccaggio) in attesa di recupero, che è sempre soggetta ad autorizzazione, in quanto configura un’ulteriore forma di gestione dei rifiuti (punto R.13 allegato C del D.Lgs. 22/1997 e 152/2006)…Ritiene il collegio che la scelta tra le varie opzioni dipende soltanto dagli elementi specifici della fattispecie concreta, sicché, quando non ricorre un deposito temporaneo, si configura un deposito preliminare se esso è realizzato in vista di successive operazioni di smaltimento, ovvero una messa in riserva se è realizzato in vista di successive operazioni di recupero, mentre si realizza un deposito incontrollato o abbandono quando è - per dir così - definitivo, nel senso che non prelude ad alcuna operazione di smaltimento o di recupero”.
Perplessità
Orbene, va osservato, in primo luogo, che secondo la cassazione il deposito temporaneo irregolare (espressione comprensiva della violazione di qualsiasi requisito di cui alla lett. m) dell’art. 6 d.leg. 22/97 e ora dell’art. 183 d.leg. 152/06) potrebbe sussumersi nella fattispecie dell’abbandono o del deposito incontrollato quando non sia prevista alcuna successiva attività di recupero o smaltimento.
Così ragionando, però, la corte non solo dimentica che un’ipotesi del genere ben potrebbe ricadere nel reato più grave di discarica abusiva, connotato proprio dalla definitività dello scarico di rifiuti, ma soprattutto sembra escludere implicitamente l’applicazione della fattispecie del deposito incontrollato in ogni caso di inosservanza dei requisiti del deposito temporaneo diverso dal precedente.
A parte questo primo (non decisivo) motivo di perplessità, va invece sottolineato che per la Cassazione – anche se non è detto in modo esplicito - il deposito temporaneo e quello preliminare sono in rapporto di continenza tra loro sicchè è possibile il passaggio dall’una all’altra figura giuridica quando sono oltrepassati i confini posti dalla legge per effettuare il regolare deposito temporaneo.
La tesi non ci pare condivisibile perché gli istituti di cui trattasi sono strutturalmente diversi.
Come prevede la legge, il deposito temporaneo è il raggruppamento di rifiuti effettuato dal produttore prima della raccolta e nel luogo in cui sono prodotti; esso è realizzato in vista delle successive operazioni di smaltimento o di recupero che, però (e qui sta il punto essenziale), sono effettuate da un soggetto diverso da chi ha prodotto i rifiuti.
Il deposito preliminare costituisce invece uno stoccaggio provvisorio di rifiuti in attesa di essere sottoposti ad una delle operazioni di smaltimento elencate nei punti da D1 a D14 dell'allegato B d.leg. 22/97 e ora dell'allegato B alla parte quarta del t.u. ambientale.
Volendo approfondire questa nozione, possiamo ipotizzare innanzitutto che i rifiuti, oggetto di stoccaggio, siano stati prodotti da terzi: in questa situazione (che si ha ragione di ritenere possa essere la di gran lunga prevalente) il deposito è effettuato da un soggetto, normalmente titolare di impresa, che, dopo aver raccolto i rifiuti, provvede preliminarmente al loro stoccaggio per procedere successivamente o al diretto compimento di una delle operazioni da D1 a D14 o ad avviare altrove i medesimi rifiuti per lo smaltimento.
Non ci vuol molto a concludere che in questo caso non potrà mai aversi sovrapposizione tra deposito temporaneo e preliminare.
Ma il deposito preliminare potrebbe anche essere effettuato dallo stesso produttore dei rifiuti e questa ipotesi, soprattutto se il deposito avvenga nello stesso luogo in cui i rifiuti sono prodotti, avvicina molto, fino quasi a farli confondere, i due istituti.
Al riguardo ricordiamo che, mentre in base all’art. 208 t.u., è indifferente il luogo in cui il produttore, che smaltisca i propri rifiuti, anche pericolosi, possa gestire il deposito, in base all’art. 215, concernente i rifiuti non pericolosi individuati ai sensi dell’art. 214, l’autosmaltimento dei rifiuti – e perciò anche il loro deposito - deve essere effettuato nel luogo di produzione dei rifiuti stessi.
Ma la coincidenza tra le due fattispecie è solo apparente perché nel deposito temporaneo i rifiuti non vengono mai smaltiti dallo stesso produttore, situazione che viceversa caratterizza il deposito preliminare ex art. 208/215.
Perciò, anche in questo caso non si può sostenere che quando non ricorrono gli estremi del deposito temporaneo si configuri automaticamente un deposito preliminare.
A chiudere il cerchio dell’insostenibilità della tesi della Cassazione, non possiamo infine fare a meno di ricordare che, anche se irregolare, il deposito temporaneo rimane comunque un’operazione precedente alla gestione dei rifiuti ([8]) e perciò non si vede come si possa, senza violare il principio di legalità, sussumere il deposito temporaneo irregolare nella fattispecie dello stoccaggio abusivo.
Conclusioni
Se l’impostazione in precedenza analizzata non è corretta, allora la domanda successiva è se, essendo pacifica la mancanza di sanzioni specificamente predisposte al riguardo, esista una norma che possa essere invocata per reprimere la gestione del deposito temporaneo irregolare.
A nostro avviso, non vi è alcun motivo di discostarsi dalla soluzione elaborata in passato dalla giurisprudenza secondo cui è legittimo applicare la sanzione prevista dall’art. 51, comma 2 facendo leva sul principio che un deposito temporaneo può definirsi “controllato” solo se rispetti i limiti di cui alla lett. m) ([9]).
Tuttavia, non va dimenticato che la situazione si è complicata con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 nel cui Allegato C è stato inopinatamente incluso, tra le operazioni di recupero, anche il deposito temporaneo irregolare.
Come abbiamo in altra sede sostenuto ([10]), tale innovazione è totalmente priva di logica e razionalità (non foss’altro perché non sarebbe comunque sanzionato il deposito temporaneo irregolare finalizzato allo smaltimento dei rifiuti) e perciò ci auguriamo che il legislatore, nell’ambito della preannunciata modifica del t.u. ambientale, stabilisca anche una sanzione ad hoc per chi effettua un deposito temporaneo di rifiuti non conforme alle disposizioni di legge.
S. Maglia, La nuova disciplina del deposito temporaneo di rifiuti: tre significative
novita` , in questa Rivista, 2006, pag. 632;
A. Quaranta, Il deposito temporaneo irregolare e` un’operazione di recupero
(dell’incertezza giuridica ...), ibid., 1105.
[3] Pur senza in questa sede approfondire tutti gli aspetti problematici derivanti dall’art. 2, lett. g), ci sembra tuttavia utile qui menzionare Cass. 8 novembre 2006, Munafò, n. 5743, inedita, che ha esaminato una fattispecie in cui i giudici di merito avevano ritenuto che fosse stata realizzata una vera e propria discarica non potendo ritenersi temporaneo un deposito che si perpetui negli anni con un livello superiore ai 20 metri cubi.
La cassazione nella fattispecie riconosce che non sussistevano le condizioni per aversi un regolare deposito temporaneo, ma al tempo stesso opina che “La corte d'appello ha affermato apoditticamente che era stata realizzata una vera e propria discarica con degrado dello stato dei luoghi, e ciò solo perché non poteva configurarsi un regolare deposito temporaneo…In realtà, a ben vedere, è la stessa sentenza di primo grado che esclude la sussistenza di una discarica, e quindi della realizzazione o gestione della stessa, allorché espressamente afferma che nella specie doveva «ipotizzarsi un deposito temporaneo», e che questo integrava il reato perché era «allestito in circostanze diverse da quelle in cui lo stesso è consentito». Dunque, è la stessa sentenza di primo grado (alla quale sul punto la sentenza di appello si è acriticamente riportata) a ritenere, in punto di fatto, che l'imputato aveva realizzato solo un «deposito temporaneo», per poi dedurne erroneamente la conseguenza che, poiché tale deposito non aveva i requisiti richiesti dall'art. 6, comma 1, lett. m), d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il fatto integrava senz'altro la fattispecie della realizzazione e gestione di una discarica abusiva, senza quindi che fosse necessario accertare la presenza degli altri elementi richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per la sussistenza di una discarica”.
[4] Il deposito temporaneo è un’operazione di recupero rifiuti?, in questa Rivista, 2006, 629.
[5] V. in proposito Cass. 25 febbraio 2004, Eoli (dello stesso estensore) in questa Rivista, 2004, 1079, con nostro commento.
[6] Sulla nozione di produttore di rifiuti, v. da ultimo Cass. 15 giugno 2005, n. 36963, Rebecchi, inedita (nella specie, una società, che aveva avuto l’incarico di demolire alcuni capannoni contenenti amianto per conto di un’amministrazione comunale, assume la qualità di produttore potendo così effettuare il trasporto dei rifiuti al centro di smaltimento senza necessità di iscrizione all’albo nazionale dei gestori).
[7] Analoga tesi è contenuta nella pronuncia Eoli in cui si sostiene che se una delle condizioni prescritte dall’art. 6 non è rispettata, il deposito da temporaneo diventa preliminare, “cioè entra nella sfera pericolosa dello smaltimento, qualificandosi come stoccaggio preparatorio in vista e in attesa di una delle altre operazioni finali di smaltimento”.
[8] In argomento, v. Corte Giust. 5 ottobre 1999, n. 175/98, 177/98, Foro it., 1999, IV, 441, secondo cui se le operazioni di recupero o di smaltimento dei rifiuti comprendono il deposito preliminare, escluso però il deposito temporaneo, ne deriva necessariamente che il deposito temporaneo non fa parte delle operazioni di smaltimento o di recupero dei rifiuti. Il deposito temporaneo costituisce invece un’operazione preparatoria ad una delle operazioni di recupero o di smaltimento elencate negli all. II A e II B, punti da D 1 a D 15 e, rispettivamente, da R 1 a R 13, della direttiva 75/442.
[9] Per la tesi secondo cui il deposito temporaneo irregolare non è sanzionabile penalmente, in nome del principio di tassatività, in quanto non vi è alcuna norma che punisca espressamente la fattispecie, e per il divieto di analogia in malam partem, in quanto non è rinvenibile all’interno del decreto n. 22 – e del 152/06 - una norma che parifichi il deposito temporaneo irregolare allo stoccaggio o al deposito incontrollato, v. Furin-De Negri, Rifiuti: come cambiano le sanzioni per il deposito temporaneo irregolare?, in Ambiente e sicurezza, 2006, fasc. 15, 60.